AZZOGUIDI, Baldassarre
Bolognese, nacque da una antica famiglia di parte geremea. I suoi maggiori, fin dal sec. XIV, avevano ottenuto cariche di gran conto: ambasciatori, capitani, lettori dello Studio, notai. È opinione comune che l'A. sia nato tra gli anni 1430 e 1440; il padre Melchiorre - creato notaio nel 1421 - ebbe onoriflci incarichi nella città e fu per cinque volte "correttore" dell'Ordine dei notai. Con la morte del padre (tra il 1461-65) e del fratello Alessandro (1467), l'A. divenne capo famiglia; fu immatricolato tra i "cambisti" (banchieri) nel 1464; sposò nel 1465 Antonia di Onofrio Sampieri, che gli diede otto figli. Nel 1470, nella casa degli Azzoguidi, posta di fronte alla chiesa di S. Nicolò degli Albàri (attuale via Cavaliera), si adunarono tre amici per convenire insieme su l'opportunità di introdurre anche a Bologna l'arte nuova tipografica che - da Subiaco e Roma - andava diffondendosi a Venezia, Firenze, Milano. Sin dai tempi di Imerio, Bologna era stata, con la sua corporazione di copisti abili, fedeli ed eleganti, un centro cospicuo di diffusione dei testi di alta cultura, specialmente giuridica. L'A. ed i suoi amici intesero come questo primato - in una con le ricche biblioteche aperte agli studiosi che erano nella città - formasse un necessario complemento allo Studio bolognese, che ne divulgava gli insegnamenti, la fama e la gloria. L'era dei copisti terminava: la stampa l'aveva chiusa. E le decisioni furono concretate il 25 ott. 1470, quando, con atto rogato dal notaio G. A. Castagnola, si costituì la società editoriale tra l'A., l'umanista Francesco Dal Pozzo (Puteolanus) ed Annibale di Guglielmo Malpigli "ad artem et exercitium imprimendi sive stampandi pro tempore et termino annorum duorum ". Inizio dell'attività sociale: il 1ºdic. 1470.
All'A. l'onere di reperire il capitale occorrente e i locali per l'"officina", la parte direttiva tecnica, organizzativa ed economica dell'impresa; a Francesco Dal Pozzo il compito di scegliere i testi da pubblicare, rivederli, correggere le bozze di stampa: ossia la direzione letteraria; al Malpigli padovano, il compito della diffusione dei testi stampati, nello Studio bolognese (ove assieme al Dal Pozzo insegnava col fratello), in quello di Padova e dovunque fosse possibile. Programma che anche oggi potrebbe essere quello di una grande organizzazione editoriale. Meno si comprende il termine di due anni determinato per la società: termine assolutamente insufficiente per pubblicare un numero di testi capace di ammortizzare gli impianti e dare risultati economici e culturali apprezzabili. Il capitale liquido sembra che l'A. lo reperisse vendendo un suo fondo; i locali per l'officina furono trovati più facilmente nella grande casa di proprietà dell'Azzoguidi. I caratteri furono disegnati e fusi da un fonditore del quale - caso eccezionale - si conosce il nome, "Noctua", segnato dopo il Registrum dell'opera di Guillaume Durand vescovo di Mende, Speculum iuditiale:"Noctua zetò queste letere".
Il primo prodotto della società fu l'Ovidio, Opera (1471), che il Dal Pozzo, come convenuto, curò e pel quale dettò il "colophon": ... "Balthasar Azoguidus civis bononiensis honestissimo loco natus, primus in sua civitate artis impressoriae: inventor et summa necessitudine mihi coniunctissimus ad utilitatem humani generis impressit MCCCCLXXI". Si è discusso se sia questa l'editio princeps di Ovidio, o non piuttosto l'altra romana dei compagni Conrad Sweynheyrn ed Arnold Pannartz, che è senza data e probabilmente anch'essa del 1471. Oggi comunemente si ammette la priorità della bolognese che è andata quasi tutta dispersa. In Italia ne esistono due esemplari, entrambi mutili: il Laurenziano, già elciano (Firenze), e l'Angelico (Roma). Si è anche a lungo discusso se l'Ovidius sia veramente il primo prodotto della società, e quindi la prima stampa bolognese, ritenendo taluno che l'A. - quasi a prova dell'organizzazione della sua officina e della capacità dei suoi operai - l'abbia fatta precedere dalla pubblicazione di quella descrizione in ottave di Francesco Cieco da Firenze, composta ad imitazione della Giostra del Poliziano: Torneamento di Giovanni Bentivoglio (tenuto a Bologna il 4 ott. 1470). Ma questa opinione non è più seguita oggi; e neppur quella che voleva l'Ars moriendi di Domenico Capranica aver preceduto l'Ovidius. Non datata, ma comunemente assegnata all'anno 1471, è l'edizione di quel cantare cavalleresco di incerto autore Sala di Malagigi (nessun esemplare ne esiste in Italia), il quale, assieme alle Epistolae di Falaride, tradotte in latino da Francesco Aretino, si attribuisce all'A. e compagni. Datata 1471 è invece l'edizione del De metris di Nicolò Perotti. Durante il 1472 vennero pubblicati il testo di Diodorus (editio princeps)e tre edizioni dei Confessionali di s. Antonino in volgare.
Non sembra che, oltre alle citate edizioni, altre ne abbia prodotte la società, che si sciolse in conformità del contratto. Il Malpigli, assieme al fratello Scipione, si unì col notaio Nicolò Beroaldo e il notissimo libraio Lazzaro della Penna ed imprese a stampare per proprio conto. il Dal Pozzo lamentò gravi perdite subite (né si comprende quali abbiano potuto essere, giacché il capitale fu approntato dall'A.) e ritornò ai suoi studi ed alle sue lezioni. L'A., con l'aiuto del fratello Pietro, continuò l'azienda. Morto Pietro nel 1478, l'A. nel 1480 cessò l'attività, dopo aver pubblicato la seconda edizione delle opere di Ovidio. Non si conoscono le cause della cessazione: si può congetturare che l'esser rimasto solo, l'avere ormai Bologna più abili tipografi, lo scoraggiassero a proseguire. Nulla sappiamo degli anni non pochi che ancora gli restarono, se non che testò il 18 ag. 1490, ma morì ben più tardi. Secondo una congettura avanzata dal Sorbelli, senza scorta di documenti, ripresa dai posteriori bibliografi, si assegna il 1499 come anno di morte dell'Azzoguidi. Solo è certo e provato che nel 1502 non era più in vita. Suoi eredi furono i figli Giovan Galeazzo e Vincenzo. La famiglia si estinse a metà del sec. XVI.
Nel periodo 1473-80 l'A. produsse una ventina di edizioni, benché i vari bibliografi gliene assegnino un maggior numero; ma talune sono certamente di altri: del Ruggeri, del Portilia, del Malpigli (come la celebre edizione del Petrarca con i commenti del Filelfo e dell'Ilicino, del 1475). L'opera maggiore prodotta fu lo Speculum historiale del Durand, in tre grossi volumi; la più rara, oggi, il Decameron del 1476 - che è copia dell'edizione mantovana di Pietro Adam de Micheli, 1472 - del quale si conosce il solo esemplare di Parigi (Bibl. Nat.) che ci sia pervenuto completo. Si debbono all'A. le principes della Vita di Cristo e della Madonna,testo che ebbe gran voga e fu più volte ristampato durante il sec. XV; Le sette armi spirituali di Caterina da Bologna (circa 1475), cui Pietro premise una breve Vita della beata; il Libro della divina dottrina di s. Caterina da Siena (1475) e gli Statuti di Bologna del 1476 circa. Due edizioni del 1481 a lui attribuite non sono certamente sue; sono forse del Bertocchi.
Il Noctua gli fornì due serie di caratteri: uno umanistico romano 113, non molto diverso da quello usato a Roma da Ulrich Han, ed un altro simile, ma più minuto, 99 R., sul tipo di altri usati a Vicenza. Confrontando attentamente i caratteri delle varie edizioni ci si accorge tuttavia che l'A. deve aver rinnovato le provviste, traendole dai punzoni primitivi del Noctua - e tutto lascia supporre che sia stato il medesimo fonditore a rifornirlo - per l'esistenza di qualche lieve modifica su taluni caratteri. Non sempre è agevole differenziare i caratteri dell'A. da quelli di alcune serie usate dai bolognesi Bertocchi, Ruggeri ed altri; ma un elemento di riconoscimento per le edizioni azzoguidiane è dato dalle carte. Egli usò in tutta la sua attività due sole qualità di carta (ottima, candida, non spandente) differenziate da due serie di filigrane, né mai cambiò fornitore. Non usò né cifrare le carte, né sempre apporvi il registro; non usò maiuscole ornate, anzi lasciò sempre spazi per supplirle a mano; non usò fregi; non ebbe marca editoriale.
Esaminata nel suo complesso la produzione azzoguidiana non fu pari a quanto ci si poteva attendere, considerando le premesse e gli alti intenti che avevano determinato la costituzione della primitiva società con il Dal Pozzo ed il Malpigli. Mancatogli l'umanista, l'A. ripiegò sulla pubblicazione di opere in volgare, più confacenti ad un pubblico di media cultura che a dotti o a frequentatori dello Studio bolognese. Toltone il Durand e la ristampa dell'Ovidius, nessuna sua edizione fu veramente notevole per contenuto. Tuttavia a lui deve essere ascritto il merito di aver aperto la via agli stampatori successivi.
Fonti e Bibl.: Bologna, Arch. Notarile (si indicano solo gli atti più notevoli): Atti ser M. Carialti, c. 413;ser Isidoro Cancellieri, c. 151; ser G. A. Castagnoli (alla data 25 ott. 1470);Copie di archivio Lib. 8, cc. 257-258; Matricola Notai c. 188; Bologna, Bibl. d. Archiginnasio: Mss. B 1317-1320;Bologna, Arch. Fabbrica S. Petronio: Testamenti V,c. 150; Atti Notai: F. Formiglioni, prot. 31.42; Matteo Curialti, filza 4, 311; Rolando Castellani, prot. 7,95; Lorenzo Pini, prot. 9, 93;Pietro Boltoni, prot. 3, 73, 77-78;Bart. e Cesare Panzacchi, prot. 9,14, 29, 57;Pietro Bruno, filza 29, 80;Giacomo Mammellini, VI, 325; Bologna, Bibl. Comunale, Le famiglie bolognesi (alla voce Azzoguidi), VI, 103 ss.; S. Muzzi, La stampa in Bologna, Bologna 1869, pp. 88-120;C. De Lozzi, Dell'arte del ben morire, in Il Bibliofilo, VIII (1887),pp. 81-84;A. Sorbelli, I primordi della stampa in Bologna, Bologna 1929, pp. 7 ss.;Id., La stampa in Bologna, in Tesori delle Biblioteche italiane, Emilia e Romagna, Milano 1929, pp. 391 ss.; L. Sighinolfi, Francesco Puteolano e le origini della stampa in Bologna, in La Bibliofilia, XV(1913),pp. 331-340, 383 s., 386.