AVELLINO (A. T., 27-28-29)
Capoluogo di provincia, nell'interno della Campania. Antico il nome (Abellinum), ma non il sito della città, che gli scrittori dell'età romana ricordano come appartenente agl'Irpini e posta nell'alta valle del Sabato. Invero, l'antica era assai più vicina al fiume che non sia la moderna, e si estendeva là dove nel Medioevo risorse il piccolo centro di Atripalda (v.). Distrutto il primitivo abitato, durante le guerre tra i Bizantini e i Longobardi, gli Avellinesi trovarono più sicura sede, discostandosi dal fiume di circa 3 chilometri, e ricostruendo la città a poco a poco sulle colline che anche attualmente essa occupa. Peraltro, cospicui avanzi della prima possono ancora vedersi sulle sponde del Sabato (v. sotto).
Nel Medioevo, la città si estese; e così, attorno al Duomo, in cui culmina, si sviluppò la vecchia Avellino, ancora riconoscibile facilmente per il suo tipico aspetto e per le vie ristrette e ripide. Ma ora il centro della città si è notevolmente spostato: il cuore di essa è la grande Piazza della Libertà, di forma rettangolare, dalla quale parte e si prolunga sull'antica Via Nazionale, in direzione del Partenio, il Corso Vittorio Emanuele. Diritto e spazioso, esso è la più bella strada di Avellino, ed è fiancheggiato, come la piazza anzidetta, da bei palazzi e dal giardino pubblico (Orto botanico), e continua nel superbo Viale dei Platani. La città, notevolmente estesasi oltre la vecchia cinta, di recente ha demolito in gran parte le sue mura e, per mezzo di una lunga e larga via, prolungantesi in direzione opposta a quella dianzi ricordata, raggiunge quasi la stazione ferroviaria, che in origine ne distava quasi 3 km.
Intenso è stato il contributo che la città ha dato all'emigrazione transoceanica, ma ciò non ha impedito che la popolazione del suo comune, la quale circa mezzo secolo fa contava intorno a 22.500 ab., arrivasse, nel periodo più acuto dell'emigrazione, alla cifra di 23.926 ab. (1911), salendo ancora, col censimento del 1921, a 25.595, pop. pres. (res. 26.542). E ora si calcola che essa ascenda a più di 31.000 ab. Dei 25.595 ab. censiti nel 1921, 17.644 vivevano accentrati nel capoluogo (16.395) e in altri tre piccoli centri, e 7951 nelle case sparse. La popolazione è aumentata nonostante l'emigrazione, perché l'eccedenza dei nati vivi sui morti, favorita dal clima saluberrimo, è qui assai notevole (essa risulta in media, per il triennio 1922-24, di 17,2 per 1000 ab., circa 4 in più della media corrispondente della regione). Anzi la popolazione di Avellino appare da quattro secoli in costante aumento: e se questo aumento, per la ragione già detta, risulta assai tenue negli ultimi settant'anni, esso è notevolissimo nei tre secoli precedenti. Calcolato in poco più di mille il numero degli abitanti nel 1532, in 1325 nel 1545 e in 1600 nel 1561, esso salì a 2850 nel 1595, e (al contrario di quel che si rileva nei confronti con quasi tutte le altre città del Mezzogiorno) segnò un aumento pur con la numerazione del 1669, nella quale ad Avellino furono calcolati 3300 ab.; il che è ancora più significativo se si considera che la popolazione complessiva dell'intera provincia discese, fra il 1595 e il 1669, da 193.600 a 105.150 ab. L'aumento, peraltro, nella popolazione della città continuò e con più spiccate proporzioni, sia nel sec. XVIII, in cui furono raggiunti i 10.000 ab. verso il 1780, sia nella prima metà del sec. XIX, in cui ad Avellino furono assegnati 16.162 ab. nel 1828 e 21.660 ab nel 1843.
E inferiore a quella della regione risultava, sin dal 1911, la percentuale degli analfabeti (Avellino, 41%; Campania, 54%; nel 1921, Avellino, 35%; Campania, 41%).
Al recente progresso civile e demografico corrisponde un certo risveglio nella vita economica del territorio avellinese. Ma poche nuove industrie si sono aggiunte a quelle che già erano nel luogo, consistenti nella fabbricazione dei cappelli di feltro e dei pannilani. Buoni materiali laterizî si fabbricano ora ad Avellino; qualche importanza hanno pure le industrie più direttamente legate all'agricoltura. Pregiati prodotti agricoli si hanno in tutto il territorio. L'industria vinicola, che si va risollevando dalla crisi recente, ha una tradizione importante. La scuola enologica, fondata nel 1879, produce anche ottimo vino in bottiglia, che tende a gareggiare con i migliori del genere. Essa ha sede sul colle dei Cappuccini, in ampio e maestoso edifizio. Importante la Scuola d'arte applicata alle industrie, che ha sede nel cuore della vecchia città, nel bel palazzo de Conciliis.
Il Duomo, il più rinomato dei monumenti di Avellino, è del sec. X, ma tutto rifatto in successivi restauri, fino al sec. XIX. La facciata è neoclassica, di P. Cardolo. L'interno è a croce latina a tre navate, e ha un coro in legno intagliato del sec. XVI. Tra gli altri edifici notevoli di Avellino può esser ricordato il Palazzo della dogana, rifatto sui resti d'un palazzo più antico, da Cosimo Fanzago, a cura di Marino IV Caracciolo, e decorato da statue e busti d'imperatori romani; e il Museo civico, con una piccola raccolta di antichità, regalata da G. Zigarelli, storico di Avellino. Del castello medievale non si vedono che alcuni avanzi. Degna di nota è anche in Avellmo la biblioteca provinciale S. e G. Capone, ricostituita nel 1910 per la donazione Capone: notevole la raccolta dantesca, già appartenuta a Carlo del Balzo.
Splendida è la vista sui monti boscosi dei dintorni, primo fra tutti il Partenio, ricco di avellane, sul quale sorge, a 1270 m. s. m. il famoso Santuario di Montevergine con l'annessa abbazia; alla quale sarà più facile accedere, quando sarà terminata la funicolare, che attualmente si costruisce. Avellino è congiunta a Napoli sia raggiungendo a Benevento la linea ferroviaria Napoli-Foggia, sia per mezzo della linea Codola-Cancello-Napoli che fa un lungo giro a mezzogiorno del solco tra Avellino e Baiano, dove arriva una ferrovia secondaria da Napoli: la mancanza di una congiunzione secondaria tra Avellino e Baiano rende alquanto scomode le comunicazioni con Napoli. Meno indirettamente Avellino è collegata a Benevento a nord e a Salerno a sud.
Storia. - La città antica. - Nell'antichità Avellino, che apparteneva originariamente al Sannio Irpino e più tardi fu compresa nella circoscrizione della Campania (della tribù Galeria), si trovava come si è già detto, presso l'odierno abitato di Atripalda, a 4 km. circa ad est dell'odierna Avellino, in vicinanza del corso del fiume Sabato e alla confluenza delle strade per Nuceria (Nocera), Beneventum, Aeclanum (Mirabella Eclano) e Compsa (Conza). Le rovine, solo in piccola parte riconoscibili ed appartenenti al periodo della colonizzazione romana, occupano il pianoro della Civita, costituito dalla sopraelevazione di un banco tufaceo, e si estendono a sud-est verso l'attuale cimitero; iscrizioni, statue mutile e pezzi architettonici sono murati in buon numero nell'abitato medievale di Atripalda; sepolcri e camere funerarie, di cui una monumentale, si rinvennero in varia epoca lungo le strade e nei campi che circondano la Civita. Le iscrizioni fanno menzione di una basilica e di un portico. Il titolo che ebbe quale colonia romana ci è attestato da una lapide: colonia Ven(eria) Livia (?) Aug(usta) Alexandriana Abellinatium: mentre non è certo che l'epiteto di Veneria possa attestare l'origine sillana della colonia, le altre denominazioni sarebbero state aggiunte successivamente nei periodi di Augusto e di Alessandro Severo. La sua ubicazione allo sbocco dell'Irpinia meridionale nella Campania dové farne nel periodo romano un centro di attivi scambî di prodotti agricoli ed armentizî delle popolazioni delle finitime regioni montuose dell'Irpinia.
Il periodo medievale. - Conquistata dai Longobardi del ducato beneventano, Avellino fu ordinata a gastaldato. Ignote le sue vicende per circa due secoli: appena nell'896 è cenno di un Adalferius nepos magni Roffrid (cfr. Chronicon Salernitanum, in Monum. Germ. Hist., Script., II, 547) che autorizza a pensare a quel Roffredo gastaldo, che ebbe gran parte nella corte di Sicardo. In questo periodo si ricorda pure un Alfano vescovo, ribelle a Roffredo, trascinato prigione ed impiccato a Salerno. Ma la costituzione della provincia ecclesiastica risale almeno al sec. V, per la menzione di un Timoteo Abellinas nel concilio romano di papa Simmaco (499). Gli successe Sabino, che la tradizione mette in capo all'incerta cronotassi vescovile della città. Certo nel secolo IV la propaganda cristiana fu attiva ed ebbe i suoi martiri in Ippolito, Modestino, ecc.; ma le scarse testimonianze agiografiche non giustificano i particolari delle tarde, apocrife leggende medievali.
La storia di Avellino è connessa con quella del vicino ducato di Benevento; presa dai Greci (969), restituita a Benevento, innalzata a contea, il suo successivo sviluppo dimostra quel processo di lenta dissoluzione del potere centrale, per cui il ducato beneventano, ridotto a principato, si andò poi frazionando in piccole signorie di ambiziosi feudatarî.
Scaduta la gerarchia ecclesiastica, la sede vescovile poté esser restaurata dal metropolita di Benevento (969) mentre fra Nusco e Montella, fra l'alta valle del Calore e il Partenio, numerose abbazie sorgevano, particolarmente per opera del vescovo Amato (Nusco) e di Guglielmo da Vercelli, che dal suo cenobio del Goleto attuava una salda disciplina monacale. Il monachesimo latino difese costantemente, contro l'invasione bizantina, l'istituto giuridico romano nel diritto consuetudinario. La città di Avellino, distrutta di lì a qualche anno da Ottone I, e riedificata dove ora sorge, ebbe poi parte più viva negli avvenimenti politici dei due principati: col suo conte Roffredo (1016) soccorre Salerno contro i Saraceni; riconosce i principi di Benevento e li aiuta: è rocca, più tardi, del duca Ruggiero. Passa poi ai conti di Conversano, di Catanzaro, ai dell'Aquila (1143) che, vassalli o nemici del re normanno, la detengono sino alla morte di Guglielmo II, quando Enrico Vl la cede a Gualtiero. Tornano per poco i dell'Aquila con Federico II; morto Manfredi, da Simone Monforte passa ai del Balzo, successivamente ai Filangieri e finalmente ai Caracciolo che nel 1589 assumono il titolo di principi e lo tengono fino al 1844.
Nel periodo francese A. ebbe i suoi Intendenti al governo della città; nel '20 e nel '21 fu, col Morelli, il de Conciliis e il Silvati il punto di partenza del movimento insurrezionale, che di lì si propagò nell'Italia meridionale.
La provincia di Avellino. - La provincia di Avellino si estende su un'area di 3018,35 kmq., sulla quale viveva, nel dicembre del 1921, una popolazione presente di 403.385 ab. e una popolazione residente di 440.710 ab. Al 1° gennaio 1926 la popolazione presente della provincia fu calcolata in 430.205 ab., con una densità di 142 ab. per ogmi kmq. Il numero dei comuni che la costituiscono è di 128. La provincia ha una notevole estensione in lunghezza, da est a ovest, ed è costituita prevalememente da suolo accidentato e alto (altaterra dell'Irpinia); per questo difficili sono i legami fra i comuni della stessa provincia, e specialmente fra quelli della sezione occidentale, nel cui centro è il capoluogo, e i comuni della sezione orientale. Il distacco fra l'una e l'altra sezione è pure distacco fisico, essendo l'occidentale caratterizzata da nuclei montagnosi calcarei molto alti e ricchissimi di piogge (Avella, Partenio, Terminio, ecc.), e l'orientale da un altipiano più uniforme, argilloso, di medie altezze e con piogge non copiose.
Specialmente dalle condizioni del rilievo deriva una grande varietà nelle colture della parte occidentale della provincia, in contrasto con la notevole uniformità della parte orientale, data prevalentemente a seminativi e produttrice di cereali e di patate. La sezione occidentale dell'Avellinese ha infatti nel complesso vegetazione molto più rigogliosa e intensa e ricca, e nello stesso tempo considerevolmente più varia: non le mancano i seminativi con cereali, soprattutto sui pianalti, ma essa è pure ricchissima di vegetazione arborea, da quella dell'ulivo e degli alberi da frutta nelle fertilissime vallate, a quella dei ben noti noccioli sulle fiancate montagnose, alla vegetazione spontanea delle foreste (quercia, castagno, faggio) che ricopre le aree di maggiore altezza; ed è inoltre ben fornita di ortaggi nei brevi tratti di pianure di e vigneti, con prodotto ricercato (vini di Taurasi) nelle aree collinose.
Tutta la provincia, poi, ha largo allevamento di ovini e di suini: i primi traggono alimento dai pascoli assai diffusi, sia nell'altipiano che nella montagna, i secondi dalle querce della più bassa zona forestale. Tra i prodotti del sottosuolo nell'Avellinese va ricordato lo zolfo, che si estrae a Tufo e ad Altavilla Irpina, nella valle del Sabato.
La provincia è attraversata, proprio nel cuore e per tutta la sua lunghezza, dalla strada rotabile Avellino-Lacedonia, che prosegue ad ovest fino a Napoli e scende ad est in Puglia; questa arteria è tagliata, ad Avellino, dalla rotabile trasversale che sbocca a nord nella conca di Benevento e a sud sulla costa tirrena, a Salerno. E ad Avellino convergono pure le tre strade ferrate della provincia, delle quali le due dirette a Benevento e a Salerno accompagnano in parte le rotabili suddette, mentre la terza strada, che è diretta a Rocchetta S. Antonio e serve i comuni dell'area più estesa della provincia, non accompagna la rotabile per Lacedonia, ma segue un tratto della valle del Calore e tutta l'alta valle del fiume Ofanto. Nella parte più settentrionale, la provincia di Avellino s'interna col territorio di Ariano fra il Beneventano e la Capitanata: e per questa zona passa l'arteria ferroviaria che allaccia Benevento con Foggia e che può essere quindi considerata, sia pure per un tratto non molto lungo, come un'altra ferrovia (la quarta) dell'Avellinese.
Bibl.: Per la parte geografica (città e provincia) v.: M. Capozzi, La città di Avellino e il centenario della legge 8 agosto 1806, Napoli 1906; O. Bordiga, La provincia di Avellino davanti al nuovo catasto, Avellino 1908; A. D'Amato, Saggio di bibliografia ragionata della provincia di Avellino, Napoli 1921. - Dello stesso, altri tre Saggi di bibl. sulla provincia medesima, in Atti della Società storica del Sannio (I, 2-3; II, i, III, 3; V, 2-3); V. Epifanio, Campania (coll. "La Patria"), Torino 1925; A. D'Amato, Folklore irpino, I: Dall'alba al tramonto della vita (usi, credenze, superstizioni), Catania 1925.
Per la storia antica v.: S. della Bona, Ragguagli della città d'Avellino, Trani 1656; S. Pionati, Ricerche sull'istoria d'Avellino, Napoli 1828-29; per la topografia, v. Corpus Inscr. Lat., X, ii, p. 127; Nissen, Ital. Landeskunde, II, ii, p. 822; scoperte in Not. Scavi, 1881, pp. 298-300 e in Not. Scavi, 1928, p. 379 segg.; storia ed istituzioni: Hülsen, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., e E. De Ruggiero, Dizionario Epigrafico, s. v.
Per il periodo medievale v.: M. Giustiniani, Historia del contagio di Avellino (1656-57), Roma 1662; F. de Franchi, Avellino illustrato da Santi e da santuarii, Napoli 1709; id., Brevi notizie degli Stati vari di Avellino, Napoli 1710; Romanelli, Antica topografia istorica, Napoli 1815; G. Zigarelli, Storia della cattedra di Avellino, Napoli 1828-29; S. Montorio, Zodiaco di Maria, 1710; S. Barberio, Dissertazione storico-critica sul Truppoaldo, Napoli 1777; G. Taglialatela, Sull'antica basilica e catacomba di Prata, Napoli 1878; A. Galante, Il cemeterio di S. Ipolisto martire, Napoli 1893; F. Scandone, Storia di Avellino, Napoli 1905; Pennetti, Bibliografia storica della prov. di Avellino, Potenza 1906; Cannaviello, Nel I centenario dei moti rivoluzionari, Napoli 1921.