Azione risarcitoria e termine di decadenza
Con ordinanza 17.12.2015, n. 1747, il TAR Piemonte ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, co. 3, c.p.a., per violazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24, co. 12, 111, co. 1, 113, co. 12, 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 47 della Carta di Nizza ed agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). La Corte costituzionale, con sentenza 4.5.2017, n. 94, ha dichiarato non fondata la sollevata questione, rilevando che la previsione del termine decadenziale costituisce l’espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato con l’obiettivo di pervenire in tempi brevi alla certezza del rapporto giuridico amministrativo, nonché con l’interesse, di rango costituzionale, di consolidare i bilanci delle pubbliche amministrazioni e di non esporli, a distanza rilevante di tempo, a continue modificazioni.
A distanza di poco più di due anni dall’ultimo intervento in materia, la Corte costituzionale è tornata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del termine decadenziale previsto dal c.p.a. in tema di risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, dichiarando non fondata la sollevata questione1. La vicenda sottesa alla ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale concerneva una richiesta di risarcimento del danno avanzata da una società di costruzioni alla quale il Comune, convenuto dinanzi al TAR Piemonte, aveva rilasciato tre permessi di costruire illegittimi poiché concessi in violazione dell’art. 20, d.P.R. 6.6.2001, n. 380, in relazione alla assenza del preventivo nullaosta dell’ANAS. L’impresa, dunque, era stata costretta a sospendere i lavori in attesa del raggiungimento di un accordo tra le due ammirazioni ma, nel frattempo, la fattibilità e la convenienza dell’intervento edilizio erano venute meno, con grave danno per la società ricorrente, posta in liquidazione a causa dell’esposizione debitoria. La questione di legittimità costituzionale, sollevata dal TAR Piemonte, ord. n. 1747/2015, ha ad oggetto l’art. 30, co. 3, c.p.a., nella parte in cui prevede che «la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo». I profili sollevati con riferimento ai parametri costituiti dagli artt. 3, 24, co. 12, 111, co. 1, 113, co. 12, 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 47 della Carta di Nizza ed agli artt. 6 e 13 della CEDU, peraltro, non sono nuovi e si ricollegano alla tormentata vicenda del rapporto tra azione di annullamento dell’atto illegittimo della p.a. ed azione di condanna al risarcimento dei danni causati dalla lesione di un interesse legittimo da parte dell’atto stesso2. Come noto, prima dell’entrata in vigore del c.p.a., in mancanza di univoche disposizioni normative, tale rapporto risultava astrattamente ricostruibile secondo due modelli antitetici: quello della pregiudizialità dell’azione annullatoria o quello dell’autonomia dell’azione di condanna rispetto alla prima. Secondo la prima, prevalente, ricostruzione, fatta propria dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. St., A.P., 22.10.2007, n. 12; 26.3.2003, n. 4), la domanda di annullamento era da ritenersi pregiudiziale rispetto alla domanda di risarcimento degli interessi legittimi, a pena di inammissibilità di quest’ultima laddove proposta in via autonoma3.
Secondo la contrapposta opinione, abbracciata dalle Sezioni Unite della Cassazione (Cass, ord. 13.6.2006, n. 13659), la domanda di risarcimento poteva proporsi davanti al giudice amministrativo anche a prescindere dalla previa o contestuale domanda di annullamento dell’atto lesivo.
A fronte di tali contrasti interpretativi, il legislatore è intervenuto a dirimere la questione con l’art. 30 c.p.a., accogliendo una soluzione di compromesso, già avanzata da parte della dottrina e della giurisprudenza, volta a superare in modo prudente il meccanismo della pregiudiziale: da una parte, il co. 1 dell’articolo sancisce, a scanso di equivoci, l’autonomia dell’azione di condanna rispetto all’azione annullatoria; dall’altra, però, il co. 3 esclude «il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti»; il che vale a dire che al ricorrente non può essere riconosciuto alcun risarcimento dei danni che egli avrebbe potuto evitare esercitando tempestivamente l’azione di annullamento di fronte al giudice amministrativo.
Al tempo stesso, a conferma della centralità mantenuta nel sistema dalla tutela annullatoria, il co. 3, art. 30, c.p.a. prevede che l’azione di condanna autonomamente proposta soggiaccia ad un ristretto termine di decadenza, pari a 120 giorni dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento, qualora il danno derivi direttamente da questo; nel caso in cui, invece, si esperisca per prima l’azione di annullamento, la domanda risarcitoria potrà essere formulata nel corso del giudizio stesso o, al più, entro 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che lo definisca (art. 130, co. 5, c.p.a.).
La questione della pregiudiziale amministrativa, come già rilevato, è stata affrontata e risolta dal legislatore con l’introduzione dell’art. 30 c.p.a. che, indicando le modalità della tutela risarcitoria dell’interesse legittimo, ha introdotto un termine di decadenza di 120 giorni con una diversa decorrenza a seconda della circostanza secondo cui l’interessato agisca in via autonoma – e, cioè, senza la necessaria preventiva impugnazione dell’atto lesivo – ovvero successivamente all’annullamento dell’atto già impugnato dinanzi al giudice amministrativo.
La previsione del termine di decadenza di 120 giorni è stata immediatamente oggetto di dibattito in dottrina, per la notevole differenza di trattamento riservata agli interessi legittimi rispetto ai diritti soggettivi, la cui risarcibilità continua a soggiacere agli ordinari termini quinquennali e decennali di prescrizione, in controtendenza, peraltro, con il progressivo avvicinamento delle due situazioni giuridiche soggettive di cui il nostro ordinamento si è reso protagonista negli ultimi anni.
Secondo una prima opinione, invero, la previsione di un termine decadenziale per l’azione risarcitoria degli interessi legittimi rientrerebbe nella disponibilità discrezionale del legislatore e sarebbe volto a tutelare le esigenze di certezza e stabilità dei rapporti giuridici amministrativi, nonché a consolidare i bilanci pubblici, evitando che questi possano rimanere esposti per anni alla possibilità di venire incisi a seguito di azioni risarcitorie esercitate in via autonoma rispetto alla domanda di annullamento. Al tempo stesso, secondo tale opinione, non vi sarebbe nemmeno una irragionevole disparità di trattamento, censurabile dalla Corte costituzionale, nei confronti della tutela risarcitoria del danno derivante da lesione di diritti soggettivi, in quanto le due situazioni giuridiche soggettive risulterebbero differenti e, pertanto, assoggettabili a tutele disomogenee.
Secondo un’altra opinione, invece, la disposizione di cui all’art. 30, co. 3, c.p.a. sarebbe irragionevole, in quanto sottoporrebbe la tutela risarcitoria degli interessi legittimi ad un termine troppo breve, volto a minarne l’effettività; inoltre, essa farebbe un uso discutibile dell’istituto della decadenza il quale, secondo la sua tradizionale configurazione civilistica, sarebbe di norma collegato, dal punto di vista funzionale, all’esercizio di un diritto potestativo che consentirebbe un’incisione unilaterale della sfera giuridica altrui, allo scopo di limitare temporalmente la situazione di incertezza del soggetto passivo del rapporto: rapporto giuridico potestà-soggezione che mancherebbe invece nel caso di specie. Infine, perlomeno da quando la risarcibilità degli interessi legittimi è stata riconosciuta nel nostro ordinamento, la distinzione tra questi ed i diritti soggettivi (tra l’altro sconosciuta al diritto eurounitario), pur restando rilevante “a monte”, come diverso atteggiarsi delle situazioni giuridiche innanzi all’esercizio dei poteri pubblici, verrebbe meno “a valle”, una volta cioè verificatosi un “danno ingiusto” nei confronti di essi; a fronte dell’ingiustizia del danno causato ad un bene della vita, la quale ne richiede in ogni caso la riparazione, non sarebbe ammissibile una differenziazione di tutela basata sulla natura della situazione giuridica soggettiva, perlomeno non in misura così ampia come quella derivante dalla disposizione del c.p.a.
I dubbi di legittimità costituzionalità rilevati da tale ultima dottrina hanno presto trovato eco anche nella giurisprudenza amministrativa.
Se le prime questioni sollevate da TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 7.9.2011, n. 1628, e da TAR Liguria, sez. II, 22.1.2014, n. 107, erano state dichiarate inammissibili dalla Corte costituzionale per difetto del requisito della rilevanza nel giudizio a quo, con l’ordinanza sopracitata del TAR Piemonte il Giudice delle leggi ha finalmente avuto modo di pronunciarsi nel merito della problematica.
Il TAR Piemonte, in particolare, solleva la questione di costituzionalità con riguardo, in primo luogo, al contrasto con il principio del giusto processo sancito dall’art. 47 della Carta dei diritti UE; dagli artt. 6 e 13 della CEDU secondo cui ogni persona ha diritto ad un «processo equo» e ad un «ricorso effettivo» dinanzi ad una magistratura nazionale; dall’art. 111, co. 1, Cost. secondo cui la giurisdizione si attua mediante il «giusto processo»4.
Secondo l’ordinanza di rimessione, del resto, la previsione di un singolare e ristretto termine decadenziale configurerebbe anche un privilegio per la Pubblica Amministrazione responsabile di un illecito, determinante una rilevante discriminazione tra situazioni giuridiche soggettive sostanzialmente analoghe.
Sotto tale profilo, dunque, l’art. 30 contrasterebbe con l’art. 24, co. 12, e 113, co. 12, Cost.
La tutela giurisdizionale costituzionalmente garantita non potrebbe consistere, semplicemente, nella possibilità di proporre una domanda giurisdizionale; l’art. 24 Cost., infatti, costituisce la garanzia di effettività che alle singole situazioni sostanziali protette dall’ordinamento corrispondano forme di tutela omogenee, tali da assicurare la soddisfazione agli interessi materiali dei quali quelle situazioni sono espressione.
Il dubbio in merito alla irragionevolezza della introduzione di un termine di decadenza deriverebbe, ancora, dalla rilevata inutilità di un termine decadenziale in presenza di una situazione – quella risarcitoria – che non necessiterebbe di alcun riferimento temporale volto alla acquisizione di una certezza giuridica5.
La situazione risarcitoria, infatti, non inciderebbe sui rapporti giuridici di cui è titolare il soggetto privato, ma soltanto sui rapporti patrimoniali che, in quanto tali, non necessiterebbero di alcuna certezza giuridica6.
Del resto, risulterebbe altresì ontologica la differenza tra prescrizione e decadenza in relazione al fatto che mentre la prescrizione risulta legata all’inerzia del titolare, la decadenza concerne fatti rispetto ai quali non viene in rilievo alcuna azione del soggetto titolare ed esprime una esigenza di certezza del diritto.
Occorre subito evidenziare che il profilo relativo alla risarcibilità delle situazioni giuridiche soggettive è affrontato e risolto dal legislatore in termini differenti a seconda del bilanciamento dei molteplici interessi che si contrappongono7.
In tale prospettiva, come ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza in commento, il legislatore gode di ampia discrezionalità in tema di disciplina degli istituti processuali (ex plurimis, C. cost., 30.5.2016, n. 121 e 3.3.2016, n. 44), salvo il limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute; e ciò vale anche con specifico riferimento alla scelta di un termine decadenziale o prescrizionale a seconda delle peculiari esigenze del procedimento (ex multis, C. cost. 4.6.2014, n. 155 e ord. 19.10.2000, n. 430).
È stato, così, rilevato in dottrina come il diritto civile conosca «ipotesi in cui è privilegiata l’esigenza di certezza con la previsione di termini decadenziali entro cui contestare la conformità rispetto al paradigma normativo di riferimento di determinate situazioni giuridiche, la cui scadenza preclude anche l’azione risarcitoria. Per esempio, il lavoratore non può domandare il risarcimento del danno senza aver prima impugnato il licenziamento nei tempi e modi previsti dalla legge n. 604/1966, così come il singolo condomino o socio non possono pretendere il ristoro dei danni asseritamente cagionati da una delibera non impugnata»8.
Sotto tale aspetto, è necessario ricordare che l’art. 2377 c.c. prevede, quanto all’azione risarcitoria scaturente dalla applicazione di delibere societarie, un termine di impugnazione di 90 giorni che decorre dalla data della deliberazione stessa ovvero, in ipotesi di iscrizione della delibera nel registro delle imprese, dalla data di iscrizione nel registro delle imprese.
In più occasioni la Corte costituzionale ha osservato che la previsione di un termine di decadenza per l’esercizio dell’azione risarcitoria non può ritenersi il frutto di una scelta viziata da manifesta irragionevolezza, ma costituisce l’espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato di vedersi riconosciuta la possibilità di agire anche a prescindere dalla domanda di annullamento con l’obiettivo, di rilevante interesse pubblico, di pervenire in tempi brevi alla certezza del rapporto giuridico amministrativo, secondo una logica di stabilità degli effetti giuridici ben conosciuta in rilevanti settori del diritto privato ove le aspirazioni risarcitorie si colleghino al non corretto esercizio del potere, specie nell’ambito di organizzazioni complesse e di esigenze di stabilità degli assetti economici.
Allo stesso modo, secondo la Corte costituzionale, non potrebbe valere il mero richiamo al principio di uguaglianza in base al quale, nella prospettiva della illegittimità costituzionale, il legislatore, nell’introdurre il regime della decadenza anziché quello della prescrizione ordinaria previsto per il risarcimento del danno derivante dalla lesione di diritti soggettivi, avrebbe disciplinato in modo differente situazioni soggettive sostanzialmente analoghe ed ugualmente meritevoli di tutela.
Secondo la Corte, infatti, la necessità che davanti al giudice amministrativo sia assicurata al cittadino la piena tutela, anche risarcitoria, avverso l’illegittimo esercizio della funzione pubblica (C. cost., 11.5.2006, n. 191 e 6.7.2004, n. 204) non farebbe scaturire, come inevitabile corollario, che detta tutela debba essere del tutto analoga all’azione risarcitoria del danno da lesione di diritti soggettivi.
Appare, infatti, evidente che le due situazioni giuridiche soggettive poste in comparazione risultino differenti: entrambe sono meritevoli di tutela, ma non necessariamente della stessa tutela.
Parimenti non fondate risultano le censure di illegittimità costituzionale formulate in riferimento agli artt. 24, co. 1-2, e 113, co. 1-2, Cost., sotto il profilo della violazione del diritto di difesa e del principio di generalità ed effettività della tutela giurisdizionale, anche in considerazione del “brevissimo” termine di 120 giorni.
L’incongruità del termine rilevante sul piano della violazione dei parametri costituzionali, infatti, si registra solo qualora esso sia non idoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce e di conseguenza tale da rendere inoperante la tutela accordata al cittadino (C. cost. n. 44/2016, C. cost. 10.5.2012, n. 117 e C. cost. 27.1.2011, n. 30).
Il termine di 120 giorni, peraltro, è anche significativamente più lungo di molti termini decadenziali previsti dal legislatore sia in ambito privatistico che in quello pubblicistico e per ciò solo non può dirsi in alcun modo inidoneo a rendere la tutela giurisdizionale effettiva.
D’altronde, in ipotesi di domanda conseguente all’annullamento dell’atto, il ricorrente avrebbe a disposizione l’intero tempo del processo ed oltre – fino al centoventesimo giorno dal passaggio in giudicato della sentenza – non potendosi mettere in discussione la effettiva possibilità di vagliare la opportunità di una azione risarcitoria.
L’art. 30, co. 3-5, c.p.a., infatti, ha previsto che il risarcimento del danno cagionato per effetto della illegittima attività della pubblica amministrazione possa essere conseguito attraverso l’azione di condanna esercitata in via autonoma (co. 3), oppure esperita contestualmente all’azione di annullamento del provvedimento illegittimo o finanche successivamente al passaggio in giudicato della relativa sentenza (co. 5).
Il legislatore, dunque, avrebbe delineato una disciplina che riconosce al danneggiato la facoltà di scegliere le modalità della tutela risarcitoria nei confronti dell’esercizio illegittimo della funzione pubblica, adottando un modello processuale che determina un significativo potenziamento della tutela, anche attraverso il riconoscimento di un’azione risarcitoria autonoma, con il conseguente abbandono del vincolo derivante dalla pregiudizialità amministrativa.
Sotto tali profili, quindi, il ragionamento della Giudice delle leggi appare senz’altro corretto: non risulta alcuna diseguaglianza tra posizioni giuridiche soggettive (peraltro non identiche) e, anzi, anche in presenza di una stessa posizione giuridica soggettiva spetterebbe sempre al legislatore la scelta in ordine alla migliore tecnica di tutela.
Un ultimo aspetto, non vagliato dal giudice remittente, appare tuttavia degno di interesse nella ricostruzione dei profili problematici relativi al termine per l’azione risarcitoria dell’interesse legittimo: quello relativo all’eccesso di delega dell’art. 30 del c.p.a. in tema di termini di decadenza9.
Sotto tale profilo, infatti, occorre ricordare come ’art. 44, co. 2, lett. b), n. 3, l. 18.6.2009, n. 69, prevedeva, quale principio e criterio direttivo in materia di azioni esperibili, la disciplina e l’eventuale riduzione dei «termini di decadenza o prescrizione delle azioni esperibili e la tipologia dei provvedimenti del giudice».
Al legislatore delegato, dunque, era consentito procedere ad un mero riordino della materia e ad una eventuale riduzione dei termini delle azioni esperibili dinanzi ai Tribunali amministrativi; al contrario, non poteva darsi luogo ad una modifica in grado di condurre – come in realtà è avvenuto – ad un vero e proprio mutamento genetico dell’azione risarcitoria10.
Secondo la stesa giurisprudenza della Corte costituzionale, infatti, «in attuazione della delega che abbia ad oggetto la revisione, il riordino ed il riassetto di norme previgenti, l’introduzione di soluzioni sostanzialmente innovative è ammissibile solo nel caso in cui queste siano conformi ai principi ed ai criteri direttivi i fissati nella legge di delega»11.
1 C. cost., 4.5.2017, n. 94, in Dir. e giust., 5 maggio 2017, con nota di G. Marino; in Guida dir., 2017, 22, 98, con nota di A. Masaracchia. Secondo la Corte costituzionale, in particolare «Va dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, nella parte in cui stabilisce che «[l]a domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo». La previsione del termine di decadenza di 120 giorni per l’esercizio dell’azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi non è viziata da manifesta irragionevolezza, ma costituisce l’espressione di un coerente bilanciamento dell’interesse del danneggiato con l’obiettivo di pervenire in tempi brevi alla certezza del rapporto giuridico amministrativo, nonché con l’interesse, di rango costituzionale, di consolidare i bilanci delle pubbliche amministrazioni e di non esporli, a distanza rilevante di tempo, a continue modificazioni».
2 TAR Liguria, sez. II, 22.1.2014, n. 107, in www.giustizia-amministrativa.it; con ordinanza depositata in data 31.3.2015, n. 57, la Corte costituzionale ha ritenuto la questione manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza: «È manifestamente inammissibile la q.l.c. dell’art. 30, comma 5, d.lg. 2 luglio 2010 n. 104, censurato, in riferimento agli art. 3, 24, 103 e 113 cost., nonché all’art. 117, comma 1, cost., in relazione all’art. 6 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), in quanto prevede che l’azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi (connessa a quella di annullamento del provvedimento lesivo), ove non formulata nel corso dello stesso giudizio di annullamento, possa essere proposta “sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza”. Il rimettente, nel presupporre che il denunciato art. 30, comma 5, si applichi, in ragione della sua natura processuale, anche nel giudizio a quo, introdotto anteriormente alla sua entrata in vigore, non tiene conto della disposizione di cui all’art. 2 del Titolo II dell’Allegato 3, la quale – nel prevedere che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti – non è altrimenti interpretabile che nel senso della sua riferibilità anche all’ipotesi di successione tra un termine sostanziale, qual è quello di prescrizione, ed un termine processuale precedentemente non previsto, quale appunto il termine di decadenza sub art. 30 censurato, risultando una diversa lettura della predetta disposizione (nel senso, restrittivo, della sua riferibilità solo a termini processuali “in corso”) innegabilmente “contra constitutionem”, sicché il rimettente avrebbe dovuto avere riguardo al regime di prescrizione quinquennale di diritto comune (art. 2947 c.c.) vigente al momento della proposizione dell’azione risarcitoria; omissione, questa, che si risolve in una carente motivazione sulla rilevanza della questione». Cfr. anche TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 7.9.2011, n. 1628, in Foro amm.-TAR, 2011, 7-8, 2564, con nota di M. Nunziata; in Corr. merito, 2011, 1226, con nota di G. D’Angelo; in Nuovo notiziario giur., 2011, 457, con nota di E.M. Barbieri. Secondo la C. cost., 12.12.2012, n. 280, tuttavia, la questione posta dal giudice siciliano era, nel caso concreto, «inammissibile, in quanto priva di rilevanza, la q.l.c. dell’art. 30 comma 5 c.p.a., nella parte in cui assoggetta a un termine di decadenza di centoventi giorni la domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, in riferimento agli art. 3, 24, 103 e 113 Cost.».
3 Ci sia consentito rinviare a Tomassetti, A., Lesione dell’interesse legittimo e reintegrazione in forma specifica, in Foro amm.-TAR, 5, 2002, 1834 ss.; Id., La tutela reintegratoria dell’interesse legittimo: un possibile confronto con il possesso, in Dir. proc. amm., 1, 2005, 158 ss.
4 Cfr. C. giust., 12.3.2015, C-538/13, eVigilo c. Priešgaisrinės apsaugos ir gelbėjimo departamentas prie Vidaus reikalų ministerijos; C. giust., 6.10.2015, C-61/14, Orizzonte Salute - Studio Infermieristico Associato c. Azienda Pubblica di Servizi alla persona San Valentino - Città di Levico Terme; C. giust., 26.11.2015, C-166/14, MedEval. Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare, l’esigenza di certezza giuridica delle decisioni della Amministrazione si concentrerebbe sul procedimento di gara e sulla efficacia del contratto, mentre sarebbe lasciata all’autonomia dei singoli Stati la regolamentazione delle modalità procedurali del
risarcimento del danno. In ogni caso, tali modalità non sarebbero libere ma dovrebbero sempre assicurare una tutela effettiva ed analoga a quella prevista dai singoli ordinamenti in relazione alla tutela dei diritti soggettivi.
5 Si veda Gallo, C.E., Il codice del processo amministrativo – una prima lettura, in Urb. app., 2010, 2019, secondo cui la scelta del legislatore di inserire un termine decadenziale, «per la sua brevità e per il regime cui è soggetto, diverso e peggiorativo rispetto a quelli che sono, di norma, i termini di prescrizione per le azioni risarcitorie», non sarebbe in linea con l’esigenza di effettività della tutela della situazione giuridica soggettiva.
6 Cfr. Foà, S., Termine decadenziale e azione risarcitoria per lesione di interessi legittimi. Dubbi di legittimità costituzionale, in Resp. civ. e prev., 2016, 595. «La violazione del principio di ragionevolezza discenderebbe altresì dall’utilizzo improprio e dalla confusione di due istituti, la decadenza e la prescrizione, ontologicamente differenti. Posto che alla base dei termini di decadenza, previsti in materia di annullamento di atti giuridici emanati da soggetti pubblici e privati, vi è l’esigenza di certezza del diritto e di stabilità dei rapporti giuridici (connessa al rilievo che l’atto esprime un assetto d’interessi rilevante sul piano superindividuale), in relazione all’azione risarcitoria non sarebbe ragionevole prevedere un termine a pena di decadenza, anziché un congruo termine di prescrizione. Ciò perché l’esposizione del debitore alla domanda di risarcimento non inciderebbe sui rapporti giuridici di cui lo stesso soggetto è titolare né sulla certezza delle situazioni e posizioni giuridiche correlate, rilevando soltanto sul piano della reintegrazione patrimoniale conseguente all’illecito. Anche sotto questo profilo, evidentemente complementare rispetto a quello illustrato in precedenza, il TAR Piemonte condivide il pensiero delle precedenti ordinanze di rimessione sopra richiamate. La prescrizione ha per oggetto un rapporto (azione o diritto sostanziale) che per suo effetto si estingue ed è legata all’inerzia del titolare del diritto; la decadenza, di contro, ha per oggetto un atto che, con il suo verificarsi, non può più essere compiuto ed esprime un’esigenza di certezza del diritto così categorica da essere tutelata indipendentemente dalla possibilità di agire del soggetto interessato. Se così stanno le cose, appare arduo ravvisare, in materia di risarcimento del danno nei confronti delle pubbliche amministrazioni, un’esigenza costante e generalizzata di stabilità dei rapporti che implichi una compressione tanto significativa del diritto del cittadino danneggiato di azionare i relativi rimedi».
7 Cfr. Cass., S.U., 23.12.2008, n. 30254 «È nella disponibilità del legislatore disciplinare la tutela delle situazioni soggettive assoggettando a termini di decadenza l’esercizio dell’azione, come si è visto quando ha assoggettato in campo societario al medesimo termini l’azione di impugnazione e quella di risarcimento spettante ai soci non legittimati all’esercizio della prima».
8 Foà, S., op. cit., 595.
9 Pajno, A., Il codice del processo amministrativo tra «cambio di paradigma » e paura della tutela, in Gior. dir. amm., 2010, 889; Virga, G., Il nuovo codice del processo amministrativo ed il mito di Crono, lexitalia.it, 2010; Poli, V., Il risarcimento del danno ingiusto nella logica del processo amministrativo: brevi osservazioni di costituzionalità, in Dir. proc. amm., 2011, 448; Pasquariello, A., Il regime dell’azione risarcitoria ex art. 30 c.p.a., in Il nuovo diritto amministrativo, 2013, 3, 138. Nel senso del rispetto dei principi e criteri direttivi imposti dal legislatore delegato, si veda, invece, A. Travi, in nota a C. cost. n. 280/2012, in Foro it, 2013, IV, 1069; Villata, R., Dodici anni dopo: il codice del processo amministrativo, in Sassani, B.-Villata, R., a cura di, Il Codice del processo amministrativo. Dalla giustizia amministrativa al diritto processuale amministrativo, Torino, 2012, 50, nt. 34.
10 Secondo Travi, A., op. cit., la previsione di «termini di decadenza o prescrizione delle azioni esperibili» rappresentava uno dei contenuti della delega legislativa (art. 44, l. n. 69/2009) e, conseguentemente, la previsione non sarebbe incostituzionale per eccesso di delega sotto tale profilo; al contrario, la previsione normativa assumerebbe un carattere incostituzionale per eccesso di delega relativamente alla «introduzione di un criterio particolare di liquidazione del danno: è escluso dal risarcimento il danno che avrebbe potuto essere evitato attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela anche giurisdizionale. Nonostante la formulazione della disposizione, apparentemente improntata a una logica processuale, si tratta di una previsione di evidente carattere sostanziale, diretta a derogare all’art. 1227 c.c. La legge di delega non contemplava però interventi del legislatore delegato anche sulla disciplina sostanziale».
11 Così C. cost., 27.6.2012, n. 162; si veda anche Foà, S., op. cit., 595, «I dubbi sulla correttezza di questa ricostruzione sono ulteriormente avvalorati dalla recente giurisprudenza costituzionale, intervenuta in materia di giurisdizione sulle sanzioni amministrative irrogate dalle Autorità indipendenti. Secondo la Corte costituzionale nel caso di deleghe per il riordino o il riassetto normativo, si impone un’interpretazione restrittiva dei poteri innovativi del legislatore delegato, da intendersi in ogni caso rigorosamente orientati e funzionali alle finalità esplicitate dalla legge di delega, di modo che la capacità innovativa del legislatore incaricato, pur non del tutto esclusa, è confinata entro precisi limiti e deve comunque essere indirizzata, sotto il profilo funzionale, al perseguimento degli obiettivi espressi dal Parlamento. Prima dell’entrata in vigore del Codice del processo la giurisprudenza si interrogava sulla natura della responsabilità in parola, al fine di stabilire se il termine, pacificamente prescrizionale, fosse di cinque o di dieci anni. Nessun orientamento aveva mai ritenuto di assoggettare l’azione risarcitoria ad un termine di decadenza, previsione certamente innovativa e non di mero “riordino”».