BACIO (fr. baiser; sp. beso; ted. Kuss; ingl. kiss)
Il bacio, che è uno dei segni più notevoli con cui si manifestano l'amore, l'affetto e la devozione, prende differenti forme tra i popoli della terra a seconda del sentimento che vuol significare, e dell'impulso che lo determina. Fino a poco tempo fa era comune opinione che buona parte dell'umanità, specialmente quella tra cui è in uso la mutilazione delle labbra, non conoscesse il bacio; ma le recenti indagini etnografiche hanno dimostrato che questo, presso molti gruppi sociali esiste, benché in forme del tutto diverse da quelle praticate dai popoli civili. Infatti in una grande area etnografica, che comprende press'a poco i popoli dell'Asia sud-orientale, della Malesia, buona parte degli Australiani e dei Papuani, gl'insulari del Pacifico, alcuni gruppi americani (Eschimesi, Fuegini) ed euro-asiatici, il bacio fra due persone care consiste nel mutuo contatto dell'appendice nasale. Quasi da per tutto nella Polinesia, dice il Letourneau, e, con lui, il Nyrop, il bacio amichevole è sostituito da una cerimonia più o meno complicata, di cui l'atto principale consiste nello strofinare il proprio naso contro quello della persona alla quale si vuol fare accoglienza. Dal fatto che questo costume fu largamente osservato nella Malesia, esso meritò il nome di bacio malese, o anche di bacio nasale, ma, se la prima denominazione è impropria, perché il bacio olfattivo, com'è anche detto, si trova in un'area che va oltre i confini della Malesia, la seconda non sempre corrisponde al fatto, concorrendo, talvolta, il naso e la bocca nell'espressione di tale caratteristica maniera di baciare. Cinesi, Iacuti, Lapponi strofinano, insieme col naso, anche le labbra sulla faccia della persona amica, quasi aspirandone l'odore. Questa costumanza si mostra in maniera più accentuata fra le tribù delle colline di Citongo, nell'India anteriore, dove il verbo "baciare" è sostituito dall'altro "odorare". Anzi pare che, proprio nell'istante di appressare le labbra alla faccia dell'amico, colui che bacia, dica: "Io odoro!".
Per contrapposto al bacio nasale o olfattivo, diciamo labiale quello rappresentato dall'avvicinare e schiudere le labbra sulla bocca dell'amico. Ma questa forma, che è antichissima e tanto comune nei paesi occidentali, pare predomini in un'area che è meno vasta della prima e che comprende i popoli semiti e indoeuropei. I Romani chiamavano osculum il bacio impresso sulla faccia, e questo aveva luogo tra fratelli; basium quello dato sulla bocca in segno di affetto; e savium o suavium l'altro accoccato fra le labbra, con carattere erotico (in Isidoro, Diff., I, 398; cfr. però G. Rohlfs, in Zeitschr. für franz. Sprache und Literatur, XLVIII, p. 128 segg.).
Basia coniugibus, sed et oscula dantur amicis,
Suavia lascivis miscantur grata labellis.
Né siffatte consuetudini sono scomparse, a giudicar dai termini e dalle parole che, qua e là, servono a determinare le differenti forme di bacio, sulla bocca, a mezza bocca, a fior di labbra, alla sfuggita, con lo scocco, sulle gote. Bacio alla francese dicono i Lombardi (e il ricordo è nel Morgante del Pulci [c. VI, 8]:
Rinaldo quando vide la donzella,
Tentato fu di farla alla franciosa)
quello stampato sulle gote, sebbene alcuni pretendano dare quel nome al bacio che si dà sulle labbra prendendo la guancia tra l'indice e il medio. Il caratteristico bacio a brocca, con cui i Romani antichi solevano vezzeggiare i bambini, prendendoli per le orecchie nel baciarli, persiste tuttavia nel popolo italiano, col nome di bacio "a pizzillo" (in Calabria) o "a pezzechillo" (nel Napoletano), ed è anche menzionato dal Cortese nel poema La Vajasseide (c. IV):
Le sataie 'ncuollo com' a grillo
E dèzele 'no vaso a pezzechillo;
sebbene, invece di prendere le orecchie, si pizzichino i pomelli. Quando il bacio, naturale espressione d'affetto, si generalizza, diventa un simbolo, che è caratterizzato dal sentimento che l'ispira, o dal rito in cui interviene: cioè: simbolo di rispetto, di fedeltà. d'amicizia, di protezione, d' omaggio, d' adorazione e via di seguito, onde le varie classificazioni che corrono, nei trattati relativi alla materia. A siffatte simboliche categorie appartengono il bacio sulla barba, sugli occhi, sulla fronte, sulla spalla, sul capo, sulle ginocchia, sulla mano, sul piede. In varî riti tradizionali il bacio interviene come sacrosanto suggello; così nelle cerimonie d'iniziazione, in quelle dell'affratellamento, negli usi nuziali, e precisamente negli sponsali, nelle consuetudini di pace, a estinzione della vendetta. In tutti questi e altri casi esso simboleggia l'unione spirituale nelle sue differenti forme: l'amore, la benevolenza, la concordia, il reciproco affetto.
A spiegare le origini del bacio varie sono le teorie, di cui alcune, fra le principali, hanno carattere fisiologico, e altre carattere filosofico e religioso. Fra queste ultime, alcune ne fanno un atto del culto che si rende alla divinità, e precisamente l'atto dell'adorazione (v.). Altre ne fanno un atto di propiziazione spontanea del vinto verso il vincitore, dello schiavo verso il padrone, del vassallo verso il sovrano; onde poi, lentamente, il bacio si trasformerebbe in atto di propiziazione religiosa. Queste e simili opinioni, movendo dall'osservazione di singoli fatti, non possono avere valore di generali e attendibili spiegazioni, perché astraggono dalla varietà delle consuetudini assunte dallo spirito umano in differenti circostanze di tempo, di luogo, di vita. Non meno unilaterali sono le altre teorie, sia che rappresentino il bacio come una speciale azione riflessa per cui l'uomo si distingue dagli altri animali, come il linguaggio e il sorriso; sia che tendano a farlo rientrare in determinate funzioni (gusto, odorato, succhiamento, ecc.). per il D'Envoy il bacio dei Cinesi meridionali, quando, in segno d'amore, applicano il naso sulle gote, con gli occhi socchiusi, e con un leggero soffio di labbra, non sarebbe che un gesto olfattivo; mentre il bacio europeo, per cui le labbra si appressano alle labbra, deriverebbe dal morso lascivo. Questi due concetti sono portati all'esagerazione dall'Andree e dal Krauss. Il primo crede che il bacio nasale sia una pura e semplice operazione olfattiva destinata a riconoscere dall'odore la persona amica o parente. Il secondo contrappone al bacio-saluto il bacio-morso, che rintraccia presso molti popoli civili e incivili, per dimostrare che se, con il volgere del tempo, le umane consuetudini lo rivestirono di grazia e poesia, pure le sue forme primitive permangono accanto a quelle evolute: onde il loro ricordo frequente nei canti popolari. Ma, pur riscontrando il bacio-morso negli usi delle nazioni culte, se ne generalizza troppo il concetto, quando si vuol fare di quel bacio la forma primitiva e universale. E giustamente Cesare Lombroso osservava che fra molte tribù africane, ignare del bacio come espressione erotica, non è sconosciuto il bacio materno.
Il fatto più importante è che innegabilmente presso tutte le genti, culte o inculte, del globo, esiste l'unità fondamentale del bacio, come manifestazione spirituale, specialmente ove si consideri che anche nel cosiddetto bacio olfattivo non è da escludere la funzione delle labbra, della bocca, dell'alito; in una parola, dello spirito interiore, che vuol comunicarsi all'essere amato, perché fra le due esistenze si formi quella comunione di sentimenti che è la vita dell'amore, dell'amicizia, della concordia, della devozione. Ecco la ragione per la quale, fra i primitivi di Nias e fra altri popoli, come anche in Roma antica, chi è chiamato a succedere nell'eredità di un altro appressa le proprie labbra a quelle del morente, per coglierne l'alito, cioè l'anima.
Dal bacio, dato diversamente, in segno di venerazione, di rispetto o di adorazione, nacque forse, ma va distinto, il bacio cristiano, espressione del sentimento reciproco di fratellanza, nella comune dipendenza dal Padre celeste. La formula "salutatevi l'un l'altro con il bacio santo" (ἀσπάσασϑε ἀλλήλους ἐν ϕιλήματι ἁγίω) ricorre quattro volte nelle lettere di S. Paolo (Romani, XVI, 16; I Corinzî, XVI, 20; II Cor., XIII, 12; con variante "salutate i fratelli", I Tessalonicesi, V, 26) e una volta ("bacio d'affetto", ἐν ϕιλήματι ἀγάπης) in I Pietro, V, 14. E le testimonianze relative a quest'uso sono numerose nel corso dei primi quattro secoli, benché non unanimi: segno probabilmente, che non era ugualmente diffuso ovunque. Giustino (Apol. I, 65) ci fa sapere che seguiva le preghiere (σάμενοι τῶν εὑχῶν); Tertulliano, in un noto passo, mostra di temere che il suo vero significato possa essere frainteso dai pagani (Ad uxor., II, 4). E, forse, le accuse popolari d'immoralità contro i cristiani nacquero anche da interpretazioni malevole di quest'uso. Ad ogni modo, le autorità se ne preoccuparono: Atenagora (Legat., 32) cita come passo biblico un ignoto, apocrifo, che prescrive la massima prudenza; Clemente Alessandrino ha espressioni analoghe (Paedag., III, 11) e le Costituzioni apostoliche (II, 57; VIII, 11) vietano il bacio tra persone di sesso diverso. Ed ora il bacio, tra i semplici laici, è completamente scomparso nella Chiesa occidentale. Ma questo signaculum orationis (Tertulliano, De orat., 14; cfr. 10 e anche De virgin. vel., 11) si dava dal celebrante, e poi dai fedeli, al neo-battezzato (S. Cipriano, ep. 59, 4), al vescovo appena consacrato, al penitente assolto, ecc.; ed è attestato, nella chiesa antica, da numerosi scrittori, fino a S. Agostino (p. es., C. litter. Petil., II, 23) e al pseudo Dionigi Areopagita. L'uso esisteva ancora al tempo d'Innocenzo III (pacis osculum per universos fideles diffunditur in ecclesiis: De sacro alt. myst., VI, 5): poco dopo vi troviamo sostituito l'osculatorium, specie di patena che si presentava ai fedeli.
Molto più complessa è la questione del "bacio di pace" (pax; εἰρήνη) dato durante la celebrazione eucaristica. S'è vista la connessione che già S. Paolo, Tertulliano e Giustino stabiliscono tra il bacio fraterno e la preghiera o la riunione a scopo di culto. Ma circa il preciso momento in cui veniva dato, le opinioni sono varie, e i testi che vengono citati si prestano di fatto a interpretazioni differenti; né le abitudini delle varie chiese sono state sempre le stesse. Probabilmente, come osserva il Cabrol (art. Baiser, in Dictionnaire d'archéologie chrétienne et de liturgie, II, 1, Parigi 1910, coll. 117-130), si è data troppa importanza a tali questioni. L'opinione di questo autore è che il bacio in origine venisse dato, nella maggioranza delle chiese, all'offertorio; in altre, anche alla comunione. Di quest'ultime, alcune avrebbero soppresso il primo, altre il secondo. Anche quest'usanza, in ogni modo, è pressoché scomparsa, essendo il bacio di pace rimasto solo nelle messe solenni.
Al bacio, manifestazione di riverenza o di rispetto, con significato religioso, si sogliono invece ricondurre quelli dati dal celebrante all'altare nella Messa, il bacio delle reliquie, dei Vangeli, della mano del vescovo somministrante la comunione, ecc. Per il bacio del piede al pontefice romano, v. adorazione.
Troppo lungo certamente, e forse impossibile, sarebbe trattare dei varî significati che assunse l'atto del baciare attraverso i tempi. Ricorderemo quindi soltanto alcuni tra gli usi più notevoli, e anzitutto quello del bacio nella consuetudine feudale. Si distingue il baciamano dal vero e proprio bacio dato nell'atto dell'investitura o nel rinnovo di questa. Il baciamano, infatti, sostituì talvolta in tale occasione il bacio sulla bocca, ma non gli successe del tutto se non tardi. Il signore, quando il vassallo veniva a rendergli omaggio e a giurargli fedeltà, lo baciava, se era nobile di sangue, sulla bocca, a suggello dell'impegno reciproco (cfr. Statut. Viterb., II, 12; Hist. Patr. Mon. Chart., II, 528 ed anche G. Del Giudice, Codice diplomatico del regno di Carlo I e II d'Angiò, I, 74, Napoli 1863). Il Loisel, nella 557ª delle sue Institutes coutumières (Parigi 1846), reca: "...en nom de foy, vous baisé en la bouche, sauf mon droit et l'autrui". La donna vassalla fu presto sottratta all'obbligo del bacio, che non appare più come sostanziale alla fine del sec. XVI. Uso certo non generale fu quello del bacio al chiavistello (cioè il baciare la porta del maniero) che il vassallo era tenuto a dare in assenza del signore: lo troviamo attestato nelle Coustumes de Berry (tit. V, art. 20).
Il baciamano, come segno di sommissione a sovrani e a signori (poi generalizzato) fu in uso sin dall'antichità. Priamo, supplicando Achille di restituirgli il cadavere di Ettore, gli bacia le mani (Il., XXIV, 478). In Roma imperatori, dittatori e consoli (Seneca, Ep. 118; Svet., Domit., 12 ecc.) davano la mano da baciare agl'inferiori (l'accedere ad manum della tarda latinità: Capitolino, C. Jul. Maximini patris, 5; Vopisco, Vita L. Dom. Aureliani, 14); i clienti baciavano spesso la mano del patrono. Con la rigorosa regolamentazione del cerimoniale aulico, a partire da Diocleziano, anche quest'uso fu limitato (Cod. Theod., VI, 24, 4 e XXI, 1, 109). In Italia pare che esso, in tempi più recenti, fosse reintrodotto dalla Spagna da Gian Galeazzo Visconti, cum magno probro gentis dedecoreque (Muratori, Rer. Ital. Script., X, 376). Anche del bacio al piede ad altri che il pontefice abbiamo alcune testimonianze (Seneca, De benef., II, 12; Plinio il giov., Panegyr., 24; nella Storia di Rinaldino da Montalbano, Bologna 1865, VI, il protagonista bacia il piede di Carlo Magno). Il baciamano si ritrova nel cerimoniale di varie corti (Turchia, Spagna, Inghilterra, Russia), si generalizza nel sec. XVI e nel XVII, assume forma convenzionale di ossequio epistolare in Spagna (beso a Vd. las manos) e perdura tuttora, sebbene limitatamente, presso varî popoli e anche da noi, come saluto alla dama cui si voglia rendere speciale omaggio.
Tra le innumerevoli manifestazioni letterarie che in tutti i tempi si sono ispirate al bacio, ricorderemo soltanto due opere poetiche che hanno il bacio come unico argomento. I Basia di J. Everaerts (Johannes Secundus), pubblicati per la prima volta in latino ad Utrecht nel 1541 e tradotti poi in varie lingue, sono 19 brevi composizioni ispirate dall'amore per Giulia, amante adorata dell'Everaerts, notevoli per originalità stilistica e per raffinatezza di gusto, ma non scevre di affettazione. Assai diversi, e certamente inferiori se pur non privi di eleganza, i Baisers di Cl.-J. Dorat, pubblicati nel 1770, in numero di 20, con varî titoli che corrispondono al diverso carattere delle poesie. (V. Tavv. CLXXI-CLXXIV).
Bibl.: E. B. Tylor, art. Salutations, in Encyclopaedia Britannica, 11ª ed.; A. E. Crawley, art. Kissing, in Hastings, Encyclopaedia of Religion and Ethics, VII, Edimburgo 1914, pp. 739-744; C. Nyrop, The Kiss and its history, transl. by W. F. Harvey, Londra 1901; R. Andree, Ethnographische Parallelen und Vergleiche, I, Stoccarda 1878, II, Lipsia 1889; F. S. Krauss, Die Anmut des Fraunleibes, Berlino-Lipsia-Vienna 1923, pp. 336-356; D'Enjoy, in Bulletin de la Société Anthropologique de Paris, II, 1897; Lejeune, Le baiser, in Revue d'Anthropologie, XXVI (1916), p. 478 segg.; H. H. Ellis, in Sexual selection in Man, Philadelphia 1905; C. Lombroso, L'origine du baiser, in Nouvelle Revue, XXI (1893); H. Spencer, Principî di Sociologia, trad. Salandra, I, Torino 1881, p. 611. Carattere particolare hanno: Krauss, Der Kuss bei den Südslaven, in Ausland, 1891, n. 13; R. Corso, Il bacio nel canto pop. italiano, in Reviviscenze, Catania 1927; E. W. Hopkins, The Sniff-Kiss in ancient India, in Journal of the American Oriental Society, XXVIII (1907), pp. 120 segg.