Vedi Austria dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
L’Austria ha acquisito piena sovranità nel 1955, contestualmente alla fine della sua occupazione da parte delle quattro potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale. Da allora il caposaldo attorno cui si è costruita la politica estera austriaca è stato lo status di paese neutrale. Uno status, sancito per via costituzionale e posto – assieme al divieto di riunificazione con la Germania – come condizione per la fine dell’occupazione da parte dell’Unione Sovietica, che gode ancora oggi di un vasto consenso presso la maggioranza della popolazione austriaca.
A partire dagli anni Novanta, Vienna ha accresciuto la propria partecipazione ai meccanismi di cooperazione regionali ed internazionali. Nel 1995 il paese è infatti divenuto membro dell’Unione Europea (Eu), ricoprendo fin da subito un ruolo molto attivo nella politica di stabilizzazione dell’Europa centro-orientale e candidandosi a essere un ponte naturale per l’apertura di Bruxelles ai paesi della penisola balcanica. Nello stesso anno l’Austria ha poi aderito alla Partnership for Peace della Nato, sostenendo da allora la progressiva trasformazione della stessa da alleanza difensiva a meccanismo di cooperazione alla sicurezza, attivo sull’intero scacchiere euro-asiatico. Nel 2001, l’Austria ha adottato una nuova dottrina di politica estera che le permette di conciliare il maggiore coinvolgimento nei dispositivi di sicurezza multilaterale con il formale rispetto della sua neutralità costituzionale. Questo attivismo internazionale ha portato il paese ad ottenere un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite nel biennio 2009-10.
Nonostante l’Austria abbia beneficiato in termini economici e politici dello status di membro dell’Unione Europea, la popolazione austriaca manifesta un elevato grado di euroscetticismo. Diverse, infatti, sono le questioni legate all’agenda politica comunitaria che vedono l’opposizione dei cittadini austriaci: dalle rimostranze di vecchia data legate all’eccessivo transito di merci attraverso le Alpi, alle diffuse lamentele per le centrali nucleari dei nuovi stati membri, considerate dagli austriaci un rischio per la propria sicurezza, passando per le preoccupazioni relative alla perdita di posti di lavoro e all’aumento dei flussi migratori da scontare in caso di un ulteriore allargamento dell’Eu. Particolarmente forte è, in questo senso, l’opposizione austriaca a un eventuale ingresso della Turchia nell’Eu.
L’Austria è una repubblica parlamentare di tipo federale. Il governo federale, che è guidato da un cancelliere, ha competenze esclusive in materia di politica estera e di difesa: su tutte le altre principali sfere di attività la responsabilità legislativa è invece condivisa tra questo e i parlamenti provinciali dei nove stati che compongono la Repubblica Federale Austriaca.
Il parlamento, bicamerale, è formato dal Consiglio nazionale (Nationalrat) e dal Consiglio federale (Bundesrat). Il Consiglio nazionale è eletto direttamente dai cittadini austriaci ogni cinque anni e ha come compito principale quello di vagliare i disegni di legge proposti dal governo federale. Il consiglio federale è invece composto da 64 membri delegati dai parlamenti dei singoli stati in numero proporzionale alla popolazione. A essi spetta l’approvazione definitiva delle leggi già licenziate dal consiglio nazionale.
Il rispetto di tutte le procedure costituzionali nel processo di formazione delle leggi è poi sancito dalla ratifica finale del presidente federale, il capo di stato austriaco che, eletto direttamente ogni sei anni, detiene tra le sue prerogative anche quella di indicare il cancelliere che dovrà incaricarsi della formazione del governo federale (per prassi scelto tra le fila del partito che ha ottenuto la maggioranza relativa nelle elezioni nazionali).
Accanto alle istituzioni centrali e ai nove stati federati (Länder), nell’organigramma dello stato austriaco si trovano poi 84 distretti (Bezirke), 15 città a statuto autonomo (Statutarstadt) e 2381 comunità locali (Gemeinde): una struttura statuale, dunque, d’impronta marcatamente federale, che riesce a garantire un elevato grado di flessibilità e pluralismo nella rappresentanza di tutti i livelli istituzionali, oltre che un alto tasso di efficacia nell’attività amministrativa e di governo.
Dal 2008 l’Austria è governata da una cosiddetta grande coalizione, composta dai due maggiori partiti nazionali: la Sozialdemokratische Partei Österreichs (Spö) e la Österreichische Volkspartei (Övp). Il verdetto delle urne, nelle ultime elezioni nazionali del 28 settembre 2008, non ha infatti assegnato a nessuno dei due partiti un numero di seggi sufficiente per guidare una coalizione di centro-destra o di centro-sinistra: su un totale di 183 seggi, la Spö ne ha ottenuti 57, mentre la Övp 51. Come già avvenuto più volte nella storia dell’Austria, si è quindi riproposto lo scenario di una grande coalizione nazionale al timone del paese. Nel 2012 tuttavia tale maggioranza è andata incontro a crescenti tensioni che, sommate all’impatto della crisi economica e a una serie di scandali che ha investito in particolare l’Övp, hanno portato a un progressivo calo dei consensi da parte dell’elettorato. Di fronte alle difficoltà dei ‘vecchi partiti’, le elezioni nazionali previste per il 2013 potrebbero pertanto registrare un’ulteriore affermazione per i nazionalisti del Partito della libertà (Freiheitliche Partei Österreichs, che oggi detiene 34 seggi) e per i Verdi (Die Grünen, 20 seggi), mentre l’Alleanza per il futuro dell’Austria (Bündnis Zukunft Österreich, 21 seggi), partito fondato dall’ex governatore della Carinzia Jörg Haider, è stato travolto da gravi episodi di corruzione che ne hanno fortemente ridimensionano le prospettive. A complicare ulteriormente il quadro politico si è poi aggiunta, nell’ottobre del 2012, la creazione di un nuovo partito da parte del milionario Frank Stronach, fondatore della società canadese di componenti auto Magna, e già accreditato del 10-12% dei voti.
Quasi un quinto della popolazione austriaca risiede nella capitale, Vienna. Con un’età mediana pari a 41,8 anni, l’Austria è l’ottavo paese più anziano al mondo. Si prevede inoltre che nei prossimi dieci anni l’aspettativa di vita cresca ancora passando da 80 ad 82 anni, determinando un ulteriore invecchiamento della popolazione. Attualmente la percentuale di persone con più di 65 anni è del 17,9% e quella relativa a chi ne ha compiuti 80 è pari al 4,7%. A partire dal 2001, i crescenti flussi di immigrazione hanno permesso un leggero incremento del tasso annuo di crescita demografica (dallo 0,3% degli anni Novanta allo 0,4%). Gli immigrati di prima e seconda generazione costituiscono infatti più del 17% della popolazione austriaca. La maggior parte di essi proviene, oltre che dalla Germania, dalla Turchia e dai paesi della ex Iugoslavia. Considerando esclusivamente quelli di prima generazione, da quest’ultima area proviene infatti oltre 25% circa degli immigrati.
L’Austria è inoltre una delle mete più ambite dai richiedenti asilo: secondo i dati dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, dal 1945 il paese ha accolto più di 2 milioni di rifugiati, dei quali oltre 700.000 sono rimasti, pari a circa il 9% della popolazione totale.
Nonostante il netto miglioramento registrato negli ultimi anni, il sistema educativo austriaco presenta ancora alcune criticità, aggravate dallo stallo dovuto alle divergenti posizioni tra i partiti, la società civile, i Länder e la classe docente riguardo alle riforme necessarie per rilanciare l’intero percorso scolastico, dalla fase pre-primaria sino all’università. In quest’ultimo caso, un sistema universitario senza limiti all’iscrizione e totalmente gratuito si trova a fronteggiare una crescente scarsità di risorse, che genera un calo della qualità del sistema nel suo complesso.
Con l’ingresso nell’Eu del 1995 l’interscambio commerciale austriaco è cresciuto notevolmente, anche grazie alla ripresa dei legami economici con i paesi un tempo al di là della cortina di ferro: le esportazioni di beni e servizi, che allora non superavano il 35,1% del pil, hanno raggiunto il 58,8% nel biennio 2007-08, prima di calare del 10% a causa della crisi economica. Anche le importazioni hanno avuto un picco del 54% nel 2008, ma a partire dalla fine degli anni Novanta sono cresciute meno delle esportazioni, permettendo alla bilancia commerciale austriaca di registrare mediamente un surplus costante superiore al 2% del proprio pil – dato in netto contrasto con la media dell’Unione Europea, che oscilla attorno allo zero.
Il primo partner commerciale austriaco è la Germania, dalla quale proviene il 44% delle merci importate nel paese e verso la quale è diretto un terzo dei prodotti in uscita. La maggior parte dell’interscambio riguarda macchinari e attrezzature per il trasporto. Nel 2009, in concomitanza con la crisi internazionale, il pil si è contratto del 3,9% su base annua, ma già a partire dal 2010 l’economia austriaca ha visto unadecisa ripresa, trainata soprattutto dall’andamento positivo della domanda tedesca. Dopo una flessione nel 2012, determinata dalla riduzione complessiva delle importazioni da parte dei partner europei, si stima che nel 2013 il pil austriaco dovrebbe tornare a crescere a livelli comparabili a quelli precedenti alla crisi.
Tra i dati macroeconomici risulta particolarmente significativo quello relativo al tasso di disoccupazione: con un valore del 4,2% l’Austria si conferma infatti anche nel 2012 come il paese europeo con il più basso numero di disoccupati in rapporto alla popolazione attiva.
Qualche preoccupazione sorge tuttavia dall’analisi del settore bancario: alla generica apprensione per il livello di esposizione delle banche austriache nei confronti dell’Europa centro-orientale, che nel corso della crisi hanno visto un netto aumento del rischio di default e hanno portato il governo a varare misure più restrittive in termini di supervisione bancaria e finanziaria, si sono infatti aggiunti i costi dei salvataggi già operati. In particolare, la nazionalizzazione della Hypo Group Alpe Adria (oltre a quella di Kommunalkredit e Volksbanken), avvenuta nel dicembre 2009, si è rivelata tanto esosa per le casse dello stato da far salire il deficit previsionale per il 2013 oltre la soglia di Maastricht (3,1%, anziché 2,5%), nonostante il gettito fiscale in crescita e i bassi tassi di interesse sul debito pubblico.
Su un diverso piano si può infine ricordare come nel 2007 l’Austria fosse balzata agli onori delle cronache come primo paese donatore al mondo relativamente al rapporto tra risorse finanziarie allocate e reddito nazionale lordo (rnl), che in tale anno ha raggiunto il 5,62%. Tuttavia negli ultimi anni questo valore è nettamente calato a causa della drastica riduzione della componente privata del flusso. Anche la destinazione delle donazioni è mutata negli ultimi anni: l’Iraq, che negli anni scorsi era stato il maggior beneficiario, assorbendo più del 50% delle donazioni, ha lasciato il posto a Turchia, Togo e Bosnia-Erzegovina.
Nel dicembre 2001 il Consiglio nazionale ha adottato una nuova dottrina di sicurezza e di difesa, aggiornando quella precedente, datata 1975. Il documento rappresenta una risposta tanto alla rivoluzione politica dello scenario europeo e mondiale innescata dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica, quanto al ruolo più attivo assunto dall’Austria nel panorama internazionale. Ferma restando l’adesione al principio della neutralità, tre sono i capisaldi di questa nuova strategia: un approccio integrato alle politiche di sicurezza, che attribuisce rilevante importanza sia ad aspetti militari che civili; il concetto di sicurezza preventiva, subentrato all’idea della risposta alle minacce; il principio di solidarietà europea, che ha sostituito quello di sicurezza autonoma. Se l’opportunità dell’ingresso nell’Alleanza atlantica resta una questione fuori dall’agenda politica nazionale, conformemente a queste nuove linee guida è possibile registrare un impegno attivo del personale militare austriaco in diverse missioni di peacekeeping internazionali, anche a guida Nato (Isaf e Kfor).
Vienna può essere considerata una delle capitali diplomatiche più importanti al mondo.
Diverse sono infatti le organizzazioni internazionali ospitate da questa città, capitale da oltre mezzo secolo di uno stato neutralizzato e quindi sede ideale per l’attività diplomatica internazionale. D’altra parte, la vocazione diplomatica di Vienna affonda le sue radici direttamente nella storia della capitale austriaca: luogo simbolo della ricomposizione dell’equilibrio europeo post-napoleonico, residenza della dinastia asburgica e centro politico e amministrativo dell’Impero austro-ungarico, sede natale di alcune tra le più importanti convenzioni del diritto internazionale.
Insieme a New York, Ginevra e Nairobi è uno dei quartieri generali ufficiali delle Nazioni Unite: vi trovano sede infatti l’Ufficio di Vienna delle Nazioni Unite, che comprende l’Ufficio per gli affari dello spazio extra-atmosferico (Unoosa) e quello per il Controllo della droga e la prevenzione del crimine (Unodc), e l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (Unido). Sempre correlata al sistema delle Un e con sede a Vienna è l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), uno dei palcoscenici principali della politica mondiale per quanto riguarda le questioni legate alla non proliferazione nucleare.
Ma non solo le Nazioni Unite: lungo le rive del Danubio, infatti, hanno sede organizzazioni internazionali e regionali di primissima rilevanza, quali l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce) e l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec).
Infine, secondo la classifica stilata da Mercer sulla base di 39 variabili di carattere politico, sociale, economico e culturale, Vienna è risultata negli ultimi anni la città con il più elevato livello di qualità della vita su scala mondiale.
La Dichiarazione di neutralità è un atto costituzionale del parlamento austriaco, promulgato il 26 ottobre 1955, con cui venne sancita la perpetua neutralità del paese. Dal punto di vista giuridico la neutralizzazione costituzionale è affine a quella permanente, adottata per esempio da Svizzera o Città del Vaticano, pur non basandosi su un accordo internazionale: essa poggia sulla legge fondamentale di uno stato, impegnandolo a non aderire in tempo di pace ad alleanze militari (la legge austriaca vieta espressamente anche l’installazione sul territorio nazionale di basi militari straniere), e sancendo la sua volontà a rimanere estraneo a qualsiasi conflitto futuro.
Formalmente, la Dichiarazione fu un atto volontario; politicamente, tuttavia, fu una diretta conseguenza dell’occupazione militare quadripartita (statunitense, britannica, francese e sovietica) successiva alla Seconda guerra mondiale, dalla quale l’Austria poté liberarsi grazie alla firma, da parte delle potenze occupanti, del Trattato di Stato del 15 maggio 1955. Nello specifico furono i sovietici a richiedere all’Austria, tramite la sottoscrizione del Memorandum di Mosca (precedente di un mese rispetto al Trattato di Stato), un simile impegno alla neutralità, con il preciso obiettivo di impedirle di unirsi alla Nato una volta ultimato il ritiro delle truppe d’occupazione.