AURORA POLARE (V, p. 376)
POLARE Le conoscenze sulle aurore polari hanno compiuto progressi notevoli per ciò che concerne sia la morfologia sia lo studio teorico sia ancora le relazioni con altri fenomeni geofisici che ad esse spesso si associano.
I principali progressi riguardano lo spettro, la natura dell'agente che le provoca e l'inquadramento della loro fenomenologia in uno schema di teoria atto a rendere ragione oltreché delle manifestazioni aurorali stesse anche dei fenomeni collaterali (perturbazioni geomagnetiche, disturbi delle radiocomunicazioni, ecc.).
Alle forme di aurora visuale già note, che sono sostanzialmente le forme a struttura non raggiata (archi e bande omogenee, ecc.), a struttura raggiata (archi e bande raggiate, cortine, corona, ecc.) e le aurore fiammeggianti che son forme di aspetto e intensità rapidamente variabili, si è aggiunta in questi ultimi anni la cosiddetta radioaurora che consiste in una intensa ionizzazione che si rileva mediante sondaggi radio con onde metriche alle quote e alle latitudini tipiche delle aurore visuali, alle quali normalmente si accompagna: le densità elettroniche delle radioaurore variano da 107 finanche a 107 elettroni/cm3. Rispetto all'aurora visuale la radioaurora presenta il notevole vantaggio di essere osservabile anche di giorno e in qualunque condizione di cielo; tuttavia la maggior parte dei risultati finora acquisiti si riferiscono alle a. visuali.
Di norma le a. sono più frequenti alle alte latitudini, intorno ai circoli polari artico e antartico; le linee isocasme, che sono le linee di uguale frequenza di apparizione, seguono con buona approssimazione l'andamento dei paralleli geomagnetici e sono centrate intorno ai poli geomagnetici (fig.1, per l'emisfero nord; fig. 2, per l'emisfero sud). Questo fatto e la netta somiglianza con la distribuzione sul globo terrestre delle intensità delle perturbazioni del campo magnetico terrestre mostrano in modo inequivocabile che le a. sono dovute a bombardamento dell'alta atmosfera da parte di una radiazione corpuscolare proveniente dallo spazio esterno alla Terra.
L'andamento della luminosità delle varie forme di a. è notevolmente diverso a seconda del tipo: i raggi, che sono le forme che si estendono maggiormente in verticale, presentano una luminosità praticamente costante per tutta la loro lunghezza, che può anche essere di qualche centinaio di km; le altre forme, invece, presentano luminosità entro assai più ristretti limiti di quote, dell'ordine di qualche decina di km. La colorazione assai varia delle a., la grande varietà e i rapidi cambiamenti che esse presentano indicano una grande complessità dello spettro aurorale. Il colore più comune è il giallo verde; non di rado però appare il rosso, l'arancio, il violetto; assai raro il blu.
La diversa intensità relativa delle varie bande e righe spettrali, le ampie variazioni che essa subisce a seconda della quota di emissione spiegano la grande varietà degli spettri osservati; in effetti sono state individuate parecchie centinaia di righe attribuibili ad atomi di ossigeno e di azoto neutri oppure una volta o due volte ionizzati: tra queste le più intense sono le righe dell'ossigeno atomico di lunghezza d'onda 5577,35 (la famosa riga verde che è nota come riga aurorale), 6300,3 Å e 6363,8 Å. Sono state anche riscontrate numerose bande dell'azoto e dell'ossigeno molecolari, queste ultime soprattutto nelle a. più basse, che compaiono a meno di 100 km dal suolo.
Assai dubbia è la presenza di righe dell'elio atomico, che pertanto deve ritenersi presente nell'alta atmosfera solo in piccola concentrazione.
Particolare importanza teorica ha la questione della presenza delle righe dell'idrogeno negli spettri aurorali: a L. Vegard (1939) è dovuta la prima segnalazione di due righe dell'idrogeno atomico, precisamente Hα Hβ appartenenti alla serie di Balmer e corrispondenti alle lunghezze d'onda 6563 e 4861 Å; tali righe, solo occasionalmente presenti, furono attribuite da Vegard ad emissione da atomi di idrogeno formatisi negli strati più esterni dell'atmosfera per ricombinazione di nuclei di idrogeno, provenienti dal Sole ed entranti nell'atmosfera stessa durante le apparizioni aurorali, con elettroni ionosferici.
Successive approfondite ricerche di A. B. Meinel, C. W. Gartlein, C. Y. Fan, D. H. Schulte hanno portato a importanti conclusioni: Meinel, in particolare, riscontrò l'effetto Doppler nella riga Hα e dedusse che gli atomi emittenti erano in moto verso il basso, con velocità dell'ordine delle migliaia di km/sec; Fan e Schulte più recentemente hanno riscontrato che le righe dell'idrogeno sono presenti solo negli archi aurorali quieti, e scompaiono quando questi si trasformano in forme di aurora a struttura raggiata. Il flusso di particelle necessario per provocare la luminosità Hα osservata è stato da varî autori stimato in 107 ÷ 108 atomi/(cm2 sec). Tale radiazione corpuscolare proviene, direttamente o indirettamente, dal Sole da cui viene emessa più o meno sporadicamente durante il suo ciclo di attività. Le ricerche di laboratorio hanno mostrato che alcune bande infrarosse dell'azoto molecolare (bande di Meinel) che si . riscontrano nello spettro dell'a. sono apprezzabilmente eccitate solo da elettroni, ciò che costituisce una prova che anche questi sono presenti nell'a.: secondo le attuali vedute la luminosità degli archi è attribuita all'emissione da parte di atomi di idrogeno, mentre quella dei raggi è attribuita all'eccitazione prodotta da elettroni. Atomi di idrogeno ed elettroni debbono avere energia sufficiente a penetrare nell'atmosfera fino a circa 100 km da Terra.
Una teoria dell'a. deve rendere ragione del meccanismo di accelerazione delle particelle che la provocano, in quanto l'energia cinetica con cui esse arrivano sull'atmosfera, quale si può valutare assumendo che esse percorrano la distanza Sole-Terra in 1-2 giorni, è di gran lunga troppo bassa perché possano penetrare profondamente nell'atmosfera.
La primitiva teoria di Hulburt (1928) che attribuiva l'a. alla radiazione ultravioletta solare è oggi completamente abbandonata. Anche la teoria proposta e dettagliatamente elaborata da C. Störmer, sebbene qualitativamente accettabile, non può essere ritenuta valida nella sua forma originaria: infatti essa studia il moto di una carica elettrica singola nel campo magnetico terrestre; peraltro, come si è detto, il flusso di particelle necessario per provocare l'aurora è molto alto, cosicché il fascio proveniente dal Sole deve essere assai esteso e deve possedere un'elevata densità di particelle: se queste fossero tutte dello stesso segno, come Störmer assumeva, gli effetti di repulsione elettrica all'interno del fascio lo disperderebbero in un tempo estremamente breve. Della teoria di Störmer va allora conservata l'idea generale, ma il fascio primario deve ritenersi costituito da particelle dei due segni, così da poter compiere il percorso Sole-Terra senza subire dispersione. In tale ordine di idee il problema matematico diventa estremamente difficile. Dal punto di vista fisico c'è da dire che la stretta connessione tra i fenomeni aurorali e le perturbazioni geomagnetiche porta alla necessità di una teoria atta a rendere ragione dell'uno e dell'altro tipo di fenomeno.
Una teoria dovuta a S. Chapman e v. C. Ferraro spiega le perturbazioni geomagnetiche come dovute all'effetto di un fascio di protoni ed elettroni solari che, in prossimità della Terra, dà origine a una corrente elettrica anulare nel piano equatoriale, distante dalla Terra circa 20.000 km e dalla quale vengono progressivamente disperse per effetto di un campo elettrico superficiale le particelle cariche che la costituiscono; queste, spostandosi lungo le linee di forza del campo magnetico terrestre, vanno appunto a incidere sull'atmosfera alle latitudini aurorali. Secondo un'altra teoria, dovuta a H. Alfven, il fascio di particelle emesso dal Sole, per la presenza del campo magnetico di questo, subisce una polarizzazione elettrostatica e ingloba al suo interno la Terra, verso la quale vengono accelerate dal campo elettrico di polarizzazione le particelle che provocano l'aurora. Ambedue le teorie accennate presentano difficoltà di interpretazione e non è tuttora possibile stabilirne i limiti di validità.
Un fatto nuovo di grandissimo interesse, acquisito assai recentemente, è la scoperta fatta mediante strumenti di misura inviati su satelliti e su sonde spaziali delle cosiddette cinture di Van Allen. Si tratta di due regioni di elevato flusso situate a notevole distanza da Terra (fig. 3) delle quali quella più interna presenta la massima densità di particelle a circa 3000 km da terra, la più esterna a circa 18.000 km. Se le condizioni rappresentate in figura siano sempre valide, oppure se e in quale misura varino con il ciclo di attività solare è un fatto che dovrà essere accertato.
L'intensità di flusso di particelle nelle cinture è di parecchie potenze di 10 maggiore di quella normale della radiazione cosmica (v. raniazione cosmica, in questa App.). Le due cinture sono per così dire adagiate sulle linee di forza del campo magnetico terrestre: i due "corni" della regione esterna vanno a insistere sulle regioni aurorali. Viene allora spontaneo pensare che le particelle che provocano l'aurora polare siano particelle che sfuggono dai due "corni"; il rifornimento più o meno continuo del serbatoio che costituisce la cintura esterna sarebbe il Sole, nel senso che le particelle da questo provenienti restano intrappolate nella cintura dalla quale poi, ìn virtù di processi ancora non chiari, potrebbero essere espulse verso Terra. Circa la cintura interna essa è probabilmente di diversa origine, in quanto sarebbe costituita da particelle di decadimento radioattivo di neutroni prodotti dai raggi cosmici nell'alta atmosfera. Vedi Tav. f. t.
Bibl.: L. Harang, The aurorae, Londra 1951; C. Störmer, The polar aurora, Londra 1955; F. Mariani e F. Molina, L'aurora polare, in Annali di geofisica, XII (1959), p. 389-437.