AZOTO (fr. azote; sp. ázoe, nitrógeno; ted. Stickstoff; ingl. nitrogen)
È difficile stabilire con precisione da chi sia stato per primo isolato questo elemento, e da chi sia stato chiaramenti riconosciuto come sostanza ben definita; in generale se ne attribuisce la scoperta a D. Rutherford (1772). La denominazione "azoto" (da ἀ privativo e ζωὴ "vita") si deve a Lavoisier (1787), poiché fin dalle prime ricerche di John Mayow (1669) sull'aria, era risultato che, togliendo a questa l'ossigeno, rimaneva un gas che non manteneva la respirazione. A Lavoisier spetta anche l'aver precisato con maggior chiarezza le proprietà elementari dell'azoto.
Chaptal de Chanteloup propose il nome di "nitrogeno" (da νίτρον nitro" e la radice γεν- "genero"), perché esso è un costituente del nitro. Il suo simbolo è N.
Stato naturale. - L'azoto costituisce circa i 4/5 dell'atmosfera e secondo Clarke occuperebbe, per la sua diffusione, il 17° posto tra gli elementi, nella quantità complessiva di 450.000.000 di milioni di tonnellate, mentre si può dire trascurabile la proporzione di esso sulla crosta terrestre nelle diverse combinazioni azotate.
Così si calcola che sopra 100 mq. di terreno si trovi una colonna d'aria contenente approssimativamente 800 tonn. di azoto elementare, mentre nel terreno corrispondente si ha al massimo 40-50 kg. di azoto combinato.
L'aria contiene minime tracce di azoto combinato, al massimo pochi milligrammi sotto forma di nitrato, nitrito, carbonato ammonico; l'acqua del mare solo mg. 0,4 di ammoniaca per litro.
La quantità dell'azoto combinato risulta una piccola frazione di quella totale. L'azoto è un elemento che passa difficilmente dallo stato libero a quello combinato e per combinarsi ad altri elementi ha bisogno che gli venga somministrata energia dall'esterno in quantità notevole.
In natura le combinazioni dell'azoto atmosferico sono determinate da due ordini di fatti: le scariche elettriche e l'attività di alcune specie di microrganismi nel terreno.
I composti azotati che si trovano nell'atmosfera e che sono essenzialmente nitrato, nitrito e carbonato ammonico, provengono non solo dalle scariche atmosferiche, ma anche dalla combustione e decomposizione di sostanze azotate nel terreno e nelle acque.
L'acqua piovana porta al terreno questo azoto in ragione di circa 12 kg. per ettaro e per anno.
Il terreno riceve inoltre in restituzione l'azoto delle sostanze vegetali ed animali che subiscono processi di fermentazione e di decomposizione.
Altra fonte di rifornimento di azoto per il terreno è data dall'azione delle leguminose che assimilano direttamente l'azoto atmosferico e, con il concorso di speciali microrganismi che vivono in simbiosi con queste piante, lo fissano al terreno in combinazioni che possono essere utilizzate dalle piante.
Di questo fenomeno si giova largamente l'agricoltura per fertilizzare il terreno. Però, di fronte a questi processi che portano al terreno nuove quantità di composti azotati traendoli dall'azoto libero, i giacimenti di composti azotati sono rarissimi sulla terra e quelli assai noti del Chile e del Perù si sono formati per condizioni eccezionali. Così pure i banchi di guano costituiti da escrementi di uccelli marini sono formazioni eccezionali.
La ragione che impedisce l'accumularsi di notevoli quantità di nitrati e di sali ammoniacali è la loro forte solubilità: essi vengono sciolti e trasportati dalle acque piovane che lisciviano il terreno; i fiumi li convogliano al mare. Nel mare, anziché accumularsi, i nitrati sono decomposti con formazione di ammoniaca che viene restituita all'atmosfera, per ripetere il ciclo delle trasformazioni già accennate.
Una parte però dei prodotti combinati è scomposta con sviluppo di azoto libero e questo fenomeno può essere determinato dall'azione di speciali batterî denitrificatori, o da speciali reazioni, come la combustione del legno delle sostanze organiche e la rapida scomposizione, come avviene nelle esplosioni, di sostanze azotate.
Preparazione dell'azoto per via chimica. - Tra i varî metodi di preparazione, citiamo anzitutto quelli che si basano sulla decomposizione del nitrito di ammonio:
Questo sale non si ha facilmente allo stato puro, e perciò si preferisce scaldare una miscela di cloruro ammonico e nitrito sodico in soluzione concentrata, o, meglio ancora, una miscela di questi sali con bicromato potassico. Il gas prodotto contiene impurezze che possono venire eliminate facendo passare il gas su rame rovente, o attraverso una soluzione di acido cromico.
Si può anche ottenere azoto scaldando bicromato di ammonio (NH4)2Cr2O7 = Cr2O3 + 4H2O + N2 oppure facendo passare su rame rovente un miscuglio di ossidi di azoto.
Facendo gorgogliare cloro nell'ammoniaca concentrata, e mantenendo sempre in eccesso l'ammoniaca (per impedire la formazione di cloruro di azoto, esplosivo), si ha sviluppo di azoto:
Si può anche far agire una soluzione di ipoclorito di calcio con solfato o cloruro di ammonio.
L'urea con ipobromiti ed ipocloriti alcalini (in eccesso) sviluppa azoto:
Preparazione dall'aria (v. anche aria). - Qui rammentiamo che per avere azoto dall'aria basta eliminare l'ossigeno con fosforo acido pirogallico, idrato ferroso, idrosolfito sodico, ecc. L'azoto che così si ottiene è accompagnato dai gas nobili.
Per eliminarli occorre sottoporre a liquefazione frazionata l'aria gassosa o a distillazione frazionata l'aria liquida, approfittando delle differenze nei punti di ebollizione dell'ossigeno e dell'azoto liquidi, e purificare poi i due gas come è detto a proposito dell'argo (v.).
Proprietà fisiche. - A temperatura ordinaria, l'azoto è un gas senza colore né odore né sapore. Liquefatto si presenta come un liquido chiaro, mobile, senza colore.
Il peso di un litro di azoto atmosferico è stato trovato di gr. 1,2568, mentre per l'azoto puro è di gr. 1,2505 a 0,760 mm. e a 45° di latitudine.
La molecola dell'azoto è biatomica, N2, e fino a 1690° non è stata osservata dissociazione apprezzabile.
La temperatura critica è −145°, la pressione critica 34 atmosfere, la densità critica 0,311.
Si distinguono comunemente due spettri dell'azoto: uno a bande ed uno a righe; quest'ultimo compare con la scarica condensata.
La solubilità dell'azoto nell'acqua può desumersi dalla seguente tabella, nella quale β rappresenta il coefficiente di assorbimento, cioè il volume di gas, ridotto a 0° e 760 mm., che è assorbito da un volume di liquido, quando la pressione del gas sul liquido è di 760 mm. (detratta la tensione di vapore del liquido); S rappresenta la solubilità, cioè il volume di gas, ridotto a 0° e 760 mm., assorbito da un volume di liquido, alla pressione barometrica di 760 mm.; q è la quantità in grammi di gas assorbito da 100 gr. di liquido alla temperatura indicata, quando la pressione parziale del gas, sommata con la pressione di vapore del liquido, sia in totale 760 mm.:
Secondo Bunsen il coefficiente di assorbimento a t0 è: β = 0.020346 − 0,00053887 t + 0,000011156 t2.
La solubilità dell'azoto nell'alcool è maggiore che nell'acqua; infatti si ha: β = 0,126338 − 0,000418 t + 0,0000060 t2.
Proprietà chimiche. - L'azoto è stato nei primi tempi considerato come dotato di pochissima tendenza a reagire; in realtà esso possiede affinità notevole per certi elementi e debolissima per altri, ed è un elemento di prim'ordine nell'economia animale e vegetale. È stato anche definito come "la figura centrale nella chimica di guerra", poiché esso entra come costituente essenziale nella quasi totalità degli esplosivi oggi usati.
L'azoto potrebbe considerarsi gas inerte nel senso che è difficile iniziare le reazioni alle quali partecipa allo stato libero; occorre ordinariamente operare a temperatura elevata, e questo si attribuisce al fatto che la molecola N2 è relativamente stabile, e che l'azoto diventa chimicamente attivo solamente in condizioni tali da aversi la dissociazione: N2 ⇄ 2N
Nella fig. 2 viene riprodotta la cosiddetta "superficie di affinità dell'azoto" (secondo Martin), costruita esprimendo l'affinità di un elemento per un altro in funzione dei calori relativi di dissociazione. e riportando nelle tre dimensiorii le affinità degli elementi, per gruppi e serie del sistema periodico. Le relazioni di un elemento con un altro possono così venire rappresentate dalla distanza dal piano orizzontale o da una specie di superficie.
L'azoto può in determinate condizioni venire unito direttamente all'idrogeno per formare ammoniaca, e sono conosciuti varî idruri di azoto.
Con l'ossigeno, l'azoto può combinarsi anche in speciali condizioni, e a tale combinazione è connessa la possibilità di preparare industrialmente composti azotati dall'azoto atmosferico. Dall'ozono l'azoto non è ossidato, mentre da vapor d'acqua e azoto sotto l'azione di scariche elettriche (Thénard, Berthelot) è stato ottenuto nitrito ammonico.
L'affinità dell'azoto per gli alogeni è piccola; è maggiore per lo iodio che non per il fluoro; col cloro l'azoto forma un cloruro, col bromo un bromuro, con lo iodio uno ioduro.
Pure piccola è l'affinità dell'azoto con gli elementi dei gruppi dello zolfo e del fosforo, per quanto esistano composti dell'azoto con tali elementi. Anche verso gli elementi del gruppo del carbonio l'azoto ha poca affinità: Berthelot ha osservato che il carbone secco non si unisce con l'azoto sotto l'azione della scarica elettrica; però se è presente acqua o idrogeno, si forma acetilene, il quale con l'azoto forma acido cianidrico.
Un notevole numero di azoturi è stato preparato scaldando gli elementi ad alta temperatura in atmosfera di azoto: tantalio, titanio, silicio, boro, alluminio, torio, cerio, lantano, praseodimio, neodimio, cromo, tungsteno, dànno quasi tutti, ad alta temperatura, azoturi, e così pure i metalli alcalino-terrosi ed i metalli alcalini; es.: 3Mg + N2 = Mg3N2.
Forme allotropiche. - Varî sperimentatori avevano osservato che facendo passare la scarica condensata attraverso l'azoto rarefatto si otteneva brillante luminescenza gialla, e che questa persisteva per un tempo considerevole anche dopo la cessazione della scarica. R. J. Strutt (1911) mostrò che il gas in queste condizioni diventa chimicamente assai più attivo dell'azoto comune. Lo schema dell'apparecchio per ottenere questo azoto attivo è indicato nella fig. 3; la corrente di azoto rarefatto viene fatta passare attraverso al tubo S, mentre in questo sta passando la scarica condensata proveniente da un rocchetto di Ruhmkorff, i cui poli sono connessi con le armature di una batteria di bottiglie di Leida. Quando l'azoto passa nel recipiente A, appare una luce brillante gialla, che dà uno spettro caratteristico formato da bande rosse, gialle, verdi d'intensità pressoché eguale. È stato osservato che tracce di sostanze estranee (come ossigeno, metano, etilene, ossidi del carbonio, idrogeno solforato e vapori di mercurio) sono necessarie per la produzione dell'azoto attivo, o che almeno esse rendono la luminosità più intensa. Secondo R. J. Strutt, la proporzione di ossigeno capace di produrre l'effetto massimo è di una parte in 500 di azoto; superando questa percentuale, l'intensità della luminosità diminuisce; col 2% di ossigeno sparisce completamente. Operando con azoto esente da ossigeno la luminosità aranciata era preceduta da una serie di piccole esplosiōni (dovute probabilmente alla reazione tra azoto attivo e mercurio proveniente dalla pompa, con formazione di azoturo di mercurio), e da una fluorescenza violetta intensa.
L'azoto attivo eccita una fluorescenza verde o verde bluastra in varî sali; esso non reagisce con l'ossigeno né con l'idrogeno, ma con i vapori di iodio, e con quelli di zolfo dà una fiamma turchina, con cloruro di zolfo forma solfuro di azoto giallo. Con l'ossido nitrico, l'azoto attivo forma perossido di azoto, secondo l'equazione 2NO + N = NO2 + N2, e la reazione è accompagnata da una fiamma giallo-verdastra; col fosforo ordinario si ha reazione mentre contemporaneamente si forma fosforo rosso.
Con i vapori di molti metalli, come mercurio, sodio, cadmio e zinco, si formano azoturi, ed anche con molte sostanze organiche si ha reazione e si originano derivati del cianogeno.
Sulla natura di questo azoto attivo, Strutt ha emesso l'ipotesi che si tratti di azoto allo stato atomico. La formazione di questo, secondo l'equazione N2 ⇄ 2N, sarebbe una reazione invertibile, regolata da condizioni più o meno favorevoli al suo compiersi. È stato anche osservato che l'andamento della diminuzione della luminosità dell'azoto attivo (luminosità che ha la durata di circa 30″, ed è inizialmente giallo-aranciata, poi giallo-verdastra), corrisponde a una reazione bimolecolare.
Accanto a quest'ipotesi vi è l'altra che l'azoto attivo sia costituito da molecole metastabili N2; si è anche pensato che il costituente principale dell'azoto attivo sia l'azoto triatomico N3 (triazone o nitrozone), ma tutti i tentativi di Strutt per condensare una qualsiasi forma di azoto sono stati vani.
Una modificazione dell'azoto, probabilmente diversa da quella di Strutt, è stata osservata facendo l'elettrolisi di soluzioni di azotidrato di sodio, e di una soluzione di azotidrato in acido azotidrico a −78°; un'attivazione dell'azoto è stata trovata anche per mezzo dei raggi del polonio, e in questi casi è stata ammessa la possibilità di formazione di molecole N3.
Valenza dell'azoto. - L'azoto è trivalente e pentavalente. Nei composti dell'azoto pentavalente almeno una valenza è occupata sempre da un gruppo diverso dagli altri, p. es. NH4Cl.
Mentre le valenze dell'azoto trivalente si possono supporre in un piano, per l'azoto pentavalente, per spiegare alcuni fatti, bisogna ammettere che la quarta e quinta valenza siano in un piano diverso dalle altre tre.
Volendo ricorrere a una rappresentazione spaziale, non è possibile pensare ad una disposizione analoga a quella del carbonio, non esistendo poliedri regolari con cinque vertici, e quindi si è supposto che certe valenze dell'azoto abbiano direzioni speciali.
Un primo modo di rappresentazione può ricondursi alla formula cubica o tetraedrica di Van't Hoff (fig. 4), il quale immaginò l'atomo di azoto nell'interno di un cubo, con le sue valenze dirette verso cinque spigoli. Opportunamente scegliendo la posizione del punto rappresentante l'atomo di azoto, tre delle valenze possono venir rese eguali, e le due rimanenti diverse tra loro e dalle altre.
Secondo un'altra ipotesi dovuta al Bischof, l'atomo di azoto si troverebbe nell'interno di una piramide a base quadrata, come è indicato nella fig. 5.
Peso atomico dell'azoto. - Le numerose determinazioni di peso atomico, hanno quasi concordemente portato al valore 14,01 (più precisamente 14,008) riferito all'ossigeno fatto uguale a 16.
Il numero atomico dell'azoto è 7, e non sono stati identificati isotopi.
A mezzo del bombardamento dell'azoto gassoso con le particelle prodotte dal radio C, il Rutherford e il Chadwick hanno potuto constatare la formazione d'idrogeno.
Secondo le tabelle di Bohr, modificate da Stoner, la struttura elettronica dell'atomo di azoto risulta di due elettroni nel primo strato intorno al nucleo (anello L) e da 5 elettroni, secondo strato (anello L) distribuiti in un gruppo di 2 (eletironi 22) e in un gruppo di 3 (elettroni 21).
Composti idrogenati. - I principali sono:
Ammoniaca. - È una sostanza gassosa, incolore, di odore pungente e sapore alcalino (v. ammoniaca).
Idrazina o diammide N2H4. - Il nome idrazina fu dato da Fischer (1875) alla diammide (a quel tempo ipotetica) H2 = N − N = H2, della quale erano noti derivati organici.
L'idrazina si forma da vārie sostanze organiche contenenti atomi di azoto appaiati; si ottiene pure per riduzione dell'acido iponitroso e si prepara per azione della cloroammina NH2Cl sull'ammoniaca:
A questa reazione se ne oppongono due altre:
che però possono venir ritardate rendendo più vischiosa la soluzione per aggiunta di gelatina.
Dal cloridrato d'idrazina per aggiunta di acido solforico si ottiene il solfato. Trattando i sali d'idrazina con idrato potassico e distillando si ha l'idrato d'idrazina, che bolle a 119°. L'idrato a sua volta mescolato con ossido di bario dà idrazina anidra, che è un liquido incolore, corrosivo, fortemente fumante all'aria.
L'idrato corrisponde alla formula N2H4•H2O e a 170° si dissocia completamente in idrazina ed acqua; l'idrazina bolle a 113°,5, alla pressione ordinaria.
L'idrazina e le sue combinazioni riducono il liquido di Fehling, il nitrato d'argento ammoniacale e il cloruro d'oro.
Sali d'idrazonio. - L'idrazina è fortemente basica e forma due serie di sali (sali di idrazonio) cosicché può essere riguardata come una base biacida o meglio come una bibase; nei sali della serie monoacida il radicale idrazinico è N2H5, in quelli dell'altra serie N2H6.
La prima dissociazione corrisponde a quella di una base della forza dell'ammoniaca; la seconda è assai più debole.
Acido azotidrico o azoimide N3H. - Fu ottenuto da Curtius nel 1890 per reazione tra idrazina e acido nitroso
Lo si può ottenere anche secondo la reazione:
Altre reazioni per le quali si forma acido azotidrico sono:
L'acido azotidrico è un liquido volatile, mobile, incolore.
Bolle a 37°. Allo stato puro e in soluzione concentrata può dar luogo a esplosioni, specialmente per riscaldamento; è il composto più endotermico tra gl'idruri di azoto.
La densità di vapore corrisponde alla formula N3H, e dalle sue soluzioni acquose è stato dedotto che è un acido all'incirca della forza dell'acido acetico (K = 1,5 × 10-5 circa a 20°).
Gli azotidrati alcalini sono abbastanza stabili, quelli dei metalli pesanti sono esplosivi.
Esistono anche composti come N3Cl (da acido azotidrico con ipoclorito) N3Br, N3I, i quali sono fortemente esplosivi.
L'azotidrato di sodio dà con cloruro ferrico colorazione rossa simile a quella dei solfocianuri; la colorazione però sparisce con gli acidi, e sparisce anche per riscaldamento con separazione di idrato ferrico (reazione caratteristica).
Idrossilammina o ossiammoniaca NH2OH. - I suoi sali si possono preparare riducendo con stagno e acido cloridrico l'acido nitrico e gli ossidi di azoto: 2NO + 3H2 = 2NH3O.
La soluzione contiene cloridrato di idrossilammina e cloruro di stagno; precipitando lo stagno con H2S, filtrando, evaporando a secchezza ed estraendo il residuo con alcool assoluto, si ottengono, dopo evaporazione, cristalli di cloridrato di idrossilammina NH2, OH•HCl. Si può anche ottenere idrossilammina elettrolizzando con diaframma ed elettrodi di piombo amalgamato una soluzione solforica di acido nitrico o nitroso.
L'idrossilammina libera, che fu isolata nel 1891, si presenta sotto forma di cristalli senza odore o sapore, fondenti a 33°-34° in un liquido che bolle a 56°-57° sotto una pressione di 22 mm.
A temperatura piuttosto bassa (sotto 10 gradi) l'idrossilammina comincia a decomporsi gradualmente.
È miscibile con l'acqua in tutte le proporzioni, e la soluzione acquosa reagisce alcalina.
L'idrossilammina ha carattere anfotero, in quanto rispetto agli alcali agisce come acido debole formando idrossilammiti, e rispetto agli acidi si comporta analogamente all'ammoniaca formando una serie di sali.
Agisce in generale come riducente, ma può anche agire da ossidante.
Ossidi. - Gli ossidi dell'azoto sono cinque:
Non è certo che N2O possa considerarsi come anidride dell'acido iponitroso H2N2O2 e che NO possa considerarsi come anidride dell'acido nitroidrossilamminico H2N2O3.
All'anidride nitrosa e all'anidride nitrica corrispondono invece gli acidi nitroso, HNO2 e nitrico HNO3; N2O4 viene chiamato anche anidride nitroso-nitrica perché con acqua dà una molecola di acido nitroso e una di acido nitrico.
In particolari condizioni si sono avuti indizî dell'esistenza di altri ossidi dell'azoto, come NO3 o N2O6 (esossido di azoto), e (N3O4)2.
Ossido nitroso N2O. - Ottenuto nel 1772 da Priestley che lo chiamò "aria nitrosa deflogisticata", fu nel 1793 da J. R. Deiman e collaboratori, riconosciuto come un ossido inferiore dell'azoto; nel 1800 H. Davy eseguì su di esso un esteso studio accertandone le proprietà fisiologiche, per cui è stato chiamato gas esilarante.
Comunemente si ottiene riscaldando il nitrato ammonico verso 170°-260°:
il gas ottenuto deve venire purificato facendolo passare ripetutamente attraverso ad una soluzione di solfato ferroso e ad un'altra d'idrato sodico. Per avere il gas a un alto grado di purezza è stato consigliato di convertire prima l'ossido nitroso in idrato e poi decomporre l'idrato stesso. La preparazione dell'ossido ha dato alcune volte origine ad esplosioni; occorre quindi prendere alcune precauzioni, come quella di mescolare il nitrato ammonico con sabbia secca e riscaldare a 260°-285°.
Sono stati proposti anche altri metodi, consistenti sia nel riscaldare un miscuglio secco di nitrato sodico, nitrato potassico e solfato ammonico, sia nel produrre la riduzione dell'acido nitroso mediante rame, secondo le reazioni:
È stato anche proposto di far reagire il nitrito di sodio sulla idrossilammina, ed anche di ricorrere alla riduzione dei nitrati con acido formico secondo la reazione:
A temperatura ordinaria l'ossido nitroso è un gas incolore dotato di debole odore e di sapore dolce; forma un liquido incolore ed un solido pure incolore. Il peso del litro nelle condizioni normali è di gr. 1,9775, ed il peso molecolare (H = 1) è stato trovato da J. S. Stas eguale a 43.98.
È facilmente liquefacibile: la temperatura critica è 36°,5, la pressione critica circa 75 atmosfere. Il liquido bolle a −90° circa, e il solido fonde a circa −100°.
È molto solubile nell'acqua (un volume di acqua a 0° scioglie circa un egual volume di N2O). Secondo alcuni autori, con acqua l'ossido nitroso forma un idrato N2O•H2O = (NOH)2 avente proprietà acide, e un idrato N2O•6H2O (ossido nitroso esaidrato).
Scaldato si scompone e la scomposizione è completa verso 900°.
L'idrogeno brucia nell'ossido nitroso e il miscuglio esplode con la scintilla elettrica; anche lo zolfo e il carbone rovente bruciano vivacemente nell'ossido nitroso.
Viene adoperato come anestetico.
Ossido nitrico o ossido di azoto NO. - Ottenuto inizialmente per azione dell'acido nitrico su metalli o anche su sostanze organiche, fu chiamato "aria nitrosa". H. Cavendish dimostrò che contiene azoto e ossigeno, e H. Davy, J. L. Gay-Lussac e L. I. Thénard ne stabilirono la composizione.
L'ossido nitrico si forma in un grande numero di reazioni, molte delle quali si riconnettono all'importantissimo problema della fissazione dell'azoto atmosferico.
Così si ha formazione di ossido nitrico nell'aria sottoposta all'azione dell'elettricità o di alte temperature, nella fiamma ammoniaca-ossigeno, nell'ossidazione dell'ammoniaca con ossidi metallici, nell'ossidazione dell'acido cianidrico a circa 800° in presenza di catalizzatori, nell'azione dell'azoturo di boro su ossidi metallici, nell'elettroriduzione dell'acido nitrico, ed anche nel trattamento dell'acido nitrico, dell'acido nitroso, del perossido d'azoto, con sostanze riducenti (carbone, fosforo, zolfo, sostanze organiche, ossidi inferiori di metalli, sali metallici).
Per la preparazione dell'ossido nitrico è stato proposto di fare agire sul mercurio un miscuglio di acido solforico col 2% di nitrito sodico. Si può purificare il gas facendolo prima assorbire da una soluzione concentrata di solfato ferroso, e facendolo poi nuovamente sviluppare per riscaldamento o lo si può purificare per distillazione frazionata dopo liquefazione.
Più comunemente si prepara ossido nitrico per riduzione dell'acido nitrico. Così, facendo agire bismuto, rame, piombo, argento o mercurio con acido nitrico del peso specifico 1,2-1,3 si ottiene ossido nitrico, che, nel caso del rame, è tanto più puro quanto più diluito è l'acido e quanto più viene mantenuta bassa la temperatura di reazione. La reazione è la seguente:
Anche facendo agire nitrato potassico con una soluzione calda di cloruro ferroso acida per acido cloridrico, si ha:
A temperatura ordinaria l'ossido nitrico è un gas incolore; allo stato liquido è incolore in strati sottili, ma azzurro chiaro in strati spessi. Il peso molecolare corrisponde alla formula NO, ma l'andamento della curva della tensione di vapore dell'ossido nitrico liquido e solido, presenta alcune anomalie che sono state attribuite ad una parziale polimerizzazione alle basse temperature. La temperatura critica (secondo K. Olszewski) è −93,5 e la pressione critica 71,2 atmosfere; il punto di ebollizione è −53°,6 ad una atmosfera di pressione.
Centimetri cubi 100 di acqua a 20° assorbono 4,71 cmc. di NO a 760 mm.; vol. 100 di acido nitrico di peso specifico 1,3 assorbono 20 vol. di ossido nitrico, e 100 cmc. di acido solforico di peso specifico 1,84 assorbono 3,5 cmc. di ossido nitrico.
Nelle soluzioni di solfato ferroso l'ossido nitrico si scioglie con colorazione bruna, che si ritiene corrispondere alla formazione di nitrosilsolfato ferroso FeSO4•NO. Sono anche stati studiati composti nitrosilici di altri metalli.
Per quanto riguarda l'assorbimento con sostanze solide, è stato trovato che il carbone di legna e il palladio in lamine assorbono quantità notevoli di ossido nitrico.
L'ossido nitrico non è combustibile e mantiene la combustione di alcune sostanze; è un gas irrespirabile perché in presenza di aria forma fumi rosso-bruni di perossido di azoto: 2NO + O2 = 2NO2.
La formula NO, dimostrata dalle analisi chimiche, concorda con le proprietà fisiche, ma poiché l'ossigeno è bivalente mentre l'azoto è comunemente considerato tri- o pentavalente, l'ossido nitrico deve venir considerato come un composto non saturo.
L'ossido nitrico è uno dei più stabili ossidi dell'azoto; scaldato in tubo chiuso comincia a decomporsi verso 600°, e la scomposizione è completa a circa 1690°.
Detona con ugual volume d'idrogeno se è fatto passare per un tubo scaldato al rosso.
Due volumi di ossido nitrico con uno di cloro formano un gas che, condensato a bassa temperatura, contiene cloruro di nitrosile NOCl; il carbone animale secco a 40°-5o° agisce da catalizzatore. Col bromo si ha analogamente bromuro di nitrosile NOBr.
Triossido di azoto o anidride nitrosa N2O3. - È molto incerto se l'anidride nitrosa possa esistere come tale allo stato gassoso, in quanto è da ritenere labile l'unione tra NO ed NO2; infatti mescolando nei rapporti stechiometrici NO ed NO2, la contrazione di volume corrisponde alla formazione di 2,5% soltanto di N2O3.
I varî modi di preparazione del triossido d'azoto forniscono realmente un miscuglio di NO ed NO2 che forma anidride nitrosa soltanto se condensato allo stato liquido, e che si dissocia nuovamente in gran parte secondo l'equazione N2O3 = NO + NO2 se portato allo stato gassoso. L'anidride nitrosa liquida è colorata in azzurro, ed è stabile a pressione ordinaria, a −21°. Per ottenere anidride nitrosa, qualunque sia il modo di formazione (da ossido nitrico liquido e ossigeno liquido; da ossigeno gassoso e ossido nitrico liquido e solido: da ossido nitrico gassoso e ossigeno liquido mescolato in tutte le proporzioni) bisogna operare sotto −110°; sotto l'azione dell'ossigeno, l'anidride nitrosa si trasforma in perossido d'azoto soltanto a temperature superiori a −100°.
Saturando perossido d'dzoto con ossido nitrico e raffreddando la soluzione, si separano cristalli azzurri di N2O3, che fondono a −103°; lo studio della curva di fusione non dà indizio di altro composto (N. M. Wittorff). La miscela eutectica di N2O4 e N2O3 fonde a −112°.
Si può ottenere una corrente regolare di gas, che si condensa come N2O3, quando si fa agire acqua sull'acido HO(NO2)SO2. Si formano acido solforico e acido nitroso, il quale si scinde in acqua e anidride nitrosa.
Si può anche far gocciolare acido nitrico di densità 1,35 su anidride arseniosa polverizzata o su amido.
Anche l'anidride nitrosa liquida non è stabile e può esistere soltanto in presenza dei suoi prodotti di dissociazione; certo il liquido azzurro non ha punto di ebollizione ben definito, e soltanto per interpolazione dalle curve della tensione di vapore si è potuto dedurre la temperatura di ebollizione −27° a 760 mm. Il fatto che la soda caustica diluita assorbe quantitativamente come nitrito il gas (mentre nel miscuglio dissociato soltanto NO2 è capace di reagire fornendo nitrito e nitrato) è stato spiegato supponendo che l'ossido nitrico e il perossido d'azoto abbiano cariche opposte N2O3 = NO + NO′2, cosicché l'ione Na reagirebbe con NO′2, l'ione OH′ con NOl, quindi con eccesso di soda si avrebbe soltanto nitrito.
La densità relativa del gas seccato fa ritenere che esso contenga molecole polimerizzate di anidride nitrosa, probabilmente N4O6.
Lo spettro d'assorbimento è identico a quello del perossido d'azoto.
Perossido o tetrossido d'azoto N2O4. - A temperatura ordinaria è un liquido di color rosso che solidifica a −9°,4 in una massa bianca cristallina. Appena comincia a fondere si colora in giallo ed il colore diventa sempre più intenso col crescere della temperatura. Verso 25° bolle e si trasforma in vapori rossi. Si prepara scaldando il nitrato di piombo secco, o un miscuglio fuso di nitrito e nitrato alcalino con acido solforico fumante:
oppure anche trattando un nitrito con acido nitrico:
Si ottiene anche facendo reagire acido nitrico fumante su anidride arseniosa.
Il colore del vapore è tanto più cupo quanto più alta è la temperatura. La variazione di colore è attribuita alla dissociazione di N2O4 in 2NO2. Le molecole N2O4 sono incolori e quelle NO2 sono colorate in rosso cupo. La variazione di temperatura sposta l'equilibrio N2O4⇄2NO2 a favore di NO2 e perciò il colore diventa sempre più intenso.
Questa interpretazione è giustificata dalla variazione della densità di vapore: a 140° infatti la densità corrisponde alla formula NO2.
La temperatura critica è 158°,2, la pressione critica 100 atmosfere.
Ha sapore e reazione acida, e i vapori sono molto nocivi. Il perossido di azoto liquido agisce come solvente associante.
È decomposlo dall'acqua
ed è perciò chiamato anche anidride nitroso-nitrica. L'acido nitroso si decompone però facilmente:
sicché la reazione risultante diviene 3NO2 + H2O = 2HNO3 + NO. Con gl'idrati alcalini si ha:
In presenza di aria o di ossigeno il nitrito che si forma è parzialmente ossidato a nitrato.
Il tetrossido d'azoto si scioglie nell'acido nitrico e ne aumenta la densità. Questa presenta un massimo al 42,5% in peso di perossido corrispondente ad un acido dinitrossidinitrico N2O5•N2O4•H2O, cioè 2HNO3•N2O4, che è stabile a −48°,5. Dallo studio della densità dei miscugli di acido nitrico e perossido di azoto è stata dedotta la possibilità di formazione di 2 composti:
Pentossido d'azoto o anidride nitrica N2O5. - È stata ottenuta come solido incolore scaldando a 60° nitrato d'argento anidro con cloro secco o con cloruro di nitrosile e raccogliendo il distillato in tubo raffreddato:
Si ottiene anche distillando un miscuglio di anidride solforica e acido nitrico.
Si presenta in cristalli lunghi trasparenti, incolori, che fondono a circa 30° in un liquido aranciato che a circa 45°, bolle decomponendosi in N2O4 + O. La decomposizione è favorita dalla luce.
Si scioglie in acqua con forte sviluppo di calore e forma acido nitrico.
Acidi ossigenati. - Gli acidi che qui più dettagliatamente consideriamo sono i seguenti:
Acido iponitroso H2N2O2. - Gl'iponitriti si possono avere per riduzione dei nitrati e dei nitriti con amalgama di sodio:
Dal liquido si precipita il sale d' argento Ag2V2O2 e da questo, sospeso in etere, si ottiene l'acido libero cristallizzato (A. Hantzsch e L. Kaufmann), aggiungendo soluzione eterea di acido cloridrico.
Anche dalla condensazione dell'idrossilammina o dei suoi derivati con acido nitroso si può avere acido iponitroso secondo lo schema fondamentale NH2OH + HNO2 = H2N2O2 + H2O, come pure si possono ottenere iponitriti dall'ossidazione dell'idrossilammina o dei suoi derivati, e dalla idrolisi di certi composti ossiamidici.
I cristalli di acido iponitroso sono molto instabili, ed esplodono con relativa facilità.
La conducibilità elettrica porta a ritenere che l'acido iponitroso è un acido all'incirca della stessa forza dell'acido carbonico. È bibasico, e questo è dimostrato oltreché dal peso molecolare, anche dalla esistenza di due serie di sali: gl'iponitriti normali R2N2O2 e gli iponitriti acidi o idroiponitriti RHN2O2.
Una soluzione acquosa di acido iponitroso si decompone lentamente in ossido nitroso e acqua: H2N2O2 = H2O + N2O.
L'acido iponitroso è molto stabile in presenza di riduttori, ma viene ossidato dagli ossidanti.
Trattando una soluzione d'idrossilammina e soda caustica in alcool metilico, con nitrato di metile, precipita una polvere bianca che è il sale sodico di un acido instabile, l'acido idrossilamminico H2N2O3. Questo sale trattato con un acido minerale dà sviluppo di ossido nitrico:
l'acido nitroidrossilamminico può venire perciò riguardato come un idrato dell'ossido nitrico.
Acido nitroso HNO2. - Si trovano nitriti nell'aria atmosferica nel suolo, nell'acqua; i batterî sono capaci di formare nitriti durante la putrefazione o la distruzione di sostanze organiche azotate.
L'acido nitroso puro non è stato isolato, ma si suppone esista libero nelle sue soluzioni acquose.
I nitriti si preparano:
1. Per azione degli ossidi d'azoto sugl'idrati alcalini. Una miscela di ossigeno e di ossido d'azoto (quest'ultimo in grande eccesso) in contatto con soluzione di potassa caustica forma nitrito potassico.
2. Per riduzione di nitrati fusi o delle loro soluzioni. La riduzione dei nitrati può venire eseguita in soluzione, per es.: con anidride solforosa, o a fusione, con piombo a 450°.
3. Per riduzione dell'acido nitrico. Facendo gorgogliare ossido nitrico attraverso acido nitrico si ha riduzione:
La reazione è però invertibile.
4. Per ossidazione dell'azoto, ammoniaca e composti idrogenati dell'azoto.
Una soluzione acquosa di acido nitroso si decompone lentamente:
La reazione è probabilmente invertibile. Essa è infatti ritardata notevolmente dall'aumento della pressione dell'ossido nitrico, e dipende dalla velocità con la quale viene eliminato l'ossido nitrico.
La costante di dissociazione dell'acido nitroso è circa 0,0005.
L'acido nitroso può agire come riducente e come ossidante. Quando viene ossidato ad acido nitrico agisce da riducente; così riduce il permanganato potassico:
Questa reazione viene utilizzata nella determinazione volumetrica dell'acido nitroso.
Come ossidante libera lo iodio dall'acido iodidrico:
e ossida i sali ferrosi a ferrici:
Ossida l'urea, ed è adoperato in chimica organica come agente di nitrazione.
La brucina in soluzione solforica non si colora in rosso con l'acido nitroso. Si ha invece colorazione rossa col reattivo di Griess (acido solfanilico e α-naftilammina in soluzione acetica).
Acido nitrico HNO3 (v. nitrico, acido).
Solfuri di azoto. - Non si conosce il solfuro d'azoto normale N4S3 ma sono stati preparati solfuri più complessi. Probabilmente in essi il costituente positivo è lo zolfo e il negativo l'azoto; sarebbe quindi più proprio chiamarli azoturi di zolfo.
Facendo reagire con bicloruro di zolfo SCl23 in soluzione benzolica, o con monocloruro S2Cl2, l'ammoniaca, si ottiene il solfuro di azoto N4S4 o tetrasolfuro di azoto:
Il monocloruro dà minore rendimento. Dopo filtrata la soluzione benzolica, si hanno per evaporazione cristalli di N4S4, che possono venir purificati per sublimazione nel vuoto.
Si può partire anche da tetracloruro SCl4:
Nella reazione tra ammoniaca liquida e zolfo si ha pure solfuro di azoto: 10S + 4NH3 = 6H2S + N4S4.
Forma cristalli giallo oro e rosso giallastri, che, scaldati a circa 150°, fondono, e che possono esplodere per percussione, o riscaldamento verso 180°.
I dati analitici corrispondono alla formula empirica NS, ma dalle determinazioni di peso molecolare si deduce la forma quadrupla N4S4.
Da N4S4 e solfuro di carbonio scaldando sotto pressione si forma pentasolfuro N2S5, secondo l'equazione:
Il pentasolfuro di azoto si produce in generale nella decomposizione del tetrasolfuro e dei suoi derivati.
È un liquido rosso cupo, che in strati sottili è trasparente, ed ha peso specifico 1,9. Raffreddato, fornisce una massa cristallina grigio acciaio, simile allo iodio, che fonde a 10°-11°; ha odore simile a quello dello iodio.
L'analisi e le determinazioni di peso molecolare portano alla formula N2S5.
Il pentasolfuro di azoto si decompone facilmente.
È insolubile in acqua. Con una soluzione alcalina di potassa e soda caustica una soluzione alcoolica di pentasolfuro d'azoto dà un'intensa colorazione transitoria violetto rossa, che è assai sensibile e caratteristica.
Composti alogenati. - Il fluoruro di azoto non sembra sia stato preparato, invece il cloruro d'azoto, NCl3, viene ottenuto facendo agire il cloro sull'ammoniaca acquosa. Si forma prima cloruro di ammonio il quale reagisce formando NCl3:
Se è presente un eccesso di ammoniaca si svolge invece azoto. Anche con ipocloriti e ammoniaca si può avere cloruro d'azoto:
Il cloruro d'azoto si presenta sotto forma di goccioline oleose di odore pungente, fortemente esplosive.
Aggiungendo una soluzione acquosa di bromuro potassico al cloruro di azoto si ha un olio scuro, che è bromuro di azoto, NBr3, anch'esso esplosivo.
Aggiungendo ad una soluzione acquosa di ammoniaca iodio solido, si ottiene una polvere bruna scura che fu creduta corrispondere allo ioduro di azoto, NI3.
Il prodotto è potentemente esplosivo e perciò è difficile analizzarlo; bei cristalli possono aversi aggiungendo ammoniaca ad una soluzione acquosa diluita d'ipoiodito:
La composizione del cosiddetto ioduro d'azoto è però incerta. Secondo F. Raschig, il primo precipitato che si forma è H3N : Nl3 (ammino trioduro di azoto); quando esso viene lavato passa al composto esplosivo NHI3, e poi a NI2.
Lo ioduro d'azoto è soprattutto esplosivo allo stato secco.
Produzione e consumo dei composti azotati.
Una proprietà caratteristica dell'azoto è la molteplicita delle combinazioni che esso forma, specialmente in composti organici che sono poi parte essenziale nella vita degli organismi.
L'azoto attraverso alle sue combinazioni e scomposizioni, fornisce all'organismo l'energia necessaria alla vita.
In base a questa constatazione risulta chiaro come l'intensità della vita vegetale ed animale sia in funzione della disponibilità delle quantità d'azoto combinato.
L'incremento naturale della popolazione del mondo, le maggiori esigenze conseguenti al progresso e alla civilizzazione dell'umanità, esigono sempre maggiori produzioni e maggiori disponibilità di prodotti.
Dapprima la produzione di sostanze azotate veniva fatta realizzando le condizioni favorevoli perché i processi naturali avessero il migliore svolgimento.
Sotto la prima repubblica francese era monopolio di stato la raccolta e la lisciviazione dei prodotti azotati che si formano spontaneamente, specialmente sui muri delle città molto umide, e con maggiore intensità nelle stalle.
Per lungo tempo furono esclusivamente noti i nitrati di soda e di potassa preparati naturalmente o artificialmente nel modo che si è detto.
Nel 1821 vennero riconosciuti i depositi di nitrato di soda naturale del Chile, ma solo nel 1831 in Europa si cominciò ad apprezzare il valore del prodotto.
Nei giacimenti del Chile il prodotto si trova allo stato grezzo sotto forma di ammassi irregolari e isolati, alternati con depositi di sale marino e di borato di calcio.
Altri giacimenti sono stati scoperti nel deserto di Atacama: i principali sono quello di Salinas, sotto il tropico e quello di Toco, più a nord, nel bacino del Loa.
Il minerale greggio chiamato caliche, contiene principalmente nitrato e cloruro di sodio, nitrato di potassa, solfato di soda. Il nitrato di soda è molto più solubile a caldo che a freddo, mentre la solubilità del cloruro varia poco con la differenza della temperatura.
La separazione dei due sali si fa facilmente per saturazione all'ebollizione, decantazione e raffreddamento.
Lo sfruttamento dei depositi naturali consiste nel disaggregare lo strato del giacimento superficiale con esplosivo, scegliendo a mano il materiale ricco che viene trasportato all'officina, dove è sottoposto a una lisciviazione metodica a caldo e poi a cristallizzazione. Le acque madri e le acque di lavaggio sono evaporate per il ricupero dei sali che contengono.
Tenendo conto solo dei giacimenti con percentuali superiori all'11% d'azoto, si calcola su una riserva di 200 milioni di tonnellate di nitrato puro, corrispondenti a 35 milioni di tonnellate d'azoto.
Azoto organico fossile. - A lato dell'azoto non combinato dell'atmosfera, quantitativi importanti si trovano in forma combinata nella torba, nella lignite e nel carbone.
La torba contiene allo stato secco circa 1,5°% di azoto e 1,20% di azoto ricuperabile per distillazione come ammoniaca.
Si calcola a 60 miliardi di tonnellate di azoto la sola riserva europea. Disgraziatamente però questa fonte è inutilizzabile per il forte tenore in acqua della materia prima.
Il carbone nelle sue diverse qualità costituisce un minerale d'azoto più facile, ma meno abbondante; in media si può calcolare sui seguenti tenori:
Solo una piccola parte viene però in pratica ricuperata. Da un carbone grasso sottoposto a gassificazione, si raccolgono per tonnellata chilogrammi 2,25 d'azoto sotto forma d'ammoniaca; annualmente circa 450.000 tonn. d'azoto sono ricavate dall'estrazione di 1,2 miliardi di tonnellate di carbone.
Estrazione dell'azoto dall'aria. - Sotto forma inerte, l'azoto si può separare dall'aria per via chimica o per via fisica.
Fanno parte del primo sistema tutte le sostanze ossidabili che associandosi all'ossigeno arricchiscono l'aria in azoto.
Per via fisica figura invece il procedimento della liqueíazione dell'aria che permette di ottenere economicamente azoto ad alto titolo di purezza.
La soluzione con definitivo carattere industriale del problema della liquefazione dell'aria, si può considerare raggiunta nel 1900 con gli apparecchi di Linde. Le temperature di ebollizione dell'ossigeno e dell'azoto liquido sono un po' differenti, e precisamente l'azoto bolle a temperatura più bassa dell'ossigeno. Per conseguenza in un recipiente contenente aria liquida l'azoto più volatile bolle prima, lasciando indietro l'ossigeno; si ha così la separazione dei due gas. L'azoto così separato è utilizzato nei processi industriali di fissazione dell'azoto in forma combinata.
Ossidazione diretta dell'azoto. - I fenomeni chimici nei quali ha luogo la combinazione dell'azoto con l'ossigeno sono numerosi. In molti casi di combustione nell'aria si formano prodotti di ossidazione dell'azoto. Inoltre si era osservato che scariche elettriche nell'aria determinano la combinazione dei suoi principali costituenti.
Nel 1892 sir William Crookes mostrò che si poteva ottenere una fiamma d'azoto nell'ossigeno mediante l'arco elettrico prodotto dalla corrente di un grande apparecchio d'induzione. Fu in base a queste esperienze che per la prima volta si dimostrò la possibilità pratica di utilizzare l'azoto atmosferico per la preparazione dei prodotti azotati mediante l'elettricità. Numerose serie di studiosi e di esperimentatori s'interessarono al problema e numerosi brevetti di metodi e di dispositivi vennero proposti.
La realizzazione industriale dell'ossidazione diretta dell'azoto si basò su due punti essenziali: riscaldamento dell'aria alla più alta temperatura possibile e subitaneo raffreddamento. A questo scopo l'arco elettrico si presentò come il mezzo più adatto.
In pratica però il processo ha avuto difficoltà d'ordine economico per la debolissima concentrazione del prodotto che si ottiene, che implica da una parte riscaldare prima e raffreddare poi senza scopo il 99% dell'aria che è stata trattata, e poi separare un prodotto a forte diluizione.
Condizione indispensabile per poter sfruttare un tale processo è dunque avere a disposizione energia elettrica in quantità ed a prezzo assai basso. Per questo motivo gl'impianti sono sorti esclusivamente dove vi sia ricchezza di salti d'acqua, come in Norvegia, al Niagara, sulle Alpi.
I sistemi sfruttati industrialmente sono quelli che vanno sotto il nome di Birkeland Eyde-Forno Schonherr, adottati in Norvegia, il forno Naville e Guye, installati in Svizzera, il forno Pauling impiegato in Germania e il forno Rossi, fatto funzionare per alcuni anni a Legnano utilizzando energia di supero.
Il prodotto ottenuto dal forno sotto forma di ossido di azoto viene successivamente ossidato ed assorbito come acido nitrico diluito, che è in seguito concentrato o utilizzato per preparare nitrato di calcio.
I rendimenti assai limitati delle trasformazioni implicano consumi di energia assai elevati, che rendono antieconomico il processo, salvo condizioni assolutamente di speciale favore nella disponibilità e nel prezzo dell'energia. In media si calcola che occorrano circa 60 kWh per ogni kg. di azoto fissato, cifra che può essere solo in parte ridotta con perfezionati sistemi di ricupero.
Idrogenazione indiretta dell'azoto. - Frank-Caro, e in seguito Polzenius, nel 1902 si occuparono del problema di fissare l'azoto per mezzo del carburo di calcio, preparando la calciocianamide; ma la realizzazione ed estensione industriale del processo fu possibile solo con un perfezionamento di notevole portata pratica elaborato in Italia, a Piano d'Orte.
II carburo finemente macinato viene immesso in storte. A mezzo di una resistenza si eleva la temperatura al centro della massa e s'innesca la reazione tra il carburo di calcio e l'azoto che si fa arrivare dalle macchine di liquefazione.
La reazione iniziata continua a spese del calore svolto dalla reazione stessa.
Con 4 tonn. di carburo si fissa una tonnellata d'azoto, impiegando mediamente: 3600 kg. di coke (di cui 30% per la produzione della calce); 15.000 kWh.; 7500 kg. di calcare.
La calciocianamide ha un contenuto del 20% d'azoto, viene direttamente usata come concime ed era prima utilizzata per la preparazione dell'ammoniaca. Quest'ultimo uso è stato abbandonato con il sorgere della nuova industria della sintesi diretta.
Idrogenazione diretta dell'azoto. - Il sistema chimico degli equilibrî azoto, idrogeno-ammoniaca, intravisto nel 1901 da Le Chatelier, non ebbe conferma scientifica e pratica che con gli studî e le esperienze di Haber e dei suoi collaboratori, iniziatesi nel 1905.
Il processo industriale che porta il nome di Haber venne realizzato industrialmente nel 1914 per iniziativa della Badische Anilin und Soda Fabrik; ma sebbene fossero state pubblicate le condizioni dell'equilibrio, erano stati tenuti segreti i particolari del processo e la soelta del catalizzatore.
In tutti i paesi furono durante la guerra intrapresi studî e ricerche sulla sintesi dell'ammoniaca, ma solo dopo la guerra si pubblicarono gli studî particolari sull'argomento e si rivelarono altri sistemi industriali per la preparazione dell'ammoniaca dall'idrogeno ed azoto.
Il processo della sintesi dell'ammoniaca consiste nella combinazione dell'idrogeno e dell'azoto, operando a temperatura e pressione opportune per rendere massima la velocità di reazione in presenza di sostanze che agiscono come catalizzatori. Per la produzione dell'ammoniaca sintetica, v. ammoniaca.
L'ammoniaca che si produce attualmente in quantitativi assai notevoli ha un consumo relativamente limitato come uso diretto. Nello stato gassoso, liquido od in soluzione, presenta gravi difficoltà d'immagazzinamento, trasporto e manipolazione. Nella quasi totalità essa viene adoperata per la composizione di prodotti fertilizzanti, il cui uso, che è di massima importanza per l'agricoltura, si va continuamente sviluppando.
Non meno importante del ramo industriale che attende alla preparazione dell'ammoniaca per sintesi, è l'industria che l'utilizza come materia prima per la sua trasformazione in prodotti che risultino di semplice uso e siano adatti alle operazioni d'utilizzazione e di trasporto nei luoghi di consumo.
L'azoto come fertilizzante è richiesto nelle due forme di azoto nitrico e azoto ammoniacale. L'azoto nitrico è ottenuto dall'ossidazione diretta dell'azoto dell'aria con l'arco elettrico o con l'ossidazione dell'ammoniaca attraverso il platino. L'acido nitrico che si ottiene non è utilizzabile per la somministrazione diretta al terreno e deve essere trasformato in sale solido combinandolo con calce, soda od ammoniaca.
Nei prodotti nei quali l'azoto è mantenuto sotto forma ammoniacale, l'ammoniaca è addizionata ad un acido per formare ancora un sale allo stato solido. Il supporto può presentare elementi pregevoli per la qualità della sua composizione, come l'acido nitrico fosforico, o essere inerte. In questo caso occorre che sia disponibile in grande quantità e a prezzo limitato (acido solforico, acido cloridrico).
I prodotti più largamente fabbricati sono il solfato ammonico, il nitrato d'ammonio, il nitrato di calcio, il fosfato d'ammonio.
Questi diversi prodotti sono considerati per il loro valore fertilizzante, in ragione del contenuto in azoto, e nella pratica il titolo che distingue i diversi prodotti è appunto il quantitativo di azoto in 100 kg. di prodotto. Le qualità industriali contengono:
Nelle tabelle seguenti sono riportati i dati riferentisi alla produzione e al consumo dell'azoto nell'Italia e nel mondo.
Dai dati esposti appare che alla fine della campagna 1927-28 la produzione mondiale complessiva d'azoto puro era già più che raddoppiata rispetto al 1913.
La produzione per sintesi, che nel 1913 rappresentava circa la quattordicesima parte della produzione mondiale, nel 1928 salì a quasi sedici volte il suo primitivo contingente.
Dal punto di vista economico, l'anno decisivo sull'andamento dei corsi mondiali dell'azoto fu il 1923, quando cominciò a far sentire la sua influenza la produzione sintetica. Nel 1923 il solfato ammonico aveva un prezzo medio europeo di lire sterline 17 per tonn. inglese; nelle successive campagne commerciali oscillò fra i seguenti massimi e minimi:
ed è attualmente stabilizzato circa a 10 lire sterline.
La larga produzione e il minor prezzo determinarono in tutti i paesi un notevole incremento di consumo.
Per la concorrenza dell'azoto sintetico, l'industria nitratiera chilena, la cui struttura primitiva aveva potuto reggersi soltanto quando il Chile esercitava una specie di monopolio sui mercati, riformò la propria organizzazione istituendo nuovi sistemi di produzione e di vendita, con l'intervento del proprio governo.
Ma se, in quantità assoluta, la produzione di nitrato di soda del Chile si è avviata a ripigliare la quota dell'anteguerra, tale quantitativo non ha più quel preminente valore proporzionale che aveva nell'anteguerra, quando il 56% della produzione mondiale d'azoto era coperto dal Chile. Il primato è passato alla sintesi, che copre il 55% della produzione mondiale.
Si prevede però che il consumo abbia ancora a svilupparsi e che alla fine della campagna 1930-31 si raggiungano i 2 milioni di tonnellate, per due terzi circa messi sul mercato dalle fabbriche di azoto sintetico e per un terzo dal nitrato di soda chileno.
Il coefficiente medio di aumento nel consumo di azoto negli ultimi anni si è aggirato intorno all'11%.
In Italia la produzione di azoto per sintesi nel 1913 era imperfettamente apprezzabile: le statistiche di quell'anno la confondono con quella dell'azoto sottoprodotto.
Attualmente la sintesi copre il 78,3% del consumo nazionale, e l'azoto del nitrato chileno ne copre soltanto il 18,73%, contro la considerevole quota di 44,67% che teneva nell'anteguerra.
Il consumo è tuttora inferiore al fabbisogno reale dell'agricoltura e al consumo d'altri paesi. I dati riferiti alla campagna 1927-1928 risultano:
In Italia il consumo d'azoto per ettaro ha segnato i seguenti progressi: 1913 kg. 1,04; 1926 kg. 2,08; 1927 kg. 2, 10; 1928 kg. 2,88.
Le seguenti cifre dànno l'idea della proporzione fra la produzione dell'azoto e la produzione degli altri principali elementi fertilizzanti:
Bisogna ricordare che in realtà il consumo mondiale d'azoto è incalcolabilmente superiore a quello qui considerato. È possibile fare una statistica dell'azoto prodotto e venduto industrialmente, ma non è possibile farne una dell'azoto organico.
Assimilazione dell'azoto.
Le sostanze organiche azotate concorrono largamente alla costituzione chimica dei vegetali ed è facile constatarne la presenza sottoponendo, a caldo, un frammento qualsiasi di vegetale all'azione della calce sodata, con che si ha, in ogni caso, sviluppo di ammoniaca. Del resto è risaputo che il protoplasma è costituito da sostanze proteiche e che queste entrano nella composizione dei succhi vegetali e del materiale di riserva che si accumula nei semi. Le piante dunque debbono largamente attingere dall'ambiente in cui vivono l'azoto necessario all'elaborazione di tali prodotti; e difatti lo attingono dai nitrati e nitriti, dai sali ammoniacali, dalle sostanze organiche azotate e dall'aria atmosferica. Ad esse poi il compito di fissarlo, di procedere cioè alla sua organicazione, mediante processi di combinazione con le sostanze ternarie che si formano per attivita clorofillica.
a) Azoto sotto forma di nitrati e nitriti. - L'assimilabilità dei nitrati e l'azione benefica che essi esercitano sulla vegetazione fu già messa in luce da Boussingault, da Hellriegel e Wilfarth, da Fremy e Dehérain, e da Wagner.
Il primo coltivò degli Heliantus in terreno sterile, al quale aggiunse proporzioni diverse di nitrati, e analoghe esperienze condusse usando nitrati con cenere e fosfati: dopo un certo tempo pesò allo stato di secchezza le piante ottenute nelle singole prove, ed ottenne i risultati seguenti:
Hellriegel e Wilfarth sperimentarono invece il nitrato di calcio su terreno artificiale, costituito da sabbie calcinate e addizionate di carbonato di calcio, cloruro e fosfato di potassio, e di solfato di magnesio. A questo terreno aggiunsero quantità diverse di nitrato di calcio e vi coltivarono dell'orzo. Determinando poi, caso per caso, il peso del raccolto secco, il numero dei semi e il peso di ciascun seme, ottennero i seguenti risultati:
A risultati altrettanto decisivi condussero le esperienze di Fremy e Dehérain su barbabietole coltivate comparativamente in terreni agrarî e in terreni artificiali, in assenza e in presenza di nitrato di sodio: da un minimo cioè di gr. 41 d; prodotto, ricavato da terreno agrario non concimato, ottennero un massimo di gr. 1921 da terreno agrario addizionato di perfosfato, cloruro di potassio e nitrato di sodio: analogamente Wagner da un terreno non concimato e coltivato ad orzo ottenne un prodotto di kg. 2000 per ettaro, in confronto di kg. 4800 ottenuti, per aggiunta allo stesso terreno, di sali potassici, fosfati e nitrato di sodio.
Tumerosi altri esperimenti confermarono questi primi risultati, per cui in conclusione si può dire che l'azoto nitrico determina reali vantaggi sulla produzione e sullo sviluppo dei vegetali, e la quantità dei prodotti risulta sensibilmente proporzionale alla quantità di nitrato impiegata.
Da ciò dunque l'uso dei nitrati nella pratica della concimazione, ormai confortato da lunghi anni di esperienze e dal consenso unanime degli agricoltori.
Controversa è stata invece la questione dell'assimilabilità dell'azoto nitroso, la quale acquistò particolare importanza con la comparsa sul mercato europeo del concime azotato artificiale "nitrato-nitrito di calcio". Era dubbio infatti se i nitriti esercitassero un'azione nociva o se agissero nello stesso senso che i nitrati, anche per la facile ossidabilità dell'azoto nitroso in nitrico. Di azione nociva parlavano le vecchie esperienze di Kirner e Lucanus (1866), i quali con soluzioni al 15% di nitriti avevan provocato la morte di piante di avena; e di azione contraria alla vita delle muffe parlavano alcune più recenti esperienze di Raulin, di Molisch e di Laurent. D'altra parte O. Löw sostiene l'innocuità dei nitriti rispetto alle alghe; Sestini, Schlösing e Stutzer rilevano che il grano e il mais presentano lo stesso sviluppo e danno lo stesso rendimento, siano essi concimati con nitriti o con equivalenti quantità di nitrati; e più decisamente Perciabosco e Rosso dimostrano l'assimilabilità diretta dell'azoto nitroso, mettendosi in condizioni da evitare ogni processo intermedio di ossidazione in azoto nitrico. La questione, dunque, non è del tutto risolta, ma più recenti esperienze eseguite nel Canada fanno pensare che l'azione dei nitriti varia col variare dei vegetali. Così ad esempio mentre l'avena non risentirebbe alcun danno dall'uso del nitrato sodico nella proporzione di 150-300 libbre per acre, né durante la germinazione del seme, né negli altri stadî di sviluppo del vegetale, il granoturco, le fave e i piselli sarebbero sensibilmente danneggiati (in alcuni casi fino ad impedire la germinazione) e le patate riporterebbero danni minori.
Anche questi risultati attendono ulteriore conferma; ma dal punto di vista pratico, tenuto conto della facile ossidabilità dei nitriti, si può concludere che la loro eventuale presenza nei prodotti azotati sintetici destinati all'agricoltura non deve destare gravi preoccupazioni.
b) Azoto ammoniacale. - Le prime esperienze sull'utilizzazione diretta dell'azoto ammoniacale da parte delle piante sono dovute al Müntz, il quale studiò gli effetti del solfato ammonico in un terreno portato prima a 100°, in maniera da distruggerne i microrganismi nitrificanti. Fino a quel momento infatti era lecito dubitare che i benefici effetti dei sali ammoniacali fossero dovuti alla loro trasformazione in nitrati; e che perciò l'azoto ammoniacale, per essere assimilato, dovesse prima assumere la forma nitrica. Il Müntz, in quelle condizioni, ottenne i risultati seguenti:
Risultati altrettanto convincenti ottenne il Ville impiegando diversi sali ammoniacali (cloruro, solfato, nitrato, fosfato) sempre in condizioni da evitare la nitrificazione. Così, per es., in piante di frumento coltivate in un terreno privo di composti ammoniacali trovò in media gr. 0,058 di azoto, mentre in altre coltivate in presenza di sali ammoniacali l'azoto salì in media a gr. 0,136.
Né mancarono ulteriori conferme da parte di altri sperimentatori, i quali dimostrarono che l'assorbimento dei sali ammoniacali, o anche dell'ammoniaca libera, può avere altresì luogo per le parti aeree della pianta; l'assorbimento per tale via metteva fuori discussione ogni processo intermedio di nitrificazione.
A. Mayer, per es., da piante di frumento sulle cui foglie era stata spruzzata una soluzione diluita di carbonato ammonico ottenne i seguenti risultati:
E successivamente Pitsch e van Lockeren-Campagne dimostravano che l'ammoniaca libera, purché contenuta in piccola quantità nell'aria limitata in cui si compie l'esperienza, è anch'essa assorbita dalle parti aeree delle piante, e Müntz, Laurent e Marchal, alla loro volta, dimostravano che la luce favorisce notevolmente l'assimilazione dell'ammoniaca. Si giunge così alle recenti esperienze di Prianišnikov, intorno all'assimilabilità dell'azoto ammoniacale da parte delle piante superiori.
Egli opera con soluzioni di sali ammoniacali e nitrati; e poichè all'assorbimento del catione corrisponde una modificazione nella reazione del liquido, egli evita questo inconveniente seguendo tre vie diverse:
a) aggiunta di carbonato di calcio; b) rinnovamento frequente della soluzione nutritiva; c) uso di sali ammoniacali da acido debole, quale carbonato d'ammonio.
In tutti e tre i casi egli ottiene risultati i quali confermano l'assimilabilità diretta dell'ammoniaca, ma i risultati stessi conducono anche alla conclusione che, finché non si opponga la reazione del terreno, l'assimilazione ammoniacale è più rapida di quella dei nitrati e che perciò l'ammoniaca si può considerare come prodotto ultimo di trasformazione delle materie organiche azotate, ma anche come materia prima per la rigenerazione di esse. "E se in natura, dice il Prianišnikov, constatiamo un certo parallelismo fra nitrificazione e sviluppo delle piante, le cause di questo parallelismo sono di natura secondaria; in quanto che tutto ciò che impedisce la nitrificazione, come la reazione acida del terreno e l'aerazione insufficiente, impedisce lo sviluppo delle piante superiori, per modo che la nitrificazione costituisce un eccellente criterio per giudicare dello stato del terreno. Ma ciò non significa che l'azoto ammoniacale per essere assimilato debba necessariamente subire la trasformazione in azoto nitrico".
In seguito Prianišnikov, studiando il comportamento del nitrato d'ammonio, confermò che l'azoto ammoniacale viene dal vegetale assimilato più rapidamente e più completamente dell'azoto nitrico, sicché il nitrato d'ammonio si comporta come un concime fisiologicamente acido, con acidità fisiologica però molto più debole di quella del solfato e cloruro ammonico. A queste conclusioni Prianišnikov pervenne determinando la reazione e il contenuto d'azoto ammoniacale e nitrico in germogli eziolati di mais e in piante verdi di avena, a cui era stato somministrato del nitrato di ammonio.
c) Azoto organico. - I composti organici dell'azoto, considerati come sorgente d'ammoniaca e di acido nitrico, occupano un posto importante nella nutrizione dei vegetali, in quanto sono essi che, per via indiretta, forniscono la maggior parte di azoto assimilato. Ciò non toglie che l'attenzione degli studiosi sia stata richiamata sul problema dell'assimilabilità diretta di questo azoto organico, la quale in regime di fame di azoto, e in casi particolari offerti dalla natura o artificialmente predisposti, può difatti aver luogo. Già vecchie esperienze della seconda metà del secolo scorso, avevano condotto a questa conclusione, ma altre più recenti, condotte in maniera da evitare ogni infezione microbica, dimostrarono in modo non dubbio che ad es. la zucca, il girasole, il mais ed altre fanerogame sono capaci di utilizzare l'azoto di alcune ammine della serie grassa e che il crescione è capace di fissare l'azoto della tirosina, della glicocolla, dell'alanina, dell'ossammide e della leucina. Risultati positivi si ebbero anche sull'utilizzazione dell'urato sodico, dell'acido aspartico e, in misura minore, dell'acido cianidrico e della leucina.
Né è forse improbabile l'utilizzazione diretta dell'azoto alcaloideo, benché qui sia sorto il dubbio che i liquidi nutritizî contenenti alcaloidi, piuttosto che ad una migliore nutrizione azotata, conducano ad un'incipiente intossicazione e quindi a una particolare irritazione del vegetale, che entro certi limiti può essere utile al suo sviluppo. È superfluo aggiungere che queste ricerche furono condotte in maniera da poter escludere ogni alterazione della materia azotata.
La conclusione non è di portata generale, perché si riferisce a particolari condizioni d'ambiente create alle piante, e a condizioni assai diverse dalle normali; comunque è fuori dubbio che almeno le forme più semplici delle combinazioni organiche dell'azoto possono essere direttamente utilizzate. Quanto alle forme più complesse, l'ultima parola non è ancora detta; occorre però ricordare che parecchi funghi utilizzano direttamente l'azoto dell'humus e che perciò la capacità di utilizzare l'azoto di composti organici complessi potrebbe costituire una prerogativa delle piante simbionti con micorrize.
Secondo Blanck, Geilmann e Giesecke l'esametilentetrammina è per l'avena, la senapa e la barbabietola nutrimento azotato pari al solfato ammonico nelle condizioni ordinarie (l'assorbimento malgrado la composizione organica complessa dell'esametilentetrammina si compirebbe facilmente per parte dei batterî) e secondo Robinson, Winter e Miller i composti contenenti azoto amminico e anche ammidico sono assimilabili come i composti inorganici dell'azoto. I composti organici azotati possono perciò costituire la cosiddetta classe potenzialmente assimilabile, in cui sono da includersi quelle sostanze facilmente trasformabili in sostanze della classe suddetta. Esempio tipico della classe potenzialmente assimilabile sarebbero i peptidi, che idrolizzandosi formano amminoacidi e ammine primarie e secondarie.
Truffaut e Bezsonov poi trovarono che le miscele d'urea con sali inorganici d'azoto sono eccellenti sorgenti azotate tanto nei terreni acidi, quanto nei terreni alcalini; nei terreni acidi la miscela d'urea e nitrato sodico, nei terreni alcalini la miscela di urea e solfato ammonico permetterebbero, secondo gli autori citati, di risparmiare il 2-3% di azoto, a parità di risultati.
Affatto eccezionale è il caso presentato dalle piante carnivore Drosera, Nepenthes, Drosophyllum, Martynia, ecc. capaci di digerire materiali albuminoidei. Qui intervengono meccanismi biologici, sui quali è ancora aperta la discussione; ad ogni modo se si è dimostrato che le piante effettivamente utilizzano questo azoto di natura organica complessa, non per questo si possono trarre conclusioni generali.
Interessante è il caso presentato da piante a micorrize endotrofiche, nelle quali il micelio fungino in un dato momento del suo ciclo vitale è attaccato e assorbito dal protoplasma delle piante simbionti.
Riassumendo, le piante in determinate condizioni di ambiente sono capaci di utilizzare l'azoto organico di sostanze a composizione chimica semplice e non è da escludere che ciò possa anche avvenire in natura.
In casi particolari è anche dimostrata l'utilizzabilità diretta di azoto appartenente a forme organiche complesse.
Dal punto di vista pratico la questione non presenta grande interesse, per la facile trasformabilità della materia organica del suolo in ammoniaca e in acido nitrico.
d) Azoto atmosferico. - La questione dell'assimilabilità dell'azoto atmosferico fu posta sul tappeto già negli ultimi anni del secolo decimottavo e si trascinò tra vivaci dibattiti di autorevoli sperimentatori prima di giungere, in epoca vicina a noi, alla soluzione che è vanto del Berthelot e poi di Hellriegel e Wilfarth, avendo il primo dimostrata l'attività biochimica del terreno, i secondi l'attività dei tubercoli radicali delle leguminose. Torna dunque opportuno un breve cenno dei primi e più autorevoli sperimentatori che si occuparono dell'importante argomento.
Il Priestley nel 1771 e a breve distanza da lui l'Ingenhousz, avendo notato una sensibile diminuzione d'azoto nell'aria limitata di una campana di vetro, nella quale avevano introdotto delle piante, ammisero concordemente che la diminuzione fosse dovuta ad assorbimento da parte delle piante: ma questa affermazione fu subito contraddetta da T. de Saussure (1804) il quale, variando le condizioni dell'esperienza, non solo non osservò alcuna diminuzione di azoto, ma in qualche caso notò un certo aumento dovuto forse a decomposizione di residui organici del terreno.
Analoghe divergenze si ebbero, alcuni anni dopo, per i risultati di Boussingault e quelli del suo allievo Ville, pur avendo i due sperimentatori evitato i metodi eudiometrici e tentato di risolvere il problema per via indiretta.
Il Boussingault usò un terreno artificiale costituito da sabbia silicea liberata da ogni traccia di sostanza organica e innaffiato con acqua distillata, per predisporla a favorire la germinazione dei semi. Attese quindi a numerose esperienze di germogliazione in questo terreno distribuito in vasi e poi ad analoghe esperienze con la stessa terra introdotta in recipienti di 15 a 16 litri di capacità ed ermeticamente chiusi. Egli intese così di evitare la facile obiezione che le sostanze dell'aria atmosferica potessero partecipare all'esperienza.
I risultati riassunti nel seguente specchietto si riferiscono appunto a questa seconda serie di esperienze.
Da esso risulta:
a) che il trifoglio, in quelle condizioni di esperienza, assume una certa quantità di azoto apprezzabile nell'analisi;
b) che il frumento nelle stesse condizioni non accusa né perdite né guadagno di azoto;
c) che i piselli utilizzano l'azoto atmosferico;
d) che l'avena non solo non assimila l'azoto atmosferico, ma in quelle condizioni presenta una debole perdita di azoto.
Pertanto il Boussingault concludeva che in massima questo elemento non è direttamente assimilabile, e che solo in certe condizioni alcune piante sono atte a prenderlo dall'aria.
A conclusioni opposte conducevano intanto le esperienze del Ville, eseguite in maniera da evitare alle piante condizioni di sviluppo del tutto anormali: egli infatti impiegò maggiori quantità di terra, operò sotto custodie di vetro di 150 litri di capacità e dispose le cose in modo da potere rinnovare giornalmente l'aria di quelle custodie. Ottenne così i seguenti risultati:
Nessun dubbio quindi, secondo Ville, che le piante siano capaci di assimilare l'azoto atmosferico.
Fu allora che l'Accademia delle scienze di Parigi, allo scopo di dirimere la questione, nominò una commissione della quale fu relatore Chevreul, con l'incarico di ripetere alcune esperienze di G. Ville. Ma la chiarificazione non venne: perché pur avendo confermate le esperienze del Ville, il relatore obiettò che per risolvere una questione così difficile sarebbe stato opportuno istituire esperienze di confronto senza piante, con sabbia calcinata ed acqua distillata per stabilire poi se tra l'una e l'altra serie di prove si notassero delle differenze: e un altro membro della commissione, il Cloetz, più tardi (1861) in una lezione tenuta alla Società chimica di Parigi, esprimeva il convincimento che in quelle esperienze si fossero formate piccole quantità di nitrati e che a queste fosse dovuto l'eccesso di azoto trovato nel raccolto. A rimuovere questo stato di incertezza non valsero le ulteriori esperienze del Boussingault, il quale rimase fermo nelle sue conclusioni, in contrasto sempre con l'opinione del Ville, che a sua volta scriveva: "Le piante delle foreste, dei boschi, i castagni, le querce, i pini, ecc., si sviluppano, crescono e dànno frutti ricchi di azoto in terreni non mai concimati, e dai quali una porzione notevole di azoto viene periodicamente asportata sotto forma di legna e di frutta. Dai prati delle alte montagne si asportano annualmente notevoli quantità di azoto sotto forma di fieno, di latte, di cacio, di carne, senza che vi si porti mai concime di sorta, fatta eccezione delle scarse deiezioni lasciate dagli animali stessi, là dove ha luogo il pascolo. Da antico tempo si coltivano alcune leguminose, quali la medica ed il lupino, che vivono e continuano a vivere per anni ed anni nel terreno, anche senza aiuto di concimi e dànno prodotti abbondanti e ricchi di materia secca e di azoto; sovesciate poi ingrassano molto il terreno. Donde queste piante traggono l'azoto se non dall'aria?".
La risposta non si ebbe nemmeno dalle esperienze di Lawes e Gilbert intraprese nel 1861 nel campo sperimentale di Rothamsted, che miravano a stabilire eventuali perdite o guadagni di azoto da parte di piante che disponevano del solo azoto del seme, o da parte di piante che disponevano anche di quantità note di azoto ammoniacale. Ed ecco i risultati:
Da queste cifre le quali parlano saltuariamente di risultati a volte positivi a volte negativi, non è facile cavare un costrutto, sicché i due sperimentatori dichiararono di non veder chiaro nel fenomeno.
Ma eccoci al Berthelot e alle sue importanti esperienze eseguite nella stazione di Meudon, prendendo ad oggetto di studio i seguenti terreni:
una sabbia gialla degli altipiani di Meudon e di Sèvres, la quale presentava una particolare attitudine a ricoprirsi rapidamente di vegetazione spontanea e ad arricchirsi contemporaneamente di humus;
una sabbia argillosa di composizione analoga alla precedente, ma proveniente da scavi recenti;
un'argilla bianca usata nelle fabbriche di ceramiche di Sèvres;
un'altra argilla di composizione analoga alla precedente, ma di non facile essiccabilità e con tendenza ad agglomerarsi in granuli.
Su ciascuno di questi terreni vennero eseguite le seguenti serie di esperienze:
1. Conservazione in una stanza chiusa, allo scopo di esaminare il comportamento fuori dell'azione della pioggia, del pulviscolo e di ogni altra materia che potesse provenire dall'atmosfera illimitata: e fuori dell'azione dei gas che il suolo di continuo esala.
2. Conservazione in un prato sotto tettoia di vetro, allo scopo di esaminare il comportamento all'aria libera e sotto l'azione dei gas provenienti dal suolo, ma al riparo della pioggia.
3. Conservazione sulla sommità di una torre, alta 28 metri, fuori cioè delle emanazioni del suolo, ma a contatto dell'atmosfera illimitata ed esposti all'azione della pioggia.
4. Conservazione in recipienti di vetro ermeticamente chiusi e perciò fuori di ogni azione esterna.
5. Conservazione in recipienti di vetro ermeticamente chiusi, previa sterilizzazione, evitando così ogni eventuale intervento di microrganismi.
Di ciascun terreno, all'inizio delle esperienze, fu determinato il contenuto in azoto; in seguito ad intervalli di più mesi furono rinnovate le determinazioni e notate le variazioni. Diciamo subito che tutte le esperienze condussero a variazioni sensibilissime e segnarono un aumento costante di azoto, fatta eccezione di quelle eseguite in vaso chiuso con terra sterilizzata, il cui contenuto in azoto si manteneva costante.
Basti guardare alle seguenti cifre, che togliamo dal quadro generale comprendente per ciascun terreno le cinque serie di esperienze:
Argilla bianca delle fabbriche di stoviglie. - a) Esperienze sull'alto della torre:
Dal complesso dei risultati ottenuti il Berthelot trasse le seguenti conclusioni:
I terreni, siano essi sabbiosi o argillosi, sono capaci di fissare l'azoto atmosferico trasformandolo in azoto organico, sicché lentamente, ma incessantemente, la loro ricchezza in azoto cresce. L'aumento si verifica non solo alla superficie, ma nell'interno dei terreni, con una intensità molto maggiore che alla superficie. La fissazione d'azoto nei terreni è assolutamente indipendente dagli apporti atmosferici d'azoto ammoniacale e nitrico. Non vi è dubbio che essa sia opera di microrganismi: in fatti se si sterilizza il terreno, cessa ogni aumento d'azoto.
Le cifre presentano le oscillazioni caratteristiche dei processi di natura biologica, sui quali una notevole influenza esercita l'umidità del terreno.
Sull'importanza e sul valore decisivo di questi risultati non occorre insistere: essi rivelano l'esistenza di un meccanismo compensatore proprio del terreno agrario, capace di opporsi ad ogni eventuale impoverimento di azoto dovuto ai raccolti. Sotto questo punto di vista il terreno va dunque considerato come intermediario nell'utilizzazione dell'azoto atmosferico da parte delle piante e partecipe dell'importante ciclo che questo elemento presenta in natura.
A completare le esperienze del Berthelot giungevano intanto le osservazioni di Hellriegel e Wilfarth sui tubercoli radicali delle leguminose e sul diverso comportamento, nei riguardi della nutrizione azotata, fra graminacee e leguminose. Detti sperimentatori comunicavano infatti al Congresso di Berlino (1889) le seguenti importanti conclusioni:
"Le leguminose si comportano in maniera diversa delle graminacee; queste non utilizzano se non l'azoto dei materiali azotati del terreno, le leguminose invece sono capaci di utilizzare l'azoto libero. Questa capacità risiede nelle relazioni simbiotiche che queste piante presentano con speciali batterî, i quali appunto hanno sede nei tubercoli radicali".
Si apriva così la via ad una fortunata serie di ricerche che mettevano in piena luce l'assimilabilità diretta o indiretta dell'azoto atmosferico, e spiegavano le incertezze e le controversie fra i primi sperimentatori.
A dette ricerche, le quali appartengono prevalentemente al campo della batteriologia agraria, sono legati i nomi di Vinogradskij, Omelianskij, Bejerinck, Gerlach, scopritori di varie forme di batteridi fissatori di azoto.
Sicché, riassumendo, l'azoto atmosferico è direttamente assimilabile da particolari microrganismi diffusi nel suolo e che compensano il suolo stesso delle eventuali perdite di azoto; l'assimilabilità da parte delle piante superiori ha luogo soltanto per via indiretta, e cioè o per il tramite di tali microrganismi, o per effetto di relazioni simbiotiche con batterî fissatori di azoto.
Il Ville dunque aveva ben ragione di ritenere che l'azoto sottratto ai terreni dai raccolti, dovesse trovare compenso in altra sorgente di azoto, ma d'altra parte i risultati negativi del Boussingault trovano spiegazione nel fatto ch'egli condusse le sue esperienze su terreni previamente calcinati, con la qual cosa, se eliminava la materia organica, spegneva anche ogni attività biochimica del terreno.
I risultati di cui sopra furono subito seguiti da numerosi tentativi di applicazioni pratiche. Già nel 1896 comparve infatti sul mercato la nitragina di Nobbe costituita da colture pure di bacilli delle varie leguminose; e dopo qualche tempo, le nitragine specifiche di George Moore (v. nitrificazione) da destinare, ciascuna, al migliore sviluppo di una determinata leguminosa, nel caso di terreni che difettassero della microflora specifica.
Ma i risultati pratici furono così contraddittorî che non si poté venire a conclusioni definitive; anzi, poiché veri vantaggi furono notati in terreni che godevano di tutti i caratteri fisici e chimici adatti alla coltura delle leguminose, e invece si ebbero effetti pressoché nulli quando qualcuno di questi requisiti mancava, sorse il dubbio se piuttosto che procedere a inoculazioni di nitragine, non convenisse procedere a un'adatta e speciale preparazione del suolo.
Accanto alla nitragina destò grandi speranze la cosiddetta alinite del Caron (1897) - colture del B. megatherium De Bary - che introdotta nel suolo sarebbe stata capace di assimilare l'azoto atmosferico a profitto di qualunque coltura e segnatamente dei cereali, ma le speranze rapidamente svanirono.
Siamo dunque lontani dalla realizzazione di veri vantaggi attraverso queste ricerche di carattere pratico; le quali sono valse solo a confermare che sulla fissazione dell'azoto da parte del terreno ha grande importanza, accanto alla flora batterica, quel complesso di condizioni fisiche e chimiche che favoriscono od ostacolano la vita dei microrganismi.
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