Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
I termini “autentico” e “artistico”, e più in generale i concetti a essi legati, sono stati spesso applicati al rock e ad altri generi di popular music, per valorizzare alcuni repertori a scapito di altri, considerati inautentici, opportunistici e commerciali. Di questo fenomeno vengono seguite le principali vicende, partendo dal folk revival e dal blues revival degli anni Cinquanta, considerando la nascita e lo sviluppo del rock, in opposizione al pop, negli anni Sessanta, la svolta del punk negli anni Settanta e gli esiti più recenti, legati alle discussioni sul postmodernismo.
La musica e i giovani, tra romanticismo e modernismo
Sarah Thornton
L’autenticità della musica registrata
Quello che Benjamin non aveva potuto prevedere è stata la formazione di nuove autenticità specifiche dell’intrattenimento registrato su disco, poiché queste sono dipese dai cambiamenti storici delle condizioni sia di produzione sia di consumo della musica. All’inizio, i dischi erano trascrizioni, riproduzioni, copie, rappresentazioni che derivavano da, e suonavano come, i concerti. Ma non appena il luogo di composizione della musica leggera diventò sempre di più lo studio di registrazione, invece che il palcoscenico, i dischi cominciarono a essere il veicolo di suoni e di musiche che non erano né originati, né si rifacevano a dei concerti effettuati. [...] Inoltre, negli anni Settanta e Ottanta, l’utilizzo di nuovi strumenti, come i sintetizzatori e i campionatori, comportava il fatto che i suoni fossero registrati sin dall’inizio. Di conseguenza il disco, da forma secondaria e derivata, divenne forma primaria e originale. Nel loro processo di trasformazione in originali, i dischi maturarono una loro propria autenticità. Le tecnologie di registrazione, perciò, non corrosero o demistificarono l’aura, quanto piuttosto la disseminarono e la rilocalizzarono.
S. Thornton, Dai club ai rave: musica, media e capitale sottoculturale, Milano, Feltrinelli, 1998
Da quando, a partire dalla rivoluzione industriale, la musica ha cominciato a funzionare come una merce, il concetto di “autenticità” è stato spesso adottato per valorizzare alcuni fenomeni musicali considerandoli non intaccati da tale mercificazione: nella critica romantica della società massificata è allora autentica la musica folk intesa come una pratica diretta esclusivamente a preservare le tradizioni e i valori popolari in opposizione alla commercialità artificiosa della popular music concepita come attività finalizzata solo al guadagno economico; per il modernismo, poi, che con il romanticismo ha avuto un rapporto controverso, è autentica la fedeltà del compositore d’avanguardia alla sua idea poetica, che lo fa essere sovvertitore delle convenzioni in opposizione all’opportunismo di chi si adatta agli stili correnti.
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta il folk revival e il blues revival riprendono il mito romantico della musica popolare aggiornandolo alla luce del populismo marxista (che ha visto nella musica folk l’unica vera espressione delle classi oppresse) e delle riflessioni degli intellettuali “apocalittici” novecenteschi: la schiettezza delle parole delle canzoni folk e blues, l’intimità dei loro esecutori con gli ascoltatori e la semplicità delle tecniche vocali e strumentali utilizzate nelle loro esecuzioni vengono concepite come capaci di rendere questo repertorio come un invito autentico alla partecipazione collettiva e alla solidarietà per gli appartenenti alla comunità che frequenta i club e i festival a esso dedicati.
A partire dalla fine degli anni Cinquanta, la condivisione da parte di molti sostenitori del folk revival (specie di quelli più giovani) di idee estetiche moderniste determina un graduale cambiamento nella concezione dell’autenticità in tale ambito, con una minor enfasi posta sulla partecipazione collettiva e sulla funzionalità di questo repertorio per la propaganda politica, a favore della sincerità personale: il Dylan dei primi anni Sessanta e altri nuovi protagonisti (come Phil Ochs, Tom Paxton e Paul Simon) vengono in tal senso considerati folksingers autentici, capaci di esprimere il proprio modo di esperire quanto viene vissuto dal pubblico al quale si rivolgono; dimensione poi sviluppata dalla “canzone d’autore”.
Nello stesso periodo, un insieme di fattori demografici, economici, politici e culturali fanno sì che i giovani occidentali si sentano come una classe omogenea e rivoluzionaria, dotata di una propria (contro)cultura e della missione di liberare il mondo dall’establishment adulto, assumendo nei confronti dei mass media un approccio né apocalittico né integrato, ma capace di modificarne il funzionamento dall’interno.
Dopo una prima fase nella quale, specie in America, il movimento giovanile è stato strettamente legato al folk revival, si creano così i presupposti perché si cominci a valorizzare un repertorio di popular music considerato come un genere nuovo (il rock differenziato dal rock’n’roll). Un repertorio autentico, in quanto espressione rappresentativa della controcultura giovanile, in alternativa ad altra musica priva di tale qualità (il “pop”).
In un primo tempo tale genere viene identificato soprattutto nei due filoni del rock blues e del folk rock, nei quali alcune componenti delle musiche giovanili precedenti (soprattutto l’approccio vocale, il sound delle chitarre elettriche con la sezione ritmica e il comportamento disinibito sul palco) sono combinate con alcuni elementi del blues revival e del folk revival: ne sono esempi le produzioni nella prima metà degli anni Sessanta di alcuni gruppi strettamente legati all’ambiente culturale delle scuole d’arte inglesi, quali i Rolling Stones, gli Animals, gli Yardbirds e i Cream, così come i primi dischi dei Byrds e del Dylan “elettrico”.
Avanguardismo underground e ricerca delle radici
Con il rock psichedelico della seconda metà degli anni Sessanta, aumenta ulteriormente l’interesse giovanile nei confronti del mondo delle avanguardie artistiche. Da quest’ambito vengono attinti modelli utili a comporre stili di vita e di espressione, attraverso una loro traduzione in atteggiamenti “underground”, posti in opposizione all’opportunismo mainstream (si pensi ai riferimenti al surrealismo in Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e nelle canzoni dei californiani Jefferson Airplane, o quelli al dadaismo dei Pink Floyd e dei Soft Machine). Simultaneamente vi è un’intensa relazione del rock con la pop art, che ha la sua manifestazione più evidente nella collaborazione dei newyorkesi Velvet Underground con Andy Warhol; in Inghilterra, alcune copertine per i Beatles sono realizzate da Peter Blake e Richard Hamilton, ma il disco che con maggiore consapevolezza e ironia si riferisce alle provocazioni della pop art britannica sul rapporto tra estetica e business è The Who Sell Out del gruppo The Who.
Se per breve tempo tali tendenze artistiche coesistono con quelle, per così dire, romantico-popolari, soprattutto attraverso figure carismatiche quali quelle di John Lennon (1940-1980), Mick Jagger (1943-), Eric Clapton (1945-), Jim Morrison (1943-1971) o Jimi Hendrix (1942-1970), in seguito alla fase critica, sopraggiunta nell’ambito della cultura giovanile verso la fine degli anni Sessanta, la loro coesistenza diviene sempre più problematica. Si sviluppano allora (soprattutto in ambienti middle-class) generi che già nella loro denominazione, progressive rock e art rock, evidenziano una tendenza a sperimentare in ambito rock tecniche ed esperienze dell’arte (anche non musicale), specie d’avanguardia. Questi generi privilegiano la concezione modernista dell’autenticità rispetto a quella romantica, la quale viene invece simultaneamente valorizzata a scapito dell’altra dai sostenitori (prevalentemente working-class) di gruppi quali i Rolling Stones o i Led Zeppelin. Gruppi, questi ultimi, che sono sentiti come preservatori della continuità con le radici del rock (costituite dalle musiche nere, dal folk e dal rock’n’roll), meno artificiosi, più caldi, corporei, coinvolgenti e immediati. Contemporaneamente, negli Stati Uniti, il rifiuto hippy della società industriale rielabora nostalgicamente il mito dell’autenticità comunitaria del west rurale attraverso la riscoperta in chiave rock della musica country.
La svolta punk e gli approcci postmoderni
Come hanno sottolineato, tra gli altri, Iain Chambers in Ritmi Urbani, Simon Frith ne Il rock è finito e Dave Laing ne Il Punk. Storia di una sottocultura rock, nella seconda metà degli anni Settanta una svolta cruciale è costituita dall’avvento del punk, movimento che accusa di inautenticità gran parte del rock coevo, considerandolo asservito alle major (le grandi case discografiche), troppo mastodontico, con un eccessivo distacco dal pubblico. La nuova autenticità promossa dal punk è all’insegna del do it yourself (“fai da te”): si realizzano dischi a basso costo in presa diretta per piccole etichette indipendenti, e si suona dal vivo in spazi raccolti con stretta interazione tra esecutori e ascoltatori. L’autenticità inoltre non viene più vista come incompatibile con l’artificiosità, la quale viene invece valorizzata in funzione della trasgressività. E anche l’artisticità ha un ruolo centrale, seppure con un approccio assai diverso da quello del rock psichedelico e da quello progressive. Anche se molti componenti di gruppi punk non condividono l’interesse per le tecniche della musica d’avanguardia, molti loro manager e ascoltatori provengono comunque dagli ambienti delle scuole d’arte dove si tengono numerose performance e dove si attingono atteggiamenti, look e stili di vita. Parallelamente, anche negli ambienti artistici l’interesse per il punk è assai maggiore che per i generi di popular music precedenti.
Tali fenomeni sono strettamente legati alla coeva crisi della concezione modernista dell’artisticità d’avanguardia (e dell’autenticità corrispondente) e all’insorgere di un’estetica alternativa a questa, di tipo postmoderno, secondo la quale l’artista non è più l’ascetico sperimentatore negatore delle convenzioni del passato, ricercatore di verità profonde dietro le immagini di superficie, ma è piuttosto un giocatore partecipativo, che a partire dalle convenzioni del passato realizza variazioni, traducendo costantemente un’immagine in un’altra, prima fra tutte la propria.
Se già in molti protagonisti del punk sono rilevabili numerosi aspetti di questa nuova figura di “trickster” (si pensi, da una parte, al gioco condotto dai Sex Pistols e dal loro manager-ideologo Malcolm MacLaren con le convenzioni dello show business e con le proprie immagini, e, dall’altra, all’uso dialogico delle cover da parte, ad esempio, di Patti Smith), ancora più rilevante è la sua presenza nella popular music sviluppatasi a partire dagli anni Ottanta, nella quale comunque convivono le precedenti concezioni dell’autenticità.
Si è così creato un panorama assai complesso, nel quale si è continuato a riproporre (soprattutto nei confronti delle nuove generazioni via via succedutesi) il mito del rock preservatore autentico dei valori giovanili, inscenato di volta in volta da figure quali Bruce Springsteen, U2, REM, Pearl Jam o Green Day, o quello del (punk) rock “hard-core” autenticamente alternativo al mainstream, incarnato dalle produzioni delle etichette “indipendenti”. Anche all’interno della musica pop e dance si è valorizzata la presenza di caratteri autentici rilevati, nel caso del rap e relativamente alle comunità hip-hop, nella promozione di valori comunitari, così come nel caso della musica dance “non commerciale” nella scelta di inserirsi in un circuito di nicchia o nell’adozione di comportamenti artistici di stampo postmoderno, come nel caso di figure quali Boy George, Human League, Frankie Goes to Hollywood, Pet Shop Boys o Prince.
Contemporaneamente il dibattito sulla world music ha aperto un altro fronte, nel quale diverse concezioni dell’autenticità, assunte dai musicisti di estrazione rock ad essa dedicatisi, sono venute a intrecciarsi con una riformulazione dell’opposizione tra l’autenticità folk e la commercialità popular, alla luce delle più recenti configurazioni della dialettica tra globalizzazione e localizzazione.
Al termine degli anni Settanta, con il tramonto del progressive rock e del jazz rock, molti musicisti che in questi repertori avevano inserito elementi di artisticità e autenticità di stampo modernista si sono allontanati dal mondo del rock, frequentando piuttosto circuiti della musica colta (si pensi ad Heiner Goebbels o Fred Frith) o del jazz (è il caso, ad esempio, di John Mc Laughlin e Ralph Towner). Tra il rock e questi altri repertori si sono comunque mantenuti territori di confine nei quali la concezione modernista e quella postmoderna di artisticità e autenticità hanno avuto modo di confrontarsi. A seconda della prevalenza dell’una o dell’altra, hanno dato vita a un’ampia gamma di esiti: è il caso, per citare solo qualche esempio, della promozione da parte di Brian Eno (1948-) di collane discografiche quali la Obscure e la Ambient Records, delle produzioni realizzate da etichette quali l’europea Recommended Records, la statunitense Tzadik e la canadese Ambiances Magnétiques, o delle vicende di generi quali il noise rock (Glenn Branca, Sonic Youth, Jim O’Rourke) o il post-rock (Tortoise, Bark Psychosis, Radiohead, Sigur Rós).