AUTARI
. Re dei Longobardi (584-590), succeduto al padre Clefi, dopo un interregno di dieci anni, nei quali l'Italia longobarda rimase in mano dei duchi. La sua elezione, avvenuta nell'anno stesso nel quale Childeperto II, re d'Austrasia, d'intesa coi Greci, era sceso in Italia, rivela il bisogno d'un governo unitario e forte che potesse salvare il regno, e non meno dai pericoli esterni, che da quelli interni dell'anarchia dei duchi e dell'ostilità della popolazione romano-cattolica. Gli sforzi di Autari per consolidare il regno con un'amministrazione ordinata e con una politica di conciliazione verso i sudditi romani traspaiono dall'obbligo imposto ai duchi di cedere una parte delle loro terre per dare alla corona i mezzi di governo. Nello stesso tempo la popolazione romana è assoggettata a tributo, da corrispondersi ai capi longobardi, fra i quali viene a tale fine ripartita. Il qual tributo, se appare un mezzo per indennizzare i duchi delle terre cedute alla corona, è da ritenersi sia valso anche a regolarizzare i rapporti fra Longobardi e Romani e a sottrarre questi, per quanto possibile, a spogliazioni arbitrarie, assicurando al regno quella maggiore sicurezza e tranquillità per la quale il governo di A. è stato esaltato da Paolo Diacono. Autari prese anche il titolo di Flavius, forse derivatogli dal color dei capelli, ma si ha anche ragione di credere che volesse con esso indicare la derivazione e la continuità di poteri dall'antico impero, per meglio propiziarsi la popolazione romana. Pur tuttavia A. volle mantenere divisi Romani da Longobardi se, a difesa del loro carattere nazionale, fece a questi divieto di battezzare i figli nella religione cattolica. A. pare abbia avuto qualche velleità di estendere la sua effettiva potenza anche nell'Italia meridionale; ma quasi certamente è pura leggenda quella che lo fa giungere fino a Reggio Calabria e prendere simbolico possesso, sui lidi di quel mare, degli estremi confini del regno longobardo. Quello, però, che con maggiore sicurezza si ricostruisce fra le incerte notizie del breve regno di A., è la continua necessità di difendersi contro i rinnovati, combinati assalti dei Franchi e dei Greci. L'anno successivo all'elezione di A. cala in Italia un esercito franco, che però, indebolito da interne discordie, ripassa le Alpi. A. allora può raccogliere le sue forze contro i Greci, cui ritoglie la già perduta Brescello ed il cui esarca, Smaragdo, è costretto ad una tregua di tre anni, la prima conchiusa fra Greci e Longobardi. Fallito il tentativo di stringere un'alleanza matrimoniale con la famiglia di Childeperto, A. respinge vittoriosamente un nuovo suo assalto e riesce poi a venire a patti con lui assicurandosi per qualche tempo i confini occidentali. Ma intanto sposa la cattolica Teodolinda, figlia di Garibaldo duca di Baviera, allora nemico dei Franchi e suocero di Evino duca di Trento. Con questo matrimonio, che veniva a rafforzare la posizione di A. all'esterno e all'interno, va posta in relazione una sua nuova e fortunata attività guerresca contro Grasulfo, ribelle duca d'Istria, e contro i Greci, ai quali A. toglie l'isola Comacina, l'ultimo posto militare da essi conservato ai piedi delle Alpi. Di qui un nuovo sforzo dei Franchi e dei Greci con una potente offensiva (590) ch'ebbe gravi ripercussioni all'interno e mise in serio pericolo A. e il suo regno quando i Greci riconquistarono Altino, Modena, Mantova e i duchi franchi marciarono su Milano e Verona. Ma A. riuscì, certo sfruttando le inevitabili rivalità fra Greci e Franchi, a far defezionare questi e a stringere poi con essi una pace: sia pur onerosa, ma che spezzava l'alleanza franco-greca. Subito dopo A. morì a Pavia con sospetto di veleno (5 settembre 590).
Bibl.: N. Tamassia, Longobardi, Franchi e Chiesa romana, Bologna 1888; L. M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, i e ii, Gotha 1900-1902; G. L. Andrich, La leggenda Longobarda di Autari a Reggio, in Riv. Storica Calabr., s. 3ª, a. 9°, fasc. 8-11; G. Romano, Le dominazioni barbariche in Italia, Milano 1909; T. Hodgkin, Italy and her invaders, 2ª ed., V e VI, Oxford 1916.