AVIENO (Rufius Festus Avienus)
Poeta didattico latino, in massima parte traduttore dal greco, vissuto nel sec. IV d. C. In un'iscrizione metrica dedicatoria alla dea Nortia (specie di Fortuna etrusca) si dichiara nato a Bolsena (lare cretus Vulsiniensi) e discendente dal filosofo Musonio; aggiunge che abitò in Roma, ebbe due proconsolati, scrisse molti versi, fu uomo onesto, marito e padre felice. Quell'iscrizione lo mostra anche tenace pagano e, per la credenza nel fato, aderente alle idee stoiche. Possediamo di lui un poemetto astronomico e due geografici, oltre a un carme di 31 esametri in cui prega l'amico Flaviano di mandargli dei melograni d'Africa per rimedio alle sue sofferenze di stomaco. Il primo poemetto, Phaenomena, è traduzione del poema di Arato dallo stesso titolo; terza dopo quelle di Cicerone e di Germanico, alle quali è superiore per fedeltà ed eleganza e per esattezza di cognizioni scientifiche, desunte anche da altre fonti, non esclusi gli scolî Aratei. Sono poi di soggetto geografico: a) la Descriptio orbis terrae in 1393 esametri, parafrasi con addizioni in più luoghi della Periegesi di Dionisio alessandrino (detto il Periegeta) dei primi tempi dell'Impero, il quale però non vi è mai nominato, come invece accade nell'opera seguente in cui è detto haud respuendus testis; b) la Ora maritima, poemetto di cui non ci rimane che parte del primo libro, ove in 713 trimetri giambici si descrivono le coste dell'impero dalla Britannia fino a Marsiglia, mentre è perduto il seguito della descrizione che doveva giungere sino al Ponto Eussino. Quest'ultimo lavoro, per noi il più importante, benché di forma meno attraente, viene spesso allegato come fonte storica per la descrizione delle coste di Gallia e di Spagna nell'antichità. Non se ne conosce l'originale greco, che si ritiene fosse un antico periplo, dallo Schulten collocato intorno al 530 a. C. (con giunte tratte da un poemetto geografico del 100 circa av. C.), ma più probabilmente del sec. IV a. C., a giudizio del De Sanctis e d'altri. Lo stesso A. dice d'avere integrato la descrizione con il sussidio di Sallustio, che nelle Historiae faceva un excursus de situ Ponti, e con altre aggiunte di varia provenienza. È poi noto da Servio che A. si esercitò a ridurre in versi giambici le favole dell'Eneide e le storie di Livio (quest'ultime certo in compendio); talché il complesso dell'opera sua veniva ad abbracciare tutto l'universo, dal cielo alla terra, dal mito alla storia di Roma. Lo stile risentì dell'enfasi del tempo.
L'inscrizione autobiografica in Corp. Inscr. Lat., VI, 537 = Dessau, 2944. Il testo degli Aratea è fondato sul cod. Vindobonense 1 i7 del sec. X e sull'Ambrosiano D. 52 inf. del sec. XV, che contiene altresì la Descriptio o. t.; per l'Ora mar. ha valore di manoscritto l'ediz. principe di G. Valla (Venezia 1488), come anche per il carme a Flaviano. Dopo le edizioni antiche e quelle nei Poetae latini minores del Lemaire e del Wernsdorff e nei Geographi graeci min. di C. Müller ecc., ripubblicò gli Aratea A. Breysig, Lipsia 1882, tutte le opere A. Holder, Innsbruck 1887, l'Ora marit. A. Schulten, Barcellona 1922 (cfr. G. De Sanctis, in Riv. diffilol., 1923, p. 126), e A. Blázquez, Madrid 1924, con uno studio geografico.
Bibl.: E. Kosten, De Av. Dionysii interprete, Bonn 1888; G. Kirner, Intorno all'Ora mar. di Av., in Studi stor., II (1893); A. Oliveri sulla traduz. d'Arato, in Riv. di stor. ant., III (1898), p. 132; C. Ihnemann, De Av. in vertendis Ar. arte et ratione, Gottinga 1909; M. Schanz, Geschichte der röm. Litteratur, IV, i, Monaco 1914, p. 14 segg.; A. Garroni, Studi di antichità, Roma 1918.