AUSILIARÎ (lat. auxilia)
L'esercito romano si componeva di due parti distinte, le legioni e le milizie ausiliarie; nelle legioni militavano i cittadini romani, nelle milizie ausiliarie gli alleati, i tributarî ed eventualmente mercenarî stranieri. Le prime milizie ausiliarie furono costituite dai contingenti forniti in base al patto d'alleanza degli alleati italici. Secondo la relazione di Polibio, in caso di guerra i consoli determinavano ogni anno quali stati dovevano mandare soldati, ne fissavano il numero, che normalmente non superava quello imposto dal trattato d'alleanza, e stabilivano il luogo e il giorno nel quale le milizie dovevano presentarsi. Lo stato alleato arrolava il numero necessario di soldati, li faceva giurare, ne nominava il comandante e l'ufficiale pagatore e provvedeva alle armi e allo stipendio; da Roma le milizie alleate non ricevevano che le vettovaglie. Stando alle parole di Polibio, la fanteria alleata era all'incirca pari di numero alla romana e la cavalleria tre volte maggiore; in realtà, spesse volte, da indicazioni di Livio e di altri autori l'intero contingente alleato risulta superiore persino del doppio alle forze romane. Un quinto della fanteria e un terzo della cavalleria formava un corpo di truppe scelte, gli extraordinarii, il resto era raggruppato in ale (v. ala) che non formavano corpi indipendenti, ma erano sempre unite alle legioni. Le milizie alleate furono un poderoso fattore della potenza romana. Nelle battaglie combattute a fianco delle legioni si dimostrarono sempre fedeli e gareggiarono di valore coi legionarî. Partecipavano anch'esse se anche, almeno più tardi, in misura inferiore alle ricompense dei vincitori, e più d'una volta intere unità ebbero in premio la cittadinanza romana.
Sin dalle guerre puniche militarono nell'esercito romano contingenti non italici. Erano generalmente mercenarî reclutati in paesi stranieri, e tra essi a preferenza arcieri cretesi e cavalieri numidi: Roma esitava a valersi di milizie di popolazioni sottomesse. Maggior contributo di ausiliarî si richiese alle popolazioni tributarie durante la guerra sociale, nella quale si distinsero cavalieri spagnoli. Mancati dopo questa guerra i contingenti degli alleati italici, che, divenuti cittadini romani, entrarono di diritto nelle legioni, le milizie ausiliarie furono costituite dai soli non italici, e poiché per la riforma di Mario le legioni non comprendevano che fanteria pesante, dagli ausiliarî era formata tutta la fanteria leggiera e tutta la cavalleria. Tuttavia queste milizie continuarono a essere arrolate solo in caso di bisogno, né il loro numero fu notevolmente accresciuto. Fu Cesare il primo che, durante le guerre galliche e più ancora durante quella civile, costretto dalla forza delle circostanze, impose larghe contribuzioni di soldati, soprattutto di cavalleria, alle popolazioni, anche se appena sottomesse, delle sue provincie. E i suoi avversarî furono pronti a seguire l'esempio. Cesare stesso calcola gli ausiliarî di Afranio e Petreio a 80 coorti, circa 40.000 fanti, e a 5000 cavalieri, e non è da credere che la cifra sia di molto esagerata. Iniziato da Cesare, il largo impiego di ausiliarî continuò nelle guerre che tennero dietro alla sua morte. Non tutte queste truppe avevano organizzazione e armi romane; parecchie, comandate da ufficiali indigeni, non davano sufficiente garanzia di fedeltà. Già durante le guerre civili si procurò di sottoporre le nuove formazioni all'ordinamento romano e di sostituire a poco a poco i malfidi comandanti indigeni con ufficiali romani, ma il merito di aver organizzato la milizia ausiliaria e aver fatto di essa un valido strumento della dominazione romana spetta all'imperatore Augusto.
Per l'ordinamento di Augusto, che con lievi modificazioni durò sino a Diocleziano o Costantino, gli ausiliarî, comandati da ufficiali romani e da sottufficiali in gran parte romani, sono parte integrante dell'esercito. Essi costituiscono tutta la fanteria leggiera e quasi tutta la cavalleria. La fanteria è divisa in coorti di 500 o 1000 soldati nominali, alcune delle quali, le equitatae, comprendono anche un reparto di cavalleria; i cavalieri sono distribuiti in unità tattiche chiamate ale, che sono pure quingenarie o miliarie. Il numero complessivo dovette essere rilevante già sotto Augusto: 70 coorti e 14 ale accompagnavano le legioni mandate a debellare l'insurrezione dei Pannoni e Dalmati nel 6 dopo Cristo. Sotto Tiberio, per testimonianza di Tacito, gli ausiliarî eguagliano quasi il numero dei soldati delle legioni; nel secondo secolo lo superano. Insieme con le legioni e anche da soli, essi presidiano le varie provincie imperiali e costituiscono pure i piccoli eserciti che provvedono alla sicurezza interna di alcune provincie del senato.
Operano generalmente uniti ai legionarî, ma non per questo sono aggregati in gruppo stabile e costante alle singole legioni (Haverfield, in Class. Rev., XXVIII, 1914, p. 226 seg.). Nelle battaglie hanno in generale poco peso; tanto maggiore è invece la loro importanza per il servizio di guardia ai confini, che è assegnato in gran parte alla milizia ausiliaria. In tempo di pace sono adoperati come i legionarî per lavori d'interesse pubblico e militare anzi su di essi, come soldati di rango inferiore, grava la parte più faticosa; un papiro, recentemente pubblicato, del principio del sec. II mostra a quanti altri uffici potessero essere ancora impiegati (Hunt, in Raccolta di scutti in onore di G. Lumbroso, Milano 1925, p. 265 segg.; Cantacuzène, in Aegyptus, IX, 1928, p. 62 segg).
Nessuna legge vietava a cittadini romani d'arrolarsi nella milizia ausiliaria; nel primo tempo dell'Impero vi entrava però, quasi senza eccezione, solo chi era originario di un luogo di diritto latino o peregrino. Ma col progressivo estendersi della cittadinanza romana aumentò il numero dei cittadini che per varie ragioni servivano tra gli ausiliarî. Tuttavia la parte maggiore degli ausiliarî si compose sempre di peregrini, reclutati generalmente, almeno dalla metà del secolo secondo, nella campagna tra i contadini e i pastori (M. Rostovtzeff, The social and economic history of the Roman Empire, Oxford 1926, p. 122). Non tutte le provincie dell'Impero contribuiscono in egual misura al reclutamento, per il quale non sembra mancassero volontarî. Esso è limitato quasi esclusivamente alle provincie imperiali, a preferenza occidentali, e il contributo è tanto maggiore quanto minore è quello dato per le legioni. Le provincie senatorie, nelle quali è maggiore il numero dei cittadini romani che perciò sono arrolati nelle legioni, non dànno che scarsi contingenti; la Grecia e la Sicilia ne sono addirittura esonerate. Augusto, seguendo l'esempio di Cesare, non s'era fatto scrupolo di armare soldati di nazioni appena assoggettate e di lasciarli all'occorrenza raggruppati nazionalmente, anche nel loro stesso paese o in regioni vicine. Ma la ribellione dei Pannoni e Dalmati, partita da schiere raccoltesi per entrare nell'esercito romano, e più ancora l'ammutinamento degli ausiliarî batavi nel 69 mostrarono i pericoli di tale sistema. Ale e coorti dello stesso popolo furono allora generalmente distribuite fra provincie diverse e a completarle furono chiamate non reclute della nazione da cui traevano origine e di cui portavano per lo più il nome, ma del paese dove per tempo più o meno lungo erano di guarnigione. Il servizio nella milizia ausiliaria contribuiva così efficacemente a fondere tra loro le varie popolazioni del vasto impero e a diffondere la lingua e la civiltà latine. Solo un piccolo numero di reggimenti, specialmente orientali, mantenne per particolari ragioni militari la compagine nazionale. Le unità ausiliarie ebbero una sede stabile e si completarono con reclute dello stesso popolo solo quando, erette da Adriano e dai suoi successori linee permanenti di difesa, furono collocate di presidio. nei varî castelli e fortini costruiti a protezione delle frontiere.
Gli ausiliarî erano obbligati a servire 25 anni, ma di regola, come tutti gli altri soldati, erano trattenuti sotto le armi oltre la ferma; il congedo regolare avveniva però, anche nel secondo secolo, ogni anno e non ogni due anni come per le legioni e altre milizie. Solo in casi eccezionali si anticipava il congedo a premiare il valore dimostrato. Il loro soldo è di molto inferiore a quello dei legionarî: un fante di coorte ausiliaria riceve prima di Domiziano, che aumenta di un terzo lo stipendio dei soldati, 25 denari ogni quattro mesi. Sono noti i privilegi che si ottenevano coi cosiddetti diplomi militari. L'uso già invalso durante la Repubblica di premiare col dono della cittadinanza romana interi reggimenti o singoli soldati continuò certamente anche sotto l'Impero; da tale onore sembra avere origine l'appellativo di c(ivium) r(omanorum), del quale si fregiano parecchie unità ausiliarie anche quando sono mstituite in massima parte di peregrini. Ma la concessione regolare di speciali benefici all'atto del congedo sembra essere stata opera dell'imperatore Claudio. Lo dimostrano la mancanza di diplomi militari anteriori a questo imperatore, mentre in seguito sono tanto numerosi, e la sua nota larghezza nel distribuire la cittadinanza romana. Da principio la concessione dei benefici, se anche più spesso segue al congedo, è fatta dipendere soltanto dal compimento dei 25 anni di servizio. Traiano la restringe ai militi congedati. Il soldato ottiene, se già non la possiede, la cittadinanza romana per sé, figli e discendenti già nati, e il diritto di contrarre legittimo matrimonio, purché una sola volta, anche con donne straniere, mentre il matrimonio eventualmente già contratto è riconosciuto valido. Nei diplomi posteriori al 139, per una riforma non meglio conosciuta di Antonino Pio, sono esclusi dal beneficio della cittadinanza i figli nati prima del congedo del padre; solo in casi eccezionali sembra potessero goderne i figli d'una speciale categoria di centurioni e decurioni. I privilegi cessarono probabilmente con la promulgazione della costituzione di Caracalla del 212: non si conoscono diplomi di soldati ausiliarî che siano senza dubbio posteriori al 178 (Mispoulet, in Rev. épigr., I, 1913, p. 281 segg.; contro le argomentazioni del Mispoulet, vedi E. Stein, Gexhichte des spätrömischen Reiches, I, Vienna 1928, p. 78, n. 1).
Viene generalmente attribuita ad Adriano una riforma che prepara la via al posteriore imbarbarimento dell'esercito: la formazione di nuove unità ausiliarie reclutate fra le popolazioni più bellicose e meno civili dell'Impero. Sin dall'inizio dell'età imperiale erano stati impiegati in caso di guerra o per la difesa dei confini corpi irregolari di milizia indigena. Ma la diversità dell'organizzazione, del vestito e delle armi, la scarsa o nessuna conoscenza della lingua latina, l'impiego per un tempo limitato, talvolta per una sola campagna, li separavano nettamente dalla milizia ausiliaria. Questi corpi di soldatesche barbare, che, composti di fanti e di cavalieri, si chiamano sempre numeri, sono ora inquadrati nell'esercito; col loro ardore bellicoso devono compensare l'illanguidito spirito combattivo degli ausiliarî. Mantengono perciò il loro carattere nazionale; anche se trasferiti in diverso paese, si completano sempre, a differenza degli altri ausiliarî, con reclute della tribù dalla quale provengono, né adottano l'uniforme e le armi romane.
Da questi numeri traggono in gran parte origine gli auxilia dell'esercito postcostantiniano. La Notitia dignitatum registra 152 corpi di questa nuova milizia ausiliaria che consta soltanto di fanteria leggiera ed è reclutata quasi esclusivamente fra le tribù barbare stanziate nella Germania e nella Gallia. Per il loro valore gli auxilia sono considerati il nerbo della fanteria e sono anteposti alle legioni, nelle quali il servizio è più gravoso e il soldo minore. Costituiscono parte della fanteria della milizia palatina; nell'esercito di frontiera presidiano le regioni danubiane dell'Oriente e dell'Occidente; si trovano anche nelle legioni pseudocomitatensi. Nulla sappiamo della loro organizzazione, se non che erano comandati da un tribuno o da un preposito. Insieme con gli auxilia continuano a sussistere le ale e le coorti di antica formazione che sono impiegate soltanto nella difesa dei confini; le coorti equitate sono trasformate in unità di pura fanteria. Ma il numero di questi ausiliarî, sebbene Diocleziano crei nuove unità, è di molto inferiore a quello dei soldati delle legioni.
Ogni unità di milizia ausiliaria era distinta da uno o più nomi e molto spesso anche da una cifra. Tuttavia riesce talvolta difficile identificare i singoli reggimenti, sia perché reparti di egual nome presidiavano provincie diverse, sia perché parecchi avevano più di un nome, che portavano indifferentemente. Parecchie unità ausiliarie, come s'è detto, aggiungono al nome la designazione di c(ivium) r(omanorum) per indicare che un tempo i soldati dell'intera unità furono donati della cittadinanza romana; in alcune però, quasi senza eccezione coorti, quel genitivo vuol denotare che il reggimento si costituì in origine con cittadini romani.
Bibl.: Per le milizie alleate della Repubblica la trattazione più ampia è quella di J. Marquardt, Röm. Staatsverwaltung, 2ª ed., II, Lipsia 1884, p. 389 segg. Sugli ausiliarî dell'età imperiale informa ottimamente G. L. Cheesman, The auxilia of the Roman imperial army, Oxford 1914, e specialmente per l'Egitto, J. lesquier, L'armée romaine d'Égypte d'Auguste à Dioclétien, Cairo 1918, passim. Sugl'inizî della milizia ausiliaria non italica e, la sua organizzazione nel primo secolo dell'Impero, H. Dessau, Geschichte der röm. Kaiserzeit, I, Berlino 1924, p. 265 segg. Sugli ausiliarî dell'esercito post-dioclezianeo, Th. Mommsen, Gesamm. Schriften, VI, p. 206 segg.; R. Grosse, Röm. Militärgeschichte von Gallienus bis zum Beginn der byzantinischen Themenverfassung, Berlino 1920, passim; E. C. Nischer, in Journal of Roman Studies, XIII (1923), p. 1 segg. Per i privilegi ottenuti dagli ausiliarî lo studio fondamentale è quello del Mommsen in Corpus Inscriptionum Latinarum, III, p. 2006 segg.