BACCIO da Montelupo
Bartolomeo Sinibaldi, detto Baccio da Montelupo, scultore e architetto fiorentino, nacque a Montelupo nel 1469, morì a Lucca nel 1535, dove è sepolto nella chiesa di S. Paolino.
Dedito, nella prima giovinezza, a una vita spensierata e gaudente, si convertì, secondo i biografi, per merito del Savonarola, di cui divenne presto uno dei più ferventi seguaci; tantoché nel 1498, quando cominciarono le persecuzioni contro il frate, dové fuggire a Venezia. Quivi scolpì il Marte del monumento Pesaro nella chiesa dei Frari (1503); opera fredda e poco significativa. Della sua dimora in Bologna si sono rinvenute recentemente testimonianze in quattro statue in terracotta, facenti parte di una Pietà, in una cappella di S. Domenico. Squisite sono le qualità che esse rivelano: nelle forme ampie e grandiose, il modellato è sentito con una sensibilità delicatissima; mentre la chiara impostazione delle figure, e il sentimento di vita intenso e drammatico, indicano lo studio delle opere di Antonio Rossellino e di Benedetto da Majano. Nel 1498, sempre a Bologna, l'artista eseguì in terracotta 12 busti degli apostoli di cui alcuni sono stati identificati con quelli - già attribuiti ad Alfonso Lombardi - del Duomo di Ferrara. Al suo ritorno a Firenze (1504), B. scolpì un crocifisso in legno per la SS. Annunziata, oggi perduto. Eseguì varie sculture, egualmente in legno, per la badia di S. Godenzo in Val di Sieve, ove anche l'ornamento dell'altar maggiore e l'arca per le reliquie erano opera sua; ma di tutti questi lavori rimane soltanto un S. Sebastiano (1506), derivato evidentemente da quello della Pieve di Empoli di A. Rossellino.
Delle sculture che l'artista compieva in questi anni per la chiesa di S. Lorenzo oggi non rimane altro che il crocifisso, collocato nuovamente sull'altar maggiore, e che per le proporzioni affinate e allungate, e l'amorosa accuratezza del modellato, dimostra uno spirito ancora quattrocentesco. Più tardo è invece il crocifisso del museo di San Marco. Poco dopo, nel 1513, B. eseguiva per la chiesa dei Servi un busto in cera, ora disperso, di Giuliano de' Medici; e nel 1515, in gara con Baccio Bandinelli e Iacopo Sansovino, la statua bronzea di S. Giovanni Evangelista d'una delle nicchie di Orsammichele. L'asserzione del Baldinucci, che cioè B. si sia formato sul Ghiberti, ha soltanto qui conferma. Chiara vi è infatti la derivazione dal S. Matteo ghibertiano, pure ad Orsammichele, nell'impostazione generale della figura e nel panneggio, che, eccessivamente ricercato, nuoce un po' alla gravità della dignitosa figura. Per affinità con questa statua sono attribuite a B. la statua in legno colorito di S. Antonio Abate in S. Andrea di Lucca, e due statuette, pure in legno, di S. Pietro e di S. Paolo in S. Agostino di Anghiari presso Arezzo. Di questo periodo, o di poco anteriore, è l'arma del pontefice Leone X sul canto del palazzo Pucci a Firenze, opera di squisita fattura, in cui si ammira, nonostante i danni delle intemperie, l'agilità dei due putti sorreggenti lo stemma mediceo, sormontato dalle insegne papali.
A Lucca, ove passò gli ultimi anni di vita, B. eresse la chiesa di S. Paolino (1522 e segg.) ispirata a quella di S. Salvatore al Monte, opera famosa del Cronaca. Vi ritorna infatti la stessa pianta a croce latina, con una sola navata, e le cappelle laterali divise da pilastri; le sagome delle cornici e delle finestre superiori, benché derivate da S. Salvatore, sono talmente semplici da rasentare la povertà. Questo carattere è palese anche nella facciata della chiesa, ov'è completamente perduta tutta la schietta freschezza del modello nella ricerca di agilità nella linea saliente, B. pone sul piano inferiore, evidentemente il migliore dei tre nei quali la facciata può scompartirsi, la sopraelevazione centrale, collegata a questo per mezzo di volute, di sapore quasi albertiano (S.M. Novella di Firenze); ma grave e schiacciato è il timpano che la corona. Sempre a Lucca, verso il 1527, B. iniziò - ma lo compì suo figlio Raffaello - in S. Michele in Foro, il sepolcro di Silvestro Gigli, disperso nel secolo scorso; degli altri lavori ricordati dal Vasari, quali una statua d'Ercole per Pier Francesco de' Medici, e i crocifissi per le Murate e per la Compagnia di S. Stefano di Firenze, rimane solo quello eseguito per la Badia delle Ss. Flora e Lucilla di Arezzo. B. ebbe tre figliuoli, dei quali il primo, Giovanni (nato nel 1495) fu mediocre pittore; il terzo Raffaello (1505-1560; v.) scultore di merito e di fama superiore al padre.
Complessa e non bene definibile è la personalità artistica di B. da Montelupo, il quale rimane, in ogni modo, uno dei migliori artisti del primo Cinquecento fiorentino. Egli derivò dalla generazione a lui precedente, e da quella contemporanea, gli elementi consoni al suo spirito. Fu un eclettico, che, pur nella grandiosità cinquecentesca, cui sono sempre improntate le sue opere, non esitò a indugiare nella ricerca, propria del Quattrocento, di particolari e, soprattutto, di espressione; in quest'ultima, anzi, si può dire sia concluso il programma della sua arte, austera e religiosa, tutta pervasa da un profondo senso di misticismo.
Bibl.: G. Vasari, Le vite, in Le opere di G. V. a cura di G. Milanesi, VI, Firenze 1878-85; R. Borghini, Il riposo, Firenze 1730; F. Baldinucci, Notizie di professori del disegno, I, Firenze 1945; F. Albertini, Memoriale di molte pitture e statue della città di Firenze, Firenze 1863; M. Reymond, La sculpture florentine, IV, Firenze 1900; H. v. Geymüller e L. v. Stegmann, Die Architectur der Renaissance in Toscana, Monaco 1895-1909; C. de Fabriczy, in Jahrb. d. preuss. Kunsts., XXVII (1906), p. 95; id., Sculture in legno di B. da M., in Miscellanea d'arte, 1903, pp. 67-68; F. Filippini, Baccio da Montelupo, in Dedalo, VIII (1927-28), pp. 527-42.