BAGLIONI, Bartolomeo, detto Baccio d'Agnolo
Nacque a Firenze il 19 maggio 1462. Già il padre (Agnolo) esercitava l'arte del legnaiolo, e fu in questo settore che Baccio dapprima si specializzò ed eccelse, studiando la migliore produzione contemporanea fiorentina di un Bernardo della Cecca, un Giuliano da Maiano, un Francione.
Il Vasari ne ricorda alcune opere principali, purtroppo in parte oggi perdute: il coro di S. Maria Novella (1491-96), superstite, e nella stessa basilica l'ornamento dell'organo (smontato nel sec. XIX; oggi al Victoria and Albert Museum di Londra, e altra parte nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Rueil-Malmaison, Parigi); l'ornamento dell'altar maggiore della SS. Annunziata (1500, sostituito nel sec. XVII); una cornice (1501-02, perduta) su disegno di Filippino Lippi per una grande pala, poi affidata a fra' Bartolomeo, per la sala maggiore di Palazzo Vecchio; archi trionfali eseguiti in occasione dell'apparato per la visita di Leone X a Firenze (1515). Inoltre opere per privati, come "un ornamento d'una camera, cassoni di noce pieni di putti intagliati con somma diligenza", cioè l'arredamento della famosa camera di Pier Francesco Borgherini (1515 circa), per la quale dipinsero pannelli Andrea del Sarto, il Pontormo, il Bachiacca, il Granacci; e anche "a Giovan-Maria Benintendi fece un'anticamera ed un ricinto d'un omamento per alcune storie fatte da eccellenti maestri" (Vasari), cioè per dipinti del Franciabigio (1523), Pontormo, Bachiacca. Resta poi il ricco e fiorito coro di S. Agostino a Perugia (1502-32), il cui disegno va fatto però risalire al Perugino, e cui collaborarono largamente anche i figli di Baccio. La bottega di costui era un ritrovo di artisti: la frequentarono Filippino Lippi, Andrea Sansovino, il Maiano, il Cronaca, i fratelli da Sangallo, il Granacci, Raffaello nel suo soggiorno a Firenze, talora perfino Michelangelo.
Dalle strutture architettoniche di altari, dossali, mobilio in genere, che gli diedero grande reputazione di arredatore, il passo all'architettura vera e propria non era lungo. Baccio esordì sullo scorcio del secolo collaborando col Cronaca e con Antonio da Sangallo il Vecchio al rifacimento del salone di Palazzo Vecchio, poi modificato dal Vasari. Del 1503-04 è il palazzo Taddei (poi Pecori-Giraldi) in via Ginori, che, rifacendosi a palazzo Corsi (poi Horne) e a palazzo Guadagni del Cronaca, contribuì a fissare un modello per il palazzo nobile fiorentino della prima metà del Cinquecento: piani a superfici lisce e con sensibile sviluppo verticale, segnati da cornici marcapiano su cui poggiano, fittamente affiancate, finestre centinate incorniciate di bozze; filari di bozze che rinsaldano i fianchi della facciata; tetto funzionalmente assai spiovente; e, al pianterreno, porta ugualmente incorniciata e fiancheggiata da finestrelle quadre. Lo stesso tipo Baccio replicò nel palazzo Borgherini (poi Rosselli del Turco) in Borgo SS. Apostoli (1515 circa), nel cui interno lavorò "ornamenti delle porte, cammini bellissimi"; e per il Borgherini costruì anche (1518) una ampia villa (poi Castellani e Huntinghton; intitolata Belvedere al Saracino) sulla piazza di Bellosguardo. Di questa villa, che ha una facciata oggi un po' irregolare ma nell'intemo una bella corte porticata su due lati, esiste anche un rilievo in pianta di G. Vasari nipote (Gabinetto delle stampe, Uffizi).
Altre costruzioni civili di Baccio furono il palazzo Lanfredini sul lungarno Guicciardini, ora rimaneggiato; così come modificato è il palazzo Nasi, ora Torrigiani, in piazza dei Mozzi, che era stato del resto lasciato incompiuto da Baccio; pure ampiamente trasformati sono sia il palazzo, semicampestre in origine, per i Bartolini (poi Giuntini) in via Valfonda, sia una villa presso Rovezzano ingrandita sempre per i Bartolini, e di cui è testimonianza una stampa dello Zocchi. Inoltre si attribuisce a Baccio il palazzo Cocchi-Serristori (ora Della Seta) in piazza S. Croce, adattamento di una costruzione trecentesca, con imponente facciata ottenuta mediante sporti laterali.
Ma fu il palazzo costruito (1517-20) per Giovanni Bartolini in piazza S. Trinita l'opera più significativa e impegnata nel genere. Quando i Fiorentini accolsero quel nuovo tipo di facciata con critiche, sonetti, e coll'attaccarvi frasche "come si fa alle chiese per le feste, dicendosi che aveva più forma di facciata di tempio che di palazzo", il povero Baccio "fu per uscir di cervello" (Vasari), e tuttavia egli aveva cercato di creare in palazzo Bartolini un nuovo modello adeguato al classicismo primocinquecentesco.
Dall'oggi distrutto palazzo Branconio dell'Aquila di Raffaello, a Roma, può aver attinto il motivo delle finestre con pilastri e sormontate da timpano, fiancheggiate da nicchie e ricassi nel muro, ma l'interpretazione è diversa: più pittorica nell'esemplare romano, più architettonica in quello fiorentino. Nel prospetto sulla piazza S. Trinita del palazzo Bartolini (di recente restaurato) prevale uno sviluppo verticalistico, il portale è fiancheggiato da finestrelle rialzate già premanieristiche, la parete dei due piani superiori ha una fitta scansione plastica in ricassi e aggetti, mentre per il Vasari era criticabile solo, per troppa pesantezza, il cornicione superiore. In compenso il palazzo - di cui sono notevoli anche i due fianchi - si qualifica per un lessico classicistico dei particolari, che rispecchia perfettamente il momento stilistico in cui esso fu creato; ed in seguito incontrò successo, poiché fu imitato dal Dosio nel palazzo Giacomini-Larderel a Firenze.
A Baccio si devono anche il campanile di S. Miniato al Monte (il modello è del 1518; iniziato nel 1524, interrotto nel 1527 per l'assedio) che, fortificato da Michelangelo, resistette ai colpi dell'artiglieria imperiale; e quello di S. Spirito (1511) di mossa eleganza pur nel suo stile classico: perché, dopo due essenziali piani con finestroni ad arcata, culmina pittorescamente e ancora con anticipi premanieristici in una cella con finestre serliane e rinforzi angolari, sormontata da una cuspide piramidale. È attribuito inoltre a Baccio il disegno del campanile di S. Michele Berteide, ora S. Gaetano (1517).
Eseguito da Baccio è anche il modello in legno per la facciata di S. Lorenzo (1516), su disegno di Michelangelo e conservato in Casa Buonarroti a Firenze, invero piuttosto freddo nel rendere il progetto del Buonarroti; mentre il modello per la chiesa di S. Giuseppe (1519), ora conservato nel Museo di S. Marco, risale a Baccio stesso. Esso contemplava una chiesa a croce latina a un'unica nave e ampia tribuna, con tre cappelle per parte affacciate sulla navata e due cappelle sui bracci trasversali. L'esecuzione si restrinse, invece, escludendo i bracci trasversali a una chiesa a un'unica nave con cappelle, discendente cioè dal modulo albertiano e ispirata particolarmente dal precedente del Cronaca in S. Salvatore al Monte, ma con uno stile meno sobrio, a quel che è dato almeno giudicare dall'aspetto attuale della chiesa, sistemata in tempo barocco. Baccio aveva eseguito anche, e fu la sua ultima opera, la porta di S. Giuseppe, scomparsa.
Gode infine di fin troppa notorietà un insuccesso di Baccio, cioè il ballatoio intorno alla cupola di S. Maria del Fiore, previsto del resto dal progetto brunelleschiano: nominato fin dal 1507, col Cronaca e i due Sangallo, capomaestro per questi lavori del duomo, carica che tenne poi da solo dal 1508 fino al 1515 (tranne un'assenza per studi a Roma nel 1510-11), Baccio nel 1515 scoprì il ballatoio costruito su una delle otto facciate della cupola, dalla parte di via dell'Oriolo; ma Michelangelo "nel suo ritorno da Roma veggendo che nel farsi quest'opera si tagliavano le morse che aveva lasciato fuori non senza proposito Filippo Brunelleschi, fece tanto rumore, che si restò di lavorare, dicendo esso che gli pareva che Baccio avesse fatta una gabbia da grilli, e che quella macchina sì grande richiedeva maggior cosa" (Vasari). E, in effetti, la critica che si può muovere al ballatoio, peraltro aggraziato, di Baccio, è quella di una proporzione non adeguata al metro gigantesco della cupola.
In conclusione, Baccio d'Agnolo - che attese anche ai pavimenti di S. Maria del Fiore e ad "altre sue fabbriche che non erano poche, tenendo egli cura particolare di tutti i principali monasteri e conventi di Firenze e di molte case di cittadini dentro e fuori della città" (Vasari) - risulta la più notevole personalità dell'architettura fiorentina nei primi tre decenni del secolo XVI. Continuatore del Cronaca, ha a sua volta nei suoi figli Giuliano e Domenico dei continuatori fino alla metà del secolo, mentre il suo sensibile classicismo apre la strada agli sviluppi del Dosio e anche dell'Ammannati (si confronti con la facciata del palazzo Bartolini quella del palazzo Grifoni).
Morì a Firenze il 6 maggio 1543.
Il B. ebbe quattro figli: Giuliano, il maggiore, nato a Firenze nel 1491, fu anch'egli architetto e intagliatore.
Il Vasari (ed. 1568) è la maggiore fonte per l'attività di Giuliano, che fu innanzi tutto aiuto e poi prosecutore dell'opera del padre, cui successe nella carica di capomaestro dell'Opera di S. Maria del Fiore. Per mons. Baldassarre Turini di Pescia, datario di Leone X e Clemente VII, Giuliano eseguì la cappella nella crociera dei duomo di quella cittadina. Per Francesco Campana, segretario del duca Alessandro e di Cosimo I, eseguì (1539), in ameno belvedere, la chiesetta di S. Martino a Montughi (di cui il Campana era rettore) e l'annessa elegante canonica. Per lo stesso Campana, Giuliano disegnò un maestoso palazzo (oggi Ceramelli) a Colle Valdelsa, iniziato nel 1532 e rimasto interrotto al primo piano, ripreso solo più tardi. A S. Miniato al Tedesco è di Giuliano il palazzo per Ugolino Grifoni, oggi Catanti. Inoltre era di Giuliano un non bene identificabile palazzo Conti a Firenze, di cui il Vasari critica però, perché troppo trite, le due finestre "inginocchiate". Come intagliatore, Giuliano eseguì un "lettuccio di noce" a Filippo Strozzi, poi finito a Città di Castello in casa Vitelli; diverse delle ricche cornici delle opere del Vasari (la tavola di Camaldoli, oggi trasferita a Badia Prataglia; quella per la chiesa di S. Agostino a Monte San Savino, perduta; la Deposizione [1548] oggi nell'Accademia di Ravenna; il Cenacolo della Badia d'Arezzo, oggi nel Museo); e inoltre il coro del duomo di Arezzo, su disegno del Vasari (1555),e un ciborio già nella chiesa della SS. Annunziata sempre ad Arezzo (1555).
Giuliano, oltre che continuare il pavimento di S. Maria del Fiore, dette insieme al Bandinelli il modello per il grande coro del duomo di Firenze (1547-49), che fu poi ridotto al solo basamento nel 1841. Collaborò inoltre col Bandinelli (1550-55) alla scenografica Udienza nella testata nord del Salone dei Cinquecento.
Morì a Firenze nel 1555.
Domenico, altro figlio di Baccio d'Agnolo, nacque a Firenze nel 1511, mentre è ignota la data di morte, che comunque risulterebbe dal Vasari piuttosto precoce. Fu intagliatore e architetto, e dotato, sembra, di gran talento, anche se dalle opere appare in sostanza continuatore dello stile del padre. Tra le sue opere resta a Firenze il palazzo Montauto, poi Niccolini, poi Bouturlin, in via dei Servi, successivamente modificato (specie nel 1655)e che di recente è stato accuratamente restaurato. Il palazzo (1550 circa) presenta una fronte piuttosto alta, inquadrata da liste a bozze, pianterreno con sedili esterni e alte finestre rettangolari, portone incorniciato a bozze che formano centina acuta. Sei finestroni, simili al portale, scandiscono fittamente il primo piano e sono posati sulla cornice marcapiano; il resto della superficie è affrescato. Al secondo piano, consimile, le bozze dei finestroni si fanno però schiacciate; il terzo è costituito da una loggia, mentre il palazzo culmina in una gronda assai sporgente. Un loggiato si apre anche nella corte-giardino interna. Nel palazzo Montauto anche parte dell'arredamento in legno era stato in origine disegnato da Domenico.
A Domenico si attribuisce anche un altro palazzo in via dei Servi (Venturi); mentre nel palazzo Torrigiani in piazza dei Mozzi, disegnato dal padre Baccio d'Agnolo, egli aggiunse il terrazzo sopra la porta. All'altro palazzo Torrigiani sulla stessa piazza, già Del Nero, dove ebbe sede l'Accademia degli Alterati, Domenico aggiunse le cantonate di macigno. Degli altri figli di Baccio d'Agnolo, Francesco e Filippo, quest'ultimo, vissuto fino al 1569, fu autore del palazzo Nasi in borgo S. Niccolò e di quello Martellini in via S. Egidio.
Fonti e Bibl.: Per Bartolorneo: G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 349 ss., 361 ss. (nella ed. dei 1550 apparve solo la vita di Baccio d'Agnolo, in quella del 1568 il Vasari aggiunse notizie dei figli); F. Fantozzi, Nuova... guida di Firenze, Firenze 1844, passim; G.Carocci, I dintorni di Firenze, II, Firenze 1907, pp. 209 s., 366 s.; A. Chiappelli, Il ritrovamento di un modello inedito di Baccio d'Agnolo, in Bollett. d'arte, n. s., I (1921-22), pp. 563-566; L. M. Tosi, Il ballatoio della cupola di S. Maria del Fiore, ibid., n. s., VII (1927-28), pp. 610-615; Id., Un modello di Baccio d'Agnolo attribuito a Michelangiolo, in Dedalo,VIII (1927-28), pp. 320-328; Id., La chiesa di S. Giuseppe, ibid., IX (1928-29), pp. 283-299; A. Venturi, Storia dell'arte ital., VII, 1, Milano 1929, pp. 475-483; XI, 2, ibid. 1939, pp. 552-556; C. Botto, L'edificazione della chiesa di S. Spirito in Firenze, in Riv.d'arte, XIV(1932), pp. 37-40; U. Middeldorf, A. Allori e il Bandinelli, ibid.,p. 484; R. Chiarelli, Contributi a Santi di Tito architetto, ibid., XXI (1939), p. 138; G. Marchini, Il Cronaca, ibid.,XXIII (1941), pp. 121, 127, 133 s.; W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I-V, Frankfurt am Main 1940-1953, v. Indici, al vol. VI, Frankfurt am Main 1959, pp. 13 s. (sub voce Baccio d'Agnolo); G. C. Lensi Orlandi Cardini, Le Ville di Firenze, II, Firenze 1955, pp. 251-253; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, pp. 356-358 (con ulteriore bibl.); Encicl. Ital.,V, pp. 784 s. (sub voce Baccio d'Agnolo).
Per Giuliano: G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, pp. 354-359; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, XI, 2, Milano 1939, pp. 552-554; W. e E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I, Frankfurt am Main 1940, p. 127; III, ibid. 1952, pp. 370, 373, 374, 409, 467 n. 123, 510 n. 281; V, ibid. 1953, p. 131; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, pp. 358 s.
Per Domenico: G. Vasari, Le vite..., a cura di G. Milanesi, V, Firenze 1880, p. 359; A. Venturi, Storia dell'arte ital., XI, 2, Milano 1939, p. 556; R. Chiarelli, Contributi a Santi di Tito architetto, in Riv. d'arte, XXI(1939), p. 138; Il restauro del pal. Montauti Niccolini, Firenze 1959, pp. 17 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, II, p. 358.