SERRISTORI, Averardo
SERRISTORI, Averardo. – Nacque a Firenze il 17 novembre 1497 da Antonio e da Maddalena di Francesco Gherardi.
La coppia ebbe dodici figli e Averardo, il primo maschio, fu battezzato in S. Maria del Fiore.
La famiglia dei Serristori era originaria di Figline nel contado fiorentino. Il capostite, il notaio ser Ristoro, intorno al 1348 si era trasferito a Firenze ed era entrato al servizio della Signoria. Nel corso del secolo XV la famiglia fu in costante ascesa al servizio del reggimento mediceo. Il padre Antonio fu ‘familiare de Medici’ durante la signoria informale di Lorenzo il Magnifico.
Averardo sposò Alessandra Antinori; dei figli si ricordano Ludovico, Camillo, Bartolomeo e Antonio.
Difese il regime repubblicano e in seguito quello del gonfaloniere Piero Guicciardini nel 1527. Appena successe al duca Alessandro, il duca di Firenze Cosimo I de’ Medici lo chiamò al suo servizio e lo inviò come ambasciatore straordinario presso Carlo V nell’estate del 1537. Serristori, esponente della nuova leva degli ambasciatori di Cosimo, fu inviato per affiancare e controllare Giovanni Bandini che già vi risiedeva dal periodo di Alessandro. Le istruzioni datate 7 agosto 1537, solo pochi giorni dopo la disfatta dei fuoriusciti nella battaglia di Montemurlo, descrivono un momento politico molto delicato. Con il linguaggio imperioso che gli era proprio, Cosimo ordinava a Serristori di ribadire che la sua «fedeltà [a Carlo V] non è atto di dipendenza ma, in uno scambio implicito, garanzia per Carlo V di avere nel duca fiorentino un alleato certo per la tenuta del sistema imperiale in Italia» (Contini, 2007, p. XLI). Averardo riuscì a ottenere il diploma che confermava Cosimo nella sua posizione di nuovo duca di Firenze, evitando qualsiasi dipendenza feudale dall’Impero. Carlo V non accettò invece di restituire le fortezze (che presidiava con proprie compagnie militari) né di dare la figlia illegittima Margherita, vedova di Alessandro, in moglie a Cosimo.
Durante la missione, Serristori, che trattava soprattutto con Francisco de los Cobos e Antoine Perrenot de Granvelle, informava inoltre sulla prigionia di Filippo Strozzi, tenuto in carcere dopo la disfatta di Montemurlo. Tornato a Firenze nel 1538, l’anno dopo fu posto al comando di un corpo militare per difendere le frontiere da un eventuale attacco del pontefice Paolo III Farnese e divenne commissario di Cortona con il compito di rinforzare le fortificazioni a Borgo San Sepolcro e Arezzo. Nel 1539-40 fu capitano di Fivizzano (Massa-Carrara).
Nel 1540 entrò a far parte del Senato e l’anno successivo fu inviato come ambasciatore residente presso Paolo III. Dopo la morte di Clemente VII (settembre 1534) Roma era divenuta la base delle operazioni e dei contatti tra gli esuli politici fiorentini. Con la sconfitta di Montemurlo la maggior parte dei fuorusciti si riconciliò con il duca, ma per altri Roma rappresentò ancora una base d’azione. Serristori doveva vigilare attentamente sulle loro mosse. Nella difficile fase dello scontro con il pontefice a proposito della decisione di Cosimo I di cacciare da Firenze i frati domenicani, sostenitori di orientamenti repubblicani savonaroliani e antimedicei, l’ambasciatore fu affiancato da Giulio Del Caccia.
Cosimo tuttavia non si fidava del tutto di Serristori, pur così importante fra gli ufficiali al suo servizio, poiché l’ambasciatore aveva dei legami familiari, attraverso il padre Antonio, con Paolo III, nemico di Cosimo e protettore dei fuoriusciti a Roma, con il cardinal nipote Alessandro e con il cardinal Niccolò Ridolfi, esponente di spicco del fuoriuscitismo. Durante la residenza a Roma Cosimo inviò quindi un’istruzione segreta al giovane segretario Bartolomeo Concini incaricandolo di sorvegliare l’operato di Serristori.
Nel 1545 l’ambasciatore tornò a Firenze e fu nuovamente inviato presso Carlo V, accompagnato da Concini come segretario di legazione. Serristori raggiunse l’imperatore a Utrecht il 25 dicembre 1545 e poi lo seguì in Baviera. Lo accompagnava anche Francesco Brinatini e in seguito lo raggiunse il figlio Ludovico. Dopo aver consolidato il potere all’interno recuperando le fortezze nel 1543, Cosimo I ambiva a un allargamento territoriale e incaricava Serristori di negoziare l’acquisizione del piccolo Stato di Piombino in cambio di un prestito all’imperatore. La vicenda non andò a buon fine dacché Carlo V poco dopo averglielo concesso revocò la decisione. Serristori si trovava presso l’imperatore durante la crisi senese del 1546-47, quando i contrasti fra le fazioni o ‘monti’ che dividevano la Repubblica portarono a una rivolta. A Serristori Cosimo mandò un’informazione di dettaglio sulla rivolta senese nella quale aspirava a porsi agli occhi di Carlo V quale mediatore del conflitto fra i ‘popolari’ filofrancesi e i ‘noveschi’ ormai in gran parte di fedeltà imperiale.
Rientrato dalla Germania, nel 1547 Averardo fu inviato nuovamente presso la corte pontificia dove rimase fino al 1555, impegnandosi nel rappresentare Cosimo e informarlo con precisione ed efficacia. Durante questo periodo svolse anche missioni fuori Roma, come quella a Ferrara nel 1550 e quella segreta a Siena nel 1553. A Roma si occupò ancora delle mosse dei fuoriusciti antimedicei. Grazie alla rete di informatori che costruì, fu in grado di inviare tempestivamente informazioni sulla congiura contro Cosimo che era stata progettata con l’appoggio di Pietro Strozzi e dell’arcivescovo Antonio Altoviti e contribuì a evitarne la realizzazione. Dopo l’elezione di Giulio III nel 1550, figura molto vicina a Cosimo I, la missione a Roma proseguì in un clima più disteso e anche i rapporti con la nazione fiorentina si fecero meno tesi.
Con l’elevazione al pontificato di Paolo IV Carafa nel 1555, figura di grande forza e ostile a Cosimo, l’ambasciatore fu sostituito da Bongianni Gianfigliazzi. Nel 1557 si recò presso l’imperatore per chiedere la spedizione del diploma granducale. Nell’ambito della sua politica di impiego degli ufficiali e ministri migliori in modo indifferente per il governo interno o per rappresentarlo presso altri Stati, Cosimo inserì Serristori, rientrato a Firenze, nella Pratica segreta e fra i ‘riformatori’ per la creazione del Magistrato dei nove nel 1560, insieme a Gianfigliazzi e a Pier Filippo Pandolfini.
Dopo l’avvento al pontificato di Pio IV, Giovan Angelo Medici, molto vicino a Cosimo I, nel 1561 Serristori fu inviato nuovamente a Roma. Qui Averardo aveva trascorso buona parte della sua vita adulta e si era inserito molto bene. Conosceva l’ambiente dei mercanti fiorentini della città attraverso le aziende di seta e di battiloro del padre e dello zio che avevano rapporti commerciali, rinsaldati da unioni matrimoniali, con i connazionali. Attraverso le frequentazioni curiali Averardo sperava di favorire la carriera ecclesiastica del terzogenito Bartolomeo (arcivescovo di Trani e cameriere segreto di Giulio III).
Ebbe una vasta rete di conoscenze sul piano culturale e politico e rapporti con figure di rilievo quali Benvenuto Cellini e Michelangelo. Giorgio Vasari racconta che, alla morte di Michelangelo, l’ambasciatore fece in modo che i suoi disegni non fossero dispersi. Fu destinatario di dediche come quella dell’umanista-stampatore Priscianese (Francesco della Pieve a Presciano) della traduzione di Paolo Del Rosso delle Vite dei dodici cesari di Svetonio. Il cardinale Alessandro Farnese lo avvicinò all’Accademia della Virtù, un gruppo di letterati interessati allo studio del De architectura di Vitruvio. Serristori fu in contatto anche con il cardinale Marcello Cervini, uomo di cultura che aveva interessi anche per l’architettura, per il quale Averardo chiedeva a Cosimo un rilievo della villa di Poggio a Caiano, esempio di eccellenza di architettura all’antica. Si trattava di una strategia volta a mantenere contatti e frequentazioni che passavano anche per i canali culturali. In questo modo teneva sotto controllo l’attività dei fuoriusciti fiorentini a Roma, come nel caso del suo rapporto con Priscianese, amico di Serristori e attraverso il quale controllava la corte di Ridolfi di cui Priscianese era amico. Quando in Toscana imperversava la guerra di Siena, ad Averardo fu chiesto di riattivare l’attività di controllo e spionaggio nei confronti di alcuni membri della nazione fiorentina a Roma. Il principale esponente era il banchiere Bindo Altoviti. Di fronte alla confisca dei beni del banchiere in Toscana, Averardo cercò invano di ottenere dal pontefice il permesso di sequestrare anche quelli romani.
Rimase a Roma fino alla morte occorsa nel 1569, pochi mesi prima del conferimento del titolo granducale a Cosimo per mano di Pio V, al termine di una tessitura diplomatica a cui lo stesso Serristori aveva contribuito.
Nel 1549 aveva acquisito a Roma in nome di Cosimo la residenza in Borgo Vecchio del cardinale Benedetto Accolti che aveva designato Cosimo I erede universale (e non senza che insorgesse su questo tema una complessa questione ereditaria con la Camera apostolica). Serristori ristrutturò l’edificio in diverse fasi: fra il 1551 e il 1556 e poi di nuovo fra il 1561 e 1568. Questa seconda fase fu guidata dallo scultore-architetto fiorentino Nanni di Baccio Bigio. L’edificio, tuttora esistente, si trova fra via della Conciliazione, via dei Penitenzieri e via di Santo Spirito. Il Ritratto del senatore Averardo Serristori, conservato in una collezione privata, è riprodotto in Ferretti, 2008, p. 108.
Fonti e Bibl.: In Archivio di Stato di Firenze, Serristori, è conservato il carteggio di Averardo composto di 1055 filze (Famiglia, 422-1179). Il fondo conserva anche altri materiali relativi alla famiglia e ad Averardo. Legazioni di A. S. ambasciatore di Cosimo I a Carlo Quinto e in Corte di Roma [1537-1568], con un’appendice di documenti spettanti alle legazioni di messer Giovanni Serristori ambasciatore della repubblica fiorentina [1409-1414] e con note politiche e storiche di Giuseppe Canestrini, pubblicate dal generale conte Luigi Serristori, Firenze 1853; La passione dell’error mio. Il carteggio di Michelangelo: lettere scelte, a cura di F.M. Tuena, Roma 2002, p. 202; Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’“Italia spagnola” (1536-1648), I, a cura di A. Contini - P. Volpini, Roma 2007, pp. 17-27, 55-62.
M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del Principato (1537-1737), Roma 1953, ad ind.; A. D’Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 122, 159; F. Diaz, Il Granducato di Toscana. I Medici, Torino 1987, p. 177; A. Contini, Dinastia, patriziato e politica estera: ambasciatori e segreterie nel Cinquecento, in Cheiron, XV (1998), pp. 85-91; E. Ferretti, Tra Bindo Altoviti e Cosimo I. A. S. ambasciatore mediceo a Roma, in Ritratto di un banchiere del Rinascimento. Bindo Altoviti fra Raffaello e Cellini, Milano 2004, pp. 456-461; A. Contini, Introduzione al primo volume, in Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’“Italia spagnola” (1536-1648), I, a cura di A. Contini - P. Volpini, Roma 2007, pp. XXIX-LIV; E. Ferretti, Un cantiere fiorentino nella Roma di metà Cinquecento. Nanni di Baccio e il palazzo di A. S. in Borgo Vecchio, in Opus incertum, IV (2008), pp. 107-117; R. Carta, A. S. Vita privata di un ambasciatore fiorentino al servizio del Granduca Cosimo I de Medici, tesi di dottorato, Università di Verona, a.a. 2016-17.