AUTOMATICA
. Cenni storici. - L'a. è un complesso di metodologie e di tecniche che si è sviluppato in seguito e parallelamente all'introduzione di procedimenti atti a ridurre o eliminare l'intervento dell'uomo nel settore della produzione di beni e di servizi. A tali procedimenti viene dato comunemente il nome di automatizzazione o, anche, automazione, dall'inglese automation, termine introdotto da J. Diebold, come contrazione di automatic production, per caratterizzare il largo impiego di apparecchiature automatiche manifestatosi nel dopoguerra soprattutto presso l'industria automobilistica (v. automazione, App. III, 1, p. 178).
I procedimenti di automazione hanno origini abbastanza remote e comunque, per quanto riguarda le applicazioni industriali più significative, risalgono all'epoca della macchina a vapore e dei primi telai tessili. Lo sviluppo più significativo si è manifestato però in questo secolo e, soprattutto, negli ultimi decenni attraverso l'automazione o di singole operazioni di complessità crescente o di insiemi di operazioni in numero via via più elevato. Per quanto concerne il crescere della complessità si pensi alla differenza tra i semplici automatismi utilizzati nelle apparecchiature per la distribuzione automatica di oggetti e quelli enormemente più evoluti necessari per la realizzazione di sistemi di guida automatica (per es., di un veicolo spaziale). Per quanto riguarda l'espandersi dei processi automatizzati si pensi, per es., al continuo incremento delle aree alle quali vengono estesi i procedimenti automatici di selezione telefonica.
L'automazione è un fenomeno che interessa i più diversi settori, come peraltro risulta anche dalla breve esemplificazione che precede. Malgrado la diversità dei contesti applicativi e delle particolari tecnologie di volta in volta adottate, è possibile riconoscere nei processi automatizzati l'esistenza di strutture caratteristiche e finalità comuni. È in rapporto a tali aspetti comuni che si sono sviluppate le metodologie e le tecniche dell'automatica. Le metodologie hanno per oggetto lo studio, in termini astratti e formali, sia dei processi sottoposti ad automazione, sia delle strutture secondo le quali si esercita, o si può sostituire, l'intervento dell'uomo. Le tecniche hanno per oggetto lo sviluppo di dispositivi per il prelievo d'informazioni sullo stato del processo che si vuole automatizzare, per l'elaborazione di tali informazioni sulla base delle metodologie d'intervento di volta in volta prescelte e, infine, per la trasformazione dei risultati di questa elaborazione in azioni d'intervento diretto sul processo.
Nell'a. il termine "intervento" viene molto spesso sostituito con il termine "controllo", cui dev'essere attribuito il significato dell'analogo inglese control (e non quello di "verifica" che ha nell'uso comune).
Il livello di generalità al quale si sono sviluppate le metodologie dell'a. consente di estenderne l'applicazione, oltre che all'automazione dei processi di produzione di beni e servizi, anche all'analisi dei problemi di decisione e d'intervento che si presentano nell'economia, nella pianificazione urbana e territoriale, nella difesa dell'ambiente, nella sanità, nell'istruzione, ecc. In rapporto alla generalità dell'impostazione e all'estensione dei settori in cui le metodologie dell'a. possono essere applicate si va diffondendo, per esse, anche la dizione di teoria o scienza o analisi dei sistemi.
Ruolo della teoria dei sistemi. - Alla base dell'impostazione dei problemi trattati nell'a. si presenta la necessità di descrivere, in maniera indipendente dal particolare settore applicativo e quindi astratta, sia l'oggetto o processo sul quale s'interviene, sia gli apparati mediante i quali si esegue l'intervento, sia il loro complesso. Ciò porta all'introduzione del concetto di sistema inteso come descrizione matematica dei legami funzionali che sussistono tra le grandezze d'interesse dell'oggetto o processo sul quale s'interviene e degli apparati d'intervento. Nell'a. si considerano in particolare i cosiddetti sistemi orientati, nei quali le grandezze d'interesse sono distinte in quelle che si ritiene possibile modificare, che vengono dette grandezze d'ingresso (o ingressi), e quelle che si ritiene opportuno osservare, che vengono dette grandezze di uscita (o uscite). Nei sistemi orientati l'uscita appare come dipendente dall'ingresso se si adotta uno schema interpretativo causa-effetto.
La rappresentazione naturale di un sistema viene a essere costituita dalla collezione delle coppie ordinate ingresso-uscita. Accanto a tale rappresentazione è però molto diffusa quella basata sull'introduzione di una grandezza ausiliaria, detta variabile di stato; il valore di quest'ultima riassume, a ogni istante, gli eventi della "storia" passata del sistema rilevanti ai fini della determinazione, insieme con l'ingresso, da quell'istante in poi, dei valori futuri dell'uscita.
Lo studio delle rappresentazioni dei sistemi, sia in generale, sia con riferimento a particolari classi, lo sviluppo dei metodi di calcolo che consentono di passare da una rappresentazione a un'altra, l'analisi delle loro proprietà, costituiscono un primo fondamentale capitolo dell'automatica. La formalizzazione degli studi relativi ha raggiunto recentemente livelli soddisfacenti almeno per talune classi di sistemi portando allo sviluppo di un corpo rigoroso di definizioni, problemi e metodi che prende il nome di "teoria dei sistemi" (v. sistemi, teoria dei, in questa Appendice).
Identificazione del processo e scelta dell'obiettivo. - L'uso del concetto di sistema permette di formulare in termini generali il problema dell'intervento o del controllo, che è alla base dell'automazione, e, quindi, d'individuarne gli aspetti peculiari, in connessione con i quali si sono sviluppate le metodologie proprie dell'automatica.
La formalizzazione del problema, alla base del quale sono il processo sul quale occorre intervenire e l'obiettivo da raggiungere, richiede di: a) individuare, in rapporto all'obiettivo assegnato, le grandezze significative del processo, che vengono assunte come grandezze di uscita del sistema P a esso associato (grandezze controllate); b) scegliere le grandezze del processo mediante le quali conviene effettuare il controllo e che vengono assunte come grandezze d'ingresso del sistema P (grandezze di controllo o controllanti); c) individuare i legami funzionali tra l'ingresso e l'uscita, e cioè il sistema P (sistema controllato); d) precisare in termini matematici l'obiettivo da raggiungere, individuando anche i vincoli ai quali le diverse grandezze devono soddisfare.
Passando a un esame dettagliato dei punti precedenti è utile sottolineare anzitutto il fatto che la scelta delle grandezze d'ingresso e di uscita non è sempre univoca nel particolare problema di controllo che occorre risolvere. Essa infatti dipende, oltre che dall'obiettivo e dai vincoli, anche da considerazioni di ordine pratico legate sia alla natura del processo, sia alle soluzioni tecnologiche che si vogliono adottare per la realizzazione dei dispositivi di controllo, sia alla particolare esperienza del progettista che opera le scelte iniziali.
Una volta effettuata la scelta ci si trova dinanzi all'aspetto, più propriamente metodologico, dell'effettiva determinazione della relazione matematica tra le grandezze d'ingresso e di uscita e, cioè, della cosiddetta identificazione del sistema P. Il procedimento che appare come il più naturale a tale scopo, ove si pensi alla rappresentazione naturale di un sistema mediante la collezione delle coppie ingresso-uscita, è quello di eseguire esperimenti intesi a rilevare appunto tali coppie. Soltanto in casi molto particolari, tuttavia, un numero finito di esperimenti può fornire la descrizione ingresso-uscita. In generale gli esperimenti necessari sono in numero infinito e quindi il procedimento non è utilizzabile in pratica. Per superare queste difficoltà si può procedere secondo un diverso approccio che scinde il problema dell'identificazione in due passi successivi. Il primo di questi consiste nell'assumere a priori che il sistema da identificare abbia particolari proprietà in maniera da restringere la classe alla quale esso deve appartenere; il secondo nell'eseguire l'identificazione nell'ambito di tale classe. È intuitivo che tale identificazione richiede un numero di esperimenti minore di quello che sarebbe stato necessario per effettuare l'identificazione stessa nell'universo dei sistemi, e ciò giustifica la suddivisione in due passi del problema. Per quanto riguarda il primo di questi, che usualmente viene indicato come costruzione del modello matematico, si possono distinguere in linea di massima due alternative. Nella prima si assumono ipotesi a priori di tipo esclusivamente matematico su P; in una seconda si adottano ipotesi che riflettono un insieme di leggi che legano gl'ingressi alle uscite sulla base di un'interpretazione razionale dei meccanismi di comportamento del processo. In entrambe le alternative un'ulteriore distinzione può nascere a seconda che nella procedura s'introducano o meno, accanto agl'ingressi e alle uscite, variabili ausiliarie che possono anche assumere un significato preciso in relazione al processo in esame. Di solito come risultato di questo primo passo si giunge a determinare la sottoclasse di sistemi in forma parametrizzata tramite incognite matematiche. Per es., si può giungere a specificare un legame differenziale con coefficienti incogniti tra le uscite e gl'ingressi. In tale caso il secondo passo del procedimento d'identificazione consiste nel determinare tali incognite sulla base di convenienti criteri e di dati ricavati da un insieme di esperimenti, opportunamente scelto a seconda della classe di sistemi considerata.
Nella soluzione dei problemi d'identificazione si possono dunque individuare sia aspetti più strettamente legati alla particolarità del processo considerato e dei fenomeni che in esso si svolgono, sia aspetti generali legati all'esigenza di risalire, a partire dagli esperimenti effettuati, alle grandezze incognite che caratterizzano la relazione matematica. In rapporto a tale esigenza è possibile sviluppare metodi generali che consentono di utilizzare in modo ottimo i dati disponibili, tenendo anche conto del fatto che questi sono generalmente affetti da errori. Il complesso di questi metodi prende il nome di teoria della stima e costituisce una disciplina molto sviluppata, che trova il suo fondamento nella teoria della probabilità e nel calcolo statistico.
Passando a considerare la fase d) individuata nella formalizzazione del problema, occorre mettere anzitutto in evidenza il fatto che la precisazione, in termini matematici, dell'obiettivo è, in generale, uno dei punti più delicati del problema, sia a causa della grande varietà di situazioni che si possono presentare, sia per la difficoltà a tradurre in termini quantitativi esigenze e scopi dell'automazione. In molti casi, per es., si manifesta l'interesse a mantenere determinate grandezze a valori prefissati (regolazione di tensione, velocità, temperatura, pressione, ecc.); in altri casi a farle evolvere, nel tempo, secondo leggi prestabilite o dipendenti dall'evoluzione di altre grandezze (asservimento di posizione, portata, ecc.). In questi casi è perfettamente definito il comportamento desiderato: mantenere una grandezza a un valore costante o farla variare secondo modalità prescritte, malgrado la presenza di azioni disturbanti. In effetti, a causa di queste ultime e di limitazioni di ordine tecnico è praticamente impossibile ottenere un comportamento effettivo coincidente con quello desiderato. Appare allora naturale, nello scegliere l'obiettivo del procedimento di automazione, cercare di ridurre la "distanza" tra il comportamento desiderato del processo e quello effettivo.
Nei casi in cui è possibile e conveniente riferirsi alla distanza tra comportamento desiderato e comportamento effettivo (errore) si pone anzitutto il problema di tradurla in termini quantitativi. Ciò può essere fatto in molti modi diversi, assumendo come misure dell'errore o alcuni suoi parametri caratteristici (eventualmente definiti in modo convenzionale) o grandezze che fanno intervenire un'opportuna media dei valori che esso assume ai vari istanti di tempo (indici di comportamento). Precisato il modo di misurare l'errore si tratta poi di precisare se l'obiettivo sia il mantenerlo entro opportuni limiti oppure il ridurlo al valore minimo. L'una o l'altra di queste scelte determina il procedimento per risolvere il problema del controllo; nel secondo caso si viene, in particolare, a impostare quest'ultimo come problema di ottimizzazione.
Nella progettazione di sistemi di regolazione e di asservimento, per es., ci si avvale spesso di procedimenti (v. controlli automatici, App. III,1, p. 430) che hanno come obiettivo quello di mantenere entro limiti prefissati valori caratteristici dell'errore (parametri convenzionali della risposta al gradino). In altri casi, invece, il controllo ha come obiettivo la minimizzazione o dell'integrale del quadrato dell'errore o di altre sue grandezze caratteristiche.
Gl'indici di comportamento riferiti all'errore possono essere modificati per tener conto di ulteriori esigenze: una situazione tipica è quella in cui s'introduce il "costo" dell'azione di controllo. In generale, nell'obiettivo possono coesistere diversi aspetti e, proprio perché può convenire in taluni casi privilegiarne uno rispetto agli altri, si possono considerare indici di comportamento che non fanno esplicito riferimento all'errore. Ciò si verifica, per es., nel caso di sistemi di notevole dimensione e complessità, nei quali il prevalere dell'interesse ad aspetti globali rende praticamente impossibile tenere conto in dettaglio del comportamento delle singole variabili.
Affinché la formulazione del problema sia completa, accanto all'obiettivo occorre precisare i vincoli ai quali devono soddisfare, come si è detto, le grandezze in gioco (questi possono, per es., essere dovuti alla presenza di limiti di ordine tecnico per l'escursione di talune grandezze); a questo proposito può essere interessante osservare che, quando si adotta un indice di tipo globale e quindi un'impostazione basata sulla ricerca della soluzione ottima, la relazione tra le grandezze d'ingresso e di uscita del processo da controllare può, ovviamente, essere trattata essa stessa come un vincolo.
In definitiva, una volta risolto il problema dell'identificazione del processo, scelto l'indice di comportamento (indice di qualità o di merito, funzione obiettivo, funzione costo, ecc.) e definiti i vincoli, si può dire che il problema del controllo è formulato.
Controllo e sua realizzazione. - Per risolvere il problema del controllo di un sistema occorre in realtà risolvere due problemi: a) trovare la legge secondo cui deve evolvere nel tempo l'ingresso di P per assicurare il raggiungimento dell'obiettivo, rispettando i vincoli (legge di controllo); b) effettuare le scelte che consentono di realizzare l'intervento sul processo.
Il complesso delle metodologie che consentono di risolvere il problema a) può essere indicato come teoria del controllo. In effetti, quest'ultima si è sviluppata inizialmente come teoria elementare dei sistemi di regolazione e di asservimento; successivamente, nel decennio 1960-70, ha recepito i concetti e i metodi dell'ottimizzazione e si è sviluppata anche come teoria della sintesi delle leggi di controllo ottimo rispetto a un prefissato obiettivo. I contributi di questa teoria, insieme con quelli di altre metodologie affini (teoria dei giochi, teoria delle decisioni, ecc.) offrono oggi la base per affrontare i problemi di scelta della strategia d'intervento in un contesto di adeguata generalità.
La varietà degli obiettivi che si possono assegnare e dei metodi di cui si può disporre rende praticamente impossibile presentare, sia pure nelle linee generali, un quadro sistematico della materia. Si possono tuttavia illustrare alcuni aspetti significativi ricorrendo all'esame di una situazione particolare.
Si supponga che l'obiettivo sia assegnato attraverso un indice globale di comportamento e che ci si orienti verso una scelta ottima della legge di controllo; particolarizzando ancora la situazione, si supponga che il problema da affrontare sia caratterizzato dai seguenti dati: 1) la relazione tra ingressi e uscite di P (per es., un legame differenziale); 2) un indice di comportamento, per es. della forma
e cioè l'integrale, sull'intervallo di tempo (to,tf), in cui tf può o no essere fissato, di un'opportuna funzione f dell'ingresso u(t) e dello stato x(t) di P; 3) un insieme di vincoli caratterizzato da equazioni e/o disequazioni cui debbono soddisfare certe funzioni dell'ingresso e/o dello stato.
La determinazione della legge di controllo comporta la scelta della funzione u(t) atta ad assicurare il minimo o il massimo di J dato dall'integrale sopra riportato soddisfacendo sia le equazioni che descrivono il processo sia i vincoli sull'ingresso e sullo stato. Si tratta in termini matematici di trovare il minimo o il massimo di un funzionale in presenza di vincoli; si presentano qui sia problemi di esistenza e di unicità, sia problemi di calcolo di notevole complessità.
In tale impostazione non viene fatta alcuna ipotesi sulla struttura del sistema destinato a elaborare e imporre la legge di controllo. Se, fermi restando i termini iniziali del problema, si stabilisce di fissare a priori la struttura degli organi di controllo, il problema dell'ottimizzazione risulta ulteriormente vincolato da questa scelta. Se, per es., si adotta uno schema a parametri concentrati basato sul principio della controreazione, l'indice J diviene una funzione dei parametri liberi degli organi di controllo e, dal punto di vista matematico, il problema diviene quello di trovare il minimo o il massimo di una funzione di più variabili, in presenza di vincoli.
Passando al problema b), cioè alla realizzazione degli apparati di controllo, si può anzitutto osservare che il complesso costituito da questi ultimi e dal processo controllato può essere convenzionalmente schematizzato come in fig. 1. In essa il blocco E rappresenta il complesso degli organi che, a partire da dati esterni (legati al comportamento desiderato) e da dati relativi al comportamento effettivo del processo, elaborano la legge di controllo. Il blocco S rappresenta il complesso degli organi che prelevano informazioni sull'evoluzione delle grandezze che caratterizzano il funzionamento del processo e provvedono a una loro manipolazione allo scopo di presentarle in forma opportuna agli organi di elaborazione E (sensori, trasduttori, convertitori, ecc.). Il blocco C, infine, rappresenta il complesso degli organi che, a partire dai dati sulla legge di controllo elaborati da E, sviluppano le azioni atte a imporre tale legge al processo (valvole, amplificatori, motori, ecc.). La realizzazione degli organi utilizzati nei blocchi S e C dipende dalla natura delle grandezze d'ingresso e di uscita del processo; quella degli organi in C, in particolare, dalla potenza alla quale le azioni d'intervento devono essere sviluppate.
È interessante osservare che i blocchi di fig. 1 sono presenti anche nello schema di un semplice sistema di asservimento o di regolazione, nel qual caso S viene a essere costituito da un sensore-trasduttore, E da un organo di calcolo molto semplice e C da un organo amplificatore ed esecutore.
In generale la varietà e la complessità degli organi costituenti i blocchi possono risultare notevoli, sia per il numero dei dispositivi impiegati sia per la complessità delle funzioni che essi sono chiamati a svolgere. Così, per es., il blocco E può venire ad assumere le dimensioni e le funzioni di un calcolatore di tipo generale e, in quanto tale, acquista un ruolo privilegiato, per la sua universalità, rispetto agli altri organi. La tendenza all'impiego dei calcolatori per la soluzione di problemi complessi di automazione, consolidatasi negli ultimi anni, ha portato con sé importanti conseguenze sia dal punto di vista tecnologico (quali, per es., quelle dettate dalla necessità di risolvere i particolari problemi di interfaccia tra i processi industriali di tipo continuo e i calcolatori numerici) sia dal punto di vista degli sviluppi teorici. Si può osservare infatti che l'adozione di calcolatori e lo sviluppo delle metodologie dell'a. sono l'uno causa e giustificazione dell'altro: senza la versalità e la potenzialità dei mezzi di elaborazione automatica ben difficilmente le metodologie moderne potrebbero trovare applicazione e senza la razionalità e la generalità di queste ultime, difficilmente l'impiego del calcolatore troverebbe una sua valida giustificazione.
In rapporto al ruolo che il blocco E svolge nell'automazione e, quindi, dal punto di vista che qui si sta esaminando, quella del calcolo automatico appare come una tecnologia tipica ed essenziale dell'automatica. Va però osservato che anche le funzioni assolte dagli organi utilizzati nei blocchi S e C dello schema, pur dipendendo tali organi per loro natura dal particolare processo automatizzato, tendono a configurarsi come universali (prelievo d'informazioni, trasduzione, conversione, ecc.) e che le tecniche relative assumono ancora un carattere tipico ed essenziale dell'automatica. In proposito si usa parlare di strumentazione automatica.
In conclusione, si ritiene utile sottolineare il fatto che lo schema di fig. 1 non va visto solo come collezione di organi artificiali impiegati per l'automazione di un processo (per es., di un impianto industriale), ma anche come schema interpretativo del funzionamento di strutture naturali (quali, per es., i fenomeni biologici) o, ancora, come schema secondo il quale si esplicano i processi di controllo in una struttura organizzativa. A questo fine è essenziale fare riferimento alle funzioni corrispondenti al ruolo dei vari blocchi, considerati in astratto come elementi del processo d'intervento.
Problemi a larga scala. - Nella breve rassegna di problemi relativi alla scelta degli obiettivi, all'identificazione del processo, alla determinazione del controllo e alla sua realizzazione, non si è fatto alcun riferimento esplicito alla loro maggiore o minore complessità. La nozione di complessità, per quanto qualitativa e poco precisa, può essere concretizzata paragonando sia i processi ai quali l'automazione viene estesa, sia le esigenze che con l'automazione si vogliono soddisfare. Così, per es., molto diversi si presentano i problemi relativi al controllo di un motore con l'obiettivo di mantenere costante la velocità, da quelli relativi al controllo di un impianto industriale nel suo complesso con l'obiettivo di conseguire, accanto a opportune prestazioni di natura tecnica, risultati di carattere economico, entro assegnati margini di sicurezza.
Sulla base del dato di fatto dell'impossibilità di affrontare e risolvere in pratica con gli stessi metodi problemi semplici e problemi complessi, una via che si presenta naturale per affrontare la risoluzione di questi ultimi è quello di ricorrere alla loro decomposizione in sottoproblemi.
All'adozione o meno di tale tecnica è anzi abituale riferirsi per distinguere, nel classificare le metodologie dell'a., quelle relative ai problemi semplici da quelle relative ai problemi complessi (anche se, ovviamente, si tratta di un'assunzione terminologica di comodo in quanto basata sulle modalità adottate per risolvere un problema e non sulle caratteristiche del problema stesso). In proposito è abituale anche parlare di problemi a larga scala (ingl.: large scale problems) o a grandi dimensioni.
Le due idee fondamentali alle quali si ricorre nel controllo dei sistemi complessi riguardano la decomposizione rispettivamente del processo e degli obiettivi.
Nel primo caso si decompone il processo in sotto-processi e si effettua il controllo secondo una struttura a più livelli. A un primo livello il controllo viene effettuato su ciascun sottoprocesso ignorando le sue interazioni con gli altri sottoprocessi, a un secondo livello coordinando le azioni di controllo del primo livello per gruppi di sottoprocessi, a un terzo livello effettuando ulteriori azioni di coordinamento, e così via (fig. 2).
Nel secondo caso si costruisce una gerarchia di sotto-obiettivi, definiti in rapporto ad aspetti parziali del controllo, e si effettua il controllo secondo una struttura a più strati. Così, per es., si può affidare a un primo strato la funzione di tener conto della dinamica del processo e di eliminare i disturbi con maggiore rapidità di variazione, a un secondo strato la funzione di variare il punto di lavoro in maniera da mantenere l'ottimo al variare della domanda di prodotto, a quelli di un terzo livello quella d'identificare il processo elaborando una stima aggiornata e di adattare in conseguenza le azioni controllanti, ecc. (fig. 3).
Nel paragonare i due tipi di decomposizione si può anche rilevare che nel primo si opera una ripartizione rispetto allo spazio e nel secondo rispetto al tempo (quest'ultima nel senso che gl'intervalli di tempo su cui sono commisurate le azioni d'intervento dei diversi strati sono diverse e crescenti dagli strati inferiori verso quelli superiori).
Dalla combinazione, spesso adottata, dei due tipi di decomposizione, nascono strutture di controllo più complesse di quelle schematizzate nelle figg. 2 e 3. I problemi che si pongono nello studio di tali strutture riguardano la scelta ottima della decomposizione del processo, delle variabili d'intervento, del numero dei livelli e/o di strati, degli algoritmi per il controllo e il coordinamento, ecc.
La teoria dei sistemi complessi è in fase di evoluzione e, attualmente, si dispone di risultati solo per alcune strutture particolari; è fuor di dubbio, però, che gli sviluppi in questa area sono fondamentali per le applicazioni dell'a. sia nei diversi settori della produzione di beni e di servizi (automazione degl'impianti con calcolatori, sistemi di elaborazione e trasmissione dell'informazione, ecc.) sia in quelli organizzativi (coordinamento delle attività di un'azienda industriale o commerciale di grandi dimensioni).
Bibl.: M. Athans, P. L. Falb, Optimal control, New York 1966; P. Mesarovic, D. Macko, Y. Takahara, Theory of hierarchical, multilevel systems, ivi 1970; P. Eykhoff, System identification, ivi 1974; Accademia nazionale dei Lincei, La Scienza dei sistemi, Roma 1975.