AVICENNA (arabo Ibn Sīnā; fr. Avicenne; sp. Avicena; ingl. e ted. Avicenna)
Illustre filosofo e medico musulmano, cultore anche di scienze matematiche, fisiche e naturali e poeta di qualche merito, che scrisse per lo più in arabo, talora in persiano; nacque nel Ṣafar 370 èg. (agosto-settembre 980) ad Afshanah presso Bukhārà e morì a Hamadhān nella Persia occidentale, nel ramaḍān 428 (giugno-luglio 1037). Il nome completo è Abū ‛Alī al-Ḥusain ibn ‛Abd Allāh ibn Sīnā, spesso citato col solo titolo di ash-shaikh ar-ra'īs "il maestro capo"; per la storpiatura Avicenna v. aven. La sua vita, svoltasi sempre in Persia e nelle limitrofe provincie del Turkestān, fu assai movimentata e comprende anche qualche anno di carica di wazīr, cioè ministro, presso il sovrano buwaihide Shams ad-Dawlah (che regnò dal 997 al 1021) a Hamadhān, e quattro mesi di prigionia, un po' più tardi, per ragioni politiche.
Medicina e scienze. - A. fu ad un tempo medico teorico e pratico assai rinomato, tanto che proprio alle sue cure mediche egli dovette la carica predetta di wazīr. Compose in arabo parecchie opere, alcune grandi altre piccole, sulla medicina, delle quali la più famosa, sia in Oriente sia in Occidente, è l'al-Qānūn fī ‛ṭ-ṭibb "Il canone di medicina", per varî secoli studiato anche nelle università europee nella versione latina di Gerardo da Cremona (morto nel 1187), poi molto migliorata da Andrea Alpago, medico nato nella provincia di Belluno, che in trent'anni di vita in Oriente aveva appreso assai bene l'arabo e che morì circa nel 1520 professore nell'università di Padova. L'opera si divide in cinque trattati: 1) della medicina teorica e pratica in generale, inclusa l'anatomia del corpo umano; 2) dei medicamenti semplici; 3) delle malattie particolari a una data parte del corpo; 4) delle malattie non particolari d'una data parte; 5) della composizione e applicazione dei medicamenti. Il testo arabo fu stampato per la prima volta a Roma, nella tipografia medicea, nel 1593 a cura di G. B. Raimondi, e più volte ristampato interamente o parzialmente in Oriente nella seconda metà del secolo scorso e nei primi anni del presente; la versione latina ebbe non meno di 30 edizioni totali o parziali, di cui 15 anteriori al 1500 (la 1ª edizione della revisione dell'Alpago fu fatta a Venezia nel 1527, in 2 voll. in folio). Un'eccellente traduzione francese della parte anatomica del primo trattato, con ottime note, è a pp. 432-781 di P. de Koning, Trois traité d'anatomie arabes, Leida 1903; la versione francese di ciò che riguarda i calcoli renali e vescicali fu data dallo stesso de Koning in appendice al trattato d'ar-Rāzī (Leida 1896); la parte oftalmologica fu tradotta in tedesco da J. Hirschberg e J. Lippert (Die Augenheilkunde des Ibn Sina, Lipsia 1902). Molta voga ebbe pure in Europa la Urgiūzah o "poemetto in metro ragiaz", che in 1316 versi (o 758 distici) riassume tutta la medicina teorica e pratica, aggiungendo infine notizie su alcune operazioni chirurgiche; la traduzione latina, unita al commento di Averroè (v.) e intitolata Cantica (neutro plurale), fu fatta fare dal medico Armengaud (fils de Blaise) di Montpellier nel 1280 o 1284 e fu spesso stampata con il Canone oppure con il Colliget di Averroè. Anche qualche altro opuscolo medico fu tradotto nel Medioevo e stampato.
Gli scritti concernenti la matematica, l'astronomia, le scienze naturali sono in parte indipendenti e in parte incorporati in qualcuna delle sue grandi enciclopedie filosofiche (specialmente l'ash-Shifā'); inediti per la massima parte, non furono studiati da alcuno, se si eccettuano i piccoli lavori di E. Wiedemann (1912) sul modo con cui avviene la visione, di K. Lokotsch (1912) sui libri planimetrici della sua versione d'Euclide, di M. Horten (1913) sulla spiegazione dell'arcobaleno, e di E. J. Holmyard (1927) su parte della mineralogia contenuta nel Kitāb ash-Shifā'. Quindi è impossibile determinare i meriti di A. in questi campi, benché accenni sparsi nelle sue opere a stampa mostrino chiaramente il suo vivo interesse per l'osservazione dei fenomeni celesti e terrestri, per la mineralogia, ecc.
Poesia. - All'infuori di versificazioni freddamente didascaliche in arabo, tra le quali la citata Urgiūzah medica e un breve poemetto in distici sulla logica (tradotto da A. Schmölders, Documenta philosophiae Arabum, Bonn 1836, pp. 26-42), si conservano di A. alcune poesie arabe, di carattere letterario oppure quasi filosofico, e anche dodici quartine persiane improntate a scetticismo profondo.
Filosofia. - Da un punto di vista esteriore le opere filosofiche d'A. possono dividersi in due classi: libri speciali, ossia trattanti un ramo particolare della filosofia o un argomento ancora più speciale, e libri di carattere universale abbraccianti una dopo l'altra tutte le discipline filosofiche nel senso più largo della parola, tanto da comprendere in taluni (p. es. nell'ash-Shifā') anche la trattazione esauriente della teoria musicale, dell'aritmetica, della geometria e dell'astronomia, nonché, sull'esempio d'Aristotele, della meteorologia e delle scienze naturali. Delle opere di questa seconda classe enciclopedica alcune constano di molti grossi volumi, altre sono più brevi, altre brevissime; qualcuna è in persiano, ma la maggior parte, e fra queste le più importanti, sono in arabo. Fra esse tre meritano particolare ricordo, anche perché la loro esistenza fu nota a Ruggero Bacone (su ciò v. Nallino, in Rivista degli studi orientali, X, 1925, 454 e 464) 1) ash-Shifā' "La guarigione, (dall'errore); grande trattazione di tutte le scienze filosofiche" matematiche e naturali, che Avicenna dichiara di fare in modo conforme alle dottrine peripatetiche; ma essa in realtà contiene anche elementi neoplatonici e vedute personali di A., che la condusse a termine nella suaccennata prigionia. Nel Medioevo ne furono tradotte in latino alcune sezioni (piccola parte della logica, metafisica, de caelo et mundo, fisica nel senso aristotelico, de anima, degli animali), stampate poi in unico volume a Venezia nel 1495 e nel 1508; del testo arabo si sono pubblicate soltanto la metafisica e le scienze fisico-naturali (incluso il de anima e il de animalibus) in una litografia di Ṭeherān, del 1303-1305 èg. (1886-1888), in 2 volumi. La metafisica fu tradotta dall'arabo in tedesco da M. Horten, Die Metaphysik Avicennas, Lipsia 1900; ma, nonostante le utili note, questa versione non può dirsi più soddisfacente della medievale latina. 2) al-Ḥikmah al-mashriqiyyah "La filosofia orientale", di mole minore dell'opera precedente, alla quale è posteriore; il titolo deriva dal fatto che A. nel prologo, forse con parecchia esagerazione, dice di abbandonare l'attaccamento alle dottrine dei peripatetici per muoversi più liberamente ed esporre senza troppi riguardi il proprio pensiero, sicché "orientale" dovrebbe opporsi ad occidentale, cioè greca. Di quest'opera fu pubblicato soltanto un frammento della logica (Cairo 1328 èg., 1910), che l'editore non ha saputo identificare col nostro trattato. 3) al-Ishārāt wa 't-tanbīhā "Accenni ed avvertimenti", che sembra essere un breve compendio del precedente; riguarda la logica, la fisica in senso aristotelico (quindi inclusa la psicologia) e la metafisica (inclusa la mistica filosofica) e offre molto compendiato il definitivo pensiero filosofico d'Avicenna. Fu edito in arabo da J. Forget, Le livre des theorèmes et des avertissements, Leida 1892.
Delle altre opere complessive filosofiche d'A. non può essere qui dimenticato l'an-Nagiāh "La salvezza" (dall'errore), compendio del citato ash-Shifā', con esclusione dei libri matematici, musicali, astronomici, zoologici e botanici; stampato per la prima volta in arabo a Roma nel 1593 in calce al Canone di medicina, fu ristampato meglio al Cairo nel 1331 èg. (1913). La sua logica fu volta in francese da P. Vattier, La logique du fils de Sina communément appelé Avicenne, Parigi 1658; la sua metafisica ebbe un interprete latino in mons. Ni‛mat Allah Karam (Avicennae Metaphysices compendium..., Roma 1926; su di esso v. le osservazioni di C. A. Nallino, in Oriente Moderno, VII, 1927, pp. 517-525).
A. aveva composto un enorme commento ad Aristotele, intitolato al-Inṣāf "L'imparzialità", poiché l'autore si studiava d'essere imparziale fra gli occidentali (cioè i peripatetici puri) e gli orientali (cioè imbevuti di neoplatonismo); ma esso perì in un saccheggio mentre A. era ancora in vita.
Degl'innumerevoli scritti monografici d'A. ricordiamo gli opuscoli tradotti e raccolti in un solo volume dal già citato Alpago, Venezia 1546 (postumo), ossia il compendio de anima (poi, nel 1875 edito con versione tedesca e buone note da S. Landauer e nel 1906 tradotto in inglese a Verona da E.A. van Dyck), il De mahad (= al-ma‛ād) cioè sulla vita futura, aforismi sull'anima, un libretto sulle definizioni e su alcune questioni, un opuscolo sulla divisione delle scienze; inoltre il gruppo di opuscoli pubblicati in arabo e tradotti o analizzati in francese da M. A. F. Mehren, col titolo complessivo di Traités mystiques d'Abou Alî... Avicenne, Leida 1889-1899, 4 fasc., che ci dànno l'insegnamento riservato od esoterico d'A.
A. professa un aristotelismo imbevuto grandemente di neoplatonismo; da questo punto di vista è un vero discepolo spirituale d'al-Fārābī (v.), dal quale, fra l'altro, egli deriva la curiosa cosmogonia emanatista divenuta famosa anche presso scrittori latini medievali e del Rinascimento, e parimenti deriva la spiccatissima tendenza alla mistica filosofia che si manifesta negli scritti esoterici. D'altro canto si sente qua e là il desiderio di andare verso alcune dottrine della teologia speculativa ash‛arita (v. al-ash‛arī e islamismo), pur dissentendo profondamente da altre; e appunto queste concessioni furono aspramente rimproverate ad Avicenna da Averroè (v.).
Nella dottrina degli universali egli, sulle orme d'al-Kindī e d'al-Fārābī che qui fusero Aristotele e Platone, arriva a una formula assai vicina al realismo temperato della Scolastica e forse ispiratrice di quella d'Alberto Magno: gli universali esistono prima della molteplicità (ossia nella mente del Creatore), nella molteplicità (ossia nella realtà delle cose) e dopo la molteplicità (ossia come concetti che la nostra mente desume per astrazione dalle cose particolari e poi di nuovo riferisce ad esse).
Caratteristica è la sua dottrina dell'ente, ch'egli distingue in tre categorie: l'assolutamente necessario per sé stesso; il possibile (contingente) per sé stesso, ma necessario e perpetuo a causa d'un altro; il possibile semplicemente. L'assolutamente necessario (wāgib al-wugiūd, reso con il curioso sostantivo necesse esse nel Medioevo latino) è Dio; la seconda categoria è costituita dalle sfere celesti, dalle intelligenze "separate" e dall'anima umana, le quali tutte ricevono dal Primo, cioè da Dio, la necessità del loro essere; la terza si riduce a tutte le cose sublunari, le sole che siano soggette a perire. Di questa triplice divisione, poi acremente combattuta da Averroè, A. si vale per costruire una dimostrazione dell'esistenza di Dio accettabile anche da coloro che, come i teologi speculativi della scuola ash‛arita, negavano in modo assoluto il principio di causalità e le cause seconde; è la prova del possibile o contingente, che, modificata da Averroè (v.), fu anche accolta da S. Tommaso d'Aquino. In Dio, uno assoluto, l'essenza (o quiddità) non differisce realmente dall'esistenza, al contrario di quanto accade in tutte le categorie di enti possibili, nei quali, secondo A., l'esistere si aggiunge all'essenza o quiddità dal di fuori a modo di accidente. Unità assoluta, semplicità, perfezione massima, bontà, intelligenza, bellezza, verità sono tutti attributi della divinità; ma queste affermazioni non ci dicono nulla di positivo, non avendo alcun rapporto con i corrispondenti concetti umani; della natura intrinseca di Dio noi nulla possiamo affermare all'infuori dell'assoluta unità o semplicità. Non è impossibile che questo agnosticismo avicenniano s'ispiri alla teodicea ash‛arita.
Dio opera al difuori di sé; ma da lui, unità semplicissima, non può emanare una pluralità, bensì un ente solo. Perciò il mondo sublunare deriva dal Primo attraverso una serie di emanazioni degradanti, che A. copia interamente da al-Fārābī, dal quale diverge soltanto nel modo di considerare l'intelletto attivo: per al-Fārābi questo è il motore della prima sfera (entro la quale si muovono tutte le altre sfere celesti e dove si creano le forme di tutte le cose sublunari), invece per A. è l'ultima delle intelligenze separate, è l'intelligenza del mondo terreno, è quella che fornisce all'intelletto umano (l'intelletto possibile o potenziale) le forme intelligibili e alla materia le forme sostanziali; perciò, in tale sua funzione, A. lo chiama il datore delle forme. Esso è dunque il reggitore del mondo terreno, e da lui provengono le anime umane. A partire dal Nifo (1497), questo intelletto attivo avicenniano, soprattutto nella sua funzione di datore delle forme, fu noto in Europa per circa due secoli con il nome di colcodea (v.); Averroè lo combatté parecchie volte. L'universo esiste ab aeterno, ma fin dall'eternità è causato da Dio; se non che questa creazione ab aeterno è immediata soltanto per la prima intelligenza (quella della prima sfera celeste), intervenendo per il resto dell'universo, come conseguenza della dottrina dell'emanazione, cause intermedie ed esse stesse creatrici. Teologi musulmani e cristiani, nonché Averroè, interpretarono la teodicea avicenniana come negante che Dio conosca le cose singole per sé stesse quando sono, pur conoscendole in forma generale sin dall'eternità; ma su questo v. Nallino, in Oriente Moderno, VII (Roma 1927), pp. 523-524.
La psicologia ebbe grande e non di rado originale sviluppo in A.; ma non è qui il luogo di parlarne.
Già da quanto precede appare che il concetto di Dio e la cosmogonia d'A. male si accordano con gl'insegnamenti del Corano e della teologia musulmana, benché in vari casi egli tenti un ravvicinamento a dottrine della scuola ash‛arita mediante modificazioni d'insegnamenti peripatetici. La verità della religione positiva non è da lui impugnata; ma usando interpretazioni allegoriche di testi coranici e mediante il principio che Maometto, dovendosi rivolgere agli Arabi grossolani e ignoranti del suo tempo, non poteva usare un linguaggio conforme ad alte esigenze intellettuali, egli arriva a conclusioni che talora sono in pieno contrasto con i testi; p. es., nega la risurrezione dei corpi e considera la preghiera canonica (valida soltanto in determinate parti della giornata, previa purità corporale, e consistente in formule e in movenze del corpo immutabili) come corrispondente a un basso grado spirituale e solo atta a distinguere l'uomo dal bruto. In uno dei suoi opuscoli sembra addirittura adombrata la dottrina delle due verità, la filosofica e la religiosa. S'intende quindi la violenza degli attacchi d'al-Ghazālī (v.) contro di lui.
Come al-Fārābī, A. è un mistico di tipo neoplatonico. Il grado di perfezione dell'anima del profeta (nel senso musulmano) è inferiore a quello del mistico compiuto. Mediante la via ascetica, della quale fa parte l'orazione (non la semplice preghiera canonica), le anime elette possono in questa vita, in grazia ad uno sforzo continuo sentimentale e intellettuale ad un tempo, superare in parte o tutte le stazioni (maqāmāt) della via mistica, delle quali la più elevata, cioè l'undecima, si ha quando il mistico perde la coscienza di sé; "allora egli non scorge se non la corte della Santità (= Dio), o, se scorge l'anima propria, la scorge solo in quanto essa è contemplante; allora si avvera l'unione (con Dio)". In questo stato l'anima del mistico acquista poteri straordinarî e può causare fatti di carattere eccezionale, i quali tuttavia non sono da considerarsi come infrazioni alle leggi naturali; in questo punto Avicenna si stacca nettamente dai ṣūfī (v.) o mistici musulmani non filosofi. Aggiungiamo che A. non riconosce valore all'astrologia.
Sulla filosofia del Medioevo latino, a partire dal secolo XII, A. esercitò un'influenza notevole, sia fornendo contributi positivi di dottrine, sia sollevando utili discussioni.
Bibl.: Manca uno studio approfondito su Avicenna, che tenga conto di tutte le sue opere finora edite o tradotte, sia essoteriche sia esoteriche o riservate. v. Carra de Vaux, Avicenne, Parigi 1900 (del quale circa metà riguarda anteriori studî filosofici degli Arabi); H. Ritter, Geschichte der Philosophie VIII (Geschichte der christl. Philos., IV), Amburgo 1845, pp. 18-58 (basato precipuamente sugli opuscoli tradotti dall'Alpago) e pp. 161-164; A. Stöckl, Gesch. d. Philos. des Mittelalters, II, Magonza 1865, pp. 23-58 (essenzialmente in base agli opuscoli dell'Alpago); S. Munk, Mélanges de philosophie juive et arabe, Parigi 1859, pp. 352-366; C. Prantl, Gesch. der Logik, II, Lipsia 1861, pp. 318-361; A. F. Mehren, serie di articoli nel Muséon di Lovanio, I-VIII (1882-1889), studianti opuscoli riservati e mistici prima non mai esaminati; M. Winter, Über Avicennas Opus egregium de anima (Liber sextus naturalium), Monaco 1903 (analisi della 1ª parte del libro dell'anima nell'ash-Shifā'); B. Haneberg, Zur Erkenntnisslehre von Ibn Sina und Albertus Magnus, Monaco (Abhandl. Akad.) 1866 (con uso anche del piccolo libro inedito ‛Uyūn al-ḥikmah "Le questioni più importanti della filosofia"); C. Sauter, Avicennas Bearbeitung der Aristotelischen Metaphysik, Friburgo in B. 1912 (analisi della metafisica dell'ash-Shifā secondo la versione latina medievale); C. A. Nallino, Filosofia "orientale" od "illuminativa" in Avicenna?, in Riv. degli studi orientali, X (1925), pp. 433-467; J. Eddé, Avicenne et la médecine arabe, Parigi 1889 (diss. di dott.); oltre ai lavori citati nel corso dell'articolo.