AUSTRALIA
(V, p. 387; App. I, p. 191; II, I, p. 308; III, I, p. 174; IV, I, p. 192)
Popolazione.- Nel 1988, la celebrazione del bicentenario dello sbarco dei primi coloni nell'area di Sydney ha consentito al paese di dare la misura della sua posizione internazionale. A offrire immagini significative sono state non soltanto le sue miniere, i suoi allevamenti e le piantagioni di canna da zucchero della Sugar Coast, ma soprattutto le sue città. Al termine degli anni Ottanta le aree metropolitane di Sidney e di Melbourne avevano una consistenza dell'ordine di 3 milioni di ab., quelle di Brisbane e di Adelaide erano dell'ordine di un milione. Nella restante parte del continente la sola area metropolitana è quella di Perth, situata nell'area sud-occidentale, con oltre un milione di abitanti.
Tenendo conto che il paese conta 16,4 milioni di ab., si può constatare come sia in corso un doppio processo: crescita del rapporto della popolazione urbana rispetto alla popolazione totale; espansione delle aree metropolitane nel Nuovo Galles del Sud, nel Victoria e nell'A. Meridionale. Queste circostanze confermano i modelli prospettivi che, in ordine all'espansione urbana a scala mondiale, furono messi a punto durante gli anni Settanta, in base ai quali il territorio sud-orientale dell'A. appariva destinato ad accogliere due megalopoli, che si sarebbero delineate nell'ultimo scorcio del secolo.
La prima megalopoli si sta coagulando lungo le coste del Nuovo Galles del Sud. L'area centrale è costituita da Sidney. Due ali sono costituite, a Nord, da Newcastle e, a Sud, da Wollongong. Poi vi è il tessuto di centri abitati intermedi e di quelli che, a nord e a sud delle ali, si stanno ampliando lungo la costa. La seconda megalopoli si sta formando tra Melbourne e Adelaide, cioè tra la Baia di Port Phillip e il Golfo San Vincenzo, lungo le strade e la ferrovia di grande collegamento che si snodano nell'interno, e con propaggini lungo le direttrici costiere. Naturalmente si tratterà di piccole megalopoli, cioè di megalopoli con dimensioni ben inferiori a quelle che si stanno formando altrove, nell'arcipelago giapponese e lungo le coste statunitensi del Pacifico. Nondimeno, la loro posizione geografica ne fa perni fondamentali nello scacchiere del Pacifico australe.
Condizioni economiche. − Durante i tardi anni Settanta, cioè quando gli effetti del primo shock petrolifero (1973-74) si sono fatti sentire sull'economia internazionale, e più ancora durante la prima parte degli anni Ottanta, durante la quale tanto il mondo sviluppato quanto il mondo emergente hanno dovuto assorbire le ripercussioni del secondo shock petrolifero (1979-80), l'A. ha assunto un peso crescente nel concerto mondiale. Questo avanzamento è stato provocato da un considerevole progresso nello sfruttamento di risorse naturali, di cui il paese è molto fornito e delle quali ha bisogno il mondo sviluppato: Giappone, Stati Uniti ed Europa occidentale.
Le recenti scoperte di minerali di ferro nell'area dell'Hammersley Range (A. Occidentale) hanno accresciuto notevolmente l'importanza del paese, che al giorno d'oggi si pone al quarto posto nella graduatoria mondiale per consistenza di riserve. Per la maggior parte si tratta di minerali con contenuto di metallo superiore al 50% e con basso tenore di zolfo e di fosforo.
Grazie a recenti scoperte, l'A. ha rafforzato il suo secondo posto nella graduatoria mondiale per riserve di bauxite. Lo sfruttamento dei giacimenti del Golfo di Carpentaria e nel Darling Range, nell'A. Occidentale, è proseguito intensamente. Tuttavia alle esportazioni australiane ha giovato soprattutto lo sfruttamento del giacimento di Weipa, forse il più grande del mondo, situato sui versanti occidentali della Penisola di York.
Anche per gli altri minerali − stagno, argento, nichel, tungsteno, manganese, uranio − l'economia estrattiva australiana ha progredito, ma a partire dai tardi anni Settanta l'immagine trainante nell'economia internazionale è stata assunta dal carbone. Da un lato, proprio nella seconda metà degli anni Settanta, parecchi paesi del mondo hanno avvertito l'esigenza di diversificare i loro bilanci energetici attraverso una riduzione della dipendenza dalle importazioni di idrocarburi, il che ha accresciuto l'interesse per i giacimenti di carbone dell'A., del Canada e del Sudafrica (oltre che, in una prospettiva di medio e lungo periodo, per quelli della Cina); dall'altro lato, l'economia estrattiva dell'A. ha continuato a svilupparsi anche grazie a un felice incontro fra domanda internazionale e offerta australiana.
Le nuove scoperte hanno fatto sì che, all'inizio degli anni Ot tanta, le risorse di carbone siano state valutate in oltre 200 mi liardi di t, di cui circa 25 miliardi sono state valutate riserve, in quanto già utilizzabili mediante tecnologie esistenti. Il rapporto tra riserve e risorse è considerevole: da 1 a 10. I ritrovamenti hanno rafforzato la posizione del paese non per l'antracite, pur estratta in quantità, ma soprattutto nel campo dei carboni bituminosi e semi-bituminosi. I primi prevalgono nel Nuovo Galles del Sud, nel Victoria e nella Tasmania, i secondi prevalgono nell'A. Meridio nale e nell'A. Occidentale.
I giacimenti australiani hanno acquisito crescente importanza internazionale grazie a tre fattori economici. In primo luogo, l'estrazione è compiuta con alti livelli di produttività, conseguita attraverso impianti, macchine e vettori di grandi dimensioni, che assicurano appropriate economie di scala. In secondo luogo, il trasferimento verso i porti di imbarco è poco costoso, anche perché in parte avviene attraverso condotte. In terzo luogo, il trasporto marittimo è stato affidato a vettori molto grandi − da 150.000 a 250.000 tpl − abbattendo i costi. Di queste circostanze hanno beneficiato soprattutto il Giappone e i paesi del Sud-Est asiatico dipendenti dall'industria giapponese.
Altri passi considerevoli saranno compiuti quando l'A. avrà raggiunto ottime soluzioni tecnologiche per l'impiego di slurries nel trasporto di carbone. Queste metodologie, che consentono di trasportare carbone in miscela liquida (acqua od olio combustibile) durante le fasi terrestri del trasporto e di caricarlo su apposite navi (coal slurry carriers), sono incoraggiate sia dal Giappone che dall'Australia.
La posizione dell'A. sta migliorando anche nel campo degli idrocarburi, grazie alla scoperta di nuovi giacimenti di gas naturale nella piattaforma continentale del Victoria. Ciò ha consentito una certa diversificazione del bilancio energetico nazionale, tradizionalmente imperniato sul carbone, giacché le risorse idrauliche sono limitate allo Snowy Mountains System.
L'interesse australiano per gli idrocarburi contenuti in giacimenti offshore è testimoniato dalla cura con cui il paese ha proceduto a definire fasce di giurisdizione marittima sui mari attorno alle proprie coste. Accordi sono intervenuti con la Nuova Caledonia e la Nuova Guinea per la spartizione del mare. Nell'ipotesi in cui il paese proclamasse per intero le fasce di giurisdizione, acquisirebbe oltre 1,8 milioni di miglia quadrate di mare, in cui rientrerebbero aree ricche di idrocarburi.
L'industria manifatturiera, compresa quella petrolchimica, ha proseguito il suo sviluppo. I progressi compiuti in ambedue i settori, estrattivo e manifatturiero, insieme alla produzione di cereali e all'allevamento, sono andati a beneficio delle strutture dell'interscambio commerciale. In uscita non vi sono soltanto minerali, ma restano al primo posto lana e carne e vi compaiono i prodotti chimici. Giappone e Stati Uniti sono i partners fondamentali; seguono la Nuova Zelanda e i paesi europei: Regno Unito, con il quale l'A. mantiene tradizionali legami, e poi − nell'ordine − Germania (la componente ex Repubblica Federale), Italia e Francia. I motivi di interscambio tra l'Italia e l'A. si sono accresciuti.
A partire dalla metà degli anni Settanta, la trasformazione delle rotte marittime ha sottolineato il mutamento delle relazioni internazionali. Si sono rafforzate le maglie delle rotte del Pacifico, soprattutto verso il Giappone. Si sono sviluppate le rotte con l'Europa occidentale, in particolare con il nucleo più avanzato dei paesi della CEE. Il commercio internazionale del carbone avviene su rotte di oltre 10 mila miglia, dall'A. al Mediterraneo attraverso Suez, e all'Europa occidentale attraverso Gibilterra. L'interscambio di prodotti alimentari e di manufatti ha fatto sì che l'A. sia diventata un punto di forza di una complessa intelaiatura di rotte containerizzate attraverso il Pacifico, verso l'Oceano Indiano, il Mediterraneo e l'Atlantico. Anche con l'Unione Sovietica si sono instaurati modelli di grande respiro: navi porta-contenitori collegano l'A. con Vladivostok, dove le merci vengono avviate tramite la ferrovia transiberiana. L'avanzamento delle tecnologie dei trasporti mediante contenitori refrigerati ha offerto opportunità alle esportazioni australiane di carne. Grazie ai progressi dell'economia primaria e all'espansione di quella manifatturiera l'A. ha ottenuto due risultati. Da un lato, ha rinsaldato la sua posizione tra i paesi più ricchi, appartenenti all'area con oltre 10.000 dollari di prodotto nazionale lordo pro capite. Dall'altro lato, ha avuto modo di sviluppare in misura considerevole il terziario avanzato, soprattutto finanza, commercio internazionale, ricerca tecnologica e scientifica.
Bibl.: Australia. A geography, a cura di D. N. Jeans, Londra 1978; L'espace géographique, xii (1983), pp. 2-3; A. Vallega, L'Australia e l'Oceania, Torino 1985.
Storia. - Le elezioni politiche anticipate del dicembre 1975 confermarono la grave crisi dei laburisti (i cui seggi alla Camera dei Rappresentanti diminuirono drasticamente, passando da 65 a 36), mentre segnarono il successo dei liberali di M. Fraser (da 41 a 68 seggi) e la ripresa dei nazional-agrari guidati da D. Anthony (da 21 a 23).
Capo del nuovo governo di coalizione liberal-agraria, Fraser avviò una politica sostanzialmente neo-liberista e conservatrice, con agevolazioni al settore privato, riduzione dell'imposizione fiscale, decentramento in favore degli stati, svalutazione del dollaro del 17,5% a sostegno delle esportazioni (dicembre 1976), tagli della spesa pubblica, potenziamento delle spese militari. In campo internazionale, il governo Fraser perseguì una politica di allineamento agli Stati Uniti, mentre sviluppò migliori rapporti con i paesi dell'area del Pacifico. Nonostante i forti contrasti con i sindacati, seguiti all'abbandono della politica sociale laburista, e i frequenti rimpasti ministeriali, le elezioni generali anticipate del dicembre 1977 lasciarono sostanzialmente inalterato il quadro politico (i liberali persero 5 seggi alla Camera e i laburisti ne guadagnarono 2).
Consolidate le linee direttive della sua politica precedente, il nuovo governo Fraser ottenne sul piano economico i primi successi (riduzione del tasso d'inflazione che passò dal 13% del 1975 all'8% nel 1978 e diminuzione del deficit di bilancio). Ma i prezzi della politica deflattiva − in particolar modo l'aumento della disoccupazione: dal 3% nel 1975 al 6,3% nel 1978 − comportarono un'acutizzazione della conflittualità sociale e un rafforzamento dell'opposizione laburista. Le elezioni anticipate dell'ottobre 1980, pur confermando la supremazia numerica della coalizione governativa, registrarono pertanto un notevole successo del Partito laburista di W. Hayden (succeduto a E. G. Whitlam nel 1977) che guadagnò 13 seggi alla Camera dei Rappresentanti, mentre i liberali e i nazional-agrari persero complessivamente 12 seggi.
Nel biennio successivo, il governo Fraser accentuò le misure di controllo della spesa pubblica e sviluppò nuovi rapporti commerciali con i paesi dell'ASEAN (Association of South-East Asian Nations) e con la Nuova Zelanda. La lieve ripresa economica − dovuta soprattutto all'aumento degli investimenti stranieri e privati, in special modo nel settore minerario − subì però di lì a poco, a causa della recessione internazionale, una dura battuta d'arresto, tanto che nel 1982 il tasso d'inflazione risalì al 12% mentre la disoccupazione interessava il 10% della popolazione attiva.
A fronte di tali difficoltà, le elezioni politiche anticipate (marzo 1983) videro perciò la vittoria dei laburisti, guidati da R. Hawke: presentatisi agli elettori forti di un accordo stipulato con i sindacati dell'Australian Council of Trade Union (febbraio 1983) su un programma d'impronta fortemente sociale (ristabilimento della scala mobile, controllo sui redditi di lavoro indipendente, drenaggio fiscale annualmente adeguato al tasso d'inflazione, ecc.), essi ottennero infatti la maggioranza assoluta dei seggi alla Casa dei Rappresentanti (75, contro i 50 dell'ex coalizione governativa).
Per ovviare al grave deficit di bilancio (9.600 dollari australiani), Hawke annunciò, quale prima misura del suo nuovo governo, una svalutazione della moneta del 10% nel quadro di una politica di rilancio della competitività commerciale del paese. Successivamente, sulla scorta del patto pre-elettorale con i sindacati, riunì a Canberra (aprile 1983) il primo summit nazionale dell'economia (Commissione d'Arbitrato) cui parteciparono, accanto al governo, rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori. Risultato dell'incontro fu un accordo che prevedeva, da parte sindacale, l'impegno a non avanzare nuove richieste di aumenti salariali e, da parte imprenditoriale, l'accettazione di misure di controllo sui prezzi e la reintroduzione della scala mobile. Sul piano internazionale, Hawke proseguì la politica di alleanza con gli Stati Uniti (visita a Washington nel giugno 1983), mentre avviò nuovi accordi con i paesi asiatici, e in particolar modo con la Cina con cui venne stabilita una cooperazione in campo metallurgico.
Malgrado la presenza del Partito antinucleare (nato nel 1984 da una scissione del Partito laburista), alle consultazioni politiche del dicembre 1984 i laburisti ottennero un discreto successo (passando da 75 a 82 seggi alla Camera), confermandosi alla guida del governo.
Nel marzo 1986, in occasione della visita della regina Elisabetta, con la firma dell'Australian Act, l'A. ottenne la piena indipendenza.
Le difficoltà economiche e il grave deficit di bilancio − dopo la breve ripresa del biennio precedente − portarono a una nuova convocazione della Commissione d'Arbitrato per discutere la messa a punto di una politica d'austerità (luglio 1985). Ma le proteste di 30.000 agricoltori contro le nuove tasse, nell'estate 1985, e il ritiro dall'accordo, nel marzo 1986, di imprenditori e sindacati, nonché lo sciopero generale del maggio 1986, e la sconfitta in Parlamento del progetto governativo di un'anagrafe nazionale come misura contro l'evasione fiscale, portarono alle elezioni politiche anticipate del luglio 1987. La tenuta del Partito laburista e il rinnovo del mandato governativo a Hawke non attutirono tuttavia la grave crisi di popolarità di questi.
In occasione delle celebrazioni per il bicentenario del primo sbarco di coloni e prigionieri in A. (gennaio 1988), riesplose d'altro canto la questione della comunità aborigena, ormai ridotta a 160.000 individui, con un tasso di disoccupazione 7 volte superiore a quello della comunità bianca, un reddito pro capite inferiore del 50% a quello nazionale e un'attesa di vita alla nascita inferiore ai 20 anni. Con una marcia su Sidney, gli aborigeni chiesero il definitivo riconoscimento dei propri diritti sulla terra d'origine, giudicando insufficiente la risposta del governo alle richieste da loro avanzate: a partire dai primi anni Settanta, infatti, essi avevano solo ottenuto nel 1984 una legge federale che proteggeva i luoghi sacri dalle intrusioni delle compagnie minerarie e, nel 1987, un atto simbolico con cui veniva loro riconosciuto ufficialmente lo status di primi proprietari del territorio australiano. L'impegno di Hawke ad avviare negoziati per la firma di un accordo entro le elezioni del 1990 fu tuttavia contestato sia dai liberal-nazionali che dai gruppi più estremisti della stessa comunità aborigena.
Nonostante la sconfitta subita dal governo nel referendum del settem bre 1988 sui quattro emendamenti costituzionali proposti e il diffuso malcontento per le difficoltà economiche del paese, la crisi interna attraver sata dall'opposizione liberal-nazionale ha permesso ai laburisti di conqui stare per la quarta volta consecutiva, nelle elezioni del marzo 1990, la maggioranza dei voti (78 seggi alla Camera contro i 69 dei liberal-nazionali), mentre hanno registrato una buona affermazione il partito democratico e i gruppi ambientalisti.
Bibl.: ''Whitefella Business''. Aborigenes in Australian politics, a cura di M. C. Howard, Filadelfia 1978; From Whitlam to Fraser: reform and reaction in Australia politics, a cura di A. Patience, B. Head, Melbourne 1979; D. Aitkin, Stability and change in australian politics, Canberra 1982; The New Conservatorism in Australia, a cura di R. Manne, Melbourne 1982; Poor nation of the Pacific? Australia's future?, a cura di J. A. Scutt, Sidney 1985; D. A. Kemp, Authority & politics in Australia: some key dynamics in Australian politics, Melbourne 1987.
Lingua. - Per tutto l'Ottocento, e sino alla metà del Novecento, la popolazione australiana è cresciuta piuttosto lentamente basandosi soprattutto (come del resto quella della Nuova Zelanda) sugli apporti immigratori provenienti dalla Gran Bretagna (con non indifferenti aliquote di Irlandesi): si è passati così dal meno di mezzo milione di ab. del 1850 ai 3.750.000 ab. dell'inizio del 20° secolo, agli 8.300.000 ab. del 1950. A partire dagli anni Cinquanta si è assistito all'improvvisa e massiccia immigrazione da paesi diversi dalla Gran Bretagna e Irlanda (e comunque non di ascendenza anglosassone): così per es. gli Italiani presenti in A. erano, in base ai censimenti, 33.756 nel 1947, ma già 119.643 nel 1954 e 267.325 nel 1966. Dai rilevamenti del 1983 risultava che gli Australiani nati in A. non arrivavano all'80% della popolazione totale, e, tra gli altri, i nati in Gran Bretagna, Irlanda e anche Nuova Zelanda non toccavano il 10%: il resto, circa il 12,5% del totale, era nato in altri paesi, tra cui spiccavano l'Italia, la Iugoslavia, la Grecia. Alla stessa data, l'inglese costituiva la lingua prima per l'82,8% della popolazione di età superiore ai 4 anni, seguito immediatamente dall'italiano (con il 3,9%, pari a 555.300 persone), e dal greco moderno (307.800 persone, il 2,2%), sino a un totale di ben 2.404.600 individui di lingua materna diversa dall'inglese, il 17,2% di tutti gli Australiani di età superiore ai 4 anni. Particolari concentrazioni di parlanti lingue diverse dall'inglese si avevano a quella data nel Victoria (dove circa l'8,3% della popolazione di età superiore ai 15 anni parlava italiano: a Melbourne nel 1981 gli italofoni erano 100.177), nel Nuovo Galles del Sud (a Sydney alla stessa data si avevano 58.351 persone di madrelingua italiana), e poi nell'A. Meridionale e in quella Occidentale (ad Adelaide 27.726 italofoni, e a Perth 23.699, con percentuali sul totale della popolazione dal quasi 4% di Melbourne al 2,9% di Perth e anche al 2,1% di Sydney).
In tale situazione l'inglese di A. ha sviluppato tendenze facilmente riconducibili alle condizioni ''coloniali'', spesso analoghe, quando non addirittura identiche, a quelle di altri paesi di colonizzazione anglosassone come gli Stati Uniti e il Canada (ma lo stesso vale anche per l'inglese del Sud Africa). Così è, per es., per la tendenza a una pronuncia delle vocali più centralizzata e con le labbra meno aperte (come in bay, ingl. austr. [bai], non [bei] della Received Pronounciation, o come in bard, ingl. austr. [ba:d], RP [ba:d]). Così è anche per il lessico (dove però usi analoghi possono essere veicolati dalle forti influenze socio-economiche e culturali statunitensi), accanto naturalmente a parole tipiche della realtà australiana come outback, "entroterra" (letteralmente "dietro e fuori") o flying-doctor, "medico a domicilio", e a regionalismi più o meno propri dell'A. (goodday per hello, picture theatre per cinema). Relativamente scarsi − tranne che nella toponomastica − i prestiti dalle lingue indigene (nomi di animali, o termini come boomerang, corroboree, specie di danza cerimoniale); pressoché inesistenti, a parte alcuni settori della gastronomia ''etnica'', i prestiti dalle lingue dell'emigrazione più recente.
Dal contatto tra l'inglese e le lingue dei nuovi immigrati, soprattutto sul piano del parlato informale quotidiano, si sono invece sviluppati dei tipi linguistici di transizione, come nel caso del cosiddetto ''australitaliano'' o ''italo-australiano'', con strutture fonetiche e grammaticali italiane e un lessico di base inglese italianizzato, con forme come dora/dota, "figlia" (ingl. daughter), uora/uota, "acqua" (ingl. water), o anche verbali, come amusarsi, "divertirsi" (ingl. to amuse), di cui diverse si ritrovano altrove, per es. nell'italoamericano, come carro, "automobile" (ingl. car), o sciabola, "pala" (ingl. shovel).
A tali mutamenti sociolinguistici hanno corrisposto mutamenti anche sul piano delle politiche culturali e/o linguistiche; quando, a partire dagli anni Sessanta, ci si è resi conto con sempre maggiore evidenza dell'inadeguatezza talora drammatica (nelle mutate condizioni) della politica tradizionale di pura e semplice assimilazione, con nessuna attenzione o apertura alle lingue diverse dall'inglese (Languages Other Than English, con acronimo LOTE), mentre parallelamente si sviluppavano i gruppi comunitari (poi raccolti nella Federation of Ethnic Communities Council) che tendevano a reclamare i propri diritti linguistici e culturali, si affermavano le organizzazioni politiche e sociali di assistenza agli emigrati (per es. per gli Italiani il COASIT). In tal modo, si è arrivati, progressivamente, fra il 1972 e il 1975, alla definizione di una politica di ''multiculturalismo'', con l'Australian Institute of Multicultural Affairs, e con l'apertura di stazioni radio-televisive per i gruppi etnici. Nell'ottobre 1984 la Commissione permanente per l'Istruzione e le Arti del Senato ha pubblicato una relazione al riguardo, A National Language Policy, fissando appunto le direttrici di sviluppo di un'adeguata politica scolastica e culturale ''multietnica'' sia a livello degli stati che a livello nazionale. Così è stato promosso l'insegnamento delle principali lingue etniche già nelle scuole primarie (in alcuni stati vi era impartito anche in precedenza); nel Victoria, nel 1983, 153.845 alunni delle primarie e 59.748 delle secondarie studiavano l'italiano (il 13,5% e l'8,2% dei rispettivi totali), e dati più recenti confermano una costante tendenza alla crescita. Sempre nel Victoria, l'Ufficio statale dell'Istruzione ha pubblicato nel 1985 un importante documento su The Place of Languages Other Than English in Victorian Schools, che fissa i criteri di riferimento per l'insegnamento delle LOTE (in particolare si fissavano i livelli considerati minimi per tale insegnamento, almeno tre ore alla settimana nelle scuole primarie); analoghe azioni sono state intraprese nello stesso anno dall'A. Meridionale e dal Queensland, mentre tendenze simili si riscontrano un po' in tutti gli stati.
Letteratura. - In una lunga panoramica televisiva dell'A. a duecento anni dal primo insediamento europeo messa in onda dalla Australian Broadcasting Corporation il 1° gennaio 1988, anno in cui si è celebrato il bicentenario dell'arrivo della First Fleet, il primo contingente di deportati inglesi, nella colonia penale di Botany Bay (Sydney), gli unici scrittori intervistati sono stati P. White, premio Nobel per la letteratura nel 1973, e C. McCullogh, autrice di Uccelli di rovo (1977), best-seller internazionale: scrittori entrambi di fama mondiale − anche se per meriti ben diversi − ma tuttavia poco adatti a rappresentare l'estrema vivacità ed eterogeneità del mondo letterario australiano degli anni Ottanta. Difficile è infatti tracciare un diagramma coerente dello sviluppo letterario e culturale verificatosi in A. nel corso dell'ultimo trentennio.
Relativamente più semplice risulta seguirne invece lo svolgimento dalla prima guerra mondiale agli anni Cinquanta, fino a quando cioè la scena letteraria è stata dominata dalla cultura della Gran Bretagna, madrepatria della maggioranza degli Australiani. I tratti caratteristici della letteratura australiana erano scaturiti proprio dalla particolare esperienza che questi emigrati inglesi bianchi avevano affrontato su suolo australiano: la terra arida, il paesaggio assolato, le enormi estensioni difficilmente dominabili, ben diverse dalla verde e familiare campagna inglese, provocavano un senso di nostalgia e malinconia; il contrasto tra i relativamente pochi insediamenti umani tutti lungo la costa e l'interno quasi spopolato, il bush o outback, dava una sensazione di sradicamento e d'isolamento venato di profondo pessimismo, riscattato solo da quello speciale umorismo di stampo inglese che aveva assunto in A. toni più scanzonati e beffardi. Il bush era sentito però anche come luogo privilegiato dove si poteva instaurare quel cameratismo, quella mateship, quell'egalitarismo democratico che si era venuto creando e istituzionalizzando come tratto tipicamente australiano prima fra i deportati agli inizi dell'Ottocento e poi tra i cercatori d'oro dal 1850 in poi.
Sulla poesia australiana non poteva non esercitare un influsso determinante la tradizione lirica inglese (Kipling, Eliot, Yeats, Auden) e, nei tre ultimi decenni, l'americana (in particolare Lowell, Duncan e Oppen); ma la cautela con la quale questi modelli sono stati fruiti testimonia la fragilità della tradizione poetica in A., e allo stesso tempo l'esigenza di trovare una strada autonoma che possedesse una propria identità nell'ambito della poesia in lingua inglese. Significativo è stato il bisogno di raggrupparsi intorno a riviste, a figure influenti, a movimenti letterari.
Nel 1923 usciva la rivista Vision, portavoce dello scrittore N. Lindsay (1879-1969) che già in Creative efforts (1920) aveva esposto le proprie idee riguardo alla poesia in A.: pur accettando alcuni aspetti del modernismo, non approvava scrittori come J. Joyce o D. H. Lawrence e suggeriva invece di riallacciarsi alla grande tradizione dei poeti latini come Catullo o inglesi come Marlowe. Benché Vision abbia avuto vita breve (uscì infatti solo per due anni), ha provocato diverse e contrapposte reazioni. Secondo R. Ingamells (1912-1955), fondatore del movimento Jindyworobak (nella lingua aborigena "unire", "connettere"), la poesia, pur rimanendo fedele all'eredità europea, doveva riflettere l'ambiente da cui scaturiva. Il movimento continuava e sviluppava alcune tendenze già presenti nella cultura australiana, come il contrasto tra città e bush, tra l'irrilevanza dell'uomo e la grandezza della natura, che porteranno alla ricca fioritura della poesia sulla natura degli anni Quaranta, con scrittori come D. Stewart, D. Campbell e J. Wright.
Proprio per opporsi all'insularità dei Jindyworobak, M. Harris fondò gli Angry Penguins, che propugnavano internazionalismo, surrealismo e modernismo in tutte le sue sfaccettature. Per ridimensionare l'eccessivo modernismo degli Angry Penguins, due poeti, J. McAuley e H. Stewart, fecero uscire nel 1944 proprio sulla rivista Angry Penguins una serie di poesie composte nell'arco di un pomeriggio mettendo insieme citazioni da poesie più svariate: intitolarono questa sorta di zibaldone The darkening ecliptic e lo pubblicarono sotto il falso nome di Ern Malley. Lo scherzo, conosciuto nella storia della letteratura australiana come The Ern Malley Hoax, servì a richiamare l'attenzione del pubblico su ciò che stava succedendo nella poesia australiana e suscitò una lunga e annosa serie di dibattiti tra i fautori di un modo più tradizionale di far poesia e i propugnatori dello sperimentalismo.
Se queste schematizzazioni servono a capire l'evoluzione della poesia in A., sono di poco aiuto quando si intenda inquadrare i poeti migliori. Pur debitore di Eliot, di Pound e degli Imagisti, K. Slessor (1901-1971), il poeta più importante tra le due guerre, riesce sia per il contenuto che per la forma ad aprire nuove vie nella poesia australiana. E se la poesia di Slessor comunica il senso del flusso della vita e della caducità umana, i versi di R. D. FitzGerald (1902-1987), insieme a Slessor lo scrittore più importante di questo periodo, esplorano il bisogno di spiegare, giustificare e capire significati e motivi del reale, le connessioni tra passato e presente.
Poeta, critico, fine saggista, A. D. Hope − il cui esordio risale alla fine degli anni Trenta, ma che solo nel 1955 ha pubblicato la sua prima, significativa raccolta, The wandering islands- è considerato il grande patriarca della poesia australiana: nato nel 1907, è ancora attivo ai nostri giorni. Misurata, ironica, ricca di allusioni letterarie, bibliche e mitologiche calate in ritmi e forme tradizionali, la poesia di Hope è stata definita classica, accademica, intellettuale. Anche J. McAuley (1917-1976) nelle sue opere migliori (Under Aldebaran, 1946; A vision of ceremony, 1956; Captain Quiros, 1964) usa la mitologia greca o i tentativi d'esplorazione dell'emisfero australe per criticare la civiltà moderna e affermare i tradizionali valori morali e spirituali. Fermamente legata all'ambiente australiano è invece la poesia di J. Wright (n. 1915), poetessa, saggista, romanziera e tenace ambientalista. Dopo la prima raccolta di poesie, The moving image (1946), che venne salutata con grande entusiasmo dalla critica, la Wright nelle sillogi successive (Woman to man, 1949; Birds, 1962; The other half, 1966) tratta il rapporto tra l'immagine europea dell'A. e la realtà australiana, gli aborigeni, la sofferenza delle persone alienate e solitarie, il mondo naturale e animale costantemente minacciato dall'avidità umana. L'ambiente australiano è anche il soggetto delle poesie di D. Stewart (1913-1985), poeta, critico, curatore dal 1940 al 1961 della Red Page - la pagina letteraria del Bulletin -, consulente editoriale della casa editrice Angus & Robertson, infaticabile scopritore di nuovi talenti.
L'amore per le generalizzazioni tipiche della poesia di FitzGerald e McCauley va via via cedendo il passo a un tipo di poesia caratterizzato da annotazioni precise, dall'enfasi su particolari e osservazioni concrete, dallo sforzo di essere semplicemente e interamente se stessi. In questi ultimi decenni i poeti mostrano di essere maggiormente integrati nel mondo che li circonda, e sempre più raramente esprimono il senso di alienazione e di esilio che era stato uno dei temi ricorrenti nella poesia precedente. Questo nuovo atteggiamento esistenziale ha prodotto una messe di poesie autobiografiche sia da parte di poeti già attivi come J. McAuley, D. Campbell, R. Dobson, John Blight, che da scrittori che iniziano a pubblicare negli anni Sessanta, come V. Buckley, L. Murray, B. Beaver, D. Malouf, R. Stow, G. Hardwood, P. Porter. L'assenza di un passato storico, così acutamente avvertita dalle generazioni precedenti, lascia il posto a un nuovo atteggiamento verso il passato e una nuova fiducia nella continuità della tradizione poetica australiana. Se gli scrittori precedenti si occupavano di descrivere, di definire, di narrare il loro paese, ora i poeti stabiliscono un dialogo con il passato, rapporti stretti con i poeti precedenti e il loro retaggio culturale. Alcuni, come L. Murray e G. Lehman, creano una propria mitologia personale basandosi sulla storia familiare; la tradizione australiana non viene più rifiutata in favore di altre tradizioni più antiche. Come N. Palmer aveva sostenuto, la letteratura australiana doveva svilupparsi tenendo conto del suo passato, dei suoi problemi e delle sue risorse e anche delle influenze esterne che la potevano arricchire. Questa sembra la strada che la poesia ha imboccato in questi ultimi anni, arricchita anche dalle esperienze di gruppi particolari. Poeti aborigeni come K. Walker e K. Gilbert, poeti etnici come A. Kefala, il gran numero di poetesse, che si è concretizzato con la pubblicazione di The Penguin Book of Australian women poets, sono una testimonianza tangibile della vivacità e insieme della ''australianità'' che sta caratterizzando la poesia nel Nuovissimo Continente.
Se i migliori romanzi dell'Ottocento come The recollections of Geof fry Hamlyn (1859) di H. Kingsley, For the term of his natural life (1874) di M. Clarke, Robbery under arms (1888) di R. Boldrewood, Jonah (1911) di L. Stone, Such is life (1903) di J. Furphy, e i racconti di H. Lawson (1867-1922) e di B. Baynton (1857-1929) avevano mostrato le condizioni della realtà australiana, la narrativa del Novecento cerca di trasformare gli avvenimenti e le esperienze del secolo precedente fornendo un'immagine del passato e del presente australiano in cui la nazione possa riconoscersi.
I romanzi prendono la forma di saghe o racconti picareschi, intessuti sempre con dati storici e avvenimenti nazionali. Insieme a A house is built (1929) di M. Barnard Eldershaw (pseud. di F. Eldershaw e M. Barnard) e a Landtakers (1934) di B. Penton, occupano un posto d'onore in questa tradizione All that swagger (1936) di M. Franklin (1879-1954) e il ciclo di storie dedicato a diverse famiglie di pionieri, che la stessa autrice firma con lo pseudonimo di Brent of Bin Bin. La Franklin aveva raggiunto il successo con My brilliant career (1901), un piacevole bildungsroman semiautobiografico, che precedeva di un decennio un romanzo dello stesso tipo, The getting of wisdom (1910) di H. H. Richardson (pseud. di E. F. Robertson, 1870-1946), la migliore scrittrice di questo periodo. Anche la Richardson nella sua trilogia The fortunes of Richard Mahony (Australia Felix, 1917; The way home, 1925; Ultima Thule, 1929) ripercorre il passato australiano dalla corsa all'oro a Ballarat nel 1850 al 1930, per raccontare la tragedia psicologica di suo padre, un medico inglese emigrato, che ormai sradicato dalla natia Inghilterra non riesce peraltro a inserirsi nella realtà sociale e ambientale della residenza acquisita.
I complicati rapporti con la madrepatria erano più che mai d'attualità dopo la prima guerra mondiale: per la prima volta infatti il popolo australiano partecipava a un conflitto armato e si confrontava a livello internazionale. La guerra non fornì soltanto il tema ad alcuni romanzi (Daybreak di V. Palmer, 1932; Intimate strangers di K. S. Prichard, 1937), ma oltre a suscitare l'orrore per la disumana violenza europea, rafforzò una presa di coscienza nazionale. In tutte le opere degli scrittori di questi anni si avverte un legame profondo con il proprio paese e un notevolissimo impegno letterario: ne sono la più valida testimonianza le opere di due scrittori che possono esser definiti le figure dominanti del periodo tra le due guerre, i già ricordati V. Palmer (1885-1959), narratore, saggista, editore, poeta e drammaturgo, e, con la moglie Nettie, generoso e zelante fautore di una letteratura australiana il più possibile autonoma, autore dei romanzi The passage (1930), Legend for Sanderson (1937) e della trilogia Golconda (1948, 1957, 1959); e K. S. Prichard (1883-1969), narratrice e commediografa, socia fondatrice del Partito comunista australiano; in Black opal (1921), in Working bullocks (1926), nei racconti e nelle commedie analizza le varie categorie sociali del suo tempo, e in Coonardoo (1929) scandaglia i rapporti tra gli aborigeni e l'uomo bianco in una prosa dai ritmi lenti e ancestrali, tipica della cultura aborigena. Il trattamento degli aborigeni e degli emigrati cinesi e le condizioni sociali del Northern Territory sono anche i temi di Capricornia (1934), un romanzo di X. Herbert (1901-1984).
Negli anni Quaranta insieme ad autori come la Franklin ed Herbert, come S. Mackenzie, E. Dark, D. Cusack, che continuano a pubblicare romanzi, escono dei piccoli capolavori di narrativa breve, tra cui si distinguono le raccolte It's harder for girls (1942) e Birds of a feather (1943) di G. Casey, The persimmon tree (1943) di M. Bernard, Drift (1944) di P. Cowan. Nell'ambito della tradizione realista tipica dei romanzi e della narrativa breve di questo periodo emergono romanzi come Seven poor men of Sydney (1934), The man who loved children (1940) e For love alone (1944) di C. Stead (1902-1983), scrittrice quest'ultima che, pur vivendo in Europa e negli Stati Uniti, ritorna costantemente al passato australiano ricreando ambienti sociali in cui vengono scandagliati sentimenti, sensazioni, conflitti psicologici dei personaggi. Anche M. Boyd (1893-1972), un altro scrittore espatriato, in Lucinda Brayford (1946) e nella tetralogia sulla famiglia Langton analizza le vicende dei protagonisti divisi tra Europa e A. alla ricerca dei valori morali e spirituali minacciati dal materialismo moderno.
Una nuova fase nella letteratura australiana si apre con The aunt's story (1948) di P. White, scrittore infaticabile di romanzi, racconti e commedie, e la personalità senza dubbio più notevole della scena letteraria degli ultimi tre decenni (v. App. IV, iii, p. 854). "La vera conoscenza viene solo dalla morte per tortura nel dominio della mente", afferma Voss, protagonista dell'omonimo romanzo di White (1957); e To the islands (1958) di R. Stow è uno dei primi romanzi a ripercorrere l'escursione di Voss nel reame dello spirito, nello strano paese dell'anima: realismo, simbolismo, mito, allegoria si mescolano e concorrono a creare attraverso diverse tecniche narrative il senso d'isolamento di cui soffre l'uomo, vittima e oppressore in un mondo crudele.
Dagli anni Settanta in poi, aborigeni, nuovi immigrati, femministe, gruppi sociali precedentemente considerati marginali hanno assunto una rilevanza sempre maggiore nel panorama culturale australiano, ridimensionando la tradizione bianca di matrice anglosassone. L'A., sentita e presentata come una terra spopolata e ostile negli anni Cinquanta, viene ora percepita come luogo simbolico che riflette la condizione dell'uomo moderno. Non spetta più soltanto agli scrittori elaborare questa nuova immagine del paese: storici, sociologi, artisti, registi, ambientalisti ridefiniscono le coordinate geografiche e culturali australiane. L'A. è stata sempre definita, sostiene G. Blaney in The tyranny of distance (1966), in termini di distanze sia esterne con altri continenti che interne al paese stesso; ora che i legami con l'Inghilterra si sono allentati, la nazione rischia di andare alla deriva o, come dimostra nel libro successivo All for Australia (1986), si allineerà alla vicina Asia da cui provengono quasi tutti i nuovi immigrati. In A short history of Australia (1963, 1986) M. Clark ha una visione ancora più pessimista del suo paese, guastato dal filisteismo inglese prima e dal materialismo americano e giapponese poi. Ironica la posizione di D. Horne, che nel suo popolarissimo libro The lucky country (1964) definisce l'A. "un paese fortunato governato da gente di second'ordine" che vive nel più beato isolazionismo. Il desiderio crescente di capire il ruolo australiano sulla scena internazionale, e in particolare i rapporti con l'Asia, è testimoniato da romanzi come The year of living dangerously (1978) di C. Koch, A cry in the Jungle Bar (1979) di R. Drewe, Visitants (1979) di R. Stow, Monkeys in the dark (1980) e Turtle Beach (1981) di B. d'Alpuget, The children must dance (1984) di T. Maniaty. Ambientati nei paesi dell'Asia orientale, questi romanzi hanno spesso come protagonisti giornalisti che, pur consapevoli della vicinanza geografica del loro paese, si rendono conto della loro incapacità di comprendere gli avvenimenti e la cultura in cui si trovano a operare.
I rapporti invece con paesi geograficamente più lontani, ma più vicini culturalmente sono il tema di molte opere degli ''espatriati'', scrittori sospesi tra due culture ma proprio per questo capaci di filtrare attraverso la memoria gli aspetti più veri e più poetici della madrepatria: oltre a The merry-go-round in the sea (1965) di Stow, si potranno citare The transit of Venus (1980) di S. Hazzard, Johnno (1975) e An imaginary life (1978) di D. Malouf.
I nuovi immigrati invece, non più legati alla cultura d'origine e non ancora felicemente inseriti nel contesto australiano, mettono in discussione l'immagine tradizionale di un'A. democratica, egalitaria, dominata da valori maschilisti e nazionalisti. Scaturiscono così satire come They 're a weird mob (1957) di N. Culotta (pseud. di J. O'Grady); o, negli anni Settanta, scrittori come J. Waten, A. Kefala, R. Cappiello, D. Tsaloumas, Ee Tiang Hong, che sono peraltro incoraggiati a pubblicare dalla politica multiculturale perseguita dal governo. Programmi speciali hanno anche incentivato l'arte e la cultura aborigena. Autobiografie, romanzi, racconti sono usciti sia in linga aborigena che in inglese. Oltre al già affermato C. Johnson, My place di S. Morgan, pubblicato recentemente, è diventato un bestseller.
Nella letteratura australiana degli anni Ottanta un'importanza sempre più rilevante ha assunto la città. La Sydney che White nei romanzi degli anni Settanta aveva sostituito al villaggio di Sarsaparilla delle opere precedenti, è un luogo affascinante ma allo stesso tempo sgradevole; la Sydney dei racconti di F. Moorhouse, arrivato da una città di provincia, e di M. Wilding, un immigrato inglese, o di D. Hewett, cresciuta nella società più tradizionalista dell'A. occidentale, diviene il crocevia di mille esperienze, luogo liberatorio. I quartieri fatiscenti del centro di Melbourne sono il luogo privilegiato dei romanzi di H. Gardner (Monkey grip, 1977).
La vita nel bush continua a fornire il materiale per le saghe familiari, un genere letterario ancora molto in auge: O. Master in A long time dying (1985) esplora le vite di numerose famiglie di una cittadina dell'interno; la più famosa saga australiana, Thornbirds (1977; trad. it., Uccelli di rovo, 1978) di C. McCullogh, si incentra sulla storia di una famiglia cattolica; in Illywacher (1985) P. Carey, vincitore nel 1988 del prestigioso Booker Prize per Oscar and Lucinda, utilizza la saga in maniera del tutto originale. Sempre più numerosi in questi anni sono poi i romanzi e i racconti che analizzano i problemi e la posizione della donna nella società australiana. Tale e tanta è l'importanza nella cultura australiana di scrittrici come E. Jolley, E. Harrower, J. Anderson, S. Dowse, K. Grenville, B. Hanrahan, G. Tomasetti, N. Gere, che ormai è opinione diffusa che in A. bisogna essere donne per riuscire a pubblicare un libro.
Nonostante il successo di Summer of the seventeenth doll (1955) di R. Lawler e di The one day of the year (1969) di A. Seymour, fino agli anni Sessanta gli imprenditori teatrali sono stati sempre riluttanti a mettere in scena opere australiane, preferendo il già collaudato repertorio classico inglese. E non sono stati i finanziamenti statali e il supporto dei teatri, solo in seguito fondamentali, a provocare quell'esplosione di opere teatrali della fine degli anni Sessanta che è stata chiamata ''new wave''. Norm and Ahmed (1969) di A. Buzo, The legend of King O. Malley (1970) di M. Boddy e B. Ellis, Marvellous Melbourne (1970) di J. Hibbert e J. Romeril, The feet of Daniel Mannix (1971) di B. Oakley, The removalists di D. Williams hanno come caratteristica comune il colorito vernacolo australiano che serve a proclamare l'indipendenza e la differenza dal teatro inglese. L'importanza della lingua è dimostrata inoltre dalla grande quantità di monologhi scritti in questi anni, il più famoso dei quali è A stretch of the imagination (1971) di J. Hibbert.
Protagonista di queste commedie è in genere l'ocker, il giovane austra liano rozzo, zotico, incolto, grande parlatore, grande bevitore e dalle buo ne prestazioni sessuali, violatore di qualsiasi perbenismo per scelta, non per necessità o natura.
Dai temi ricorrenti di queste commedie − preoccupazione di definire la propria identità attraverso il linguaggio, struttura circolare, enfasi sulla mascolinità della società australiana − si distaccano P. White, che (come già in The ham funeral e in The season at Sarsaparilla) in Big toys (1977) e Signal driver (1982) esplora attraverso realismo, simbolismo, fantasia, satira la solitudine, l'alienazione e la problematicità della società australiana contemporanea, e D. Hewett, che nelle sue commedie (The chapel perilous, 1972; Bob-bons and roses for Dolly, 1972; The tatty hollow story, 1974; The man from Makinupin, 1979) mescola stili diversi e usa diversi effetti verbali, visivi e musicali per esplorare la vita romantica, fantasiosa, sessuale e talvolta brutale delle sue eroine.
Alla fine degli anni Settanta sembrava che il teatro australiano fosse caduto in preda a una crisi: a una sopravvenuta scarsità di fondi si era sommato un notevole calo dell'impegno nel definire la propria identità attraverso il linguaggio dell'australiano medio. Ma L. Nowra, S. Sewell e R. Elisha, i commediografi della seconda generazione, cominciarono ad ambientare le loro commedie fuori dall'A.; il loro guardare al di fuori del proprio paese era in realtà il modo più efficace per esaminare l'interno della propria cultura, come poi hanno dimostrato i loro lavori successivi: Inside the island (1980), Spellbound (1982) e Sunrise (1983) di Nowra; The blind giant is dancing (1983), Dreams in an empty city (1986) di Sewell. Se le opere del periodo precedente si preoccupavano di rappresentare i modi con cui gli Australiani percepiscono la loro cultura, i lavori più recenti di Nowra, Sewell, Hewett e Williams riflettono una ricerca dei miti che possono aiutare a capire le forze che hanno prodotto quella cultura.
Un ruolo molto importante hanno assunto le riviste letterarie: Meanjin, Southerly e Overland pongono l'accento sugli aspetti sociali, politici, psicanalitici della letteratura; Westerly e Island Magazine tendono a esaminare aspetti della letteratura regionale rispettivamente dell'A. Occidentale e della Tasmania; Australian Literary Studies accoglie studi critici di diversa impostazione, analisi semiotiche, strutturali, decostruzioniste; The Age Monthly Review pubblica spesso dibattiti di teoria della critica. Il linguaggio sovente troppo specialistico dei saggi ha suscitato proteste in nome di quell'egalitarismo democratico tipicamente australiano, e ha dato luogo a contestazioni che testimoniano la vivacità e l'interesse del mondo letterario sul fine e sul ruolo della critica nell'ambito della vita nazionale.
Bibl.: V. Palmer, The legend of the Nineties, Melbourne 1954; A. A. Philips, The Australian tradition, ivi 1958; R. Ward, The Australian legend, ivi 1958; H. M. Green, A history of Australian literature, 2 voll., Sydney 1961; The literature of Australia, a cura di G. Dutton, Ringwood (Victoria) 1964 e 1976; G. Serle, From desert the prophets come, Melbourne 1973; J. Docker, Australian cultural elites, Sydney 1974; The Oxford history of Australian literature, a cura di L. Kramer, Melbourne 1981; Nellie Melba, Cringer Meggs and friends: Essays in Australian cultural history, a cura di S. Dermody, J. Docker e D. Modjeska, Sydney 1982; J. Docker, In a critical condition: reading Australian literature, Ringwood (Victoria) 1984; W. White, J. Hooton e B. Andrews, The Oxford companion to Australian literature, Melbourne 1985; New literary history of Australia, a cura di L. Hergenhan, Ringwood (Victoria) 1988.
Arte. - Poiché l'A. fu colonizzata dall'Inghilterra solo nel 1788, l'arte dei suoi discendenti europei è relativamente giovane. Le prime testimonianze figurative del periodo coloniale riproducono la peculiare flora e fauna di questo strano nuovo continente, scene pastorali in cui l'inospitale paesaggio australiano appare ammansito e anglicizzato, e documentano anche il crescente insediamento di Sydney. Le prime opere significative eseguite in A. furono manifestazioni del Romanticismo inglese: immancabilmente rappresentano il dispiegarsi di un ''audace mondo nuovo'', un paesaggio visto in termini metaforici, balze e cascate spettacolari, tramonti drammatici, tutti gravitanti su una figura solitaria, scene coloniche o pastorali.
E. von Guérard (1811-1901), che operò in A. dal 1852 al 1882, rimane l'esponente più significativo per i valori qualitativi intellettuali espressi nei suoi paesaggi: pur intento a registrarne gli aspetti geologici, con sensibilità romantica manipolò il paesaggio a fini simbolici e poetici. An Australian sunset (1857, Melbourne, Art Gallery of South Australia), intitolato anche Stony Rises, Lake Coragamite, è particolarmente espressivo della coscienza collettiva australiana moderna nel rappresentare un insediamento aborigeno in condizioni idilliche, tutta una famiglia ben nutrita, perfetta nel suo Eden protetto dalla natura. Il tramonto tuttavia simboleggia l'incombente fine della cultura aborigena, come risultato dell'insediamento europeo, fatto già avvertibile nello stato di Victoria al tempo di von Guérard.
All'epoca del primo centenario dell'insediamento, nel 1888, l'arte e la cultura australiana si erano emancipate dalla madre patria, l'Inghilterra, e dal suo retaggio europeo nella ricerca di un'espressione esclusivamente australiana: un nazionalismo culturale. In pittura i soggetti erano coscientemente nazionalistici e riflettevano le coeve ambizioni politiche di conseguire l'indipendenza, realizzate nel 1901 con la Federazione. Questo significativo periodo dell'arte australiana espresse il nuovo sentimento di autorispetto e di orgoglio nazionale e lo specifico tentativo di rappresentare il senso di identità dall'A. da poco acquisito. Veri lavoratori australiani, vita e storia australiana divennero nobili temi e lo sferzante calore e la luce fiammeggiante del sole furono considerati simbolo dell'A. più dei delicati (ed europei) crepuscoli degli artisti del secolo precedente. I quadri presentano grandi composizioni di figure, espressamente create per esposizioni pubbliche, quali i musei nazionali, dove ancor oggi si trovano.
Una delle opere più famose di T. Roberts (1856-1931) è Shearing the Rams (1888-90, Melbourne, National Gallery of Victoria): rappresenta un capannone dell'entroterra per la tosatura, pieno di attività, luci e ombre; le figure sono alacremente impegnate in un lavoro produttivo e nobilitante. Il dipinto ha assunto una condizione mitica, rappresentando ''l'espressione perfetta di un tempo e di un luogo''. Analogamente A break away! dello stesso Roberts (1891, Adelaide, Art Gallery of South Australia) presenta un'immagine della vita pastorale visivamente forte e piena d'azione: un uomo a cavallo e il suo cane animosamente cercano di controllare un gregge di pecore impazzite per la sete che si precipitano verso una pozza, in un paesaggio dell'interno polveroso, giallo, colpito dalla siccità. Ancora una volta Roberts nobilita il bushman-mandriano, contribuendo così al grande mito dell'eroe australiano: un tipo duro, solitario, a suo agio nell'aspro ambiente dell'interno del continente. Roberts aveva studiato a Londra agli inizi degli anni 1880, venendo così a conoscenza di qualche elemento impressionista. Come i suoi contemporanei utilizzò gli effetti di luce per sottolineare il simbolismo della nazionalità australiana di nuovo conio.
A. Streeton (1867-1943), F. McCubbin (1855-1917), C. Condor (1868-1909) furono gli esponenti di punta del gruppo conosciuto come Heidelberg School, dal nome di una località nei pressi di Melbourne dove gli artisti lavoravano insieme en plein air. Sebbene il loro stile fosse fortemente influenzato dall'impressionismo, i pittori di Heidelberg si preoccupavano di cogliere soggetti australiani, di svago o di fatica.
Nel campo della scultura emerse B. Mackennal (1863-1931), che passò la maggior parte della sua vita in Europa con frequenti viaggi di ritorno in Australia. La sua opera più famosa è la statua a grandezza naturale della mitica maga greca Circe, ispirata alla narrazione omerica delle avventure di Ulisse.
Mackennal frequentò la National Gallery School di Melbourne per studiare disegno, ma apprese le tecniche scultoree soprattutto dal padre, scultore ed esecutore di modelli architettonici in gesso, attivo a Melbourne. All'età di 19 anni si recò per la prima volta all'estero per frequentare la Royal Academy School di Londra e andò anche a Parigi, ove visitò gli atéliers di vari artisti fra cui A. Rodin. Tornò in A. nel 1888, ma l'accoglienza tributata alla sua opera fu deludente. Nel 1891 fu convinto a riandare a Parigi dall'attrice e scultrice dilettante Sarah Bernhardt, allora in tournée in Australia. La Circe fu esposta per la prima volta al Palais des Champs Elysées di Parigi al Salon del 1893, dove ebbe una mention honorable e l'artista godette di molti riconoscimenti. La statua, una figura a tutto tondo con le braccia sollevate, ogni energia concentrata nella formulazione dell'incantesimo, è di grande potenza: i capelli sono raccolti in un elmo di pelle, che ricorda la forma di serpenti attorcigliati, e due serpenti sono arrotolati ai piedi della maga, altro riferimento ai suoi attributi divini e alla connessione fra concupiscenza e morte. La base è circondata da un intreccio di passionali figure, su cui veglia un Eros alato, accovacciato e con il capo piegato nello smarrimento della contemplazione degli smodati desideri della carne. Mackennal proseguì poi una fruttuosa attività culturale e creativa vivendo e operando soprattutto in Inghilterra.
All'inizio del 20° secolo molti giovani australiani lavoravano a Parigi, cercando allora, come ancora oggi accade, di diminuire il senso di isolamento culturale che il vivere e operare in A. comporta per talenti che tentino attivamente di acquisire qualche riconoscimento nel mondo dell'arte internazionale. È un dilemma costante: da una parte gli Australiani cercano all'interno della loro cultura una peculiare ''australianità'', dall'altra, allo stesso tempo, hanno uno straordinario desiderio delle novità americane ed europee, rafforzato dalla massa di informazioni che giunge attraverso riviste d'arte, notizie e presentazioni di mostre internazionali. Alla distanza e al senso di isolamento culturale si compensa notevolmente col rapportarsi alle tendenze e alle filosofie internazionali. Gli artisti fanno frequenti viaggi di lavoro nell'emisfero settentrionale e al ritorno le loro mostre sono impazientemente attese per cogliervi segni di influenza ''internazionale''. Conseguentemente, fin dagli inizi, l'arte del 20° secolo è stata pluralistica e ha ripreso stili e scuole di pensiero dall'arena internazionale, spesso adattandoli per rivolgerli a contesti australiani.
La prima guerra mondiale coincise con un nuovo impulso verso il modernismo, e in parte ne fu la causa: la guerra lanciò l'industria manifatturiera e le immagini di vita contadina cedettero il posto a un'espressione di tipo ''futurista'', con opere caratterizzate dal colore vibrante e dal disegno modernista. Dopo la guerra il colore e le tecniche post-impressioniste invasero l'Australia. G. Cossington-Smith (1892-1984) dipinse scene di vita contemporanea di Sydney come Troops Marching (1917, Sydney, Art Gallery of New South Wales) o The Lacquer Room (1936, ivi) che rappresenta una popolare sala da tè di Sydney ed è un'ode alla modernità, al progresso, ai valori della classe media. Altra artista di Sydney fu M. Preston (1875-1963), che facendo libero uso del colore e ricorrendo a uno stile decorativo illustrò graficamente la flora australiana ritenendo ben delineate e geometriche le forme che in A. si presentano naturalmente. Negli anni Quaranta sviluppò uno stile ispirato all'arte aborigena; sue composizioni come Banksia (1927, Canberra Australian National Gallery) presentano solide costruzioni cilindriche o a blocco e sono decisamente moderne.
Ben sintetizza l'immagine dell'uomo australiano, longilineo, solitario, atletico e in un certo modo edonistico, la fotografia (gelatina all'argento) intitolata The Sunbaker (1937, Canberra, Australian National Gallery) di M. Dupain (n. 1911). R. Drysdale (1912-1981) iniziò la sua carriera alla fine degli anni Trenta; in qualche misura influenzato dal surrealismo, dipinse solamente soggetti australiani di vita dell'interno: siccità, erosione e lotta. Nei suoi quadri il paesaggio, orizzontale, piatto, color ocra, è abitato da poche semplici figure, talvolta allungate, talaltra corpulente, ma sempre solitarie. Questa raffigurazione dell'entroterra, sterile, inquietamente vuoto, dall'onnipresente vastità, è in aperto contrasto con i popolari delicati paesaggi e ''idilli'' impressionistici. È un'altra interpretazione dell'identità australiana, piatta, terrena, mondana, fatalistica. The Drover's Wife (1945, Canberra, Australian National Gallery) rappresenta una giovane donna dell'interno nel suo aspro habitat: il suo sguardo ci fissa con una vacuità senza compromessi.
All'inizio degli anni Quaranta, S. Nolan (n. 1917), A. Boyd (n. 1920), J. Perceval (n. 1923) e A. Tucker (n. 1914) insieme produssero il più significativo corpus di dipinti figurativi ''informali'' australiani. Questi pittori espressionisti di Melbourne si interessano ai miti della società australiana: la serie su Ned Kelly di S. Nolan (1946-47) ripropone le imprese di un antieroe, un bushranger ("fuorilegge") di origine irlandese, che imperversò per la campagna con la sua banda, indossando una caratteristica armatura fatta in casa, presentato dalle leggende popolari come l'espressione eroica del disprezzo per l'autorità e la ricchezza.
Nei quadri di S. Nolan, Ned Kelly ha un solido elmetto quadrato che nasconde e protegge la sua vera identità, ma attraverso la fessura nel metallo per gli occhi invariabilmente si scorge il paesaggio retrostante, a rilevare la mancanza di sostanza, la trasparenza, del più grande mito australiano. L'arte di Nolan esprime l'incertezza dei bianchi australiani, la sua intuizione fondamentale che gli Australiani ancora non sanno chi o cosa siano, e ancora cercano di identificarsi con l'Australia. L'opera di Nolan e dei suoi compagni rappresentò una rivoluzione per l'arte e la cultura australiane: fu un espressionismo spontaneo, tecnicamente irrazionale, ispirato dalla letteratura, dal mito e dalla soggettività poetica più che dalle forme visive.
Gli anni Quaranta furono per Melbourne il periodo dell'inquietudine bellica: migliaia di soldati americani e australiani si concentrarono nella città oscurata. Questo gruppo di artisti si oppose attivamente alla guerra, avvertendone fortemente l'effetto disgregante sulla società.
Victory Girls di A. Tucker (1943, Canberra, Australian National Gallery) rappresenta l'irrequieta sessualità e l'edonismo aggressivo di quel tempo: due ragazze nude fino alla vita e con indosso solo oscillanti gonnellini rossi, bianchi e blu sono circondate da brancolanti soldati in divisa; i loro volti sono ridicolmente truccati, fanno smorfie con le bocche rosse e gli occhi enormi; tutte le figure hanno brutti nasi porcini. La capacità di impatto del quadro non è diminuita con gli anni: la sua selvaggia immediatezza chiaramente esprime l'impegno del gruppo di fronte ai coevi fenomeni politici e sociali. Più tardi Tucker trattò soggetti più mitici, relativi alla predatoria ''rapina'' della campagna australiana da parte dei pionieri ed esploratori europei.
Il conflittuale rapporto dei bianchi con questa terra, rivelato dallo sfruttamento della natura a fini minerari e di sviluppo industriale e urbano e dal sacrificio della cultura aborigena, continua a costituire un problema fondamentale per questi artisti. L'esponente più significativo di questo gruppo fu A. Boyd per l'impegno senza precedenti nei confronti di tali istanze, espresso attraverso uno stile narrativo personale e un repertorio di immagini molto fantasioso, che usa ricorrentemente nella sua prolifica attività artistica.
Provenendo da una famiglia con tradizioni artistiche (il padre era ceramista), Boyd iniziò molto giovane a dipingere paesaggi e ritratti. Attraverso il collega J. Perceval entrò nella Contemporary Art Society (mostra inaugurale nel 1939) e subito si volse a uno stile più espressionistico e a valori simbolici, rappresentando il bush come elemento primordiale e incorporando in un contesto australiano temi mitici o religiosi (The Expulsion, 1947-48, collezione privata). Le sue rappresentazioni della Melbourne del tempo di guerra mostrano devastazione e il conseguente timore per la sopravvivenza umana in un deserto industriale. In Melbourne Burning (1946-47, Melbourne, collezione privata) la città appare al lontano orizzonte come una metropoli incolore, mentre il primo piano è dominato da un caos bruegheliano nel divampare dell'incendio e nel diffondersi nell'aria di morte e lutto.
J. Perceval negli anni Quaranta condivise molte delle preoccu pazioni di Nolan, Tucker e Boyd: isterismo delle grandi città, sce ne di massa bibliche e caotiche; ma forse ancora più significative sono le tele e le sculture in ceramica di bambini, angeli urlanti, in lotta, disperati o innocenti.
Nel 1959 Boyd, Perceval e cinque altri artisti da poco affermatisi, C. Blackman, D. Boyd (fratello di Arthur), J. Brack, R. Dickerson (l'unico di Sydney fra essi) e C. Pugh, parteciparono a una mostra, accompagnata dall'Antipodean Manifesto scritto dallo storico dell'arte B. Smith e comprendente dichiarazioni degli stessi artisti.
L'Antipodean Manifesto esprimeva il profondo convincimento da parte degli artisti di un loro dovere nei confronti della società e la necessità che un'arte australiana nascesse dal suo stesso ambiente e retroterra culturale. Inoltre, come pittori figurativi, ritenevano che l'arte fosse minacciata dalla pittura astratta (che andava prendendo il sopravvento a Sydney e all'estero) e che l'immagine fosse fondamentale per la comprensione e il significato dell'arte.
Ancora trent'anni dopo il discusso movimento degli Antipodeans, A. Boyd è rimasto l'artista più duraturo, autore di opere di significativa coerenza. È stato scelto per rappresentare l'A. alla XLIII Biennale di Venezia (1988), che ha per la prima volta avuto un padiglione specificamente dedicato all'Australia.
J. Olsen (n. 1928) vive a Sydney e la sua opera esprime il ritmo quotidiano di questa città prospera e indaffarata, arrampicata sulle rive della scintillante baia. Suo è il murale che fronteggia la baia nel ridotto nord del Teatro dell'Opera di Sydney, inaugurato il 20 ottobre 1973. La qualità animistica dell'opera di Olsen si riflette nella tecnica pittorica, nella linea vigorosa e nel colore esuberante. L'ironico Spring in the You Beaut Country (1961, Canberra, Australian National Gallery) evoca una frenesia di crescita e attività ambientata nei dorati colori bruni dell'Australia.
I quadri paesaggistici di F. Williams (1927-1982) ne attestano la straordinaria capacità di osservazione: soggetti come alberi sono minimalizzati al punto di divenire segni espressionistici, pittorici, su uno sfondo abilmente preparato. Vegetazione del bush e ampie pianure o alberi casualmente distribuiti sono ridotti a macchie di colore che li riassumono, statici eppure brillanti sotto vasti cieli di colore forte e puro; Silver and Grey (1969, collezione privata) mostra la calligrafia di Williams in una delle sue espressioni più pure.
R. Klippel (n. 1920) ha lavorato meticolosamente, praticamente per tutta la vita, a combinazioni e/o costruzioni in legno e metallo. Sorprendente è la quantità stessa della sua produzione, che comprende, oltre alle sculture, volumi di disegni sistematici, idee di lavoro e lunghi brani di note tecniche manoscritte (ora negli archivi dell'Australian National Gallery).
Lo sviluppo negli anni del suo 'linguaggio di forme' ha costituito un processo rilevante e solitario, al di là dell'influenza delle tendenze dominanti. La logica formale dell'artista, unita alla casualità che è propria della natura degli oggetti trovati e messi insieme, contenuti in costruzioni prevalentemente verticali, persegue un'unione estremamente fruttuosa di forme meccaniche e organiche. Più importante, l'artista conferisce alle sue costruzioni una logica interna percepibile entro la struttura esterna. La serie Opus (nel gennaio 1988 Klippel lavorava a Opus 715-720) si basa su una costante preoccupazione per la struttura, la forma e la scoperta, palesi nelle relazioni spaziali.
La scultura australiana è ben rappresentata nelle collezioni civiche e corporative in tutto il paese; sono da ricordare inoltre il giardino delle sculture alla Australian National Gallery di Canberra, le varie collezioni delle gallerie statali e l'Heide Park Gallery and Sculpture Park di Melbourne. Le sculture non figurative esposte in pubblico sono state accolte in genere con atteggiamenti controversi, ma a partire dagli anni Settanta è costantemente cresciuto l'apprezzamento per le grandi sculture commissionate per luoghi pubblici, sicché molte importanti opere di artisti australiani o stranieri sono state collocate nell'ambito di contesti urbani in continuo mutamento e sviluppo.
Gli artisti australiani hanno attivamente risposto a molte delle tendenze internazionali degli ultimi decenni, dall'arte povera e concettuale alla video art, alla performance, al nuovo espressionismo e alla transavanguardia. K. Unsworth (n. 1931) è un artista che, come il tedesco J. Beuys, incorpora materiali muti, come pietre, oggetti di uso quotidiano e di mobilio, in composizioni ritualistiche. The Lake (1985), che fu installato alla VI Biennale di Sydney (maggio 1986, Art Gallery of New South Wales), è un potente esempio della sua opera. I pittori P. Booth (n. 1940) e I. Tillers (n. 1950) e il fotografo B. Henson (n. 1955) sono fra i rappresentanti della giovane generazione di artisti australiani e hanno esposto in varie mostre internazionali: la loro opera è al momento la più degna di nota fra quelle dei numerosi artisti emersi nell'ultimo decennio.
R. Robertson-Swann (n. 1941) è ben noto per le sue sculture astratte formali, lineari, in acciaio saldato, e ha realizzato nelle varie città capitali grandi commissioni pubbliche. Analogamente le enormi forme di solidi geometrici di B. Flugelman si possono vedere in Martin Place a Sydney, nel giardino delle sculture della National Gallery a Canberra e in Rundle Mall ad Adelaide. Gli scultori di Melbourne, G. Bartlett (n. 1952), A. Dall'Ava (n. 1950) e A. Pryor (n. 1951), rappresentano la giovane generazione, con opere soprattutto a Melbourne e dintorni e in alcuni centri rurali. Combinando materiali durevoli come acciaio, bronzo, cemento, legno e pietra in costruzioni idriche, essi conseguono un'energia naturale, fluente e armoniosa che si accorda alla sensibilità australiana. Esempio tipico è la scultura di Bartlett che si eleva nell'acqua della fontana all'ingresso della National Gallery of Victoria.
La scultrice R. Gascoigne (n. 1917 ad Auckland, Nuova Zelanda, trasferitasi in A. nel 1943) mette insieme oggetti di recupero, raccolti nella campagna attorno alla sua casa di Canberra. I materiali sono comuni, tipici dell'ambiente rurale australiano, come pezzi di lamiera ondulata (materiale da costruzione assai usato in A.), legno di cassette rotte, filo spinato, penne di cacatoa, segnali stradali. Le sculture risultano così combinazioni di componenti ''poveri'', che si trasformano in poetiche espressioni pure e concentrate del paesaggio australiano e degli aspetti fondamentali dei suoi abitanti. Il metodo molto controllato e la ripetizione selettiva degli elementi sono influenzati dall'arte giapponese dell'ikebana. La Gaiscogne ha rappresentato l'A. alla XL Biennale di Venezia (1982) insieme al pittore P. Booth.
L'arte contemporanea in A. appare, dunque, pluralistica quanto post-moderna grazie anche alla maggiore possibilità che gli artisti hanno di viaggiare all'estero, a opportunità quali gli studios messi a disposizione col patrocinio del governo a New York, Tokyo e in Europa, all'accresciuto accesso alla scena dell'arte internazionale attraverso mostre itineranti e riviste specializzate, alla Biennale di Sydney (iniziata nel 1972 e divenuta nel 1988 Biennale dell'A.), alle ricche collezioni dei musei statali e nazionali. Tra questi ultimi, sensibili ai più moderni criteri museografici, oltre all'Australian National Gallery di Canberra, che raccoglie il più vasto panorama dell'arte nazionale e internazionale e comprende sezioni di arti decorative e popolari, si devono ricordare l'Art Gallery of New South Wales di Sydney, la National Gallery of Victoria di Melbourne, l'Art Gallery of South Australia di Adelaide, l'Art Gallery of Western Australia di Perth, la Queensland Art Gallery di Brisbane, il Tasmanian Museum and Art Gallery di Hobart. Nel campo storiografico, recenti studi hanno analizzato l'arte australiana, compresa l'opera degli aborigeni, dalle sue origini, reinterpretandola secondo un nuovo significato nel contesto attuale, sia nazionale che internazionale. Vedi tav. f. t.
Bibl.: W. Moore, The story of Australian art: from the earliest known art of the continent to the art of today, 2 voll., Sydney 1934; B. Smith, Australian painting 1788-1970, Oxford-Melbourne 19712; D. Thomas, Outlines of Australian art: the Joseph Brown Collection, Melbourne-Sydney 1973; G. Sturgeon, The development of Australian sculpture 1788-1975, Londra 1978; R. Haese, Rebels and precursors: the revolutionary years of Australian art (1930s-1940s), ivi 1981; R. M. Berndt, C. H. Berndt, J. E. Stanton, Aborigenal Australian art: a visual perspective, Sydney 1982; Trans-avantgarde International, a cura di A. Bonito Oliva, Torino 1984; L. Astbury, City bushmen: the Heidelberg school and the rural mythology, Oxford-Melbourne 1985; T. Bonyhady, Images in opposition: Australian landscape painting 1801-1890, ivi 1985; J. Clark, B. Whitelaw, Golden summers: Heidelberg and beyond, Sydney 1985; B. Smith, European visions and the South Pacific 1768-1850: a study in the history of art and ideas, New York 19852; U. Hoff, The art of Arthur Boyd, Londra 1986; J. McPhee, Australian art in the Australian National Gallery, Canberra 1988; G. Newton, Shades of light: photography and Australia 1839-1988, ivi 1988; Creating Australia / 200 years of art 1788-1988, a cura di D. Thomas, Adelaide 1988. Si vedano anche i cataloghi della Biennale di Venezia (1954, 1958, 1960, 1978 e ss.).
Architettura. - Con R. Grounds, F. Romberg e R. Boyd si apre in A. sin dalla fine degli anni Trenta il confronto con il linguaggio moderno in architettura. Con essi la città di Melbourne, non fortemente influenzata dalla tradizione vernacolare e coloniale inglese, si orienterà meglio verso le idee europee, stabilendo così un primato culturale che durerà fino agli anni Sessanta. Tuttavia nelle loro opere, accanto alla difesa del valore del movimento moderno, si riscontra una forte tendenza verso una sorta di formalismo, spesso evidenziato nella ricerca di una singola e forte idea espressa nella pianta degli edifici.
Con l'arrivo di H. Seidler nel 1948 a Sydney, questa città acquista via via rilevanza nell'approccio alla prospettiva internazionale, soprattutto nel campo dell'edilizia pubblica, giungendo a una sua completa affermazione durante gli anni Settanta e al successo del cosiddetto Sydney Style. Il lavoro di H. Seidler, allievo di W. Gropius e collaboratore di M. Breuer, condotto sempre con coerenza e maestria, persegue nelle intenzioni una via australiana all'architettura moderna, volendo rispondere alle particolarità climatiche, culturali, econo mico-sociali del paese. I suoi interventi si ritrovano principalmente nella soluzione dei temi della grande edilizia pubblica, per i quali spesso ricercò la collaborazione di P. L. Nervi (Australia Square, Sydney 1968; Torre per uffici MLC Centre, Sydney 1978; Trade Offices, Canberra 1978; Mid-City Shopping Centre, Sydney 1982).
Al tempo stesso Sydney è il luogo di un grande evento internazionale: la realizzazione dell'Opera House di J. Utzon, dalla plastica immagine neoespressionista, il cui cantiere (peraltro oggetto di molte polemiche che culminano con il suo abbandono da parte di Utzon) dura così a lungo (1956-73) da permettere a molti architetti australiani, fra cui R. Le Plastrier e P. Myers, di lavorarvi.
Tuttavia, l'affermazione del Sydney Style è favorita da altri protagonisti di spicco oltre Seidler, quali soprattutto J. Andrews (American Express Tower, Sydney 1976) e lo studio Ancher, Mortlock, Murray & Woolley: nel 1976 S. Murray lascia il gruppo (Town Hall House, Sydney 1976; Australian Institute of Criminology, Canberra 1984).
Anche la capitale Canberra ha visto negli anni recenti grandi e qualificati interventi di edilizia rappresentativa pubblica: E. Madigan Torzillo (High Court of Australia, 1981; Australian National Gallery, 1982); D. Jackson (National Sports Centre, 1982; Singapore High Commission, 1984) e soprattutto la New Parliament House di Mitchell, Giurgola & Thorp. L'edificio distende i suoi corpi di fabbrica sulla collinetta, centro ideale della città, protendendoli lungo gli assi diagonali della geometria del plan cittadino.
In questi ultimi anni si manifesta la reazione al linguaggio del movimento moderno, nel tentativo di creare una cultura architettonica ''australiana'', fondandone la ragione e la necessità nel sentimento di distanza e isolamento di questo continente nei confronti del resto del mondo occidentale. Questo controverso tentativo cerca le proprie fonti d'ispirazione da un lato negli elementi naturali propri del paesaggio australiano (il bush) e del suo clima; dall'altro in elementi culturali che vanno dalla tradizione vernacolare del 19° sec., allo stile di vita e ai miti attuali dell'australiano medio, ancora al recupero di un'attenzione verso la cultura aborigena.
Il tema dell'architettura domestica è dove tutto ciò si trova riflesso e forse circoscritto. Si ha pertanto il recupero nella tradizione vernacolare e rurale del mattone scabro, del legno, della lamiera ondulata, delle ampie verande e tettoie, e allo stesso tempo l'attenzione puntata verso il quadro unico e particolare del vasto e complesso suburbio australiano, alimentato dal mito sociale della casa individuale. Woolloomooloo Project Team nel 1980 è un esperimento di rigenerazione formale e funzionale di un sobborgo di Sydney, mentre di ordine più radicale è la concezione dell'opera di Edmond & Corrigan, che in una serie di case ed edifici religiosi recuperano le forme e i dettagli delle costruzioni in mattoni del suburbio di Melbourne, attribuendo ad essi un'identità in un tentativo di architettura ibrida che prende le mosse dall'opera di R. Venturi.
Su un piano diverso è invece l'opera di G. Murcutt, che si svolge soprattutto fuori dai centri abitati. Le sue case (Two Houses, Mount Irvine 1979), come ''aggeggi nel bush'', trovano una loro collocazione nel paesaggio del continente più piatto del mondo. La lamiera ondulata si dispiega morbidamente nelle coperture come il profilo arrotondato del fogliame dell'eucalipto, e porta con sé su di un livello tecnologico la memoria degli antichi ripari aborigeni.
Ancora a parte è l'attenzione verso i linguaggi storici con cui possiamo leggere l'intervento a Sydney di Ph. Cox, che con il NSW Institute of Technology nel 1984 amalgama i resti di gusto eclettico di un vecchio mercato della frutta, col valore di citazioni formali, nell'impianto del nuovo campus. Vedi tav. f. t.
Bibl.: D. Saunders, C. Burke, Ancher. Mortlock. Murray. Woolley, Sydney 1976; The Architectural Review, 979, 1978; H. Tanner, Architects of Australia, Melbourne 1981; L. Paroissien, Old continent new building, Sydney 1983; Domus, 663, 1985; The Architectural Review, 1066, 1985; Casa Vogue, 181, 1987.
Musica. - Negli anni che seguono immediatamente il 1945, le ormai mutate condizioni sociali e istituzionali della vita artistica del paese, unitamente all'immigrazione di esuli dall'Europa e a una forte crescita dell'interesse pubblico, hanno favorito un notevole sviluppo dell'attività e della produzione musicale nel quadro di una significativa rilettura di tradizioni e valori locali.
L'Australian Broadcasting Commission (ABC), che già dal 1930 aveva inteso tutelare il patrimonio nazionale con l'introduzione nei propri programmi di brani musicali australiani in una misura non inferiore al 5%, sovraintese in quel periodo all'istituzione di orchestre sinfoniche permanenti, realizzate mediante finanziamenti statali e municipali. Nel 1946 viene fondata la Sydney Symphony Orchestra, cui fece seguito la fondazione delle orchestre di Bris bane (1947), Hobart (1948), Adelaide (1948), Melbourne (1949) e Perth (1950).
Per il teatro musicale, nel 1951 Sydney divenne sede della Nuova Compagnia dell'Opera Nazionale del Nuovo Galles del Sud; nel 1956 l'Elizabethan Theatre Trust favorisce l'istituzione dell'Australian Opera, la cui attività è stata affiancata dal 1968 da gruppi regionali di rilievo, come la Young Opera di Sydney, la Victoria State Opera, la State Opera of South Australia e le Western Australia and Queensland Opera Companies.
Per la musica da camera, fin dal 1945 la Musica Viva Society fu in grado di organizzare concerti a livello nazionale, sia mediante l'istituzione di un proprio gruppo orchestrale, sia ospitando più tardi gruppi cameristici d'oltre oceano.
Nello stesso tempo venivano fondate società maggiormente specializzate, come la sezione australiana dell'International Society for Contemporary Music (ISCM), la Australian Society for Keyboard Music, e altre società minori rivolte allo studio dell'opera di Mozart, Schubert e Bartók.
Una particolare attenzione è stata rivolta all'educazione musicale. Nuovi conservatori sono sorti a Brisbane (1956), Canberra (1964) e Melbourne (1973). Nelle università sono stati istituiti nuovi dipartimenti musicali, e corsi musicali sono stati aperti negli istituti di studi superiori. Nel 1974 l'Opera House ha ospitato la conferenza internazionale della International Society of Music Education (ISME).
Per il settore musicologico, nel 1965 è stata creata la Australian Society for Music Education, e società musicologiche sono sorte negli anni seguenti nelle principali città. Nel 1970 si è riunita la Australian Musicological Commission. Gli studi si sono orientati, oltre che su lavori storici, verso ricerche etno-musicologiche sulla cultura aborigena e sulle tradizioni dell'Asia orientale.
Tra i compositori contemporanei, i più significativi sono R. G. Meale (n. Sydney 1932) e P. Sculthorpe (n. Launceston, Tasmania, 1929). Nelle loro opere viene perseguita programmaticamente un'attenta fusione degli stili tradizionali dell'Est asiatico con le più avanzate tecnologie occidentali. Meale ha frequentato corsi di etnomusicologia presso l'università di Los Angeles, ed è stato professore di composizione presso l'università di Adelaide. È autore di musica per orchestra, da camera e per pianoforte, e di opere teatrali. Sculthorpe si riallaccia nei suoi lavori alle tradizioni indonesiana e giapponese, e a quella aborigena australiana. È autore di musica corale e per orchestra, e di opere strumentali, come la serie Irkanda, in cui viene recuperato l'uso di strumenti primitivi.
Della generazione più giovane, alcuni compositori sono venuti in luce in questi ultimi anni: è possibile ricordare in particolare B. Conyngham (n. 1944), I. Cagley (n. 1945) e B. Howard (n. 1961).
Bibl.: J. Glennon, Australian music and musicians, Adelaide 1968; A. D. McCredie, Musical composition in Australia, Canberra 1969; Id., Catalogue of 46 Australian composers and selected works, ivi 1969; D. Tunley, A decade of musical composition in Australia, 1960-1970, in Studies in Music, 1971; A. Laubenthal, Musik der Antipoden: Musik und Musikleben in Australia, in Musica, 2 (1984), pp. 143-47.
Cinema. - Nel 1896, pochi mesi dopo la prima proiezione cinematografica parigina, il pubblico australiano assiste alla presentazione di uno spettacolo cinematografico. Le prime opere proiettate non sono australiane, ma ben presto si comincia a produrre autonomamente. Sempre nel 1896, il francese Sestrier filma un concorso ippico: il resoconto filmato, conosciuto come Melbourne Cup, è considerato il primo film australiano. Inoltre nel 1897 W. B. Spencer gira una serie di documentari sugli aborigeni, sicuramente i più vecchi film etnografici che si conoscano.
Sulla scia del successo delle prime proiezioni si aprono numerose sale nelle principali città e vengono fondate piccole società di produzione. Sin dall'inizio del secolo la cinematografia aussie si segnala per la notevole qualità tecnica, ma anche la scelta delle storie appare di gran lunga superiore alla media. È australiano il primo lungometraggio della storia del cinema, un colossal di circa 70 minuti girato nel 1906 da Ch. Tait, The story of the Kelly Gang, che tuttavia resta un caso isolato. Si devono attendere i primi anni Dieci perché in A. prenda il via una produzione su larga scala di lungometraggi. I circa quindici film che vengono realizzati annualmente in questo periodo narrano di banditi, ergastolani, cercatori d'oro, il tutto sullo sfondo dei meravigliosi scenari naturali offerti dalla terra australiana. Fra i cineasti che più recano impulso al nascente cinema, particolare rilievo meritano R. Langford, attore regista e produttore a cui si deve il classico del cinema muto australiano, The sentimental bloke (1920), e B. Smith, inventore delle cosiddette comiche rurali ispirate ai racconti di S. Rudd.
Gli anni Venti si possono identificare con l'epoca d'oro del cinema australiano, momento di massimo splendore e ricchezza industriale raggiunti anche grazie a una legge secondo la quale il 5% dei film distribuiti dev'essere nazionale: un accorgimento che riesce a fronteggiare l'invasione massiccia dei prodotti americani. Gli studi producono a pieno ritmo: frenetica l'attività della Cinesound, una casa che, oltre a produrre, possiede un proprio circuito di sale per la distribuzione, l'Union Theatres. Sotto la guida accorta di K. Hall, dalla Cinesound escono soprattutto commedie brillanti e comiche, e talvolta melodrammi di grande interesse come The silence of Dean Maitland (1924). L'Union Theatres, seguendo l'esempio di altre case di distribuzione, cessa nel 1937 di far circolare film australiani sostituendoli con opere inglesi. Il 1937 è del resto l'anno che segna ufficialmente la nascita di una crisi del cinema che sarà superata soltanto molti anni dopo, sebbene sin dal primo momento si facciano tentativi di arginare l'invasione statunitense salvaguardando la produzione nazionale. Alcuni cineasti si rifiutano di sottomettersi al dominio americano, ma non ottengono che di essere stritolati dal sistema. Emblematico il caso di Ch. Chauvel, geniale regista e produttore, che pur avendo lanciato E. Flynn e firmato film di grande successo come Forty thousand horsemen (1941) e Jedda (1955) − prima opera di fiction sugli aborigeni − è schiacciato dai distributori americani alla fine degli anni Cinquanta.
Il ventennio tra il 1940 e il 1960 è senza dubbio uno dei periodi più bui della cinematografia australiana. Malgrado lo svilupparsi di un'importante scuola documentaristica, l'industria è in crisi e la produzione di fiction registra un calo qualitativo e quantitativo. I pochi film prodotti sono in gran parte pallide imitazioni delle produzioni americane, completamente prive dei caratteri propri della cultura aussie. Se registi affermati e cineasti indipendenti stentano a trovare i mezzi per girare entro i confini dello stato, l'A. diviene in compenso lo scenario ideale per le produzioni di molti autori hollywoodiani, da L. Milestone a S. Kramer a F. Zinneman.
I segnali di una rinascita del cinema australiano sono lanciati tuttavia proprio da registi non australiani. L'inglese M. Powell tra il 1966 e il 1969 gira due film in coproduzione con l'A., servendosi di équipes raccolte sul posto. They're a weird mob e Age of consent raccolgono grandi consensi, così come Ned Kelly di T. Richardson, Walkabout di N. Roeg, e Outback del canadese T. Kotcheff, scelto per rappresentare l'A. al festival di Cannes nel 1971, mentre punta massima del cinema nazionale è un film di montaggio, Forgotten cinema, realizzato dal principale promotore del rinnovamento, A. Bukley. Forgotten cinema, mostrato in numerosi incontri alle autorità, si trasforma ben presto in un'arma per combattere l'apatia dei produttori e per sollecitare il governo a varare leggi adeguate. Raccolti nell'Australian Film Council, gli uomini di cinema chiedono la ristrutturazione dell'industria su scala media, la creazione di scuole di cinema, un sostegno per i film sperimentali e la creazione di una banca del film.
A partire dai primi anni Settanta, grazie alle leggi emanate dal governo, si torna a pensare al futuro del cinema con minor allarmismo. Gli aiuti governativi si rivelano fondamentali nella realizzazione di film che portano alla nascita di quel movimento conosciuto come new wave australiana, i cui primi esponenti a emergere sono P. Weir e B. Beresford. Three to go fa conoscere Weir, The adventures of Barry Mckenzie Beresford, mentre altri giovani talenti hanno modo di mettersi in luce frequentando la Film and Television School, nata nel 1973 e diretta da J. Toeplitz: qui si diplomano Ph. Noyce, J. Ricketson e G. Armstrong.
Seguendo l'esempio delle autorità federali, i governi degli stati fondano la South Australia Film Corporation, con l'intento di produrre opere capaci di coniugare la qualità con le aspettative del pubblico. Alla SAFC si devono le migliori opere degli ultimi anni: Sunday too far away (1974) di K. Hannam, Breaker Morant (1978) di B. Beresford, Newsfront (1978) di Ph. Noyce, My brilliant career (1979) di G. Armstrong nonché Picnic at Hanging Rock e Gallipoli (1981) di P. Weir. Proprio Weir è la figura più rappresentativa della rinascita cinematografica, il cui pregio maggiore consiste nel saper fondere elementi di grande spettacolarità con suggestioni, miti e tradizioni tipicamente australiani.
Un discorso a sé merita il cinema di G. Miller − che non appartiene alla new-wave − , soltanto all'apparenza lontano dalla cultura aussie. Esponente di punta del genere horror-fantasy, Miller attraverso la trilogia incentrata su Mad Max (1979-84) ha creato un nuovo filone mescolando la violenza e l'orrore cari al cinema americano con i riti, le magie e le fantasie della tradizione australiana.
Bibl.: J. Baxter, The Australian cinema, Londra 1970; G. Canova, F. Malagnini, Australia ''New Wave'', Milano 1984; L'ultima onda, a cura di F. D'Angelo, C. Marabello, Firenze 1987.