Avicenna (ibn Sīnā)
Medico e filosofo persiano nato nel 980 (370 egira) presso Buchara, morto ad Hamadān nel 1037 (428 egira). Scrisse alcune opere in persiano e altre, le principali, in arabo.
Celebre il suo al Qānūn fi l-tibb (Canone di medicina); di filosofia, le opere più importanti sono: Kitāb al-Sīfā' (Libro della Guarigione [Dell'Anima]), e una raccolta di estratti della medesima: Kitāb al-Nağiāht (Libro della Salvezza [Dall'errore]); Kitāb al-Insāf (Libro del Giudizio imparziale [fra Orientali e Occidentali]); Kitāb al-Isārāt wal-tanbīhāt (Libro delle Direttive e annotazioni); alcuni poemetti filosofico-religiosi, e la Filosofia orientale (correzione di quella degli Occidentali, cioè di quella greca), di cui non si possiede il testo. In filosofia si presenta come commentatore di Aristotele, di cui conosce soprattutto la Metafisica, e di cui riteneva che fosse la Theologia Aristotelis, che invece è un compendio delle Enneadi di Plotino. Il suo pensiero è un tentativo di conciliazione fra aristotelismo e neoplatonismo da una parte, e il Corano dall'altra. Alcune parti principali del Kitāb al-Sīfā', e cioè la Filosofia prima o Metafisica, il De Anima, il De Coelo e il De Animalibus furono tra le prime opere tradotte dall'arabo in latino (Domenico Gundisalvi, tra il 1125 e il 1150), ancora prima che venissero tradotte le opere di Aristotele: l'affermazione della spiritualità e immortalità dell'anima e di una specie di illuminazione divina lo rendevano gradito ai latini cristiani; nel sec. XIII subì però le condanne parigine unitamente ad Aristotele; fu molto stimato da Alberto Magno e da Tommaso d'Aquino, ma poi venne oscurato dal prevalere di Averroè e dall'averroismo.
Le traduzioni latine di A. erano nelle mani dei dottori e maestri medievali; è però opinione comune (dalla quale differisce C. Sauter, Avicennas Bearbeitung der aristotelischen Metaphysik, Friburgo I. B. 1912, 52) che D. ha conosciuto il pensiero di A. indirettamente, specialmente attraverso Alberto Magno e Tommaso d'Aquino: è ben diverso il modo con cui egli si richiama ad A. da quello con cui cita, per es., il Libro delle Cagioni (De Causis). Nella Commedia, semplicemente nomina A. (If IV 143) tra gli spiriti magni apparsigli nel Limbo, senza aggiungere nulla. Nel Convivio il nome appare in II XIII 5, XIV 7, III XIV 5, IV XXI 2; ma anche in questi luoghi più del nome c'è assai poco. Nel primo, D. espone le opinioni circa l'influsso dei cieli sulla generazione delle anime, delle piante e degli animali: secondo Platone, A. e Algazel le anime sarebbero prodotte dalle intelligenze motrici dei cieli: da li motori (Avicenna Metaphysices compendium, Roma 1926, 192-196; cfr. Tomm. Cont. Gent. III 69). Nel secondo luogo, A., con Aristotele e Tolomeo, è citato a proposito della spiegazione o costituzione della Via Lattea: la Galassia non è altro che moltitudine di stelle fisse in quella parte, tanto picciole che distinguere di qua giù non le potemo (cfr. Alb. Magno Meteor. 12, 5 e 6). Nel terzo luogo, ad A. è attribuito il merito di aver distinto chiaramente fra luce, raggio e splendore (Avicenna De Anima III 1). Nel quarto, trattando D. dell'origine delle diversità tra le anime umane, afferma che A. e Algazel volsero che esse da loro e per loro principio f ossero nobili e vili; e Plato e altri volsero che esse procedessero da le stelle (Avicenna De Anima V 3; cfr. Alb. Magno De Somno et vigilia III 1 6).
Più interessante, sebbene meno sicuro, è vedere se e fino a qual punto D., senza riferirsi esplicitamente ad A., ha conosciuto e ha seguito, o meno, dottrine di ispirazione avicenniana. Lo studioso che in Italia ha messo in luce rapporti di questo genere tra D. e A. è stato Bruno Nardi, e ne ha trattato specialmente nei saggi del volume D. e la cultura medievale, Bari 19492. Nell'ultimo luogo del Convivio dianzi citato, D. riferisce la sua opinione circa l'origine dell'anima umana, argomento trattato ugualmente in Pg XXV 37-75: nel seme maschile, che non ha propriamente un'anima, l'anima del generante produce una virtù formativa, destinata a sviluppare e ‛ formare ', una volta unitosi il seme alla materia preparata dalla madre, dapprima un'anima vegetativa e poi un'anima sensitiva, conducendo tali anime dallo stato di potenzialità in cui si trovavano nella materia, sia materna che paterna, allo stato di attualità, concorrendo con la virtù formativa, per la produzione dell'anima sensitiva, una virtù o calore proveniente dalle costellazioni celesti, e una virtù derivante dalla diversa ‛ complessione ', o combinazione, dei quattro elementi da cui il seme è costituito. Una volta in atto l'anima sensitiva, non potendosi trovare altro di più perfetto nella potenzialità della materia, una tale anima riceve da la vertù del motore del cielo lo intelletto possibile; lo quale potenzialmente in sé adduce tutte le forme universali, secondo che sono nel suo produttore, e tanto meno quanto più dilungato da la prima Intelligenza è (Cv IV XXI 5). Una tale dottrina è sostanzialmente comune ad Aristotele (Gen. anim. II 3), ad A. (Animal. XVI 1), e a s. Tommaso (Sum. theol. I 118 1: rimane dubbia la precisazione se la virtù formativa sia essa stessa che diventa dapprima anima vegetativa e, divenuta sensitiva, le sia aggiunto, da parte di Dio, l'intelletto possibile (Anima fatta la virtute attiva, Pg XXV 52; l'anima in vita... riceve... lo intelletto possibile, Cv IV XXI 5), interpretazione aristotelica di A. e di D. secondo il Nardi, oppure se sia soltanto strumento del succedersi delle anime vegetativa, sensitiva e intellettiva (spirito novo... / ciò che trova... tira / in sua sustanzia, e falsi un'alma sola, / che vive e sente e sé in sé rigira, Pg XXV 72-75), interpretazione di s. Tommaso secondo il Busnelli. Aristotele, inoltre, chiama ciò che viene dal di fuori (θύραθεν), intelletto (νου̃σ); s. Tommaso parla di anima intellettiva; l'espressione intelletto possibile (v.) adoperata da D., allude evidentemente alla distinzione aristotelica tra intelletto possibile e intelletto agente, ma qui è un'eco delle interpretazioni arabe di tali intelletti.
A. ammetteva che l'intelletto possibile è una capacità dell'anima umana, mentre l'intelletto agente è separato dalle anime umane e unico per tutte; Averroè invece faceva separati e unici entrambi gl'intelletti. L'uso dell'espressione e la dottrina ammessa da D. sono prettamente di Avicenna. Il Nardi vede nelle forme universali le idee innate irraggiate nell'intelletto possibile dall'intelletto agente, identificato con Dio (sarebbero le orme lasciate, come dice il De Causis, dalla Bontà divina che manda le sue bontadi sopra le cose con uno discorrimento... e ciascuna cosa riceve... secondo lo modo de la sua vertù e de lo suo essere, Cv III VII 2-3) e pure questo sarebbe un richiamo avicennistico: l'intelletto agente quale "dator formarum": Metaph. IX 5; Metaph. compend. XXIV e 195; ma è più probabile che il passo voglia dire che l'intelletto possibile, che trasforma l'anima sensitiva in anima intellettiva, porta con sé, nella sua potenzialità, le forme universali che sono in atto in chi lo produce, nel motore del cielo, in Dio, prima intelligenza (D. infatti dice che Esce di mano a lui che la vagheggia / ... l'anima semplicetta che sa nulla, Pg XVI 85-88; e il vostro ingegno ... solo da sensato apprende / ciò che fa poscia d'intelletto degno, Pd IV 41-42). Infine, il testo citato afferma, poco dopo, che se le tre virtù predette (informativa, del cielo e della complessione) fossero perfette, perfetto sarebbe l'intelletto possibile prodotto, adatto a esse, dal motore del cielo, e l'anima sarebbe un altro Iddio incarnato (Cv IV XXI 10). Ora, Alberto Magno riferisce che A. e Algazel di quest'anima così perfetta " dicunt, et est, quoad intellectum, quasi Deus incarnatus " (cfr. B. Nardi, D. e la cultura, pp. 261-270, 186-191; cfr. inoltre il Convivio nell'edizione Busnelli-Vandelli, II 392-404).
Può essere reminiscenza avicennistica il dubbio che per un certo tempo angustiò, secondo il Nardi, la mente di D. circa la possibilità della creazione della materia prima da parte delle intelligenze motrici dei cieli: Cv IV I 8 io mirava e cercava se la prima materia de li elementi era da Dio intesa (B. Nardi, D. e la cultura, pp. 248-253).
Un'altra reminiscenza può essere la divinatio in somniis come prova razionale per l'immortalità dell'anima: oltre al consenso universale e al desiderio naturale di tale immortalità vedemo continua esperienza de la nostra immortalitade ne le divinazioni de' nostri sogni, le quali essere non potrebbono se in noi alcuna parte immortale non fosse; con ciò sia cosa che immortale convegna essere lo rivelante, [o corporeo] o incorporeo che sia... per le diverse oppinioni ch'io truovo di ciò, e quello ch'è... informato da informatore immediato debba proporzione avere a lo informatore (Cv II VIII 13, cfr. 7 ss.): ora A., citato da Alberto Magno, ammette che " aliquando fiunt [somnia] ex operatione caelestium corporum ", oppure, data la ‛ comparatio ' esistente fra l'anima umana e le intelligenze celesti, le previsioni del futuro sono rivelate nei sogni perché " omnia quae in mundo sunt, praeterita, praesentia et futura, habent esse in sapientia creatoris et angelorum intellectualium " (Avicenna De Anima IV 2; cfr. B. Nardi, D. e la cultura, pp. 248-296).
Bibl. - B. Nardi, Sigieri di Brabante le fonti della filosofia di D., in " Rivista di filosofia neoscolastica " apr.-ott. 1911, febbr.-apr. 1912, estratto, 12-19, 28-32, 44-46; É. Gilson, D. et la philosophie, Parigi 19532, 145; C. Giacon, A. e Tommaso, Messina 1958; B. Nardi, Studi di filosofia medievale, Roma 1960, 9-68; C. Giacon, I primi concetti metafisici, Bologna 1968, 209-243.