BAKÓCZ [pron. bòkoz] Tamás (Tommaso), conte di Erdöd
Primate d'Ungheria, nato nel 1442 a Erdöd (comitato di Szatmár), morto nel 1521 a Esztergom. Suo padre, Francesco, era vassallo nel feudo di Erdöd, della celebre famiglia Dragfi. Educato dal fratello Valentino parroco di Titel (alla confluenza Tibisco-Danubio), frequentò le scuole dei domenicani di Szatmárnémeti, poi nel 1464 passò a Cracovia, e quindi a Ferrara e a Padova, e nel 1470 ritornò in patria, col titolo di dottore. Fu assunto allora come segretario da Gabriele Rangoni vescovo di Eger e cancelliere reale (1475-1480). Intanto impinguava le sue rendite: nel 1480 il fratello gli cedeva la parrocchia di Titel, con una rendita annua di 4000 fiorini d'oro, nel 1483 diventava segretario reale, nel 1486 vescovo di Györ, con una rendita di 14.000 fiorini d'oro all'anno, che non gli impediva di mantenere anche quella di Titel. Nel 1489 il re Mattia lo nominava suo consigliere e gli conferiva stemma e titolo di conte dí Erdöd, trasmissibile agli eredi del nipote Pietro. La sua fortuna s'avviò anche a più alti voli, nella carriera ecclesiastica e politica, con Vladislao II, re eletto di Ungheria e di Boemia. Fu cancelliere del re (1490), vescovo di Eger (1492), mantenendo, con i nuovi 20.000 fiorini, quelli del precedente vescovato; nel 1493 fu uno dei custodi della corona, al principio del 1498 vescovo di Esztergom e primate d'Ungheria; nel 1500 cardinale, nel 1507 patriarca di Costantinopoli. Nel 1513 è a Roma uno dei candidati meglio quotati del conclave: la sua candidatura però fallisce di fronte a quella di Giovanni de' Medici (Leone X). Il nuovo papa lo investe, al sui) ritorno in patria, della dignità di legatus de latere per tutta l'Europa Nordorientale e, concedendogli i vescovati di Segna, Otočac e Milcovia, gli dà il potere di proclamare la crociata contro i Turchi. Infatti l'anno dopo (1514) la crociata è proclamata, ma sbocca nella sollevazione dei contadini che va sotto il nome del capitano transilvano Giorgio Dozsa, sollevazione che il voivoda della Transilvania Giovanni Zapolya abbatté nei pressi di Temesvár (Timisoara). Tale sconfitta ridusse di molto la fama del vecchio primate. Uno dei suoi ultimi atti politici fu la celebrazione del matrimonio dei figli di Vladislao II, Anna e Luigi, con i nipoti di Massimiliano I imperatore, Ferdinando e Maria, al congresso di Presburgo del 1515. L'anno seguente accompagnò all'ultima dimora il fido sovrano alla tomba reale di Szókesfchérvár. Visse poi i suoi ultimi anni ritirato nel suo castello di Esztergom, affitto da gravi malattie, e nell'estate del 1521 venne a morte, lasciando 40.000 fiorini per la difesa dei confini.
Il B. è un rappresentante tipico di porporato della Rinascenza europea al principio del Cinquecento. Fu un vero sacerdote-condottiero, che cercò ricchezze, autorità e potenza per trarne profitto per sé e per la sua famiglia. Delle esperienze fatte alla corte di Mattia egli seppe valersi accanto a Vladislao II, ammalato e privo di qualsiasi energia, e accanto al bambino Luigi II, in modo tanto astuto che gli ambasciatori veneziani a Buda (nel 1500 S. Giustiniani, nel 1511 P. Pasqualigo, nel 1819 A. Bon) lo chiamano il "secondo re del paese". Allorché corre la voce che egli aspiri al trono papale, dichiara110 infondata la notizia, perché "nella propria patria egli è papa e sovrano, in breve tutto ciò che vuole essere". Nel 1501 Venezia dovette a lui soltanto se ebbe l'Ungheria alleata nella guerra contro i Turchi. D'altro canto, nel 1508 e 1510, in occasione della lega di Cambrai, fu ancora una volta il Bakócz quello che riuscì ad impedire che l'Ungheria entrasse in guerra contro Venezia.
Caposaldo della sua politica interna fu d'impedire in tutti i modi che l'oligarchia prendesse piede; perciò mirò ad aumentare il potere del re e quindi il suo, e a questa politica più d'una volta sacrificò, con danno del paese, anche felici combinazioni di politica estera. Ad onta della vivacità d'ingegno e della vastità delle sue mire, non poté realizzare i suoi piani, come prova la sollevazione del 1514. Il suo desiderio di posseder terre era inestinguibile. Per raggiungere tale scopo non badava eccessivamente alla scelta dei mezzi. Non si curava dell'opinione pubblica e nella maggior parte dei casi si dimostrò astuto e avaro come un contadino. La sua vanità non conobbe confini e spesso dai suoi modi traspariva il dilettante.
Nella costruzione della cappella di Esztergom si valse dell'opera dell'architetto italiano Baldassare Peruzzi e dello scultore fiesolano Andrea Ferrucci e di altri ancora, ma lo spirito della Rinascenza rimase sempre estraneo al suo spirito pratico. Allo stesso modo né le lettere, né le scienze trovarono posto nel cuore riscaldato da sentimenti troppo pratici, anche se il suo nome è legato esteriormente a qualche opera d'arte (p. es. il suo graduale in possesso della chiesa di Esztergom e il suo stupendo breviario in possesso del duomo di Zagabria). Innanzi alla storia due responsabilità gravano su di lui: quale capo della chiesa non presentì le tempeste che stavano per essere scatenate dalla Riforma; e quale primo ministro dei Jagelloni, non si oppose con bastevole energia al pericolo sempre più minaccioso e più vicino che i Turchi rappresentavano; appena un lustro dopo la sua morte, nel 1526, la nazione di Santo Stefano subiva dai Turchi un colpo mortale sulla pianura di Mohács.
Bibl.: W. Fraknói, Bakócz Tamás életrajza (La vita di Tommaso Bakócz), Budapest 1889; id., Magyarország és a Cambrai Liga (L'Ungheria e la Lega di Cambrai), in Századok (1882); id., Thomas Bakócz als Patriarch von Konstantinopel, Budapest 1878; J. J. Wellmann, Der Bauernaufstand in Ungarn aus dem Jahre 1514 unter dem Szeckler Georg Dózsa, Hermannstadt 1865; J. Dankó, De ortu, progressuque Capellae Bakocianae commentariolus, Esztergom 1875; S. Fellner e K. Pulszky, Bakócz Tamás sirkápolnája (La cappella dov'è sepolto T. B.), in Arch. Ertesitö (1881).