Autonomia privata, trust liquidatorio e tutela dei creditori
Il trust liquidatorio è la nuova forma manifestativa che spesso assume l’autonomia privata, nella cornice di un rinnovato rapporto tra debito e responsabilità, in sede di gestione della crisi d’impresa. La Cassazione ha recentemente stilizzato il perimetro entro cui l’autonomia privata, allorché lo stato di insolvenza sia preesistente, incontra il limite stringente di una normativa concorsuale di ordine pubblico.
Autonomia privata e garanzia patrimoniale dei creditori si muovono sempre più su di un terreno accidentato e dai confini mobili: quid iuris allora per il trust liquidatorio dell’intero patrimonio del debitore insolvente? Cass., 9.5.2014, n. 10105, la prima pronuncia di legittimità sulla questione1, è al riguardo tranchant: quando lo stato di insolvenza sia preesistente, il negozio non è riconoscibile nell’ordinamento italiano perché, diversamente da un trust endoconcorsuale, cioè da una variabile negoziale di questa o quella vicenda concordata per la risoluzione delle crisi d’impresa2, quello liquidatorio, impedendo lo spossessamento del debitore insolvente, è in realtà anticoncorsuale, finendo per costituire null’altro che un modo per eludere la disciplina fallimentare di liquidazione dei beni. Disciplina che, al fine di evitare la distrazione del patrimonio, è di ordine pubblico. Donde la seguente climax: l’irriconoscibilità del trust funge da fatto preclusivo al prodursi di un effetto di segregazione patrimoniale, è nullo per difetto di causa ex art. 1418, co. 2, c.c. il correlato negozio traslativo dei beni al trustee, c’è infine per riflesso una piena legittimazione del curatore fallimentare a procedere all’apprensione dei beni. Semplificando almassimo il ragionamento della Cassazione, tutto sembra ruotare intorno alla circostanza che, siccome il trust rimetterebbe per intero la liquidazione dell’attivo patrimoniale alla discrezionalità del trustee, sottraendola di rimando agli organi della procedura fallimentare, in ragione dell’effetto segregativo si avrebbero dei creditori la cui qualifica di beneficiari non li renderebbe in alcun modo partecipi al programma di gestione liquidativa del patrimonio. L’esatto contrario perciò di una liquidazione vigilata ad opera di un curatore nella cornice delle norme imperative concorsuali: e tanto basta per limitare l’autonomia privata.
Ebbene, quand’è così, il dispositivo non fa una grinza, mentre non si può dire lo stesso per l’apparato argomentativo che gli fa da corposo corredo.
Di primo acchito la sentenza della Suprema Corte parrebbe ineccepibile e non poi così decampante dal panorama che si percepisce spigolando tra le non poche sentenze di merito apparse sulla questione.
Per di più la fattispecie decisa, un trust istituito dopo che la SRL era stata posta in liquidazione, con un attivo residuo esiguo e quale trustee, nella veste di rappresentante legale della società, lo stesso soggetto che lo aveva costituito, difficilmente poteva far sorgere dei dubbi sulla non meritevolezza dell’interesse perseguito. In caso contrario, qualsiasi imprenditore insolvente, allo scopo di scongiurare lo spossessamento, potrebbe istituire un trust con tutti i suoi beni e, in ragione della separazione patrimoniale consequenziale, renderli intangibili ai propri creditori3. E tuttavia, come si diceva, qualche dubbio sulla linearità del percorso argomentativo seguito dalla Corte sembra lecito nutrirlo. Vediamo sinteticamente il perché.
È vero, nel vischioso contesto giurisprudenziale attuale, non si registra un’uniformità di vedute sulla sorte di un trust liquidatorio istituito dall’imprenditore in stato di insolvenza. Seppur sia prevalente la nullità4, non mancano infatti tentativi abbozzati di mettere in risalto come debba appurarsi caso per caso quale tipo di destinazione, per i beni conferiti, contemplino l’atto istitutivo o la legge prescelta dal costituente5. Anche se poi la divaricazione de qua si ricompone, salvo la variabile dottrinale della conversione in trust nudo6, coniando quella regola di diritto che vuole la declaratoria di fallimento comunque idonea a privare automaticamente di effetti il trust, seppur validamente formatosi, perché rilevante alla stregua di una condizione risolutiva7. Qualche puntualizzazione, per evitare l’accumulo di pre-comprensioni svianti, merita però di essere fatta. Attraverso cinque rilievi.
Intanto l’argomento, abituale nel motivare delle Corti8, che insiste sulla valenza preclusiva dell’art. 15, co. 1, lett. e) della Convenzione dell’Aja, sul limite che incontra il trust nelle norme nazionali inderogabili previste in materia di protezione dei creditori “in casi di insolvibilità”: la nullità del trust liquidatorio, nella misura in cui questo sottrae il patrimonio aziendale conferito al fallimento, trova titolo, si dice, nel fatto che è la normativa concorsuale la regola di governo dell’impresa commerciale insolvente. Il che però costituisce una notazione per lo meno claudicante.
Vi è infatti che l’art. 15, co. 1 lett. e) formalizza sì il limite delle disposizioni a tutela dei creditori ma rimettendo nel contempo ad esse la qualificazione dell’atto che risultasse in pregiudizio di costoro. Orbene, se l’effetto segregativo del trust liquidativo consiste nel sottrarre al fallimento quei cespiti aziendali che andrebbero liquidati concorsualmente, si ha che allora il trust finisce per essere un negozio dispositivo attentante all’integrità del patrimonio dell’imprenditore
insolvente. Ora, il fatto è che il rimedio apprestato dalla legge per neutralizzare questa tipologia di atti è l’azione revocatoria, non già la nullità.
È probabile che l’assiduo richiamo alla nullità trovi allora la sua ragion d’essere nella qualificazione (implicita) del trust come un titolo che muta, nel senso di parcellizzarla, la responsabilità dell’insolvente.
Donde una sua nullità che però dovrebbe conseguentemente fondarsi sulla violazione dell’art. 2740 c.c., supponendo cioè (ma per la verità assai discutibilmente) che il principio di universalità della responsabilità patrimoniale continui ad essere generale o di ordine pubblico9. Se si dovesse invece assumere, come la migliore dottrina ha chiarito10, che il trust nient’altro invero fa che depauperare direttamente il patrimonio dell’insolvente, incidendo così soltanto per relationem sulla sua responsabilità, allora l’impiego della nullità fuorvia perché l’inopponibilità ai creditori è la qualificazione tipica degli atti che riducono o azzerano la capienza patrimoniale del compendio aziendale dell’obbligato. Il distinguo tra le due tipologie di atti non sfugge del resto a chi fa notare come pregiudizievole alle ragioni dei creditori non sia il trust come tale bensì «l’atto di dotazione, con il quale il disponente conferisce i beni nello stesso, perché è il secondo, non il primo, a ledere la garanzia patrimoniale dei creditori»11. Dopo di che è esatto dire che c’è una responsabilità sulla quale il trust impatta direttamente: ma è quella del trustee. E qui non si ha un effetto segregativo collidente col disposto dell’art. 2740 perché c’è un’esplicita previsione di legge che per l’appunto lo autorizza (artt. 2 e 11 Convenzione dell’Aja).Naturalmente, per la qualificazione degli atti dispositivi come gratuiti oppure onerosi bisognerà sempre vagliare in concreto i rapporti sottostanti tra settlor e trustee: così come è evidente che rispetto al trustee dovrà valutarsi la consapevolezza o la dolosa preordinazione di cui all’art. 2901, co. 1, n. 2, c.c. o la scientia decoctionis (ove richiesta ex art. 67 l. fall.).
Secondo, è vero che il proprium della fattispecie decisa dalla Cassazione stava nel fatto che il trust liquidatorio istituito era da annoverare nella classe di quelli autodichiarati per l’identità subiettiva tra il costituente ed il trustee. Epperò questo aspetto, sulla premessa che sia ammissibile una destinazione finalizzata provvista di un effetto segregativo senza il medio di una vicenda traslativa, non è tale da alterare i termini della questione12, visto che di nuovo è l’azione revocatoria il rimedio azionabile dai creditori al fine di bypassare quella separazione patrimoniale che il costituente ha ottenuto mutando il titolo che vanta sui beni rimasti nella sua disponibilità in veste di trustee. Per inciso, Cass. pen., 24.1.2011, n. 12376 ha riconosciuto la possibilità di sottoporre a sequestro preventivo alcuni beni immobili segregati in un trust autodichiarato istituito col deliberato scopo di frodare i creditori13.
Terzo, in luogo di una nullità ex art. 15, co. 1 lett. e), per la Cassazione bisogna scomporre la fattispecie complessa del trust liquidatorio, distinguendo tra un’irriconoscibilità del negozio istitutivo ex art. 15 ed una nullità per difetto di causa dell’atto di attribuzione patrimoniale al trustee, sull’assunto che i due atti simul stabunt simul cadent. Orbene, una riflessione sulla causa del trust liquidatorio nella composizione della crisi d’impresa lascia in effetti intravedere, accanto ai casi di un suo utilizzo fraudolento, tutta una sequenza di fattispecie nelle quali la destinazione con effetto segregativo è funzionalmente premiale alla conservazione del valore impresa. Sicché, nella misura in cui ha un’efficacia che si risolve per la sopravvenienza del fallimento ovvero, come tra breve si vedrà, per la mancata omologazione della proposta di concordato preventivo, il trust liquidativo può dare veste ad un interesse meritevole di tutela. Per assonanza può tornare utile, al riguardo, il richiamo comparativo a quell’art. 7 della l. 27.1.2012 n. 3, contemplante la variabile di un piano presentato dal debitore con la previsione dell’affidamento “del patrimonio del debitore ad un gestore per la liquidazione, la custodia e la distribuzione del ricavato ai creditori”. Epperò un aspetto dev’essere ben chiaro all’interprete: questo sindacato sulla cd. causa concreta della segregazione patrimoniale, profilo sul quale la Cassazione motiva lungamente14, diventa una digressione fuorviante nel momento in cui si sentenzi, come fa la Corte, che un trust liquidatorio è «oggettivamente in contrasto con il principio di tutela del ceto creditorio»15. Se infatti lo scopo tipico di questo trust, volendo il settlor insolvente destinare segregativamente tutti i beni dell’impresa, ha di mira l’estromissione in blocco della disciplina concorsuale, già la sua causa astratta ha - per vero - tutta l’aria di essere incompatibile con l’ordine pubblico fallimentare. Dopo di che, se così stanno le cose, una preclusione del trust liquidatorio in quanto anti-concorsuale, dunque una sua contrarietà manifesta agli artt. 15 (e 18) della Convenzione, nulla ha a che spartire con un’inesistenza giuridica/non riconoscibilità dello stesso ex art. 13. Tipica norma di chiusura, come la qualifica l’opinione prevalente16, questa disposizione opera sì infatti in abbinamento colla nozione di causa concreta ma perché il suo perimetro involge direttamente i casi in cui un trust interno (lecito) venga a fungere strategicamente da strumento che sottrae in maniera fraudolenta una determinata vicenda alle regole di conflitto della lex fori. Dunque una norma, come si fa notare, implicante in concreto che il trust abbia superato la cortina degli artt. 15, 16 e 18, tipiche disposizioni queste che, denegando «la produzione di certi specifici effetti contrastanti con particolari norme interne»17, suppongono invece il prius di un riconoscimento della fattispecie.
Ed allora, ecco l’equivoco della Cassazione, delle due l’una: o c’è un’inderogabilità della legge fallimentare causante l’inefficacia del trust liquidatorio dell’intero patrimonio perché contra legem oppure se è l’insolvenza dell’imprenditore a rilevare da fatto impeditivo, il discorso a quel punto può sì virare sull’irriconoscibilità ex art. 13, in ragione della causa concreta dell’effetto segregativo, ma sulla premessa di una (non in)validità del regolamento in trust18.
Spurio e motivo di marcata ambiguità è combinare viceversa irriconoscibilità e violazione di norme imperative.
Un disconoscimento di effetti ex art. 15 ed un mancato riconoscimento sub specie causae, oltre che autosufficienti, non sono infatti due unità interscambiabili.
Quarto, non è convincente sostenere che il trust liquidatorio è contra legem tutte le volte che «non due istituti privatistici si comparino»19, il trust ed il concordato preventivo ad es., ma il raffronto sia tra un negozio unilaterale e la procedura officiosa di fallimento.
Il rilievo, vista l’ammissibilità di un trust che acceleri la chiusura del fallimento o che comunque ne implementi l’efficienza, prova troppo.
Quinto, e correlativamente, non è che, per la funzione tutoria dell’ordine economico cui sono preposte, esista un’insurrogabilità tout court delle norme imperative concorsuali. È piuttosto una questione di limiti, quelli sì però da accertare rigorosamente se è vero che il trust liquidatorio mira tendenzialmente ad accantonare qualsiasi «potere di amministrazione o controllo da parte del ceto creditorio o di un organo pubblico neutrale»20. Ribattere, al riguardo, che il trust liquidatorio, tanto nella variante di scopo che in quella con beneficiari, è comunque servente agli interessi dei creditori dell’impresa, non servirebbe a granché: per l’elementare ragione, come nota Cass. n. 10105/2014, di una «denegata equivalenza delle due procedure»21. Il trust, dato troppo spesso negletto, non apre una procedura concorsuale,ma la esclude perché la destinazione segregativa mette tra parentesi lo spossessamento in favore della massa; a sua volta il trustee agisce «esclusivamente per il raggiungimento degli obiettivi fissati nel trust, non nell’interesse di tutti i creditori del settlor»22. E quanto a costoro, salvo che non sia l’atto istitutivo a prevederlo, tendenzialmente non si distingue tra creditori concorsuali e quelli successivi all’istituzione. Donde l’impressione che il rapporto tra trust e fallimento si debba preferibilmente instaurare con riguardo a beni determinati ed a condizione che vi siano interessi tali da giustificare l’effetto di separazione. Per es. dei cespiti - di complessa monetizzazione - liquidabili più facilmente da un trustee esperto ovvero delle quote di partecipazioni azionarie giudicate strategiche dai creditori maggiormente esposti.
La sentenza non lo dice, perché la fattispecie decidenda era diversa, ma pure un trust cd. anticipatorio degli effetti di cui all’art. 168 l. fall., dunque in sede di concordato preventivo, non è che di per sé vada immune da abusi: il concordato in bianco - è vero - ha l’effetto di proteggere l’imprenditore, impegnato nelle trattative con i creditori in vista della predisposizione di una proposta di concordato preventivo, dalle azioni esecutive interinali avviate dai creditori non ricompresi nel quorum del 60%. Epperò il trust anticipatorio arretra ancora di più questo effetto di protezione, col risultato di una nullità/inopponibilità che rimonta se non fosse contemplata la variabile - la cd. clausola di salvaguardia - di un caducarsi dello stesso ove il futuro concordato non dovesse ricevere un’omologazione.
E il discorso si ripete, con una nullità/inopponibilità ad incombere sullo sfondo:
per il trust con funzione liquidatoria dell’attivo ovvero di prosecuzione dell’attività aziendale perché, se è vero che qui il trustee liquida i beni assegnatigli e col ricavato paga i creditori in conformità a quanto previsto dal piano concordatario, non è men vero che il tutto sarà sempre risolutivamente condizionato al passaggio in giudicato dell’omologa del concordato preventivo;
per il trust istituito in sede di accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182 bis l. fall. perché è soltanto con l’omologazione che l’effetto segregativo potrà importare la destinazione in via esclusiva di alcuni beni del debitore proponente al soddisfacimento dei creditori aderenti;
per il trust istituito ex art. 182 bis con beni di un terzo23, pur se non è qui escluso che all’azione revocatoria ordinaria possano procedere i creditori particolari del terzo conferente.
Di nuovo, come qualche decisione di merito si è avveduta per tempo24, una bivalenza dunque del trust liquidatorio, il cui riconoscimento è spesso legato al contesto circostanziale di riferimento. Un trust istituito da un imprenditore che sia in bonis e limitatamente ad una parte del suo patrimonio25 è ben diverso da quello che, venuto in essere dopo la sentenza di fallimento, veda conferito al trustee l’intero patrimonio aziendale e costui sia il settlor, mancando così «un vero affidamento intersoggettivo dei beni»26. L’insieme cadenzato di queste caratteristiche fa sì infatti che, sub specie del prudente apprezzamento giudiziale ex art. 116, co. 1, c.p.c., si materializzi il quid rilevante a guisa di un indice sintomatico della frode in atto o, secondo la diversa prospettiva sposata dalla Cassazione27, della manifesta illiceità del regolamento in trust predisposto per neutralizzare l’effetto di indisponibilità ex art. 42, co. 1, l. fall.
3.1 Gli usi (residui) del trust liquidatorio
Insomma, i piani di risanamento attestati (art. 67, co. 3, lett. d) l. fall.), il concordato e gli accordi di ristrutturazione (art. 67, co. 3, lett. e), l. fall.), la previsione di un trattamento differenziato fra creditori appartenenti a classi diverse, variabile possibile nelle proposte di concordato fallimentare e preventivo ai sensi degli artt. 124, co. 2, lett. b) e 160, co. 2, lett. d) l. fall., sono tutte situazioni senza dubbio disegnanti un quadro espressivo di unamodulata interazione convenzionale tra debito e patrimonio: e, in seno a questa cornice, il trust liquidatorio, se corredato da clausole che ne evidenzino la finalizzazione all’esclusivo interesse del ceto creditorio, può porsi come una valida alternativa a procedure legali concordate.
Epperò l’autonomia privata non può sostituirsi ad una procedura concorsuale retta da norme imperative che assicurano, diversamente dal trust, la par condicio creditorum in una logica di controllo giudiziale e di potere partecipativo del ceto creditorio.
Il trust, sintomatico quello costituito con i beni di un terzo a garanzia dell’adempimento del piano28 ovvero disposto giudizialmente nel corso dell’istruttoria pre-fallimentare ex art. 15, co. 8, l. fall.29, può affiancarsi al concordato preventivo e servire a conservare la destinazione produttiva dei beni: oppure lo si può utilmente sperimentare in vista di una chiusura anticipata del fallimento, nell’accezione allora di una modalità extraconcorsuale di liquidazione e riparto dei beni dell’imprenditore fallito «così come accertato secondo le regole della legge fallimentare, affidata al trustee (ed) avente come beneficiari i creditori già concorsuali»30. In soccorso, al riguardo, viene il disposto dell’art. 106 l. fall., se è vero che è facoltà del curatore fallimentare cedere i crediti, compresi quelli fiscali e futuri, oggetto di contestazione al pari delle azioni revocatorie concorsuali i cui giudizi siano pendenti. Il comma 2 gli riconosce d’altra parte pure il potere, in alternativa alla cessione, di concludere contratti di mandato per la riscossione dei suddetti crediti. Ma il canone del distingue frequenter rimane, piaccia o no, la bussola: nulla quaestio infatti sulla circostanza che il curatore fallimentare possa aderire all’istanza di conferire in trust (l’ingente) somma di denaro recuperata in seguito all’esercizio di un’azione revocatoria, istanza avanzata dall’istituto di credito soccombente in primo grado nelle more del giudizio di impugnazione31.
Niente, in un contesto siffatto, sembra invero ostare alla previsione di un trust avente ad oggetto le somme liquidate giudizialmente, vincolandole fino alla sentenza d’appello salvo un precedente accordo transattivo, con una loro destinazione ai creditori concorsuali nel modo che verrà poi stabilito dal giudice di seconde cure. Non si potrà dire lo stesso invece per il trust che venisse costituito non appena sia stato dichiarato esecutivo lo stato passivo, conferendogli di rimando tutti i cespiti seppure questi siano destinati ai creditori concorsuali, secondo l’ordine di graduazione, nella loro qualità di beneficiari32.
Tutte le attività di liquidazione e di distribuzione del ricavato, nell’ipotesi sunteggiata, sarebbero infatti rette non dalla normativa di legge ma dalla lex del trust, con una cessazione degli organi fallimentari, perché il fallimento è stato anticipatamente chiuso, sostituiti così da un trustee pienamente legittimato ad agire come un curatore… senza esserlo. Il che, nella misura in cui mima la fattispecie dalla quale si sono prese le mosse, fa vedere quanto sia facile che lo strumento trust si presti rapidamente a cambiare pelle, trasformandosi in un mezzo di patente elusione delle norme imperative fallimentari.
Ed allora, a mo’ di conclusione, si può così chiosare: quando un trust liquidatorio dell’intera azienda sia stato istituito col deliberato scopo di impedire lo svolgersi della procedura concorsuale, trattandosi di una figura funzionalizzante i beni che va oggettivamente a scapito «di norme inderogabili e di ordine pubblico»33, due soltanto sono le letture possibili:
il trust è riconoscibile ma, applicandosi le norme imperative della lex fori che lo stesso viola, sarà revocabile (piuttosto che nullo),
non è riconoscibile ex art. 13 Convenzione dell’Aja, in quanto forma di liquidazione atipica mirante a distrarre i beni, con annessa nullità dell’atto di dotazione ex art. 1418, co. 2, c.c. Gli è infatti che, intervenuto il fallimento, la liquidazione degli assets non può essere affidata ad un regolamento negoziale del disponentema deve svolgersi invito domino, secondo il complesso delle regole che sono proprie di una liquidazione concorsuale.
Tertium, in ogni caso, non datur, e per i creditori forse, almeno in termini di effettività delle tecniche di tutela, un denegato riconoscimento si lascia preferire, non foss’altro perché spazza via pure quegli effetti minimi residuali - art. 2652, n. 6, c.c.34 - comunque accostabili alla nullità.
1 Cass., 9.5.2014, n. 10105, con nota critica di Di Landro, A.C., La destinazione patrimoniale nella gestione della crisi dell’impresa: il trust liquidatorio approda in Cassazione, in www.dirittocivilecontemporaneo.com.
2 V., in luogo di tanti,Macario, F., Insolvenza del debitore, crisi dell’impresa ed autonomia privata nel sistema della tutela del credito, in Autonomia negoziale e crisi d’impresa, a cura di F. DiMarzio e F.Macario,Milano, 2010, 19 ss.; D’Amico, G., La proprietà “destinata”, in Riv. dir. civ., 2014, I, 533 ss. e Pacchi, S., Commento agli artt. 42 e 43, in Nigro, A.-Sandulli, M.-Santoro, V., a cura di, La legge fallimentare dopo la riforma, Torino, 2010, 575 ss.
3 In dottrina, per inciso, si fa notare come neanche il trust istituito da un terzo, visto che l’effetto segregativo non è assimilabile ad un pagamento, potrebbe bastare a scongiurare l’insolvenza del debitore. Questa infatti è e rimane una condizione correlata alla situazione patrimoniale dell’obbligato, non all’ammontare delle risorse vincolate conferite dal terzo: e ciò finanche nel caso in cui «le prospettive di pagamento fossero a breve termine»: v. D’Arrigo, C., L’impiego del trust nella gestione negoziale della crisi d’impresa, in Trust. Viaggio nella prassi professionale tra interessi privati, fini pubblici e benefici, a cura di A.C. Di Landro, Napoli, 2010, 183 ss.
4 Da ultimo Trib. Bolzano, 8.4.2013, in Trusts, 2014, 49 ss. e Trib. Napoli, 3.3.2014, in www.dirittocivilecontemporaneo.com.
5 V., incidenter, Trib. Cremona, 8.10.2013, in Fallimento, 2013, 1500 ss. (che infatti poi propende per l’esperibilità della revocatoria).
6 Cioè in un trust nel quale il creditore beneficiario potrebbe reclamare il fondo. Un’altra variabile è quella del trust di scopo nel quale il curatore abbia poteri sul trustee, compreso quello di ordinare la devoluzione dei beni conferiti alla massima fallimentare: di talché però il trust verrà ad estinguersi per mancanza della sua dotazione. Per questa impostazione ed un quadro delle altre varianti, sperimentabili ad es. nel trust con beneficiari, v., per tutti, Lupoi,M., Due parole tecniche sull’atto istitutivo di un trust liquidatorio e sui trust nudi, in Trusts, 2011, 211 ss.
7 V. Trib. Cremona, 8.10.2013, cit. ed ex professo Trib. Milano, 16.6.2009, in Giur. comm., 2010, II, 887 ss., con nota di Galletti, D., Il trust e le procedure concorsuali: una convivenza subito difficile.
8 V., in specialmodo, Trib.Mantova, 25.3.2011, in Trusts, 2011, 529 ss. e Trib. Napoli, 28.11.2013, n. 13443, in Fallimento, 2014, 567 ss., con nota di Ranucci, R., I difficili rapporti tra il trust interno e le procedure concorsuali.
9 Non foss’altro dopo l’introduzione dell’art. 2645 ter c.c.: v., incisivamente,D’Amico,G., La proprietà, cit., 533, nt. 26. In una prospettiva diversa Perlingieri, G., Il controllo di “meritevolezza” degli atti di destinazione ex art. 2645-ter, in Foro nap., 2014, 54 ss., spec. 60 ss.
10 V. Falzea, A., Introduzione e considerazioni generali, in Dal trust all’atto di destinazione patrimoniale. Il lungo cammino di un’idea, a cura diM. Bianca e A.DeDonato,Milano, 2013, 19 ss. e, implicitamente, D’Amico, G., La proprietà, cit., 535.
11 Così Restivo, C.,Nullità del trust liquidatorio, in www.dirittocivilecontemporaneo.com.e, prima ancora, De Nova, G., Trust: negozio istitutivo e negozi dispositivi, in Trusts, 2000, 162.
12 Ma v., in senso contrario, App. Catania, 21.11.2012, in Trust., 2014, 62 ss. Per l’ammissibilità, viceversa, App. Venezia, 10.7.2014, in www.ilcaso.it.
13 V. Cass. pen., 24.1.2011, n. 12376, (annotata da Lupoi, F., La Cassazione e il trust sham, in Trusts, 2011, 469 ss.).
14 Con un argomentare nel quale si rintracciano più di una volta gli echi di uno scritto dell’estensore: v. infatti Nazzicone, L., La Cassazione e la causa del negozio, in AA.VV., L’evoluzione giurisprudenziale nelle decisioni della Corte di Cassazione, Milano, 2013, 61 s.
15 Così Cass., n. 10105/2014, cit., 20 (della motivazione).
16 V., per una puntuale actio finium regundorum v. Scoditti, E., Trust e fallimento, in Trusts, 2010, 472 ss.
17 Così Trib. Bologna, 1.10.2003, in Trust., 2004, 67 ss.
18 V., seppur con un’argomentazione parzialmente diversa, Gallarati, A., La Corte di Cassazione si pronuncia sul trust liquidatorio dell’intero patrimonio del debitore, in www.dirittobancario.it, 13, 2014, 2 s. Un richiamo ad entrambe le disposizioni è invece in Trib.Milano, 27. 5. 2013, in Foro it., 2013, I, 3342 ss.
19 V. Cass. n. 10105/2014, 18 (della motivazione).
20 Cfr. Cass. n. 10105/2014, 18.
21 V. Cass. n. 10105/2014, 22.
22 Così Galletti, D., Il trust, cit., 889.
23 V., puntualmente, Rovelli, L., Il ruolo del trust nella composizione negoziale dell’insolvenza di cui all’art. 182-bis l.f., in Fallimento, 2007, 595; Id., I nuovi assetti privatistici nel diritto societario e concorsuale e la tutela creditoria, ivi, 2009, 1029 ss.
24 V. Trib. Ravenna, 4.4.2013, in www.ilfallimentarista.it e Trib. Chieti, 14.5.2013, in www.ilcaso.it.
25 L’allusione è alla ben nota Trib.Milano, 29.10.2010, in Trust., 2011, 146 ss. Ciò nonostante, pur nella prospettiva di una sua assimilazione al fondo patrimoniale ex art. 46, n. 3 l. fall., il dubbio sull’esperibilità dell’azione revocatoria permane.
26 Così Cass. n. 10105/2014, cit. 26.
27 E, prima ancora, da Trib. Mantova, 18.4.2011, in Riv. dir. int. priv. proc., 2012, 170 ss. nonché da App. Milano, 29.10.2009, in Trust, 2010, 271.
28 V.Trib.Napoli, 12.3.2009, in Banca borsa, 2010, I, 76 ss. e, prima ancora,Trib. Parma, 3.3.2005, in Riv. not., 2005, 858 (ove in trust vengono costituiti i beni di un terzo in vista di addivenire a quella quota aggiuntiva, rispetto al quantum ottenuto con la liquidazione dei beni della società concordataria, necessaria per realizzare la percentuale concordataria).
29 V. Trib.Milano, 25.3.2010, in Dir. fall., 2010, 555, con nota diGreco, V., Il trust ordinato dal tribunale per conservare l’impresa e/o i suoi valori.
30 Così Cavallini, C., Trust e procedure concorsuali, in Riv. soc., 2011, p. 1093. In giurisprudenza, seppure con le cautele che si espongono nel testo, v. Trib. Saluzzo, 9.11.2006, in Giur. comm., 2008, II, p. 206 ss. V. pure Galluzzo, F., Validità di un trust liquidatorio istituito da una società in stato di decozione, in Corr. giur., 2010, 531 ss.
31 V. Trib. Prato, 12.7.2006, in La giurisprudenza italiana sui trust, a cura di M. Lupoi, Milano, 2009, 294 ss. Non diversamente, sempre spigolando tra le più significative applicazioni giurisprudenziali, nel caso di un trust costituito allo scopo di recuperare dei crediti d’imposta sì maturati durante la procedura epperò destinati a divenire esigibili soltanto dopo la chiusura del fallimento (v. Trib. Roma, 3.4.2004, in Fallimento, 2004, 101 ss.).
32 Tutti i riferimenti del caso in Demarchi, P.G., Il trust postfallimentare e l’apparente chiusura del fallimento, in Giur. mer., 2008, 741 ss.
33 Così Cass. n. 10105/2014, 20.
34 V., nel senso del testo, Gallarati, A., La Corte di Cassazione, cit., 3.