Babilonia e l'eredita sumerica
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le necessità organizzative di un sistema amministrativo complesso come quello creato dai sovrani di Ur III determinano la formazione di una imponente schiera di scribi-amministratori, educati in scuole poste sotto il controllo della corte reale. Nel corso del periodo paleo-babilonese l’insegnamento è invece nelle mani di colti privati che educano nella propria abitazione un ristretto numero di allievi secondo un curriculum tradizionale in buona parte concepito nella fase precedente. All’interno del contesto scolastico paleo-babilonese il sumerico, già sostanzialmente “morto” come lingua parlata, sopravvive e il suo apprendimento rimane un elemento fondamentale della cultura scribale.
I primi secoli del II millennio a.C. possono essere letti all’insegna di una ricercata continuità con la fase storica precedente. I sovrani della I Dinastia di Isin si presentano come successori di quelli di Ur III. Iscrizioni commemorative e inni reali imitano lo stile della propaganda di Ur III (fino a produrre dei veri e propri plagi) e gli scribi compongono testi letterari che enfatizzano le connessioni con i successori di Ur-Namma. Nelle loro iscrizioni i primi sovrani di Isin prendono il titolo di “re di Ur”. Le principesse di Isin, così come quelle di Ur III, diventano sacerdotesse del dio Nanna a Ur. Anche i testi amministrativi databili all’inizio del II millennio a.C. ritrovati a Isin e a Nippur non mostrano evidenti tracce di rottura. Ciò nonostante, grandi cambiamenti di carattere etnico interessano la fine del III e l’inizio del III millennio a.C., soprattutto a seguito di una sempre più numerosa e intensa infiltrazione degli Amorrei nelle principali città del Vicino Oriente antico. Non si dimentichi inoltre che i sovrani di Isin, al di là delle pretese ideologiche, riescono a recuperare solo una minima parte del vecchio impero di Ur III.
D’altro canto è sicuramente degno di nota che le fonti di questo periodo siano scritte per la gran parte in sumerico. La lingua sumerica, già sostanzialmente morta come lingua parlata in un momento imprecisato alla fine del III millennio a.C. – dunque durante il regno di Ur III – sopravvive per almeno altri due millenni come lingua letteraria, scolastica e liturgica, cioè fino alla definitiva scomparsa della scrittura cuneiforme (sia in sumerico che in accadico) all’inizio del I secolo d.C. (l’ultimo testo astronomico in assoluto è databile al 75 d.C.).
La maggior parte dei testi sumerici a noi nota risale al periodo paleobabilonese ed è il risultato dell’attività delle scuole scribali (é-dubba “casa delle tavolette” in sumerico) nelle quali giovani studenti vengono istruiti alla scrittura cuneiforme e, in una fase avanzata dell’apprendimento, alla stesura di complesse composizioni letterarie in sumerico secondo un canone prestabilito. Questi esercizi scribali costituiscono molto spesso gli unici manoscritti in nostro possesso di alcuni testi letterari, religiosi o perfino di lettere, la cui originale data di composizione rimane ignota o può essere solamente ipotizzata. La nostra ricostruzione della vita nelle scuole babilonesi è a sua volta basata su un gruppo di testi letterari sumerici (la cosiddetta “letteratura dell’é-dubba”) che ci informano, a volte con toni apparentemente ironici, sulle modalità dell’insegnamento. Grazie a questa documentazione sappiamo che il sumerico è ancora parlato in epoca paleobabilonese nell’ambito della scuola: una situazione del tutto simile a quella del latino che sopravvive come lingua parlata negli scriptoria medievali. La buona conoscenza del sumerico è segno di prestigio e di raggiunta maturità per uno scriba, che in alcune epoche adotta a questo punto la versione sumerica del proprio nome come dimostrazione dello status raggiunto. Un proverbio sumerico dice a chiare lettere: “Uno scriba che non conosce il sumerico, che razza di scriba è?”.
Il testo che segue è un dialogo appartenente al corpus della cosiddetta “letteratura dell’é-dubba” nel quale due scolari discutono la loro competenza della lingua sumerica e si vantano delle rispettive conoscenze scolastiche.
(ll. 1-7) Giovane uomo, [sei uno studente? – Sì, sono uno studente]. Se sei uno studente, conosci il sumerico? Sì, sono in grado di parlare il sumerico. Sei così giovane, come puoi esprimerti [così bene]? Ho ascoltato più volte le spiegazioni del maestro, per questo ti posso rispondere.
(ll. 32-38) Conosco perfettamente la mia competenza scribale, tutto mi risulta facile. Il mio maestro mi mostra un segno, io ne aggiungo più di uno a memoria. Ora che sono stato a scuola per il tempo previsto, sono all’altezza del sumerico, dell’arte della scrittura, del contenuto delle tavolette, del calcolo dei bilanci. Posso persino parlare in sumerico.
M. Civil, Sur les “livres d’écolier” à l’époque paléo-babylonienne, in J.-M. Durand e J.-R. Kupper, Miscellanea Babylonica. Mélanges offerts a Maurice Birot, Paris, Éditions Recherche sur les civilisation, 1985
Un altro dialogo appartenente al suddetto corpus si presenta come un litigio tra due studenti, Girine-Isag (vd. G.I.) e Enki-Mansum (vd. E.M.), uno più avanzato dell’altro, nel quale il primo si serve della propria condizione per insultare e maltrattare il collega più giovane.
(ll. 1-14) (G.I.) Bene, collega, cosa scriviamo oggi sulla nostra tavoletta? (E.I.) Oggi non scriviamo una singola parola della nostra lezione! (G.I.) Ma poi il maestro lo verrà sicuramente a sapere e si arrabbierà con noi per colpa tua. Che cosa gli diremo? (E.I.) Posso scrivere quello che mi pare! Svolgerò il compito! (G.I.) Se lo fai, io non sono il tuo “fratello maggiore”! Perché usurpi la mia condizione di “fratello maggiore”? Io sono diventato eccellente nell’arte scribale; ho svolto alla perfezione la funzione di “maggiore”. Tu sei lento di comprendonio e duro a capire; non sei che un apprendista a scuola! Sei sordo all’arte scribale e silenzioso in sumerico! La tua mano è paralizzata: non è adatta allo stilo e non è adatta all’argilla; la [tua] mano non tiene il passo con la bocca. E vorresti diventare uno scriba come me?
H.L.J. Vanstiphout, The Dialogue Between Two Scribes, in The Context of Scripture. Canonical Compositions from the Biblical World, a cura di W.W. Hallo, Leiden-New York-Köln, 1997
Nelle scuole gli apprendisti sono seguiti da un maestro e, almeno nella fase iniziale, da uno studente avanzato, un “fratello maggiore”; sotto la loro guida imparano anzitutto a scrivere incidendo con uno stilo singoli segni cuneiformi su tavolette d’argilla. I segni vengono memorizzati sulla base della loro forma o della pronuncia. Il passo successivo include la reiterata trascrizione di liste di parole sumeriche accompagnate dalla loro traduzione in accadico. Allo stesso modo viene insegnata la grammatica, attraverso la ripetizione di paradigmi di nomi e verbi nelle diverse forme. L’ultima fase dell’insegnamento prevede l’apprendimento della letteratura sumerica: lo studente deve dimostrare di padroneggiare la lingua scrivendo prima sotto dettatura e poi a memoria varie tipologie di testi secondo un ampio curriculum letterario, in buona parte tradizionale, che dai proverbi (dunque semplici composizioni di poche righe) porta a complesse opere di letteratura. Una sezione a parte del percorso di studi è dedicata alla matematica e all’acquisizione delle competenze necessarie alla risoluzione di problemi anche di natura pratica, come quelli relativi alla contabilità amministrativa o alla divisione di campi e proprietà. Lo studio delle innumerevoli tavolette matematiche giunte fino a noi ha dimostrato l’elevato livello di competenza raggiunto da questi scribi, consapevoli, ad esempio, del teorema di Pitagora (in ogni triangolo rettangolo, l’area del quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma delle aree dei quadrati costruiti sui cateti). L’introduzione del sistema di numerazione sessagesimale costituisce una delle innovazioni di questo periodo. La formazione, veramente pluridisciplinare, degli scribi prevede anche la musica, cioè la conoscenza dei generi musicali e il canto.
Il canone letterario prevede diverse tipologie di testi sumerici: miti; narrazioni epiche delle gesta di re leggendari; testi storici o storiografici come la cosiddetta Lista reale sumerica, la lista delle dinastie che hanno governato la Mesopotamia prima e dopo il Diluvio, che viene redatta nella sua forma “standard” tra il 2100 e il 1900 a.C., cioè il periodo di Ur III e delle dinastie di Isin e Larsa; inni a re, divinità e templi: ad esempio, tre inni dedicati ad altrettanti re di Isin e un inno alla dea Nisaba sembrano aver avuto un ruolo importante nel quadro dell’insegnamento “superiore”; lamentazioni per la distruzione di città come la Lamentazione per la distruzione di Sumer e Ur, verosimilmente commissionata dai primi sovrani di Isin a scopo di legittimazione politica e a noi nota grazie a copie paleobabilonesi; dibattiti o “tenzoni” nei quali coppie rappresentate dalle personificazioni di piante (Palma e Tamarisco), animali (Pesce e Uccello), materiali (Legno e Canna), stagioni (Estate e Inverno), oggetti (Zappa e Aratro) ecc. si scambiano battute a turno esaltando le proprie qualità e denigrando quelle dell’avversario fino alla vittoria finale di uno dei due. Un’altra sezione del curriculum è costituita da lettere redatte in sumerico, in particolare le cosiddette “lettere storiche”: parte della corrispondenza dei sovrani di Ur III, ad esempio, ci è pervenuta in questa forma. All’epoca paleobabilonese e all’ambiente della scuola risalgono anche copie di iscrizioni reali più antiche (come quelle dei re di Akkad e di Ur), che all’epoca ancora si trovano nella corte del tempio di Enlil a Nippur, l’Ekur. In alcuni casi l’apprendista indica anche il supporto su cui figura l’iscrizione da lui copiata e la sua collocazione.
Degno di nota è che fino a questo momento non è stato scavato in alcun sito della Mesopotamia un edificio che possa essere assimilato ad una scuola nel senso di una istituzione complessa destinata all’insegnamento su larga scala. I siti paleobabilonesi da cui proviene la maggior parte delle tavolette scolastiche in nostro possesso, Nippur e Ur (altre sono state trovate a Isin, Larsa e Uruk), hanno restituito invece edifici di piccole dimensioni, case private verosimilmente di proprietà di individui colti appartenenti alla classe sacerdotale. L’idea ormai generalmente accettata è che l’insegnamento, già in epoca paleobabilonese (e sempre nella fase successiva), è nelle mani di privati, letterati che istruiscono nella propria abitazione (verosimilmente nel cortile per la maggiore disponibilità di luce) un ristretto numero di allievi, che comprende i loro figli, i figli di parenti e forse anche quelli di colleghi. Questo quanto meno a partire dal XVIII secolo a.C. Secondo una proposta recente, sembra che durante l’ultima fase di vita di Ur III e probabilmente all’inizio del II millennio a.C., cioè nella fase di formazione della sopracitata “letteratura dell’é-dubba”, la scuola sia invece un affare di Stato ed istituzioni simili (anche da un punto di vista architettonico) a quelle descritte nei testi siano una realtà. Purtroppo, anche in questo caso, non disponiamo di documentazione archeologica. La corte reale sicuramente incentiva l’insegnamento: la scuola non è solamente funzionale all’istruzione di burocrati e contabili, ma al suo interno si producono anche molte delle composizioni destinate a glorificare (e legittimare: si pensi ai sovrani della prima dinastia di Isin) i sovrani o i loro antenati.