AZIENDA (V, p. 694)
Diritto (p. 696). - Il cod. civ. italiano del 1942 si occupa in modo particolare dell'azienda, collocando la sua trattazione, secondo la sistematica del codice stesso, nel libro del lavoro. L'azienda è definita (art. 2555) il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa. L'attività dell'imprenditore si realizza mediante la combinazione dei beni in funzione di uno scopo produttivo, e, come l'elemento teleologico assume una decisiva rilevanza per la nozione giuridica di impresa, l'elemento funzionale l'assume per la nozione giuridica di azienda. La legge stessa pone l'azienda nella categoria delle combinazioni di cose, considera cioè l'azienda un aggregato di beni, i quali, pur conservando la loro individualità, sotto certi aspetti subiscono una unificazione in conseguenza dell'unitarietà della loro destinazione economica. Nell'azienda il collegamento dei beni è eminentemente funzionale; è determinato cioè dal fatto che tutti sono destinati a una funzione economica unitaria, come strumento dell'attività imprenditrice. La nozione giuridica di azienda è nel sistema del codice una nozione derivata: essa presuppone quella d'impresa, della quale costituisce lo strumento. Se non vi è impresa, non vi è azienda in senso tecnico e non si applicano i particolari principî che per essa sono posti.
L'azienda si presenta come entità una e plurima. L'unità della funzione economica determina un'unificazione da un punto di vista giuridico dei diversi beni che realizzano questa funzione, ma l'unificazione sussiste soltanto nei limiti della destinazione funzionale e cioè in quanto questa permanga. Al di là di questi limiti, il collegamento non sussiste, e, anche da un punto di vista giuridico, rimane la pluralità dei beni.
Il punto nevralgico della teoria dell'azienda consiste tuuora appunto nella difficoltà di fissare il rapporto tra complesso aziendale e singoli elementi, di precisare cioè fino a qual punto l'unità della funzione assorba la pluralità degli elementi da cui l'azienda risulta. La destinazione ad una funzione unitaria dei diversi beni è opera della volontà dell'imprenditore: da questa essenzialmente dipende il collegamento economico dei varî beni e su questa in definitiva si basano gli effetti giuridici che al collegamento economico sono connessi. L'azienda rientra pertanto, con caratteristiche proprie, nella categoria delle universitates facti, non anche nella categoria delle universitates iuris o iurium e si pone su uno stesso piano delle universalità di mobili, anche se da queste si differenzia per la eterogeneità degli elementi da cui risulta.
L'unità funzionale del complesso aziendale ha una rilevanza giuridica sotto diversi aspetti. Il collegamento dei beni in funzione di uno scopo produttivo ha un valore economico in sé e per sé, indipendentemente dal valore dei singoli beni su cui si attua: valore economico che si designa come avviamento dell'azienda e che trova espresso riconoscimento nella legge (art. 2427).
Il complesso aziendale ha una sua produttività: il prodotto dell'azienda non è il prodotto dei singoli beni da cui risulta, ma è il prodotto del complesso aziendale e cioè il risultato della destinazione funzionale della pluralità di beni collegati. Pertanto, rispetto all'azienda la nozione di frutto - come del resto quelle di godimento, amministrazione e custodia - assume un contenuto suo proprio dovendo riferirsi al complesso, non anche ai singoli beni.
La stessa conservazione dell'azienda non significa conservazione dei beni singoli, ma della capacità funzionale e della produttività del complesso aziendale: il che normalmente è possibile soltanto mediante la disposizione o il rinnovamento di singoli elementi. Il codice espressamente chiarisce questo punto, quando dispone che l'usufruttuario deve gestire l'azienda senza modificarne la destinazione economica e in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti e le normali dotazioni di scorte (art. 2561).
Miglioramenti e danni possono sussistere anche quando i singoli elementi siano rimasti gli stessi: il mancato esercizio dell'azienda forma danno talmente grave da costituire addirittura causa di decadenza dell'usufrutto (art. 2561).
L'unità funzionale ha rilievo sotto altro aspetto: quello per cui i beni non possono essere sottratti, se non per volontà dell'imprenditore, alla loro destinazione funzionale.
Il complesso aziendale si presenta cioè non soltanto come un tutto unico, ma addirittura come un tutto indivisibile e l'indivisibilità della azienda è affermata espressamente in sede di divisione ereditaria (art. 722); e, per altro, si ricava dal fatto che il frazionamento del complesso aziendale importa la perdita del valore di avviamento. Come la destinazione ad una funzione unitaria è opera dell'imprenditore, così per volontà di lui i singoli beni possono essere sottratti alla loro destinazione funzionale e può addirittura essere eliminato il complesso aziendale. È tuttavia da tener presente la disposizione dell'art. 838 cod. civ. la quale limita negli interessi della produzione nazionale la facoltà dell'imprenditore di distruggere il complesso aziendale già creato.
Non è necessario che i beni di cui risulta l'azienda (mobili o immobili, beni materiali o immateriali) siano tutti di proprietà dell'imprenditore; è sufficiente che egli ne abbia anche il solo godimento. Tutti questi beni sono destinati ad uno scopo produttivo unitario e trovano in questo il loro collegamento economico. Soltanto con riferimento alla destinazione economica è possibile fare, nell'ambito delle singole aziende, una graduazione di importanza dei singoli beni. Con il variare della destinazione economica varia anche la posizione rispettiva dei singoli beni, per modo che beni i quali in una determinata azienda assumono un'importanza prevalente possono in un'altra avere una posizione complementare.
Una distinzione che normalmente suol farsi nell'ambito del complesso aziendale è quella tra capitale fisso e capitale circolante: la distinzione ha un fondamento economico piuttosto che giuridico e sta a distinguere quel complesso di beni che, avendo carattere strumentale rispetto al processo produttivo, trovano una destinazione duratura nel complesso aziendale e che appunto costituiscono il capitale fisso (impianti, arredamenti, macchinarî, brevetti, ecc.) dal complesso dei beni che si consumano nel processo produttivo e nelle singole operazioni commerciali e sono destinati a rinnovarsi continuamente costituendo il capitale circolante dell'azienda (merci, materie prime o semi-lavorate, prodotti finiti).
L'azienda come tale, e cioè nella sua posizione funzionale, può formare oggetto di disposizione, così come possono formare oggetto di disposizione separata i singoli beni di cui l'azienda si compone: soltanto rispetto a determinati beni (i cosiddetti segni distintivi dell'azienda), la connessione con il complesso aziendale è tale da non consentire una separata disposizione.
La distinzione (naturalmente quando nello stesso tempo si disponga di una pluralità di elementi aziendali), non sempre è agevole in pratica. Spesso la disposizione del complesso aziendale come tale risulta dalla stessa terminologia usata (vendita dell'azienda, locazione dell'azienda); ma è chiaro che di disposizione dell'azienda come tale deve parlarsi anche se nel contratto siano stati dedotti tutti gli elementi costituenti il complesso aziendale o la parte esseriziale di essi.
Gli atti di disposizione dell'azienda, come tale, hanno sotto determinati aspetti una disciplina giuridica propria, la quale trae la sua giustificazione nella funzione strumentale dell'azienda stessa. Questa disciplina non esclude l'applicazione delle norme che riguardano i singoli elementi di cui l'azienda si compone, in quanto compatibili con la disciplina propria dell'azienda. Così ad es., nel caso di locazione di azienda, anche se tra gli elementi dell'azienda vi sia un immobile, non si applica rispetto a questo la proroga legale alla locazione. Si applicano invece le norme che riguardano il regime di circolazione dei singoli beni perché ciò è espressamente disposto all'art. 2556 cod. civ.
Principî particolari sono posti in ordine alla prova ed alla pubblicità; come pure in ordine agli effetti sostanziali dell'atto. Gli atti di trasferimento della proprietà o del godimento dell'azienda debbono essere provati per iscritto e debbono essere iscritti nel registro delle imprese (art. 2556). D'altra parte essi producono due ordini di effetti naturali: a) l'obbligo dell'alienante di astenersi da un'attività imprenditrice idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta (art. 2557); b) la successione da parte dell'acquirente nei contratti in corso di esecuzione relativi all'azienda (art. 2558). Si tratta soltanto di effetti naturali, i quali pertanto possono essere eliminati mediante una espressa pattuizione, ma si tratta di effetti che trovano un fondamento nella posizione strumentale dell'azienda rispetto all'impresa. È necessario che il valore dell'azienda in quanto strumento di un'attività produttiva non sia sottratto dall'alienante attraverso l'esercizio di un'attività concorrente, come pure è necessario che l'acquirente possa avvalersi di tutti quei rapporti contrattuali (contratti di lavoro, contratto di locazione, contratti di fornitura d'acqua, di luce, di telefono, contratti di assicurazione, ecc.) che sono indispensabili per il funzionamento dell'organizzazione aziendale.
Al trasferimento dell'azienda o del godimento di essa può riconnettersi la cessione dei crediti o l'accollo dei debiti inerenti all'azienda stessa. Tuttavia cessione e accollo non sono conseguenze legali del trasferimento dell'azienda, ma sono l'effetto di particolari pattuizioni. Soltanto per quanto riguarda i debiti risultanti dai libri contabili obbligatorî (art. 2560) e i debiti derivanti da rapporti di lavoro (ari. 2112) la legge pone a carico dell'acquirente dell'azienda una responsabilità solidale con l'alienante. Si tratta peraltro di una pura responsabilità e non anche di un obbligo dell'acquirente. In difetto di accollo espresso, i debiti relativi all'azienda non passano all'acquirente e questi, nel caso in cui tali debiti abbia soddisfatto, può ripetere dall'alienante le somme pagate.