Autorita indipendenti. Pratiche commerciali scorrette e rapporti tra Autorita
La convivenza fra Autorità di settore – preposte, in via esclusiva, ad uno specifico settore economico (Agcom, Banca d’Italia, Consob) – e Autorità trasversali – dotate di competenze non limitate oggettualmente a singoli comparti, in quanto istituite a tutela di specifici interessi pubblici di portata generale (Agcm) – ha dato da tempo luogo a interferenze fra le rispettive attribuzioni. In specie, il problema si è posto con riguardo al riparto di competenze nel settore dei servizi finanziari (tra Agcm e Consob); nel settore del credito (tra Agcm e Banca d’Italia); infine, nel settore delle comunicazioni elettroniche (Agcm e Agcom). Si tratta di profili problematici sui quali l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è ripetutamente intervenuta nel corso del 2012, nel tentativo di risolvere i potenziali conflitti di attribuzioni ricostruendo i rapporti tra la normativa generale in tema di pratiche commerciali scorrette e le regolamentazioni di settore.
La convivenza fra Autorità di settore – preposte, in via esclusiva, ad uno specifico settore economico (Agcom, Banca d’Italia, Consob) – e Autorità trasversali – dotate di competenze non limitate oggettualmente a singoli comparti, in quanto istituite a tutela di specifici interessi pubblici di portata generale (Agcm) – ha dato da tempo luogo a interferenze fra le rispettive attribuzioni.
Non poche difficoltà si sono registrate a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 2.8.2007, n. 146, di attuazione della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno, che, sostituendo gli artt. da 18 a 27, d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (Codice del consumo), ha individuato l’Agcom quale autorità competente per l’applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette.
La nuova disciplina riguarda le pratiche commerciali tra professionisti e consumatori, intese come «qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori»; impone ai professionisti obblighi di completezza e non ingannevolezza nelle informazioni fornite ai consumatori e di piena correttezza delle condotte poste in essere nei loro confronti.
L’art. 27, co. 1, del Codice del consumo (come sostituito dall’art. 1, co. 1, del richiamato d.lgs. n. 146/2007), dedicato alla tutela amministrativa e giurisdizionale, individua l’Autorità garante della concorrenza e del mercato quale autorità competente all’applicazione della disciplina sulle pratiche commerciali scorrette; dispone, in specie, che «l’Autorità garante della concorrenza e del mercato … esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo …, vale a dire: inibisce la continuazione delle pratiche commerciali scorrette e ne elimina gli effetti; dispone la sospensione provvisoria delle pratiche commerciali scorrette, anche richiedendo informazioni; dispone che il professionista provi l’esattezza dei dati di fatto connessi alla pratica commerciale; vieta la diffusione o la continuazione della pratica commerciale scorretta, anche con opportuni mezzi di pubblicità; dispone l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie e interdittive».
Giova ricostruire più nel dettaglio il quadro normativo di riferimento.
L’art. 3 della direttiva 29/2005/CE, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno, dopo aver delineato, al par. 1, il proprio campo generale di applicazione (pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori, come stabilite all’art. 5, poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto), chiarisce, al par. 4, che le altre norme comunitarie che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali prevalgono e si applicano a tali aspetti specifici solo a condizione di un contrasto con le disposizioni della direttiva stessa. Dispone, in particolare, il citato art. 3, par. 4, della direttiva 29/2005/CE, che «in caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici».
Inoltre, al considerando 10 della richiamata direttiva 29/2005/CE si precisa che la stessa «si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario specifiche che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, come gli obblighi di informazione e le regole sulle modalità di presentazione delle informazioni al consumatore. Essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una specifica legislazione di settore».
Nell’ordinamento interno, il citato art. 3, par. 4, della direttiva 29/2005/CE è stato trasposto nell’art. 19, co. 3, d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (Codice del consumo), ai sensi del quale «in caso di contrasto le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici».
Due le indicazioni desumibili, quindi, dai richiamati riferimenti normativi sovranazionali e nazionali:
a) da un lato, il riferimento al criterio della specialità in forza del quale le disposizioni dettate dal Codice del consumo in tema di accertamento e repressione delle pratiche commerciali sleali recedono allorché sussistano nelle discipline di settore norme contrastanti volte a disciplinare aspetti specifici;
b) dall’altro, e al contempo, l’attitudine della disciplina generale dettata a tutela del consumatore a trovare applicazione, anche allorché le discipline di settore intervengano a regolamentare aspetti specifici, con riguardo ad altri elementi.
Si è posta così la questione relativa ai rapporti tra la disciplina generale di cui al Codice del consumo e le discipline di settore che possono incidere su aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette.
In specie, il problema è emerso con riguardo:
a) al settore dei servizi finanziari, in relazione al quale è venuta in rilievo la necessità di definire gli ambiti di competenza rispettivamente propri dell’Agcm e della Consob;
b) al settore del credito, con conseguente necessità di delimitare le competenze dell’Agcm e della Banca d’Italia;
c) infine, al settore delle comunicazioni elettroniche, in merito alla delimitazione delle competenze spettanti all’Agcm e alla Agcom.
Si tratta di profili problematici sui quali l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato è ripetutamente intervenuta nel corso del 2012.
La questione non attiene certo alla sola risoluzione dei potenziali conflitti di competenze tra differenti Autorità, ma ancor prima alla ricostruzione dei rapporti tra la normativa generale in tema di pratiche commerciali scorrette e le regolamentazioni di settore.
Con specifico riferimento al settore dei servizi finanziari, si pone la necessità di verificare l’ambito di applicazione della disciplina generale del Codice del consumo, e la conseguente competenza dell’Agcm ad intervenire circa pratiche commerciali scorrette poste in essere dai professionisti che operano nei servizi finanziari (emittenti, intermediari, ecc.). Il problema si pone perché, a garanzia della correttezza delle informazioni al pubblico e della trasparenza e correttezza dei comportamenti dei relativi operatori, è dettata una disciplina legislativa di settore (d.lgs. 24.2.1998, n. 58 e successive modificazioni, recante il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) per la cui applicazione è competente la Consob, sia per quanto concerne gli emittenti (parte IV del t.u.f.), sia per quanto concerne gli intermediari finanziari (parte II del t.u.f.). Per l’esercizio dei compiti di vigilanza, alla Consob sono attribuiti poteri regolamentari, informativi, ispettivi e sanzionatori.
Al riguardo, Cons. St., sez. I, 3.12.2008, n. 3999, – ritenuta la necessità di fare applicazione, nella soluzione del problema, del principio di specialità – ha sostenuto che lo stesso principio va disancorato «dal riferimento prevalentemente soggettivo (cioè al tipo di operatore interessato o di soggetto tutelato)» e calibrato piuttosto «sull’oggetto dell’intervento e sull’interesse generale perseguito attraverso l’intervento stesso»1.
Secondo il Consiglio di Stato, in particolare, nel fare applicazione della specialità – e sempre che la stessa non incontri “limiti intrinseci” (riscontrabili nei casi di “specialità reciproca”, sussidiarietà o “reciproco assorbimento”) o “estrinseci” (ricorrenti quando il conflitto è espressamente risolto da una norma di legge) – occorre avere riguardo «al tipo di comportamento e soprattutto alla situazione contestuale verso cui l’intervento correttivo o sanzionatorio è diretto; più che al tipo di operatore coinvolto si deve aver riguardo alla materia su cui i due possibili interventi vanno ad incidere, vale a dire – laddove esista un contesto distinto i cui operatori agiscono secondo regole e pratiche di sistema – al settore su cui l’intervento va ad essere dispiegato». Pare quindi che, alla stregua della ricostruzione svolta nel precedente richiamato, nell’applicare il criterio della specialità, la comparazione debba riguardare – almeno quando esista «un contesto distinto i cui operatori agiscono secondo regole e pratiche di sistema» – non già le singole fattispecie di illecito previste dalla normativa generale e da quella di settore (e nelle quali il fatto contestato all’operatore appare prima facie riconducibile) – ma i «settori su cui l’intervento correttivo o sanzionatorio va ad essere dispiegato».
Ed invero, la stessa prima sezione conclude osservando che «è la caratteristica distinta del settore finanziario a identificare … le ragioni della specialità. Non pare infatti dubitabile che il settore finanziario rappresenti, per le sue caratteristiche, le sue pratiche, la sua ragione e le sue stesse norme un contesto di sistema, distinto rispetto al mercato in generale, come è facilmente riscontrabile in termini giuridici con il suo ordinamento di settore, specifico a quello del mercato in generale, di cui le disposizioni sopra richiamate sono indice. La conclusione nel caso in esame pare dunque essere – conformemente a quanto prospetta l’AGCM – che la normativa di ordine speciale del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 prevale, anche ai fini della identificazione dell’Autorità competente ad intervenire, sulla normativa di ordine generale di cui al d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206».
Ci si è chiesti ancora se, allorché la vicenda attenga all’esercizio del credito, sia competente ad emettere l’atto sanzionatorio della pratica commerciale scorretta l’Agcm ovvero la Banca d’Italia ai sensi del d.lgs. 1.9.1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), il quale istituisce un complesso sistema di controllo e sanzionatorio per l’appunto affidato alla Banca d’Italia: esito, questo, cui sarebbe consentito pervenire assumendo la natura “speciale” della normativa di cui al d.lgs. n. 385/1993 rispetto al d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (Codice del consumo), di cui resterebbe esclusa quindi l’applicabilità.
Sul punto, è intervenuta l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con sentenza 11.5.2012, n. 14. Nel caso sottoposto all’esame del giudice amministrativo, la parte ricorrente aveva contestato la competenza dell’Antitrust a sanzionare pratiche commerciali scorrette sul rilievo che, trattandosi di condotte poste in essere in relazione all’acquisto di prodotti finanziari, sussisterebbe invece la competenza della Banca d’Italia ai sensi del d.lgs. 1.9.1993, n. 385.
Ha premesso l’Alto Consesso che in presenza di due norme, astrattamente applicabili alla medesima fattispecie, il ricorso al principio di specialità non richiede necessariamente come presupposto una situazione di contrasto fra le due, essendo invece sufficiente una difformità di disciplina tale da rendere illogica la sovrapposizione delle due regole e invece logica l’applicazione di quella, fra le due, che presenti elementi di specificità, atteso che la disciplina generale va intesa come livello minimo di tutela, cui la disciplina speciale offre elementi aggiuntivi e di specificazione; con la precisazione per cui l’applicazione della lex specialis è possibile solo laddove si riscontrino effettivi elementi di specificità in relazione al settore di riferimento, in mancanza dei quali la lex generalis è suscettibile di “riespandersi”, al fine di colmare la lacuna riscontrata nell’ordinamento di settore.
Nel caso di specie, quanto al rapporto fra la disciplina generale in materia di pratiche commerciali scorrette – contenuta nel Codice del consumo e ricadente nella competenza dell’Antitrust – e quella specifica relativa alle condotte poste in essere in relazione all’acquisto di prodotti finanziari – dettata dal t.u. delle leggi in materia bancaria e creditizia approvato con d.lgs. n. 385/1993 e affidata alla competenza della Banca d’Italia – l’Adunanza plenaria ha osservato che il citato testo unico bancario, mirando al corretto e trasparente funzionamento del mercato, non contiene specifiche disposizioni volte alla tutela del consumatore, oggetto invece della disciplina contenuta nel Codice del consumo. I giudici amministrativi hanno quindi concluso per la sussistenza della competenza dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato – e non quella della Banca d’Italia – a disporre una sanzione nei confronti di una società operante nel settore finanziario che abbia posto in essere pratiche ritenute scorrette nell’ambito di operazioni di finanziamento finalizzate all’acquisto di prodotti in vendita presso esercizi commerciali.
Infine, ci si è chiesti se la presenza di un’articolata normativa di ordine speciale (Codice delle comunicazioni elettroniche), con relativi poteri sanzionatori in capo ad Agcom, escluda, in ossequio al principio di specialità, la contemporanea applicazione, da parte dell’Agcm, della disciplina generale relativa alle pratiche commerciali scorrette.
Invero, l’Agcom esercita, tra l’altro, funzioni a tutela dell’utenza, disciplinate da numerose disposizioni del Codice delle comunicazioni elettroniche di cui al d.lgs. 1.8.2003, n. 259, attuate poi dalla delibera n. 664/06/CONS in materia di contratti di utenza a distanza. Tali specifiche previsioni sarebbero destinate, pertanto, a prevalere sulle disposizioni del Codice del consumo, posto che la direttiva comunitaria 2005/29/CE (recepita dal predetto Codice) sancisce espressamente la prevalenza delle disposizioni speciali dettate da altre normative a tutela dell’utenza.
Sulla questione è intervenuta l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con sentenze 11.5.2012, nn. 11, 12, 13, 15 e 16.
L’Alto Consesso premette che, sul piano sanzionatorio, il principio di specialità, che nell’ordinamento nazionale vigente ha portata generale, come desumibile dagli artt. 15 c.p. e 9, l. 24.11.1981, n. 689, non consente la contemporanea applicazione di due diverse norme disciplinanti la medesima fattispecie, ma implica la necessaria applicazione solo di quella che, fra le due, possegga tutti gli elementi dell’altra, ma ad essi aggiunga un ulteriore elemento, che la rende specifica. Ciò è quanto si desume dall’utilizzo dei termini «conflict» o «conflit» presenti, rispettivamente, nei testi inglese e francese della citata direttiva 2005/29/CE, i quali andrebbero tradotti, più che come “contrasto”, come “diversità di disciplina” poiché la voluntas legis è quella di «evitare una sovrapposizione di discipline di diversa fonte e portata»2.
Ciò chiarito, il giudice amministrativo afferma che spetta all’Agcom, e non all’Agcm, la competenza a sanzionare le violazioni delle prescrizioni dettate dal Codice delle comunicazioni elettroniche in materia di attività anticoncorrenziale da parte dei gestori degli impianti di telecomunicazioni, attesa la presenza di requisiti di specificità nella disciplina codicistica, rispetto a quella generale contenuta nel Codice del consumo, nonché la sua esaustività e completezza. Peraltro, l’Alto Consesso non ha condiviso la tesi secondo cui la competenza ad individuare la disciplina ex ante non esaurisce la disciplina di settore, lasciando spazi per interventi ex post ad opera dell’Antitrust, sulla base del modello del “caso per caso”. Ed invero, la necessità di garantire la coerenza logico-sistematica dell’azione repressiva esige che ad essa provveda un’unica Autorità, senza distinzioni fondate su una contrapposizione – inaccettabile sul piano pratico prima ancora che su quello teorico – fra una disciplina ex ante, affidata alla competenza di un’Autorità, e una presunta disciplina ex post, affidata ad un’altra Autorità, la cui competenza si amplierebbe o si restringerebbe a seconda della maggiore o minore estensione della disciplina dettata dall’autorità di settore. In tal modo – sostengono i giudici della plenaria – si evita di sottoporre gli operatori a duplici procedimenti per gli stessi fatti, con possibili conclusioni anche differenti tra le due Autorità (come in pratica è a volte avvenuto). Inoltre, si consente che si dettino indirizzi univoci al mercato, che altrimenti verrebbe a trovarsi in una situazione di possibile disorientamento, con potenziali ripercussioni sulla stessa efficienza dei servizi nei riguardi degli utenti/consumatori e sui costi che questi ultimi sono chiamati a pagare.
Sottolinea in conclusione l’Adunanza plenaria che l’applicazione del principio di specialità vale solo ai fini della normativa a tutela degli utenti, e non anche per quella antitrust, con la conseguenza che le competenze di Agcm e Agcom, in tale ultimo settore, sono completamente indipendenti3.
Illustrate le posizioni emerse, è opportuno considerare che la logica della complementarietà – non condivisa dalla plenaria – oltre a non apparire affatto priva di addentellati di diritto positivo, risponde a precise e non trascurabili esigenze sostanziali.
Sul fronte normativo, il citato art. 19, co. 3, d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (Codice del consumo), dispone che «in caso di contrasto le disposizioni contenute in direttive o in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento che disciplinano aspetti specifici delle pratiche commerciali scorrette prevalgono sulle disposizioni del presente titolo e si applicano a tali aspetti specifici»: salvo, pertanto, che per gli specifici aspetti delle pratiche commerciali scorrette disciplinati in modo contrastante dalle normative di settore, andrebbe garantita l’operatività della generale disciplina a tutela del consumatore con l’applicazione, quindi, delle comuni fattispecie di illecito (pratiche scorrette, ingannevoli o aggressive) disciplinate dagli art. da 18 a 27 del Codice del consumo, non relative a settori specifici ma al rapporto tra consumatore e professionista in quanto tali.
La logica della complementarietà delle discipline, del resto, appare idonea ad evitare vuoti di tutela del consumatore, potendosi altrimenti lasciare senza sanzione comportamenti pure rivolti a suo danno, prevenendosi, altresì, il rischio che la normativa generale di tutela del consumatore quale parte negoziale debole venga limitata, se non vanificata, da plurime norme settoriali speciali.
Si consideri che i citati artt. 3, par. 4, della direttiva 29/2005/CE, e 19, co. 3, d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (Codice del consumo), dispongono che la disciplina generale recede solo a fronte di norme di settore che regolamentino «aspetti specifici delle pratiche commerciali» e nei limiti in cui vengano in rilievo tali «aspetti specifici», dovendo per tutti gli altri profili riespandersi l’operatività delle comuni fattispecie di illecito succitate.
Due le esigenze sottese a tale regolamentazione – europea e nazionale – dei criteri di riparto delle competenze e di risoluzione di eventuali ipotesi di concorso di norme:
a) da un lato, quella di evitare che, a fronte dello stesso fatto, già sanzionato dalla disciplina di settore con la previsione di una fattispecie speciale, possano essere addebitati all’operatore più illeciti e comminate più sanzioni;
b) dall’altro, quello di limitare il carattere recessivo della generale disciplina a tutela del consumatore alle sole ipotesi in cui le regolamentazioni di settore prevedano fattispecie corrispondenti a quelle delineate dalla disciplina generale, ancorché rispetto a queste speciali (per specificazione o per aggiunta), sì da stemperare il rischio che la definizione dei problemi di concorso tra discipline possa risolversi in una complessiva deminutio della tutela approntata in favore del consumatore ed una impunità di comportamenti pregiudizievoli, punibili alla stregua degli artt. da 18 a 27 del Codice del consumo, ma non sussumibili, tuttavia, in alcuna delle ipotesi di illecito di settore.
Ebbene, le esposte esigenze suggeriscono un’applicazione del criterio normativo della specialità non dissimile da quella prevalsa negli ultimi anni nella giurisprudenza penale in sede di interpretazione dell’art. 15 c.p.4, volta cioè a porre a raffronto le fattispecie astratte di illecito amministrativo rispettivamente delineate dalla disciplina generale a tutela del consumatore e da quelle di settore, concludendo per l’applicazione di quest’ultima solo se la stessa possa dirsi speciale rispetto a quella contemplata dalla normativa generale.
Allorché non sia dato riscontrare tale relazione di specialità appare problematico escludere l’applicazione della disciplina generale: ne risulterebbero compromesse le esposte esigenze, in specie quella relativa alla pienezza ed effettività della tutela del consumatore.
Esigenza, quest’ultima, che deve indurre a considerare con problematicità l’approccio interpretativo secondo cui il criterio di specialità va applicato ponendo a raffronto non le singole fattispecie, ma i «settori su cui l’intervento correttivo o sanzionatorio va ad essere dispiegato»: evidente, invero, il rischio sotteso a tale impostazione, ossia quello che si finisca per ritenere speciale l’intera disciplina di settore, con conseguente esclusione di qualsiasi margine di operatività della disciplina generale dettata a tutela del consumatore, ancorché, in ipotesi, solo nelle fattispecie sanzionatorie da quest’ultima delineate (e non in quelle contemplate dalla regolamentazione di settore) sia riconducibile il fatto che in concreto si intenda contestare all’operatore.
Si consideri, del resto, che proprio con l’intento di stemperare i rischi di oscillazioni che si annidano nella identificazione del bene giuridico presidiato con la incriminazione delle fattispecie, la più recente e prevalente giurisprudenza penale esclude che, nel definire la natura apparente o effettiva del concorso di norme penali, abbia rilievo la diversità o l’identità delle oggettività giuridiche protette dalle disposizione in concorso, affidando quindi al solo riscontro della sussistenza di una relazione strutturale di specialità tra le fattispecie che vengono in considerazione la soluzione del problema di concorso: tanto in omaggio ad un’esigenza di certezza e determinatezza che viene in rilievo anche nel settore qui in esame.
1 In termini, Cons. St., sez. VI, 16.10.2002, n. 5640, intervenuto a risolvere il diverso problema dell’individuazione dell’Autorità – Antitrust o Banca d’Italia – competente ad accertare e sanzionare illeciti di tipo concorrenziale, per violazione quindi della normativa antitrust, allorché l’illecito anticompetitivo da accertare coinvolga aziende di credito o sortisca effetti su mercati bancari.
2 Sull’interpretazione di tali espressioni, in dottrina, cfr. le osservazioni di Sandulli, A.M., Sanzioni amministrative e principio di specialità: riflessioni sull’unitarietà della funzione afflittiva, in www.giustamm.it, 2012.
3 Non condivide tale assunto, Marini Balestra, F., Pratiche commerciali scorrette? Secondo il Consiglio di Stato è competente l’AgCom a tutelare gli utenti telefonici!, in www.giustamm.it, 24.5.2012, secondo il quale anche in ambito antitrust possono aversi incursioni dell’Agcm su condotte vigilate dall’Agcom con conseguente sovrapposizione di ambiti.
4 Cass. pen., S.U., 20.12.2005, n. 47164; Cass. pen., S.U., 21.1.2011, n. 1963; Cass. pen., S.U., 19.1.2011, n. 1235.