AVELLONI, Francesco Antonio, detto il Poetino
Nacque a Venezia nel 1756, di famiglia nobile ma decaduta. Cominciò dal 1765 a scriver tragedie; ma fattosi, per vivere, poeta stipendiato di compagnie drammatiche, si mise al loro seguito, sposando un'attrice, e divenendo all'occasione direttore e attore egli stesso. Scrisse così, o di sua fantasia, o rabberciandoli secondo le predilezioni del grosso pubblico, lavori scenici di tutte le sorta, che si fanno salire a seicento, di cui duecento furono stampati: tragedie e commedie lagrimose, drammi spettacolosi e fantastiche allegorie, fiabe e commedie di semplice vena goldoniana. Di queste la più apprezzata, e che sino a pochi anni fa si rappresentava ancora, è Il barbiere di Gheldria, imitazione del Don Marzio del Goldoni; altra nota è Contradizione e puntiglio. Una sua imitazione aristofanesca, Le nuvole, non piacque: piacquero invece al gusto del tempo altri suoi lavori romanzeschi o favolosi: Le vertigini del suolo, Giovanni e Arduino, L'omicida per punto d'onore, ecc. Si citano drammi che egli scrisse in quattro giorni, in tre, in due, e anche in uno solo; la tragedia San Catervo fu da lui composta in una settimana per commissione avuta a Tolentino, in onore del Martire protettore della città. Raccontano che una volta, assistendo a un dramma da lui scritto qualche anno prima, chiedeva ingenuamente di chi fosse; altra volta, sentendo fischiare un suo lavoro, diceva: "Farò prima io a scriverne uno nuovo, che gli spettatori a finir di fischiare questo". La sua incredibile facilità, che fa di lui il più fecondo fra i nostri autori drammatici, si disperse così nel mestiere più frettoloso; e le sue scene esteticamente meno infelici son le poche, non originali, pallidamente imitate dal Goldoni. Nel 1823 stanco, si ritirò in Roma, dove accolto in casa del critico e autore di melodrammi Giacopo Ferretti, prese, a settant'anni, una seconda moglie. Ridottosi per campare la vita a dar lezioni, morì nel 1837.