LABANCA, Baldassarre
Quarto di nove figli, nacque ad Agnone, nel Molise, il 17 ag. 1829 da Vincenzo, commerciante, e da Maria Angelica Mario. Educato dapprima da uno zio materno, L. Mario, sacerdote liberale e membro della carboneria, entrò poi nel seminario di Trivento, dove tra il 1843 e il 1845 frequentò il corso di prima classe. Morto prematuramente il padre, fu dal fratello primogenito Francesco Paolo, erede delle attività paterne, inviato a Napoli per curare gli affari di famiglia. Qui continuò in modo disordinato gli studi, frequentando per circa un anno la scuola di B. Lamanna e poi, per qualche mese, quella di F. De Sanctis. Con altri allievi di De Sanctis partecipò ai fatti del 15 maggio 1848, subì due brevi reclusioni nelle carceri borboniche, e fu quindi sottoposto a sorveglianza di polizia. Riacquistata la libertà, il L. riprese gli studi, seguendo le lezioni di F. Melillo e F. Toscano sul pensiero di P. Galluppi, A. Rosmini e V. Gioberti, nonché quelle di diritto canonico di C. Cucca e di teologia dogmatica di B. Cioffi. Tornato in Agnone verso la fine del 1852, sostenne gli esami per il diaconato e il sacerdozio, e il 12 marzo 1853 ricevette gli ordini sacri. Restò nella città natale fino all'autunno del 1855, nell'attesa di un incarico di docente che ottenne nel novembre del 1855 quando G. Falconi, abate di Altamura, gli affidò per un anno l'insegnamento della filosofia nel seminario cittadino. Del periodo di insegnamento nei seminari (oltre ad Altamura, Diano nel 1857-58 e Conversano nel biennio 1859-61) di rilievo sono gli anni di permanenza in Terra di Bari, a Conversano. Qui, infatti, in un ambiente segnato dalla presenza di un vescovo liberale, G.M. Mucedola, noto oppositore del regime borbonico, maturò nel L. una crisi religiosa che si connotò di forti tinte politiche. È nota, infatti, la testimonianza di G. Semeria, al quale, molti anni dopo gli avvenimenti, il L. confidò che a spingerlo a svestire l'abito religioso sarebbe stata l'avversione alla politica temporale della Chiesa: in effetti non solo prese parte ai moti insurrezionali che ebbero luogo in Puglia nell'estate del 1860, ma espresse nettamente la sua posizione in un opuscolo, Contraddizioni tra le due potestà spirituale e temporale dei papi (Macerata 1860).
In esso, sulla scia del giobertiano Rinnovamento civile d'Italia, il L. sottolineava l'incompatibilità tra il supremo servizio pastorale e la sovranità temporale, manifesta soprattutto sul piano della incapacità del governo pontificio di adempiere alle più elementari funzioni statuali (ordine pubblico, giustizia, forza militare) senza doversi assoggettare ai voleri delle potenze straniere.
La svestizione vera e propria avvenne tra il novembre 1861 e il gennaio 1862: risale, infatti, al 4 nov. 1861 una lettera con la quale il L. chiedeva al vescovo di Trivento, F. de Agazio, il permesso di recarsi a Chieti per insegnarvi la filosofia; al febbraio del 1862 un'altra in cui un suo corrispondente e amico, D. Morea, gli chiedeva notizie sul suo "nuovo stato". Comunque, ottenuta la cattedra grazie all'interessamento di L. Settembrini e B. Spaventa, il L. rimase a Chieti fino all'estate del 1868, e in questi anni pubblicò le sue due prime opere filosofiche di un certo rilievo, Della filosofia razionale lezioni, I-II (Firenze 1864), e Della filosofia morale lezioni (ibid. 1867). Pur risalendo il suo esordio letterario a qualche tempo prima, quando aveva dato alle stampe, in opuscolo, il discorso da lui tenuto per l'inaugurazione dell'anno scolastico del seminario di Diano (Intorno al vero e al falso spirito della filosofia contemporanea, Napoli 1857), è ai citati volumi, di evidente funzione didattica, che ci si deve richiamare per cogliere i tratti prevalenti della sua formazione filosofica, su cui molto influì il pensiero di Gioberti.
Da esso, infatti, il L. mutua la concezione della filosofia come "circolo dialettico" ove operano tre momenti, il cui nesso è fornito dall'atto creativo e in cui gli opposti sono in reciproco rapporto di contrarietà, ma non di contraddittorietà; la definizione della gnoseologia e la sua dipartizione in "propedeutica" e in "protologia" (in cui gli elementi possono essere studiati "in modo razionale ed assoluto"); la definizione della morale come "scienza della primitiva e successiva determinazione del bene", dapprima "speculativa" (ossia che tratta del bene nelle sue componenti principali: la bontà, l'onestà, la giustizia e la carità), e poi "applicativa" (che dimostra come tali aspetti si manifestino nella storia).
Nell'autunno del 1868 il L. fu trasferito al liceo di Bari, dove insegnò fino a quando, nel 1871, vinse il concorso per una cattedra di filosofia nel liceo G. Parini di Milano. Qui fece anche nel 1874-75 la sua prima esperienza di docente universitario, chiamato da G.I. Ascoli a insegnare filosofia morale presso l'Accademia scientifico-letteraria. Legata a tale opportunità fu la pubblicazione del suo più ambizioso lavoro teoretico (Della dialettica libri quattro, I-II, Firenze 1874), nel quale prese le distanze dalla concezione giobertiana della dialettica, ora giudicata priva di una vera necessità al suo interno in quanto fondata su un principio, l'Ente, dotato di libertà creatrice. A essa contrappose un "sistema dialettico inclusivo" che, riprendendo alcuni aspetti della logica aristotelica (il momento di tesi della dialettica del L. è "l'essere nel suo tutto potenziale"; quello di antitesi è "l'essere stesso nelle sue parti"; quello di sintesi, infine, "l'essere nel suo tutto attuale"), teorizza un primo dialettico (la "Mente suprema dell'universo" che è "pensiero di sé e di altro da sé") nel quale si uniscono, pur differenziandosi, l'Ente creatore e l'universo creato, conciliando così le esigenze del trascendentalismo e del panteismo. Ciò grazie a una concezione dell'Ente che, superando i concetti di personalità e di impersonalità, è definita dal L. "soprapersonale".
Nel 1875 un provvedimento del ministro della Pubblica Istruzione R. Bonghi riportò il L. a Napoli restituendolo all'insegnamento superiore, prima nel liceo A. Genovesi (dal 1875-76 al 1877-78), quindi nel Vittorio Emanuele (1878-79). Fu solo nel 1879 che ottenne, per concorso, il passaggio alla cattedra di filosofia morale nell'Università di Padova, dove rimase per un triennio denso per lui di avvenimenti. Qui sposò la sua governante, che qualche anno più tardi morì prematuramente. A Padova fu coinvolto nelle polemiche che le sue lezioni, giudicate poco rispettose della dottrina e della morale cattolica, fecero scoppiare tra i circoli clericali e anticlericali, tanto da provocare nel giugno del 1880 una dimostrazione, a tutela della libertà d'insegnamento e a suo sostegno, che i quotidiani del tempo definirono "imponente", e scrisse e pubblicò un libro (Marsilio da Padova riformatore politico e religioso del secolo XIV, Padova 1882) che segnò il passaggio a una seconda fase della sua riflessione intellettuale, orientata verso tematiche storico-religiose.
È stato sottolineato (Piaia, p. 35) come, in un periodo in cui il panorama culturale italiano presentava una notevole povertà in queste ricerche, il L. fosse tra i pochi studiosi che tentassero di dare un'impostazione scientifica a tale settore di studi. Nel Marsilio da Padova il L. affrontò il nodo del rapporto Stato-Chiesa applicando il suo metodo "inclusivo" e presentando Marsilio come il precursore della moderna concezione democratica dello Stato, in quanto sostenitore della sovranità popolare e della separazione tra potere legislativo ed esecutivo, e addirittura come anticipatore di un "socialismo vero", in quanto avrebbe colto con chiarezza la necessità di partecipazione di tutto il popolo all'attività di governo mediante il suffragio universale. Nel pensiero di Marsilio si manifesterebbe inoltre, secondo il L., l'esigenza di distinguere la Chiesa dallo Stato, distinzione da non intendersi come astratta separazione, bensì come conciliazione delle due potestà nel concetto di popolo che, in quanto cristiano, è fondamento di entrambe. Marsilio, anticipatore della Riforma, avrebbe quindi mirato a instaurare una Chiesa cristiana, nella quale il popolo, mediatore tra l'umano e il divino, può fare a meno delle figure sacerdotali.
Queste idee il L. pose alla base del programma elettorale con il quale, nell'ottobre 1882, si presentò alle elezioni parlamentari per la seconda circoscrizione di Campobasso senza però riuscire eletto. Nel frattempo, essendo vacante a Pisa l'insegnamento di filosofia morale per il trasferimento a Napoli di F. Fiorentino, il L. passò nell'Università toscana. Qui, oltre a stringere rapporti (con A. D'Ancona, ma anche con alcuni noti intellettuali francesi e tedeschi, come J. Réville e W. Windelband) seguiti da una significativa corrispondenza intellettuale, si dedicò alle ricerche sul cristianesimo primitivo e sulle filosofie patristica e scolastica poi confluite in un'opera in due volumi (Della religione e della filosofia cristiana. Studio storico-critico, Torino 1886-88), il primo dei quali (Il cristianesimo primitivo) fu quello accolto con maggiore curiosità al suo apparire. Spinto a tali ricerche dalla convinzione dell'esistenza di una manifesta esigenza di rinnovamento spirituale e civile, il L. ritenne che se ne dovessero ritrovare le radici in quel cristianesimo delle origini cui si rifaceva Marsilio da Padova nella sua opera. Ebbe così modo di confrontarsi con gli studi condotti su tale oggetto dalla scuola di Tubinga e in particolare dal suo fondatore F.C. Baur, a partire dal tipo di approccio storiografico, dal L. considerato troppo legato alla filosofia hegeliana. A esso contrappose un metodo che, muovendo da fattori "fisici" (geografici, politici, economici, culturali), negava il rapporto tra il lavoro storiografico e la prospettiva filosofica (di qui la taccia di mentalità positivistica e la svalutazione del suo operato della posteriore cultura italiana, in vario modo influenzata dall'idealismo).
La critica alla scuola di Tubinga si tradusse in una significativa differenziazione di giudizi storici a proposito dei momenti essenziali dello sviluppo del cristianesimo primitivo (non "petrinismo", "paolinismo" e "cattolicesimo" nascente, ma "nazareismo", ossia il passaggio dall'ebraismo al movimento di Gesù, cristianesimo apostolico e cattolicesimo nascente), del rapporto che li lega (non dialettico ma piuttosto evolutivo: per il L. petrinismo e paolinismo sono semplicemente due diverse accentuazioni in seno al secondo momento, il cristianesimo apostolico), e del nodo centrale delle origini cristiane, che per il L. diventa il problema del "Gesù storico" e del suo legame con il giudaismo.
La pubblicazione di questo lavoro, coincidendo con il profilarsi di una volontà politica di riattivare gli insegnamenti storico-religiosi nelle università italiane, valse al L., nell'aprile del 1886, la chiamata temporanea all'Università di Roma con l'incarico di storia delle religioni (insegnamento trasformato nel 1887 in storia del cristianesimo), evento questo al quale non fu estraneo il responsabile dell'Istruzione M. Coppino. Accolto con un pregiudizio svalutativo dall'ambiente accademico romano, il L. si trovò in un isolamento che, col trascorrere degli anni, divenne sempre più gravoso e non fu mitigato dalla considerazione che i maggiori studiosi stranieri ebbero per lui (impegnato, tra l'altro, a collaborare con alcuni importanti progetti editoriali internazionali, come l'enciclopedia delle religioni diretta a Tubinga da Paul Siebeck, per la quale scrisse numerose "voci" che poi ripubblicò, in traduzione italiana, nel volume Saggi storici e biografici, Palermo 1911). Segno di questa solitudine furono le difficoltà frappostegli alla trasformazione del comando in ordinariato, nomina ottenuta con un intervento d'autorità del ministro dell'Istruzione F. Martini solo nel gennaio del 1893. D'altronde la sua posizione di rifiuto sia del clericalismo, sia di ogni forma di hegelismo, compresa quella che generò l'antispiritualismo dei radicali, esplicitata anche in un opuscolo pubblicato nell'estate del 1889 e inquadrabile nelle polemiche che precedettero e seguirono l'inaugurazione del monumento romano a Giordano Bruno (L'ultima allocuzione del papa e Giordano Bruno, Roma 1889), era, nel clima dell'epoca, minoritaria. Tanto da fargli ben presto acquisire consapevolezza del sostanziale fallimento del tentativo, da lui perseguito, d'inserire la storia del cristianesimo, con un proprio statuto e una propria legittimazione, nel quadro di una cultura laica di impronta nazionale.
In tale fallimento giocarono un ruolo tutt'altro che secondario le incomprensioni che costellarono il rapporto con A. Labriola (docente nell'Università di Roma negli stessi anni del L.), nonché l'esplicito rigetto dell'insieme della sua produzione intellettuale da parte dei due grandi responsabili della rinascita idealista, B. Croce e G. Gentile, e delle loro scuole. Però almeno nel caso di Croce (antico sodale del L. presso l'Accademia Pontaniana di Napoli, dalla quale il L. si distaccò polemicamente nell'estate del 1893 in seguito a uno sgradevole episodio di censura che colpì una sua memoria, L'Evangelio di s. Giovanni e il commento di A. Rosmini, Roma 1894, non pubblicata negli atti perché giudicata troppo provocatoria) le divergenze intellettuali non ebbero effetti sui rapporti personali. Né, per altro, comportarono il mancato riconoscimento da parte di Croce del contributo rimarchevole apportato dal L. agli studi vichiani, in particolare con la pubblicazione di un volume (Giambattista Vico e suoi critici cattolici. Con osservazioni comparative su gli studi religiosi del secolo XVIII e XIX, Napoli 1898) nel quale per la prima volta venne messa a fuoco l'importanza dell'opera acutamente ostile di G.F. Finetti (Apologia del genere umano accusato d'essere stato una volta una bestia, Venezia 1768), per la storia della ricezione del pensiero vichiano.
Se non facile fu il confronto del L. con il filone laico della cultura italiana, altrettanto difficile fu quello con gli intellettuali cattolici, compresi coloro che, come i modernisti, non negavano la necessità di un approccio anche storico agli studi religiosi. Questi ultimi tacciarono le ricerche condotte dal L. negli ultimi due decenni della sua vita, nella quasi totalità incentrate intorno al problema Gesù e presentate, oltre che in numerosi saggi, anche in tre libri (La "Vita di Gesù" di Ernesto Renan in Italia, Roma 1900; Gesù Cristo nella letteratura straniera e italiana, Torino 1903; Gesù di Nazareth, Modena 1910), di ingenua modernizzazione della figura del Nazareno e di inadeguata considerazione del problema escatologico, ossia di anacronismo metodologico. E questo perché gli elementi che il L. tentò di fornire per la ricostruzione del nucleo originario del messaggio cristiano andavano, sulla scia di tutta la "Leben-Jesu-Forschung" di ispirazione liberale, nella direzione della coincidenza di fatto di quest'ultimo con i valori etico-religiosi necessari alla società moderna. Da parte sua il L., forse non cogliendo, è stato sostenuto (L. Bedeschi), l'opera di distinzione tra fede e religione che è stato il nucleo ultimo del tentativo modernista, accusò costoro, e in particolare A. Loisy, di scarso coraggio e di poca consequenzialità nella loro posizione, soprattutto a causa della manifesta volontà di condurre la loro battaglia all'interno della Chiesa romana.
Il L. morì a Roma il 22 genn. 1913.
Con lascito testamentario aveva donato alla Biblioteca Casanatense di Roma una raccolta di 287 volumi provenienti dalla sua biblioteca (oggi costituiscono la cosiddetta Miscellanea Labanca). Altri e più numerosi volumi andarono a costituire, con donazione risalente al 1901 ma perfezionata dopo la morte, il nucleo originario della Biblioteca comunale di Agnone, nella quale è accolto anche l'archivio dello studioso, comprendente - oltre manoscritti di sue opere edite e inedite, e documenti vari - anche il ricco epistolario.
Fonti e Bibl.: La fonte più ampia, per quanto non sempre esatta, soprattutto nelle date dei vari episodi riferiti, è B. Labanca, Ricordi autobiografici, a cura di G. Labanca - C. Labanca, Agnone 1913. Per un elenco quasi completo dei numerosi scritti si veda B. Labanca, Elenco degli scritti filosofici e religiosi pubblicati dal 1857 al 1912, Roma 1911. Un indice del carteggio è in C. Preti, L'epistolario di B. L. e la cultura europea del tardo Ottocento, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, XXX (1997), pp. 125-196 (comprende le lettere di R. Ardigò, F. Bonatelli, G. Marchesini ed E. Teza); le lettere di B. Croce sono state pubblicate da M.L. Cavalli Arcamone, Lettere inedite di B. Croce ritrovate nella Biblioteca B. Labanca di Agnone, in L'Abruzzo, IV (1966), 2-3, pp. 151-164; lettere di diversi corrispondenti sono pubblicate, in trascrizione integrale o parziale, nelle note dei contributi raccolti in B. L., Atti del Convegno di studi, Isernia 2000; infine, un regesto parziale di un piccolo gruppo di autografi (172 lettere a fronte delle oltre 1100 di tutto il carteggio) è in B. L. nella cultura italiana ed europea tra Ottocento e Novecento, a cura di R. De Benedittis, 2ª ed., Campobasso 1992 (catalogo della mostra documentaria tenuta in Agnone nel dicembre 1990). Da consultare anche il Catalogo di pubblicazioni varie donate da B. L. al Municipio di Agnone, Agnone 1901, nonché il Supplemento al Catalogo edito in Agnone nel 1901, ibid. 1907. Testimonianze coeve in: R. Bianchi, Gli studi religiosi in Italia ed il prof. L., Bologna 1899; G. Gentile, La filosofia italiana dopo il 1850: i platonici, in La Critica, VI (1908), pp. 18-26; S. Mastrogiovanni, Una visita a B. L., in Fede e vita, II (1909), pp. 58-61; L. Bassani, B. L., in Sentinella antimodernista, gennaio-febbraio 1913, pp. 12-17; A. Cappellazzi, Un filosofo e un critico del cristianesimo, in La Scuola cattolica, XLI (1913), 1, pp. 476-488; L. Salvatorelli, Gli studi religiosi in Italia e l'opera di B. L., in Id., Saggi di storia politica e religiosa, Città di Castello 1914, pp. 227-265; G. Semeria, I miei tempi, Milano 1929, pp. 89-91. Tra i contributi critici: B. Croce, Storia della storiografia italiana nel sec. XIX, Bari 1930, pp. 223 s.; G. Alliney, I pensatori della seconda metà del sec. XIX, Milano 1942, pp. 316-323; B. Croce, Bibliografia vichiana, accr. e rielaborata da F. Nicolini, Napoli 1948, II, pp. 667 s.; A. Bea, La scienza biblica cattolica da Leone XIII a Pio XII, in Divinitas, III (1959), pp. 599-604; P. Scoppola, Crisi modernista e rinnovamento cattolico, Bologna 1961, pp. 31-36; Il primo centenario del liceo-ginnasio D. Morea di Conversano, a cura di G. Bruzzese, Bari 1962, pp. 141 s.; E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, a cura di M. Niccoli, Bari 1964, ad ind.; G. Piaia, B. L. interprete ottocentesco di Marsilio da Padova, in Quaderni per la storia dell'Università di Padova, VII (1974), pp. 27-54; L. Malusa, La storiografia filosofica italiana nella seconda metà dell'Ottocento, Milano 1977, ad ind.; E. Garin, Storia della filosofia italiana, III, Torino 1978, pp. 1211, 1213; F. Porrone, Il più illustre figlio di Agnone: B. L., Roma 1990; A.-C. Faitrop-Porta, Renan et les historiens des religions en Italie, in Études renaniennes, XXII (1990), 82, pp. 3-22; L. Bedeschi, B. L. e il modernismo, in Humanitas, XLVII (1992), pp. 51-67; C. Preti, Le traversie di un apostata. Il "Gesù Cristo nella letteratura moderna e contemporanea" di B. L. e l'Indice, in Studia Patavina, XLIX (2002), 2, pp. 337-368.