BACILE
Recipiente di forma concava e dimensioni variabili destinato alla raccolta di liquidi, il cui uso prevalente risulta legato - nella liturgia come in ambito profano - all'abluzione delle mani. La specificità di tale pratica non sembra tuttavia aver precluso ulteriori modalità d'impiego del b., come per es. la sua utilizzazione per l'igiene personale, il contenimento di particolari categorie di oggetti (cibi, offerte, olio, cera, ecc.) o, ancora, per talune esigenze cultuali.Soggetto a sensibili differenze morfologiche in rapporto alla maggiore o minore profondità dell'invaso, nonché alla presenza o meno di una base di sostegno e di manici per la presa, esso figura realizzato, almeno fino alla fine del sec. 14°, in forme generalmente tondeggianti, dal diametro compreso fra cm. 25-30 e cm. 40-45 per gli esemplari più grandi. Fra i materiali costitutivi risultano adottati in prevalenza rame, bronzo e ottone fusi o battuti a martello ovvero, nel caso di manufatti di lusso, metalli preziosi non di rado ornati con pietre o smalti.Semplici motivi geometrici, venuti gradualmente organizzandosi in raffigurazioni a carattere simbolico-moraleggiante o araldico-cortese, costituiscono in genere il repertorio decorativo di tale suppellettile, segnato da una comune tendenza alla fissità e alla ripetitività dei moduli ornamentali propria di sistemi produttivi di serie, legati a botteghe stabili spesso lungamente attive.Come arredo mobile rivolto a una utenza socialmente elevata, di norma identificabile con singoli committenti, la destinazione d'ambito del b. trova conferma non solo dalla sua frequente menzione nelle fonti inventariali o testamentarie, ma anche dalla localizzazione dei manufatti conservatisi, provenienti per lo più da tesori ecclesiastici, da corredi tombali nobiliari o talvolta rinvenuti nei pressi di insediamenti fortificati a carattere signorile.Stanti tuttavia la disomogeneità geografica del materiale rimasto e la relativa lacunosità della sua distribuzione cronologica - colmata ora da gruppi di oggetti coevi e riferibili a singoli centri ora da rinvenimenti fortuiti e difficili da contestualizzare - nonché, soprattutto, l'assenza di un'adeguata terminologia distintiva a livello funzionale, la possibilità di operare ripartizioni d'uso fra i b. medievali, incerta sia dal punto di vista tecnico-esecutivo sia soprattutto da quello tipologico (Bethune, 1886), risulta attualmente realizzabile solo su base documentaria.A esplicitare l'impiego più comune del b., oltreché quello più largamente attestato, interviene, in primo luogo, nelle fonti latine occidentali, il termine aquamanile con cui esso figura anticamente designato sia, in generale, come arredo sacro sia con particolare riferimento al servizio liturgico, all'interno del quale lo si ritrova infatti per lo più destinato a raccogliere l'acqua versata, tramite una coppetta o una brocca, sulle mani del celebrante al momento della purificazione rituale dopo le oblate.Ufficio consueto del diacono - almeno in origine e in rapporto al vescovo -, verosimile prerogativa dell'accolito qui aquamanus portat (Andrieu, 1931-1961, II, p. 76) nel rituale romano della messa papale, la funzione di amministrare l'acqua appare connessa, già nel Liber ordinum (contenente l'antico rituale spagnolo) come poi nel De officiis VII graduum, al suddiacono e simbolicamente espressa dalla pratica di rimettere a quest'ultimo, all'atto della sua ordinazione, "urceolum cum aquamanile et manutergium" (Andrieu, 1931-1961, III, pp. 615-619).Introdotto tra la fine del sec. 5° e l'inizio del successivo negli Statuta Ecclesiae Antiqua quale specifica innovazione del compilatore di questa raccolta - destinata peraltro a passare negli ordini del Medioevo (Botte, 1939) -, tale uso si trova ripreso ancora nel Pontificale Romano del sec. 12° (Andrieu, 1938-1941, I, p. 128), in quello più tardo della Curia romana (Andrieu, 1938-1941, II, p. 334) - ove la specifica "urceolum cum aquamanile id est cum bacilibus" sembra già denotare, nel passaggio lessicale, l'avvenuta adozione del nuovo termine - e infine nel Pontificale di Guglielmo Durando del 1294 ca. (Andrieu, 1938-1941, III, p. 356).Sempre nei vari pontificali il richiamo a due o più b. per l'abluzione ricorre, fra le suppellettili necessarie, insieme a una tovaglia per asciugare le mani, durante il cerimoniale per l'elezione del vescovo, nel servizio del venerdì santo o ancora nelle celebrazioni solenni della messa, sia nel corso del rito sia al suo termine, quando, svestitosi dei paramenti sacri il sacerdote, "capellanus accipit pelves, fundens flexis genibus aquam super manus eius" (Andrieu, 1938-1941, III, p. 642).Oltre che per il lavabo, in rapporto alla cui lenta accentuazione del valore simbolico le dimensioni del b. andarono progressivamente riducendosi (Volbach, 1949), non più giustificate dall'iniziale scopo pratico di mondare le mani del celebrante dopo le offerte dei fedeli del pane e del vino, è attestato l'uso di recipienti analoghi anche per altre necessità liturgiche.Annoverati fra le varie categorie di b. connesse già dal secolo scorso in ipotetici insiemi d'uso (Viollet-le-Duc, 1854; Leclercq, 1910), figurano infatti catini d'offerta aventi lo scopo di contenere le oblate durante il sacrificio eucaristico, recipienti atti a raccogliere residui di cera o scorie derivanti dalla combustione dell'olio delle lampade cultuali o anche b. sospesi tramite catenelle e impiegati essi stessi a guisa di lumi, come sembrerebbero per es. indicare un passo dell'inventario della cattedrale di Amiens del 1347: "It. 6 bachinos argenteos pendentes in Ecclesia, scilicet unum ante crocefixum, alium in medio chori, 3 simul vinctos ante altare, et sextum ante corpora sanctorum" (Gay, 1887, p. 95), o una voce dell'elenco degli oggetti di valore presenti alla corte papale avignonese nel 1360: "item 1 bassile cum sua catena argenti albi pro tenenda candela accensa de die et nocte ante armarium [...] in quo tenetur Corpus Christi" (Hoberg, 1944, p. 391).Con il nome di pelvis - circoscritto almeno nell'uso classico ai soli recipienti di metallo - è nota l'utilizzazione di b. nel rituale di benedizione di una chiesa allorché, dopo aver fatto le unzioni sull'altare il celebrante "tergit eas et proicit in pelvim que debet in loco mundo recundi vel comburi" (Andrieu, 1938-1941, II, p. 437) o come alternativa all'impiego di un vaso sacro al momento di impartire il sacramento della cresima, quando, dopo l'unzione rituale, il vescovo "lavat cum aqua pollicem super aliquem calicem stagneum vel super aliquam pelvim" (ivi, III, p. 334).Ancora sotto la stessa denominazione - sia pure con alcune varianti - l'impiego di contenitori assimilabili verosimilmente a veri e propri b. è testimoniato, fra le suppellettili relative alla liturgia battesimale, già dal sec. 4° nel Lib. Pont., sia nella biografia di papa Silvestro (314-335) - ricordato come donatore alla basilica dei Ss. Pietro, Paolo e Giovanni fatta erigere da Costantino presso Ostia di una "pelvem ex argentum ad baptismum" (Lib. Pont., I, p. 184) del peso di venti libbre - sia, in un'accezione più ampia e generica come quella di "ministeria ad baptismum sive ad paenitentem argentea" (ivi, p. 244), da riferire forse nel caso specifico alla cerimonia di riconciliazione degli eretici (Duchesne, 19033), nella vita di papa Ilario (461-468).In quanto suppellettile più genericamente funzionale all'esercizio del culto, non di rado oggetto di offerta da parte di sovrani o pontefici, frequenti menzioni del b. emergono inoltre, sempre nella stessa fonte, fra i numerosi donativi papali: non registrata nelle liste più antiche, la presenza di tale arredo risulta tuttavia stabilizzarsi, specie al momento di dotare un edificio sacro di recente fondazione, già nel corso del sec. 5° fino poi a prendere, all'interno delle varie enumerazioni, quasi sempre lo stesso posto fra i vasi sacri e gli apparati per l'illuminazione in una sorta di gerarchia espositiva codificata, passibile di maggiori varianti solo nel caso di elargizioni occasionali.Successivamente, già a partire dai secc. 8° e 9°, a dare memoria delle caratteristiche e delle modalità d'impiego dei b. intervengono invece con maggiore frequenza i numerosi inventari pervenuti di chiese e tesori, nei quali l'iterata precisazione del numero, dei materiali e dei pesi dei singoli recipienti sembrerebbe riflettere, in molti casi, l'attestazione di ricchezza che il possesso di simili suppellettili doveva evidentemente costituire.Dal servizio per lavabo composto da un "urceum cum aquamanile auro gemmisque paratum", registrato nel sec. 9° fra gli oggetti del tesoro di Saint-Denis (Schlosser, 18962, nr. 664b, p. 214), si passa per es. alle "duae parvae pelves de auro [...] ponderantes 3 lb., 6 uncias" ricordate come dono di Walterius Gyffard arcivescovo di York (1266-1279) nell'elenco delle pertinenze mobili della cattedrale redatto nel sec. 16° (Lehmann-Brockhaus, 1955-1960, II, nr. 5017, p. 724) o, ancora, al "baccinum deauratum et urceolus in modum griphonis" dell'inventario del 1181 del duomo di Strasburgo (Bischoff, 1967, nr. 87, p. 93).Menzionato in genere accanto alla brocca in un unico insieme, dal punto di vista descrittivo il b. risulta tuttavia spesso subordinato a quest'ultima, quasi a dimostrare una produzione diversa e dunque la non rara eventualità di assemblaggi casuali. Le fonti tengono infatti a sottolineare quasi sempre la sua pertinenza al recipiente da cui far defluire l'acqua, talvolta la sua assenza, ovvero anche - come per es. nel caso dell'inventario del 1165 dell'abbazia benedettina di Prüfening - la sua condizione di idoneità dimensionale o materiale al primo dei due elementi: "vasa aquam manibus fundentia sunt duo, quorum unum bacinum habens sibi idoneum" (Bischoff, 1967, nr. 73, p. 79).Presente come esemplare singolo negli arredi più modesti, i documenti ne registrano più comunemente la presenza in serie appaiate o comunque in numero elevato, fino a raggiungere casi come per es. quello delle decem pelves dell'arredo dell'abbazia di Zwiefalten, documentato fra il 1137 e 1141 (Bischoff, 1967, nr. 116, p. 118).All'uso dell'argento, quasi normativo per le fondazioni più ricche e solo eccezionalmente sostituito dall'oro, si affianca quello del rame - non di rado dorato o comunque ricoperto di smalti specie in seguito al diffondersi della produzione limosina - e delle leghe derivate, come testimonia anche un passo del De diversis artibus di Teofilo: "Haec commixtio (cupri cum calamina) vocatur aes, unde caldaria lebetes et pelves funduntur".Legata a usi regionali definiti (Braun, 1932) appare quindi dagli elenchi inventariali l'adozione diversificata - quando non addirittura la compresenza - di termini atti a indicare il b.: attestato fino al sec. 11° sotto la denominazione di aquamanile, preponderante sebbene non unica, esso risulta nel corso dei secc. 11°-12° più comunemente definito come pelvis in Inghilterra, in Germania e, forse sulla scia di una ripresa anticheggiante, a Roma, nell'Ordo Romanus di Jacopo Stefaneschi (XIV, cap. XLVII), laddove viceversa, a partire dal sec. 13°, con particolare frequenza nelle fonti francesi e in area italiana, il termine più diffuso appare quello di b. o di bacinum. Sebbene raramente, appaiono inoltre attestate le espressioni patena - verosimile effetto di una confusione con patera nel caso per es. di una voce dell'inventario della cattedrale di Clermont-Ferrand del sec. 10° - e concha o cathinus, sostitutive del termine b. o, talvolta, rilevabili accanto a esso nelle liste documentarie, a conferma di possibili diversi impieghi di tale genere di suppellettili.Per quanto riguarda gli usi profani, segnati durante tutto il Medioevo da evidenti persistenze della tradizione antica e da continue trasposizioni d'ambito fra rituale liturgico e cortese, a dare conto dell'impiego del b. intervengono soprattutto liste a carattere privato stilate per memorie familiari, corredi nuziali o tesori principeschi.Insieme ai b. destinati all'abluzione delle mani prima e dopo i pasti - di cui forniscono peraltro testimonianza per i secc. 9°-10° alcune immagini della Bibbia di Carlo il Calvo (Parigi, BN, lat. 1) - in simili elenchi compaiono anche catini per presentare offerte di vario genere, per attingere l'acqua o da adibire a scopi domestici come nel caso di quelli pro coquina o pro lavando [...] vaxellam (Hoberg, 1944, pp. 74, 467, citati rispettivamente negli elenchi del tesoro papale sotto Clemente VI (1342-1352) e Gregorio XI (1370/1371-1378).A questi si aggiungono - per il servizio da tavola - "bassilia sive plati pro speciebus [...] drageria sive bassilia lata deaurata" (Hoberg, 1944, pp. 371, 376), o anche b. di grandi dimensioni "à mettre l'aumosne de la salle" (Moranvillé, 1906, nr. 624) da distribuire ai poveri dopo il pasto, come per es. quello ricordato in un passo dell'inventario di Luigi I d'Angiò (1339-1384).Distinti tipologicamente in base alla particolarità dell'uso e spesso ricorrenti fra le suppellettili private, specie nelle fonti del sec. 14°, risultano infine i b. utilizzati per la toletta personale: da quelli à barbier (Labarte, 1879, nr. 1679) compresi per es. fra i beni di Carlo V (1338-1380) a quelli destinati alla raccolta dell'acqua per lavare la testa, i quali, poco decorati per facilitarne la pulizia, potevano, negli arredi più ricchi, venire eseguiti in oro o argento, come sembrerebbe indicare ancora una nota dell'inventario angioino in cui si ricorda "un bacin creus à laver testes d'argent tout blanc pes. X m. II o." (Moranvillé, 1906, nr. 600).Nota già alle officine bronzistiche romane, la produzione di catini destinati a usi domestici diversi, più comunemente realizzati in vetro o terracotta e tuttavia pur sempre prerogativa di élites sociali ristrette, sembra conoscere sin dall'Antichità vasta diffusione. L'adozione di tali recipienti - confermata dalla presenza di almeno un esemplare nella maggior parte dei servizi da tavola a carattere suntuario di età imperiale (Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Antiken Mus., fine sec. 1°, da Hildesheim; Londra, British Mus., sec. 3°, da Chaurse; ivi, sec. 3°, da Thil, Caubiac) - conosce, a partire dal sec. 4°, specie per quanto riguarda le suppellettili d'argento, nuovo impulso, attestandosi ora su forme rotonde provviste di manici e caratterizzate da sottili scanalature o da grosse coste baccellate allusive alla conchiglia e a temi acquatici, ora su tipologie più complesse, nelle quali le pareti del b. presentano eleganti alternanze di sezioni piatte e baccellature sporgenti (Londra, British Mus., metà del sec. 4°, da Mildenhall; Edimburgo, Nat. Mus. of Antiquities of Scotland, inizio del sec. 5°, da Trapain Law).Alla funzione pratica di simili catini, impiegati durante i pasti per il contenimento e la circolazione delle vivande, per il lavaggio delle mani e forse anche per il pelluvium, nonché accanto ai più diffusi servizi per lavacro composti da brocche e patere ansate per la toletta femminile o per la cura del corpo dei bambini, se ne dovette aggiungere certamente anche una rappresentativa connessa al ceto del loro possessore e ribadita dal rinvenimento di tale vasellame, già a partire dal sec. 1°, nei corredi funebri romano-provinciali più ricchi (Martin Kilcher, 1987).Continuo durante il periodo tardoantico, specie a N delle Alpi e nella Gallia settentrionale, l'uso di dotare le sepolture maschili e femminili di suppellettili comprendenti anche b., per lo più in bronzo, risulta perdurare per tutto l'Alto Medioevo. Accanto a recipienti a pareti lisce e bordo perlinato in voga dal sec. 4°, ma ancora attestati in tombe merovinge della regione della Mosa e del Medio Reno fra la fine del sec. 5° e il successivo, grazie al persistere di una produzione locale a carattere itinerante in grado di favorire la loro propagazione dall'Inghilterra alla Turingia fino all'Ungheria (Werner, 1961), è nota infatti la presenza in area europea, fra i secc. 6° e 7°, di un ampio gruppo di b. di origine copta rinvenuti nelle necropoli longobarde dell'Italia settentrionale e centrale (specialmente a Cividale e a Castel Trosino), nella Germania meridionale e in Renania, fino al Sud dell'Inghilterra e alla Spagna.Prodotti in serie verosimilmente da officine alessandrine, la loro destinazione per uso profano (Christlein, 1973) pone maggiori dubbi nel caso di alcuni recipienti a forma di padella, acclusi isolatamente alla dotazione funebre e forse in origine impiegati per mescere liquidi o attingere acqua (Cividale, Mus. Archeologico Naz., da fuori porta S. Giovanni) o viceversa abbinati talvolta con brocche a formare servizi da lavabo (Roma, Mus. dell'Alto Medioevo, da Nocera Umbra, tomba 17), anche di probabile destinazione liturgicobattesimale (Madrid, Ist. de Valencia de Don Juan).Distinto dal punto di vista strutturale in gruppi basati essenzialmente sulla morfologia del piede o dei manici - data peraltro l'assenza di un vero e proprio repertorio ornamentale in grado di spiegarne mediatamente le matrici esecutive -, l'insieme dei b. copti presenta caratteristiche ripetitive. La base cilindrica e spesso traforata da una fila di fori a forma di triangoli contrapposti (Roma, Mus. dell'Alto Medioevo, da Nocera Umbra, tomba 27; Cividale, Mus. Archeologico Naz., da S. Stefano in Pertica, tomba 12) può tuttavia essere costituita anche da un anello troncoconico (Londra, British Mus., da Taplow) o da tre o quattro piedini forgiati a zampa d'animale (Verona, Mus. di Castelvecchio, Civ. Mus. d'Arte, da via Monte Suello), mentre la coppa, più o meno svasata e tendente ad allargarsi verso l'alto, mostra spesso una modesta decorazione di linee incise parallele o intrecciate (Roma, Mus. dell'Alto Medioevo, da Castel Trosino, tomba 36). Due anse mobili per la presa, più spesso trapezoidali negli esemplari egiziani (Berlino, già Königliches Mus., da Gize), a omega nel caso di quelli europei e di provenienza longobarda (Cividale, Mus. Archeologico Naz., dalla necropoli Gallo; Parma, Mus. Naz. dell'Antichità, da Borgo della Posta), talvolta inchiodate sull'orlo, si contrappongono, nei recipienti a forma di padella, a manici piatti nastriformi con ispessimento per l'impugnatura e gancio di sospensione (Reggio Emilia, Mus. Civ. e Gall. d'Arte, da via Mazzini).L'assenza di testimonianze scritte o figurate (Carretta, 1982) sulla fabbricazione di tale vasellame, realizzato a fusione o in lamina battuta, ha determinato ormai da anni una sensibile disomogeneità critica in merito alla localizzazione delle sue manifatture. Dopo un'iniziale distinzione, almeno per i b. italiani, fra esemplari copti e produzione italica d'imitazione nella Ravenna esarcale (Werner, 1938; de Palol Salellas, 1950) - peraltro non documentata (Holmqvist, 1939) - il problema generale della provenienza di simili recipienti è venuto successivamente precisandosi, da un lato con l'attribuzione all'Egitto di tutto il materiale fuso (Werner, 1954-1957), divisibile approssimativamente in due gruppi segnati da un leggero scarto cronologico entro la prima metà del sec. 6° (Werner, 1961), dall'altro con il raggruppamento delle suppellettili in lamina tirata a martello presenti in area europea entro i termini di una produzione locale del tutto diversa dalla precedente (Werner, 1954-1957; Carretta, 1982).La presenza anche in Nubia, fra i ritrovamenti della necropoli di Ballana, di alcuni esemplari in lamina di bronzo, nonché la loro plausibile contemporaneità con quelli fusi, ha tuttavia recentemente permesso di rivedere le precedenti posizioni critiche (Russo, 1989), restituendo all'Egitto priorità esecutiva e cronologica su tutto il vasellame, senza per questo escludere il ricorso, nelle singole zone di espansione, a manufatti imitativi dovuti a probabili artefici non locali e forse motivati, per l'area italiana (Carretta, 1982), dalla necessità di ovviare al monopolio bizantino delle vie di commercio.Alla progressiva estinzione dei b. copti, tendenti a scomparire già intorno alla metà del sec. 7° dalle sepolture longobarde con un leggero anticipo rispetto ai reperti d'Oltralpe, attestati ancora fino alla fine dello stesso secolo, corrisponde viceversa, durante i secc. 5°-7°, una diffusa presenza nelle sepolture anglosassoni e scandinave di recipienti in bronzo sottile, decorati con placche (escutcheons) per lo più a smalto, meglio noti come b. 'a sospensione' (hanging bowls).Ancora oggi problematica, la questione dell'origine di tali b., dopo una prima fase volta a qualificarli come prodotti di arte celtica lavorati in officine operanti in aree non ancora occupate dai Sassoni, è stata da anni ripresa (Henry, 1936) nei termini di un'attribuzione a manifatture irlandesi di tutti gli esempi a smalto. Funzionale a quest'ipotesi è risultata l'idea che essi fossero lampade o riflettori per lampade utilizzati come arredi ecclesiastici, o anche vasi liturgici assimilabili ad acquasantiere o forse ad acquamanili - uso quest'ultimo avvalorato dalla presenza di un'iscrizione runica allusiva all'abluzione delle mani leggibile su un esemplare ritrovato a Nordre Kaupang presso Tjolling - noti in Britannia dal sec. 5°, da qui introdotti in Irlanda e localmente imitati, quindi reimmessi sul mercato delle suppellettili sacre in uso nella Britannia celtica.Distinti in tre gruppi, cronologicamente susseguenti, in base all'evoluzione della forma del bordo, alla diversità dei patterns decorativi e al sistema di attacco dei ganci di sospensione al corpo stesso dei recipienti o alle borchie applicatevi sopra, tali b. sembrerebbero caratterizzati da un repertorio ornamentale di derivazione celtica e tardoromana attestato su motivi arcuati e spiraliformi (Londra, British Mus., da Winchester; Baginton, Warriks Coventry Mus.), in rarissimi casi forse anche latamente riferibili a temi cristiani (Londra, British Mus., da Faversham; ivi, da Chesterton-on-Fosseway) e non a caso passibile di numerosi confronti con la scultura e la metallistica irlandesi coeve.L'attuale assenza di reperti in quest'area - con la sola eccezione dei frammenti del fiume Bann (Belfast, Ulster Mus.) e di Ballinderry, forse importati dalla Scozia o dal Galles - ha indotto a considerare aperta, grazie anche alla scoperta di un sito attivo nella fabbricazione di b. non smaltati a Craig Phadrig presso Inverness, ossia in una zona produttiva estranea alla conquista sassone, l'eventualità di estendere l'ambito esecutivo di tali suppellettili - testimoniate fino agli inizi del sec. 10° - anche a centri della Britannia nordoccidentale (Bruce-Mitford, 1987).Poco documentabile a livello oggettuale, la diffusione del b., almeno in quanto prodotto di un artigianato organizzato nell'elaborazione di nuove e distinte tipologie, sembra ridursi sensibilmente fra i secc. 10° e 11° per mostrare viceversa una consistente ripresa già a partire dalla metà del 12° secolo.Durante il periodo romanico, emerge, all'interno di un fenomeno produttivo omogeneo, una specifica categoria di b. incisi in bronzo, a lungo noti come Hansaschälen per la loro prevalente concentrazione entro l'area di influenza commerciale della lega anseatica. La loro lavorazione, cronologicamente anteriore al formarsi di quest'ultima nonché attestata entro un raggio di diffusione assai più vasto, comprendente la regione del Basso Reno, il Belgio, la Lotaringia, la Renania, l'Inghilterra meridionale, risulta in realtà poco compatibile con la vecchia ipotesi di un unico centro produttivo situato nel territorio della Mosa, operante tra il 1150 e il 1170 (Santangelo, 1940).Torniti dall'esterno ed eseguiti per la maggior parte mediante martellatura, raramente in bronzo fuso, tali b. mostrano caratteristiche comuni nelle misure - oscillanti tra cm. 29-30 di diametro e cm. 5-5,5 di profondità -, nella conformazione dei bordi orizzontali, larghi cm. 1 ca. e di norma privi di motivi incisi, e soprattutto nella scelta delle decorazioni, disposte in modo radiale intorno al centro fisico e figurativo del recipiente e tutte incise.La varietà del loro repertorio, attestato in genere su temi a carattere simbolico o moraleggiante, ha reso difficile stabilire con sicurezza la funzione originaria di simili recipienti connessa al rituale sacro (Richter, 1957), al contenimento di cibi liturgici (Kisa, 1905), all'abluzione delle mani o a pratiche individuali di purificazione dei peccati in uso nei conventi - specie femminili - durante il sec. 12° (Weitzmann Fiedler, 1981).Corroborata dal rinvenimento di molti b. in prossimità di insediamenti religiosi, quest'ultima ipotesi non consente tuttavia di escludere il loro impiego profano, come sembrerebbe confermare - almeno per quanto riguarda l'area inglese - la prevalente distribuzione entro contesti urbani o anche, come per es. nel caso dell'esemplare rinvenuto a Fotheringhay (Londra, British Mus.), in prossimità di siti fortificati.Desunto nel suo insieme da testi mitologici, vetero e neotestamentari o da trattati di tipo agiografico e didascalico, il complesso iconografico presente sui b. incisi alterna immagini derivate dal patrimonio della cultura classica, come per es. l'educazione di Achille (Parigi, BN, Cab. Méd.), le fatiche di Ercole (Londra, British Mus.), il mito di Piramo e Tisbe (Bonn, Rheinisches Landesmus.; Soissons, Mus. Mun.; Copenaghen, Nationalmus.), a temi di argomento sacro, facenti capo ora a soggetti cristologici, come per es. la parabola del buon samaritano (Duffel, Mus.; Treviri, Rheinisches Landesmus.), ora a leggende sulla vita dei santi, fra cui ricorrenti quelle di s. Tommaso (Todi, S. Maria in Camuccia; Parigi, Louvre) e di s. Orsola (Aquisgrana, Suermondt Ludwig Mus.), ora a episodi biblici concernenti la storia di Sansone (Udine, Mus. Civ.; Colonia, Schnütgen-Mus.) e di Susanna (Cracovia, Muz. Narodowe).Ulteriori varianti tematiche comprendono - insieme a scene di genere con battaglie, figure di cavalieri (Leicester, Leicestershire Mus. Art. Gall.; Aquisgrana, Coll. Bruls), giochi circensi o immagini di animali - tutta una vasta serie di raffigurazioni simboliche utili a dar forma alla progressiva sostituzione e reinterpretazione in chiave cristiana dei motivi classici, come per es. nel caso dei due b. con la Filosofia circondata dalle Arti liberali (Angermund, Coll. von Fürstenberg) o della Sapienza fra i sette doni dello Spirito Santo (Xanten, Dom-Mus., Schatzkammer) ovvero delle personificazioni dell'Anno (Bonn, Rheinisches Landesmus.) o delle Stagioni, derivate dai trattati enciclopedici di Isidoro di Siviglia, Rabano Mauro e Prudenzio.Rilevante dal punto di vista compositivo appare nei b. la tendenza a privilegiare una scelta di soggetti divisibili in parti distinte o comunque in grado di comporre, nei limiti dello spazio disponibile, una contrapposizione concettuale: tipici in questo senso risultano infatti esemplari con rappresentazioni di Vizi e Virtù (Londra, British Mus.; Berlino, Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz, Kunstgewerbemus.; Roma, Antiquarium Com.) nei quali la lotta fra le due categorie astratte viene a costituire il parallelo figurativo del confronto fra temi pagani e cristiani immanente nella letteratura scolastica dell'epoca.Modeste sotto il profilo della qualità artistica e della resa esecutiva, le varie rappresentazioni mostrano frequenti seppur minime varianti iconografiche, spiegabili con una continua ripresa di modelli preesistenti dovuta forse al passaggio dei b. attraverso vari siti conventuali o a una loro esecuzione in serie.Tipologicamente separate dal punto di vista iconografico possono viceversa essere considerate le c.d. Ottoschalen, b. prodotti a Magdeburgo o forse a Hildesheim - comunque nella Germania settentrionale - a partire dalla prima metà del 12° secolo. Segnati dall'adozione di uno stesso motivo decorativo composto da lamine applicate a formare una croce con ornati vegetali entro cui si inquadra l'immagine dell'imperatore Ottone (Riga, Ragsches Historisches Mus.; Halle, Staatl. Gal. Moritzburg) o anche, in un caso finora isolato, di Carlo Magno (Montelupo Fiorentino, Mus. Archeologico e della Ceramica) - desunte entrambe da tipi figurativi elaborati in ambito sfragistico fra i secc. 11° e 12° (Hessen, 1984) -, tali recipienti mancano finora di una sicura destinazione funzionale, da alcuni connessa (Sauerlandt, 1919) da altri negata (Braun, 1932) alla sfera liturgica e in particolare alla consacrazione di edifici sacri.Un'ulteriore categoria distinta di b. è identificabile tramite l'impiego, affermatosi specie nelle regioni d'Oltralpe, di coppie di catini simili per forma e decorazione, incastrabili di norma l'uno nell'altro, prodotti in stagno, rame e argento e, soprattutto, in smalto, meglio noti come 'b. gemelli'.In ambito liturgico - ove già dal sec. 9° se ne ricordano otto del peso di 10 libbre ciascuno, donati da papa Gregorio IV (827-844) alla chiesa di S. Callisto a Roma (Lib. Pont., II, p. 80) - la loro estesa adozione risulta attestata, a partire dal sec. 12°, dagli inventari di cattedrali e abbazie o per es. nei vari resoconti dei riti pontificali descritti da Jacopo Stefaneschi, trovando ulteriore conferma, a livello documentario, nel ricordo del loro impiego sia nelle festività religiose sia nelle celebrazioni quotidiane (Rupin, 1890).Maggiori difficoltà sussistono nel delineare la storia evolutiva dei 'b. gemelli' in campo profano: se si eccettua infatti la testimonianza iconografica fornita dagli Emblemata Biblica (Parigi, BN, Saint-Germain, lat. 37) del sec. 13°, a ricordarne l'uso intervengono soprattutto alcune fonti tarde, ove tuttavia la puntualità delle istruzioni relative al servizio della tavola denuncia l'ormai avvenuta codificazione di tutto il cerimoniale (Rupin, 1890).Concentratasi in ambito limosino già dalla fine del sec. 12° e divenuta una delle più fiorenti manifatture locali (Medioevo e produzione, 1981), la produzione di gémellions lavorati a Limoges o forse anche nei centri circumvicini si caratterizza per il repertorio decorativo, comprendente in genere figurazioni disposte entro cerchi, lobature o fasce concentriche tangenti l'area centrale e per l'esecuzione a champlevé nella tipica palette cromatica degli smalti locali, includendo, oltre a un modesto gruppo di ca. una quindicina di recipienti a soggetto sacro (Marquet de Vasselot, 1951; Napoli, Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte; Paris, Mus. de Cluny), gémellions con scene di caccia e di combattimento (Hannover, Niedersächsisches Landesmus.) o con rappresentazioni a carattere cortese. Spesso intercalati da emblemi araldici, questi ultimi mostrano figure di cavalieri, scene di danza o immagini di saltimbanchi e suonatori.
Denominazione, tipologia e modalità d'impiego del b. in ambito bizantino presentano attualmente notevoli incertezze dovute in primo luogo all'esiguità degli esemplari rimasti. A definire pertanto il tipo di suppellettili che già dal regno di Costantino (324-337) andarono moltiplicandosi, sia nelle chiese e nelle dimore della nuova capitale sia nelle diverse regioni dell'impero, intervengono, inizialmente, oltre a una serie di pezzi isolati, vari complessi di argenteria a carattere domestico o liturgico, databili nell'insieme fra il 4° e il 7° secolo.A differenza dei nuclei più antichi, la cui distribuzione risulta in massima parte concentrata nelle zone occidentali dell'impero, nei secoli successivi i ritrovamenti interessano più frequentemente l'area orientale: depositi riferibili ai secc. 6°-7° sono venuti alla luce in Siria, nell'Ellesponto, in Albania, a Cipro e nella Russia meridionale, ossia lungo rotte commerciali o in zone di confine nelle quali gli interessi diplomatici potevano determinare l'invio di donativi.Fra gli oggetti pervenuti, molti dei quali facenti parte di depositi di suppellettili preziose occultate, una prima categoria di b., databili a partire dal sec. 4°, proviene da tesori composti in prevalenza da vasellame per la tavola. Mutuati dai modelli di una già precedentemente attiva produzione in bronzo, tali b., in quanto prodotti di lusso eseguiti per lo più in argento e sottoposti a continua circolazione, si qualificano come nuova specifica elaborazione delle officine romane a carattere suntuario, aggiuntasi alle tipologie codificate delle suppellettili domestiche del 2° e 3° secolo.Si tratta nel complesso di catini dal corpo rotondo, con piede d'appoggio basso, presenti in genere come singole unità all'interno dei vari servizi, le cui dimensioni, molto variabili, possono talora raggiungere, sia pure in casi isolati, anche cm. 55-60 di diametro. Dal punto di vista strutturale essi risultano caratterizzati sia da pareti lisce tornite e martellate - come per es. il b. rinvenuto insieme a una brocca e altri reperti in corrispondenza del triclinio della casa del Menandro a Daphne (od. Harbiye) presso Antiochia (Baltimora, Mus. of Art), uno dei rari esemplari di provenienza orientale ascrivibile al sec. 4°-5° - sia da pareti con sottili scanalature a sbalzo o con ampie coste baccellate.Rientrano in questo gruppo due esemplari del tesoro di Kaiseraugst (Augst, Römermus.) della prima metà del sec. 4°, inclusi fra una serie di pezzi di committenza aulica e origine eterogenea (Gallia, Salonicco o Naissus, od. Niš in Iugoslavia); essi erano destinati forse a usi diversi: il primo (diametro cm. 36) per la presentazione delle vivande durante i pasti, l'altro (diametro cm. 42) per la lavanda delle mani, come risulterebbe confermato dalla stessa forma del b., simboleggiante la valva di una conchiglia.Notevoli incertezze sussistono viceversa nell'annoverare fra i b. per le abluzioni - data la loro esiguità dimensionale - una serie di recipienti in argento con bordo perlinato della metà del sec. 4°, di uso non definito, di cui rimangono numerosi esemplari; alcuni, del periodo di Valentiniano II (375-392), sono contrassegnati da un marchio con la týche di Costantinopoli e dall'indicazione stessa della città quale luogo di esecuzione.Maggiore fortuna parrebbe invece aver incontrato, già dalla fine del sec. 5°, la patera, recipiente a corpo globulare, dalla cavità profonda, fornito di manico orizzontale, in genere accompagnato da una brocca a formare un apposito servizio. La specificità della sua destinazione per il lavaggio delle mani o per la toletta personale - usi entrambi ben documentati in una vasta serie di figurazioni classiche di genere - risulta tuttavia alquanto problematica, potendo tale suppellettile arrivare a comprendere, negli esemplari più piccoli, anche utensili per attingere o per bere, noti sotto la denominazione di trulla. Applicata di norma a tazze, mestoli o piccole coppe utilizzate per il prelievo di liquidi e nella fattispecie di vino, tale nomenclatura, nel caso della suppellettile bizantina, si trova peraltro non di rado impiegata a livello di classificazione per designare anche recipienti di dimensioni maggiori, forse utilizzati come b. per il lavabo.È il caso di una trulla in argento (Leningrado, Ermitage, dai dintorni di Čerdin, presso Perm) di cm. 24-25 di diametro, ascrivibile al regno di Anastasio I (491-518), la cui strettissima affinità tipologica con una patera ansata della metà del sec. 4°, proveniente, insieme a una brocca d'argento, dal tesoro dell'Esquilino (Parigi, Mus. du Petit Palais), contribuisce a confermarne l'uso come recipienti per le abluzioni. Al centro della coppa, entro un medaglione contornato da un motivo a kymátion, è raffigurato un nilometro sullo sfondo di un paesaggio fluviale ripetuto lungo il bordo, ove pesci, leoni, coccodrilli e altri animali affrontati, tratti dal repertorio nilotico, si snodano fino a convergere verso la base del manico, su cui campeggia l'immagine di Poseidone con il tridente.Testimonianza di un gusto ancora tardoantico, legato a tematiche egittizzanti, a tale trulla, di verosimile manifattura costantinopolitana, è parzialmente collegabile un piccolo esemplare di cm. 16 ca. di diametro (Parigi, Louvre, da Cap Chenoua, presso Cherchell in Algeria) di epoca giustinianea (527-565). In questo caso la maggior rarefazione figurativa, limitata alla presenza di delfini, pescatori e creature marine lungo il bordo e all'esterno della coppa, ha permesso di ipotizzarne un possibile impiego liturgico, tuttavia poco plausibile se non nei termini di una diffusa abitudine al reimpiego.L'effettiva utilizzazione come b. resta ipotetica anche nel caso di un piccolo esemplare più tardo sempre in argento (di cm. 16 ca. di diametro; Atene, Byzantine Mus., da Kratigos, presso Mitilene), marcato con il bollo dell'imperatore Eraclio (613-629/630).Interpretabile come estrema derivazione dal repertorio tematico e strutturale del vasellame classico, la priorità tipologica accordata in area bizantina ai b. ansati per uso domestico, peraltro ben documentata anche a livello figurativo - per es. in un'immagine di banchetto del missorium di Cesena (Bibl. Com. Malatestiana), della fine del sec. 4°, e nella scena della Lavanda delle mani di Pilato dei mosaici di S. Apollinare Nuovo a Ravenna - trova elementi di conferma nell'adozione di simili suppellettili anche per il servizio liturgico.Ne offre testimonianza la patena di Riha (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), eseguita sotto Giustino II (567-578) da maestranze siriache, sulla quale, nell'esergo sottostante la scena della Comunione degli apostoli, figurano quali possibili offerte dello stesso committente una brocca e un b. con manico. Il loro isolamento nell'economia della rappresentazione, oltre a indicare il probabile valore intrinseco del donativo, potrebbe averne ribadito l'eccezionalità, confermata dall'esistenza di un solo esemplare (Leningrado, Ermitage, da Malaja Pereščepina, presso Poltava in Ucraina), il cui impiego per l'abluzione delle mani è viceversa inequivocabilmente attestato dal termine greco χεϱνιβόξεστον inciso sul manico e indicativo dell'unione del b. con la brocca (xéstes) sia nell'uso profano sia - come già attesta Giovanni Crisostomo (PG, LXII, col. 28) - in rapporto al servizio divino. Eseguita in argento dorato battuto e lavorato a sbalzo, la patera (diametro di cm. 25 ca.) reca al centro della coppa, formata da ampie baccellature risolte alla sommità da una serie di conchiglie, un motivo a rosetta circondato da un fregio vegetale. Sul manico, oltre all'iscrizione e ai bolli relativi al regno di Maurizio (582-602), è indicato il peso dell'intero servizio, equivalente a gr. 1264. Dal punto di vista decorativo, la rinuncia al consueto repertorio mitologico, ridotto all'iterata presenza della conchiglia, simbolo della nascita di Afrodite e passato, nell'interpretazione cristiana, a significare il rinnovamento e la purificazione dell'anima, ha favorito - sia pur con qualche riserva (Elbern, 1978) - l'ipotesi secondo la quale il recipiente, ascrivibile a manifatture costantinopolitane, fosse destinato all'abluzione sacra. A questa fanno inoltre riferimento le parole dell'invocazione Νίψε ὐγιαίνων Κυϱί(ε), relative alla preghiera pronunziata dal celebrante durante la lavanda delle mani prima della celebrazione eucaristica, incise su un b. in bronzo del sec. 6°-7° (Washington, Dumbarton Oaks Research Lib. and Coll.), forse uscito da botteghe dell'Egitto copto. Decorato al centro da una stella a otto punte inscritte entro un cerchio intorno al quale si alternano motivi vegetali e animali, anche questo b. risulta provvisto di un manico fuso a parte.Problematica risulta viceversa la possibilità di annoverare fra i recipienti per le abluzioni un piccolo contenitore, di cm. 12 ca. di diametro, facente parte del tesoro liturgico di Hama (Baltimora, Walters Art. Gall.), della seconda metà del sec. 6°; l'evidente assenza di rifinitura della superficie esterna della coppa, dall'invaso peraltro non molto profondo, ha infatti indotto a qualificarlo come recipiente base, inseribile in un supporto di materiale diverso.Non è comunque da escludere, sempre in ambito liturgico, l'esistenza di altre forme di vasellame per le abluzioni, assimilabili ora a recipienti del tipo di quello inventariato come lébes (termine atto in genere a designare grandi catini in bronzo o rame) nell'elenco delle suppellettili della chiesa di Apa Psaius del villaggio di Ibion in Egitto, redatto fra i secc. 6°-7° (Oxford, Bodl. Lib., gr. th. d. 2 [P]), ora a recipienti destinati per es. al pelluvium del giovedì santo, durante il quale, secondo un trattato relativo al cerimoniale di corte dello pseudo-Codino (sec. 14°), l'imperatore versava dell'acqua in una sorta di b. di notevoli dimensioni (Trattato degli Uffici, cap. IV).Rispetto ai pochi oggetti rimasti, nessuno dei quali ascrivibile a un periodo successivo al sec. 7°, la presenza e l'uso del b. come arredo privato o chiesastico risultano viceversa bene testimoniati da varie fonti scritte, specie a carattere aulico. È il caso per es. dei b. ricordati da Teofilatto Simocatta (Historiae, I, 10) fra i vari pezzi d'argento del servizio da tavola sotto Giustiniano (527-565) o di quelli in oro e pietre preziose donati dallo stesso imperatore alla Santa Sofia (Scriptores originum Costantinopolitarum, I) secondo una pratica di offerte assai diffusa, la cui entità, pur risentendo in alcuni momenti di situazioni politiche ed economiche difficili, non parrebbe comunque aver subìto particolari oscillazioni neanche durante la fase iconoclasta (711-843).In tale periodo infatti non solo le chiese continuarono a essere dotate di sontuosi arredi liturgici, ma anche in campo civile permane il ricordo di una grande varietà di oggetti di uso domestico e profano, compresi anche b., la cui tipologia, stando almeno a una miniatura di un salterio della fine del sec. 9° (Parigi, BN, gr. 189) in cui nella scena della malattia di Ezechiele è raffigurato un esemplare con manico, sembrerebbe rimasta pressoché inalterata.Ricordato da Costantino VII Porfirogenito (De cerimoniis aulae byzantinae, I, III) è l'uso di servizi per le abluzioni in oro e in pietre preziose porti all'imperatore da appositi addetti denominati nipsestiárioi, laddove viceversa per il ricevimento di ambasciatori saraceni il cerimoniale di corte prevedeva più semplici chernibóxesta sbalzati e cesellati (ivi, II, XV).Al nuovo impulso dato al lusso e alle arti suntuarie dall'avvento dal potere delle dinastie macedone (867-1056) e dei Ducas (1059-1078), poi di quella dei Comneni (1081-1185) - quando, specie sotto il regno di Alessio I (1081-1118), la produzione artistica bizantina conobbe uno dei periodi di maggiore splendore -, corrisponde invece una pressoché totale scomparsa delle suppellettili preziose, saccheggiate o riutilizzate per uso personale dai crociati, fino quasi alla metà del 13° secolo.In tale arco di anni sono ancora le fonti a dare occasionali notizie della presenza di b. fra gli innumerevoli lavori prodotti: dalle rifusioni ordinate a danno degli arredi liturgici già da Alessio I Comneno alle spoliazioni, avvenute un secolo più tardi per volere di Isacco II Angelo (1185-1195), nei confronti delle stesse chiese del palazzo, i cui vasi sacri, ivi compresi brocche e b., vennero destinati a uso profano.Ultimo segno di una perduta ricchezza appaiono infine, verso la fine del sec. 13°, gli splendidi b. d'argento per le abluzioni delle mani e dei piedi tra gli arredi della dimora di Teodoro Metochite, ministro di Andronico II (1282-1328; Ebersolt, 1923). La presenza di simili oggetti, pressoché ignorata dalle fonti, può in seguito - un secolo prima della conquista turca - essere solo ipotizzata fra il vasellame di peltro e terracotta utilizzato all'epoca di Giovanni VI Cantacuzeno (1347-1354) durante le cerimonie di corte.
Tra i primi b. noti di epoca islamica sembrerebbero potersi annoverare (Ettinghausen, 1957) alcuni esemplari databili fra i secc. 9° e 10° legati all'attività di officine bronzistiche del Khorasan di epoca samanide (875-1005) e ghaznavide (997-1149). Caratterizzati in massima parte da un partito decorativo esterno formato da un largo reticolato geometrico e da fasce con iscrizioni cufiche incise, i b. di questa regione risultano apodi e di forma emisferica, tanto da farli ritenere, originariamente, forniti di particolari supporti di appoggio. Attualmente ne rimangono solo pochi esemplari (Qandahār, Mus.; Londra, Vict. and Alb. Mus.) che dal punto di vista iconografico accolgono, rielaborandoli, motivi caratteristici del repertorio iranico, come per es. il cacciatore a cavallo presente su un lavoro della fine del sec. 10° (New York, Kevorkian Foundation) firmato 'amal (opera di) Abū Naṣr Muḥammad ibn Aḥmad al-Sijzī, uno dei più antichi artigiani musulmani dell'Iran conosciuti, originario del Sīstān. Non meno diffusa è la serie dei pianeti e dei segni zodiacali, destinata a grande fortuna nella metallistica locale: una delle più antiche testimonianze di tale tema si trova su un b. in bronzo chiaro proveniente da Ghaznī (Kabul, Mus.), del sec. 11°, all'interno del quale la presenza dei segni dello zodiaco, raffigurati entro medaglioni, dovette probabilmente rivestire anche un valore magico-talismanico, ribadito dalla forma concava dell'oggetto, simboleggiante la volta celeste (MelikianChirvani, 1979; Scerrato, 1981).All'espansione dei Turchi selgiuqidi - insediatisi dapprima nei territori dell'Asia centrale e della Persia, quindi passati a conquistare la Mesopotamia settentrionale e la Siria - risale, fra i secc. 11° e 12°, uno dei periodi di massima fioritura nella lavorazione dei metalli, caratterizzato, sempre per quanto riguarda l'Est iranico, dal moltiplicarsi di una serie di oggetti d'uso domestico. Accanto al persistere di forme e temi di ambito tardosasanide, simili suppellettili mostrano il fissarsi di un gusto aulico, con scene di banchetto o di caccia, tradotte in uno stile rapido e sempre più incline alla miniaturizzazione dei propri elementi. A tale periodo è possibile ricondurre sia un nutrito gruppo di b. (Kabul, Mus.; Ghaznī, Mus.) con ampia base e lati ricurvi, usciti durante la seconda metà del sec. 12° dalle scuole del Khorasan, sia due esemplari (Qandahār, Mus.) di analoga provenienza ma di poco più tardi, in ottone battuto e inciso con bordi polilobati, i quali sembrano anticipare la successiva diffusione del modello in epoca ilkhanide.L'impiego di una specifica variante del naskhī, cioè della scrittura corsiva, in cui le aste verticali delle lettere appaiono ornate da testine umane o animali, nonché una generica preferenza per i disegni incisi e per le scene figurate, risultano viceversa prevalere nelle scelte delle officine mesopotamiche, cui è stato fra l'altro ricondotto anche un piccolo b. (Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum) con al centro l'apoteosi di Iskandar (Alessandro), la cui raffinata decorazione a smalto cloisonné costituisce un raro esempio islamico di tale tecnica, certo già nota in Siria e nell'Egitto fatimide, ma qui applicata sulla base di probabili influssi bizantini.Eseguito per il principe artuqide Rukn al-Dawla Dawūd (1108-1145), signore della regione di Mossul, esso si distingue tuttavia completamente dalla produzione peculiare di quest'ultimo centro, menzionato dalle fonti, a partire dalla fine del sec. 12° e poi per tutto il successivo, per la manifattura di opere d'ottone intarsiate in argento, rame e oro, secondo un procedimento originario forse dell'Iran orientale, ma ben presto diffusosi anche in Siria e in Egitto.Fra i numerosi lavori rimasti, la maggior parte sembrerebbe comunque essere stata eseguita nei centri della Mesopotamia e della Siria settentrionale in un momento successivo alla prima invasione mongola del 1220. Vi appartengono diverse categorie di suppellettili caratterizzate nel complesso da un'esuberante decorazione riscontrabile anche su alcuni b. dovuti ad artigiani mawṣilī, originari cioè di Mossul, ma chiamati a lavorare presso altri centri. Esemplificativo fra tutti quello commissionato ad Aḥmad ibn ῾Umar al-Dhakī dal sovrano ayyubide al-Malik al-῾ādil II, signore del Cairo e di Damasco (1238-1240), nel quale la fluidità del disegno dimostrata dall'artista nell'organizzare le varie scene sembra forse aver tratto ispirazione dai prodotti della miniatura coeva (Parigi, Louvre).Agli esiti della scuola di Mossul in ambiente siro-egiziano durante gli anni della dominazione ayyubide (1176-1250) risulta viceversa collegabile un b. (Cairo, Mus. of Islamic Art) fatto eseguire dal sultano al-Ṣāliḥ Najm al-Dīn (1240-1249) sulla cui parte inferiore - intervallati entro un'iscrizione in caratteri naskhī inneggiante al sovrano - sono sei medaglioni polilobati con immagini di danzatrici, cavalieri e giocatori. Temi analoghi si ritrovano anche su un esemplare coevo (Beirut, Nuhad es-Said Coll.) in ottone intarsiato d'argento, la cui concezione denuncia tuttavia assai bene nella forma o in certi particolari decorativi rari nella metallistica iranica - come per es. quello del rapace che attacca un'oca - lo sviluppo di tipologie locali, forse elaborate già in epoca fatimide.Esclusivamente a manifatture siriache debbono viceversa essere ricondotti alcuni b. - fra cui quello appartenuto un tempo allo stesso al-Ṣāliḥ Najmal-Dīn (Washington, Freer Gall.of Art), con incise le scene dell'Annunciazione e dell'Ultima Cena - sui quali l'introduzione di soggetti cristiani, più che prerogativa di artisti convertitisi, sembra vada piuttosto legata al coesistere di minoranze cristiane sotto il dominio ayyubide.All'esiguo numero di lavori testimoniati dal sopravvivere di un'attività metallistica in area iranica nella seconda metà del sec. 13° - quando cioè, a causa dell'emigrazione di molti artigiani verso l'Anatolia e la Siria, andò determinandosi nella regione un periodo di temporaneo declino seguito da un progressivo spostamento dei centri produttivi verso le zone caucasiche - è possibile riferire un b. (Londra, Vict. and Alb. Mus.) in rame sbalzato e niellato con intarsi d'argento e ottone, la cui struttura appare chiaramente derivata dai vari precedenti locali del 12° secolo. Decorato con fasce di archi incrociati in cui si inscrivono motivi vegetali e da piccoli medaglioni entro cui si dispongono caratteristici personaggi in atto di bere, suonare il flauto o far festa, il b. è un esempio del naturalismo riferibile ad ascendenze estremo-orientali giunte in Persia in seguito alla dominazione ilkhanide (1251-1335), di cui offre compiuta espressione un esemplare degli inizi del sec. 14° originario dell'occidente iranico (Londra, Vict. and Alb. Mus.).Per quanto riguarda il dominio mamelucco di Siria ed Egitto, iniziato nella seconda metà del sec. 13°, l'affermazione della nuova dinastia non pare, almeno all'inizio, aver interferito con l'attività artigianale delle officine di Damasco, di Aleppo e del Cairo. Dallo scorcio del sec. 14° il cambio dello stile andò quindi manifestandosi nella lavorazione dei metalli, con lo sviluppo di un tipo di naskhī allungato nelle aste e arrotondato nella parte inferiore delle lettere, con il raffinamento dei processi di intarsio dovuto alla perdurante influenza di artisti mawṣīlī - come per es. quel ῾Alī ibn ῾Abdallāh al-Alawī che ancora alla fine del sec. 13° firmava un b. oggi a Berlino (Staatl. Mus.) - e con una complessiva riorganizzazione del repertorio tematico e ornamentale. Accanto ai consueti episodi di caccia e di battaglia utilizzati specie negli sfondi di coppe e b. (due categorie di oggetti venute in gran voga in epoca mamelucca), si trovano infatti fantasiose scene di gioco, riprese dall'antico tema dei pianeti - raffigurati per es. seduti su un b. della Blacas Coll. (Londra, British Mus.) - o, ancora, decorazioni arabescate a soggetto floreale. Esemplificativi in questo senso risultano due esemplari, entrambi di manifattura egiziana (Londra, Keir Coll.; British Mus.) e databili fra la fine del sec. 13° e la prima metà del 14°, sui quali la presenza dei fiori di loto - derivata, attraverso la Persia, da origini cinesi - costituisce una specifica caratteristica della prima produzione mamelucca.Ai migliori risultati tecnici ed espressivi di quest'ultima è possibile ricondurre ancora due b. (Parigi, Louvre) fatti eseguire da Muḥammad ibn al-Zayn (1291-1311), di cui quello noto come baptistère de saint Louis - in base a un'antica leggenda secondo la quale il re Luigi IX (1215 ca.-1270) lo avrebbe portato dall'Oriente dopo le crociate - rappresenta uno dei massimi esempi della metallistica islamica (Scerrato, 1967). Su di esso il largo uso dello scorcio nelle scene di gioco o di caccia, la vivacità delle raffigurazioni animali e un palese intento ritrattistico sembrano riecheggiare il favore con cui vennero accolti dall'ambiente siro-egiziano i modi estremo-orientali giunti dalla Persia.Tipico esempio del protrarsi di una simile commistione di stili risulta essere uno splendido b. poligonale d'ottone (New York, Metropolitan Mus. of Art) eseguito intorno alla prima metà del sec. 14°, nel quale a ornati vegetali di tipo iranico si affianca una scelta di motivi decorativi di derivazione mamelucca.Allo specifico processo evolutivo subìto da questi ultimi, sempre durante il corso del sec. 14°, vanno infine riportati alcuni grandi b. d'ottone (Londra, British Mus.; Napoli, Mus. e Gall. Naz. di Capodimonte) con intarsi di fili e lamine d'oro e d'argento applicati a martello. In essi la graduale rarefazione della figura umana, spesso sostituita da grandi scritte in corsivo a carattere augurale, lascia progressivamente il posto a un nuovo repertorio ornamentale costituito di anatre e stormi di uccelli in volo, di elementi vegetali e di emblemi tipici delle officine mamelucche, destinate a mantenere inalterato il livello qualitativo della loro attività ancora per tutto il 15° secolo.
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