bailout
Salvataggio di un’istituzione che si trovi in uno stato di insolvenza. Con riferimento al settore privato, il b. viene tipicamente applicato alle istituzioni finanziarie, quali banche e assicurazioni. Il motivo risiede nel ruolo speciale che queste istituzioni svolgono. Le banche gestiscono, infatti, il sistema dei pagamenti e finanziano le imprese: un blocco di queste attività comporta, quindi, costi molto elevati per l’economia. Ciò vale soprattutto quando un intermediario ha una rilevanza sistemica, cioè quando la sua dimensione fa sì che un eventuale fallimento provochi un effetto a catena, coinvolgendo altri intermediari.
Vi sono diverse modalità di bailout. Nel caso di una crisi di liquidità, quando una banca non abbia risorse liquide sufficienti a rimborsare i suoi debiti a breve scadenza, il prestito di ultima istanza da parte della banca centrale può essere sufficiente. Nel caso invece di un’insolvenza, quando il valore complessivo delle attività sia inferiore a quello delle passività, occorre un’assistenza finanziaria a carico del bilancio pubblico: un acquisto di attività, una garanzia statale sulle passività della banca, una ricapitalizzazione con cui lo Stato diventa azionista. Nel triennio 2008-10 molti interventi di questo tipo sono stati effettuati in Europa e negli USA, con un costo notevole per i bilanci pubblici.
Il b. può avvenire anche per uno Stato sovrano. In questo caso sono altri Stati, insieme a istituzioni quali il FMI (➔), a prestare fondi a uno Stato che abbia difficoltà a finanziarsi sul mercato privato, al fine di evitare il suo default. Questo è ciò che è avvenuto in Europa nel 2010-11 con i piani di assistenza a favore di Grecia, Irlanda e Portogallo. Tali interventi pongono un delicato problema sul piano legale, per l’esistenza della no b. clause nel Trattato sull’Unione Europea (➔ Trattato di Maastricht), secondo la quale ciascuno Stato dell’area euro non dovrebbe essere oggetto di salvataggio da parte degli altri Stati membri.