Austria
La storia del cinema iniziò in A. nel marzo 1896, con la presentazione a Vienna del Cinématographe dei fratelli Lumière; ma una produzione di film a soggetto si sviluppò soltanto a partire dal 1908. Nel 1910 iniziarono l'attività le due principali case di produzione: la Erste Österreichische Kinofilms-Industrie (dal 1912 Wiener Kunstfilm), fondata dal fotografo Anton Kolm, dalla moglie Louise Veltée Kolm e da Jakob Fleck; e la Sascha-Film del conte boemo Sascha Kolowrat (Alexander Krakovský z Kolovrat). La prima si specializzò negli adattamenti di opere letterarie, il cui apice fu Der Unbekannte (1912) di L. Kolm, dal dramma di O. Bendiener; della seconda si ricorda Der Millionenonkel (1913) di Hubert Marischka, un film-operetta ante litteram, che segnò il vertice del cinema d'anteguerra. Numerosi furono gli scrittori austriaci che s'interessarono al cinema, tra cui A. Schnitzler e H. von Hofmannsthal (che scrissero anche soggetti per film), ma scarse furono le loro collaborazioni con le case di produzione; un'eccezione fu Felix Dörmann, che tra il 1912 e il 1914 s'impegnò nella produzione e nella regia. Complessivamente, dal 1908 al 1914 si realizzarono un centinaio di film, una produzione di rilievo nell'ambito dell'Europa centrale, ma marginale se paragonata con la Francia o l'Italia, e priva di originalità.
Con la Prima guerra mondiale il cinema austriaco conobbe l'inizio di un periodo di sviluppo che culminò nella prima metà degli anni Venti. Durante il conflitto si costruirono nuovi teatri di posa e si moltiplicarono le società, mentre la produzione cresceva fino a raggiungere nel 1918 i cento titoli. Emerse una nuova tendenza (definita in seguito pre-espressionista), che univa il dramma sociale e il soprannaturale; vi si distinse il regista Fritz Freisler, con film come Der Brief einer Toten (1917) o Das andere Ich (1918). Si rafforzarono inoltre i legami con la Germania: nel 1915 la Sascha-Film strinse un'alleanza con il produttore tedesco Oskar Messter, che all'indomani della guerra avrebbe portato all'ingresso dell'UFA nella società. Dopo la guerra Vienna assurse per un breve ma significativo periodo a centro della Mitteleuropa cinematografica; vi lavorarono, fra gli altri, gli ungheresi Mihály Kertész (Michael Curtiz), Paul Czinner e Alexander Korda, e il tedesco Robert Wiene. I filoni principali furono due: le grandi produzioni d'argomento storico-biblico, con cui la Sascha-Film e la Vita-Film (succeduta alla Wiener Kunstfilm) puntavano a una considerevole presenza sul mercato internazionale (tra le maggiori, Sodom und Gomorrha di Kertész e Samson und Delilah di Korda, entrambe del 1922); e i drammi permeati di magia e orrore, in sintonia con l'Espressionismo tedesco (di cui è esemplare Inferno di Czinner, del 1920), spesso ispirati a opere del Romanticismo, da W. Scott a E.T.A. Hoffmann (dai cui racconti Max Neufeld trasse, nel 1923, Hoffmanns Erzählungen). Il boom si rivelò decisamente effimero, e la produzione crollò nel 1925 al di sotto dei dieci film all'anno; la Vita-Film fallì, e la Sascha-Film, dopo la morte di Kolowrat (1927), trasferì parte dell'attività a Berlino, dove emigrarono anche molti registi, attori e tecnici.
Una politica protezionistica consentì in seguito all'industria di riprendersi: nella seconda metà degli anni Venti la produzione si attestò così sui venti film all'anno. In questo periodo predominavano opere d'impronta realistica, che ambivano a descrivere i problemi sociali dell'epoca, in parallelo con la corrente tedesca della Neue Sachlichkeit; il titolo più noto è Café Elektric di Gustav Ucicky, del 1927.A partire dal 1929, l'avvento del sonoro mise a nudo la debolezza del cinema austriaco: l'aumento dei costi di produzione e la crisi economica spinsero sull'orlo del fallimento molte società, e la produzione calò a sedici film nel 1930 e a otto nel 1931. La tedesca Tobis acquistò nel 1931 una quota della Sascha-Film (che cambiò il suo nome in Tobis-Sascha Film), ottenendo così di fatto il controllo di gran parte della produzione austriaca. Parallelamente, crebbe il peso del mercato tedesco, che forniva alle società austriache circa 2/3 degli introiti, rispetto al 10-15% ottenuto in patria, mentre il cinema tedesco conquistò in breve tempo l'egemonia in Austria, togliendo a Hollywood il predominio di cui aveva goduto negli anni Venti.
Dopo il 1933 il cinema austriaco profittò tuttavia della situazione politica in Germania, dove l'avvento del nazionalsocialismo costrinse numerosi registi, attori e tecnici a un esilio di cui Vienna fu spesso la prima tappa. Il ventaglio di generi che aveva caratterizzato il decennio precedente si restrinse alla commedia e al film musicale che fecero da volano al rilancio della produzione, cresciuta dai dieci film del 1932 ai ventisette del 1935. In questi anni il Musikfilm divenne l'emblema del cinema austriaco, facendo leva sulla popolarità all'estero del valzer e della wiener Operette; al suo interno fiorirono diversi filoni, i più importanti dei quali furono le biografie di musicisti e i film-operetta. Il filone del wiener Film (il film di ambientazione viennese) caratterizzò invece la commedia; tendeva al melodramma pervaso di malinconia, e la Vienna che mostrava non era una città reale, ma un luogo dello spirito, simbolo della felix Austria. Complessivamente, la produzione del periodo si impose raramente all'attenzione, mentre evidenti sono i suoi debiti con il teatro, dalla recitazione alla regia. Un'eccezione fu rappresentata da Willi Forst, che si segnalò, da Maskerade (1934; Mascherata) a Operette (1940; A tempo di valzer), per l'eleganza della messinscena e la padronanza del linguaggio; ma significativo fu anche il contributo del tedesco Werner Hochbaum, inviso al regime nazista, che lavorò dal 1934 al 1936 a Vienna, inserendosi in modo originale, con Vorstadtvarieté (1934), nel filone del wiener Film.
Con l'annessione dell'A. al Terzo Reich nel 1938, giunse a compimento un processo che nell'arco di vent'anni (dagli anni Dieci all'introduzione del sonoro) aveva portato il cinema austriaco dalla collaborazione con quello tedesco alla dipendenza da questo e, infine, alla sottomissione. Un asservimento che di fatto precedette l'annessione, poiché l'intreccio degli interessi economici consentì al regime nazista, a partire dal 1933, di forzare l'allineamento della produzione austriaca alla propria ideologia, profittando anche dell'acquiescenza di una parte dell'industria. Nel 1938 il settore fu statalizzato, e dalla Tobis-Sascha Film nacque la Wien-Film, in cui si accentrò tutta l'attività. Dal 1939 al 1945 si realizzarono circa cinquanta film, in gran parte di intrattenimento, nel segno di una continuità con gli anni Trenta. Sebbene la produzione propagandistica fosse minoritaria (la storiografia la circoscrive a una manciata di titoli, fra cui spicca Heimkehr di Ucicky, del 1941), gran parte dei film erano in vario modo permeati dall'ideologia del regime. Al tempo stesso, l'ambientazione nell'A. asburgica di parte della produzione appare ambivalente: cantando il mito degli Asburgo, questi film rispondevano certamente a un desiderio di sfuggire la realtà, ma preservavano al tempo stesso la memoria e celebravano l'identità di una nazione che in quel periodo il Terzo Reich aveva cancellato dalla carta dell'Europa.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1955 (quando al Paese fu restituita la sovranità), l'A. fu divisa in zone di occupazione fra gli Alleati e l'Unione Sovietica. La confisca delle proprietà del Terzo Reich colpì anche la Wien-Film e gli occupanti esercitarono uno stretto controllo sull'attività cinematografica. Indifferente al corso della storia, la produzione si mantenne in linea con il passato: contenuti, linguaggio, attori, tecnici e registi rimasero in gran parte quelli dell'anteguerra. L'A. che mostrano i film di questo periodo è un locus amoenus, in cui i conflitti, se ci sono, si ricompongono con una canzone, come in Wiener Mädel (1944-1949; Ragazze viennesi) di Forst, che prosegue la tradizione dell'Operettenfilm; quando le difficoltà del presente traspaiono, come in Der Hofrat Geiger (1947; Torna l'amore sul Danubio) di Hans Wolff, non intaccano comunque il buonumore.
Continuarono i filoni tradizionali, come le biografie di musicisti, tra le quali spiccano Eroica (1949) di Walter Kolm-Veltée e Mozart (1955) di Karl Hartl. Numerosi furono i film sull'A. asburgica, che culminarono in una trilogia di grande successo su Elisabetta, moglie dell'imperatore Francesco Giuseppe, con Romy Schneider, diretta da Ernst Marischka: Sissi (1955; La principessa Sissi), Sissi, die junge Kaiserin (1956; Sissi, la giovane imperatrice) e Sissi, Schicksalsjahre einer Kaiserin (1957; Destino di un'imperatrice); in essa si evocava la passata grandezza del Paese, trasformando al tempo stesso la Storia in una love story. Altri generi caratteristici del periodo furono: il Bergfilm (il film di montagna), da Nacht am Mont Blanc (1951) di Harald Reinl a Zwölf Mädchen und ein Mann (1959) di Hans Quest; e lo Heimatfilm, che celebrava la bellezza della natura, non scalfita dalla storia, come in Echo der Berge (1954; Il cacciatore della foresta d'argento) di Alfons Stummer. Questi generi svolgevano diverse funzioni: da un lato soddisfacevano un bisogno d'identità molto avvertito dopo il trauma della guerra, dall'altro costituivano anche un articolo d'esportazione di successo in Germania, e indirettamente promuovevano il turismo, che negli anni Cinquanta divenne una voce importante nell'economia del Paese.
Negli anni Sessanta e Settanta il cinema austriaco, rimasto estraneo all'esperienza delle nouvelles vagues come lo era stato dopo la guerra a quella del Neorealismo, proseguì stancamente con le formule di un tempo, incapace di rinnovarsi, consumandosi nella produzione di commedie dal taglio grossolano e di rifacimenti di classici d'anteguerra. Soltanto una ristretta produzione d'avanguardia testimoniò l'esistenza di una ricerca culturale (anticipata da Wolfgang Kudrnofsky e Kurt Steinwendner con Der Rabe, 1951), affermatasi con i film sperimentali di Kurt Kren e di Peter Kubelka (fondatore nel 1964 dell'Österreichisches Filmmuseum a Vienna).
Di fronte alla diffusione della televisione e al mutamento della società e dell'uso del tempo libero, anche l'A. conobbe la crisi del cinema: il numero degli spettatori calò dai 122 milioni del 1958 (l'apice del dopoguerra) ai 17 del 1976, stabilizzandosi in seguito per un decennio; la produzione, che dal 1947 al 1966 aveva oscillato tra i venti e i trenta film all'anno, nel quindicennio successivo non superò i quattro o cinque.Dopo aver sfiorato l'estinzione, il cinema austriaco è rinato all'inizio degli anni Ottanta. Nel 1981 è stata approvata una legge di sostegno al settore, che ha previsto anche la partecipazione della televisione pubblica (Österreichischer Rundfunk); per coordinare i finanziamenti statali è stato creato negli anni Novanta l'Öster-reichisches Filminstitut. Di conseguenza la produzione è ripresa significativamente, attestandosi a partire dal 1982 intorno a dodici film all'anno. È stata anche resa possibile l'affermazione di un cinema indipendente, nuovo per stile e contenuto, che ha rivisitato i filoni tradizionali e ha affrontato temi rimasti a lungo inesplorati.
Il cambiamento è stato annunciato dai film diretti da Niki List, che manipolano alcuni generi (il noir, il musical) in una prospettiva d'autore, come Malaria (1982) o Müllers Büro (1986). È stata intrapresa la revisione dello Heimatfilm, e del concetto di Heimat, con Himmel oder Hölle (1990) di Wolfgang Murnberger e Mautplatz (1994) di Christian Berger. Ci si è anche interrogati criticamente sulla storia del Paese, distanziandosi spesso volutamente dalla tradizione; numerosi sono stati in particolare i film che hanno indagato il periodo del nazionalsocialismo e della guerra, stigmatizzando la connivenza con il Terzo Reich, su cui si era a lungo taciuto: ciò è avvenuto con documentari (Die papierene Brücke, 1986, di Ruth Beckermann; Postadresse: 2640 Schlöglmühl, 1990, e Schuld und Gedächtnis, 1992, di Egon Humer) produzioni per la televisione (Welcome in Vienna, 1986, di Axel Corti), e con film a soggetto (Heidenlöcher, 1986, di Wolfram Paulus; Hasenjagd, 1994, di Andreas Gruber).
L'attenzione alla realtà del Paese è risultata marcata anche nei lavori di Ulrich Seidl, da Der Ball (1982) a Good news (1990), a Hundstage (2001; Canicola), nei quali l'indagine sociale si colora di una tinta grottesca. A tale rinnovamento non ha corrisposto però un adeguato aumento dell'afflusso del pubblico: il numero degli spettatori dal 1986 ha anzi ripreso a diminuire, toccando il minimo nel 1992 con 9 milioni, ma è poi andato risalendo. Lo sguardo che il cinema ha gettato in questi anni sull'A. è ora malinconico, ora sarcastico, ora tragico; parla di un Paese che stenta a trovare una precisa identità e lo pone a confronto con il vacuum che lo pervade. Testimonianza lucida di ciò sono i film di Michael Haneke, che, senza offrire soluzioni, ma lasciando che la tragedia impregni e saturi lo schermo, documentano l'orrore e la violenza che si celano fra le pieghe della quotidianità, facendo al tempo stesso dell'A. una metafora dell'Occidente. È proprio con Haneke che il nuovo cinema austriaco si è affermato anche a livello internazionale: le sue opere sono la prova che l'A. è di nuovo presente sulla carta dell'Europa cinematografica.
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