PRUDENZIO CLEMENTE, Aurelio (Aurelius Prudentius Clemens)
Su di lui, chiamato "christianorum Maro et Flaccus" (Bentley), non abbiamo se non le notizie ch'egli stesso ci dà nel Carme prefatorio alle altre poesie, quanto traspare da passi delle sue opere, e una breve notizia di Gennadio. Nacque nel 348, da famiglia illustre, certo spagnola: si può scegliere tra le città di Saragozza e Calahorra. Dopo la puerizia dedita agli studî, fu retore e avvocato; attraversò un periodo di dissolutezza; ebbe posti elevati nell'amministrazione provinciale, quindi a corte; vi rinunciò in età di 57 anni, nel 405, per dedicarsi tutto alla poesia, quando aveva terminato o almeno portato molto innanzi la composizione di tutte le sue opere, eccetto probabilmente la Psychomachia, alla quale è difficile trovare un'allusione precisa, nel Carme prefatorio, e il Dittochaeon.
Delle sue opere, il Cathemerinon è una raccolta di 12 inni, 6 dei quali relativi ai diversi momenti della giornata (canto del gallo, mattino, prima e dopo il pasto, accensione delle lampade, prima del sonno); gli altri, relativi al digiuno (VII e VIII, quest'ultimo per l'ora nona, che ne segna la fine), in lode di Cristo, per i morti, per il Natale, per l'Epifania. Ma l'opera più largamente nota di P. è il Peristephanon ("Sulle corone", s'intende, dei martiri): sono 14 inni, in onore di martiri romani (dei quali P. vide i monumenti, con le iscrizioni metriche laudatorie di papa Damaso, che spesso si contenta di parafrasare: inni II, IX, XI, XII, XIV per i santi Lorenzo, Cassiano, Ippolito, Pietro e Paolo, Agnese) o spagnoli (inni I, III, IV, V, VI, VIII in onore di S. Eulalia di Mérida, dei 18 martiri di Saragozza, del diacono Vincenzo di Saragozza, di S. Fruttuoso vescovo di Tarragona, e dei martiri di Calahorra) o di altri luoghi (inni VII, X, XIII per S. Quirino vescovo di Siscia in Pannonia, S. Romano diacono di Cesarea, S. Cipriano; secondo J. Bergman, il X circolò dapprima come un libro a sé e sarebbe ricordato a parte nella Prefazione). L'Apotheosis confuta eresie trinitarie e cristologiche e gli Ebrei, e ha lunghe digressioni sui miracoli di Cristo e la natura e il destino dell'anima; l'Hamartigenia tratta dell'origine del male, soprattutto contro il dualismo marcionita; i due libri Contra Symmachum riesumano la celeberrima controversia per l'altare della Vittoria, e combattono il morente paganesimo romano; il Dittochaeon, dal titolo alquanto ambiguo (διττός "doppio" e ὀχή "nutrimento", con allusione all'Antico e al Nuovo Testamento) spiega in 49 quartine di esametri 24 scene del primo e 25 del secondo; si tratta forse di spiegazioni per una serie di affreschi o musaici. Di un Hexaemeron ricordato da Gennadio non si sa nulla. Infine la Psychomachia vorrebbe descrivere le lotte tra i vizî e le virtù che tormentano l'animo del cristiano, ma la primitiva concezione si allarga, e in sostanza P. descrive piuttosto la lotta tra cristianesimo e paganesimo, terminando col trionfo della Fede; il che produce anche un certo squilibrio di ordine estetico e rende talvolta artisticamente incoerenti quelle sue personificazioni di personaggi astratti, per cui egli è così importante per la storia della cultura, specie dell'allegoria medievale.
Questo è del resto il punto più debole dell'arte di P. Egli è poeta eminentemente frammentario: a volte tocca davvero la poesia, sia che lo infiammino il suo sentimento cristiano e l'ammirazione per i martiri; sia che con elementi realistici faccia parlare la Superbia o derida le Vestali invecchiate; sia che celebri, con un amore entusiastico, lo splendore della Roma cristiana e le glorie dell'Impero che, unificando le varie genti del mondo, preparò il trionfo di Cristo. Tale è il suo amore per Roma, da renderlo ottimista circa le sorti dell'Impero, e da indurlo a riconoscere anche il bene compiuto, in politica, da Giuliano l'Apostata. Ma P. è poeta dotto: non solo fiero della sua conoscenza del greco, ma interamente radicato nel terreno della tradizione classica: riprende metri oraziani e catulliani (specie nelle prefazioni ai poemi), imita continuamente Virgilio e altri poeti. Si dilunga in sviluppi retorici, in discorsi interminabili, in spiegazioni: vuole istruire. È dunque lontano dalla semplicità degl'innologi e si comprende che ben poco della sua poesia sia entrato nell'uso liturgico della Chiesa. Per contro, sa esporre idee teologiche, ed è abbastanza efficace nel combattere le eresie. Non è, s'intende, un pensatore originale, anzi, è alquanto in ritardo: dipende molto da S. Ambrogio, le eresie di cui parla - salvo il priscillianesimo, ma poi è dubbio che vi faccia davvero allusione - sono quelle combattute da Tertulliano; non molto profondo è, in complesso, l'influsso esercitato su lui da S. Agostino. Ma non è, tutto sommato, un indegno continuatore della tradizione della poesia didascalica latina, con un sentimento profondamente romano in veste ancora volutamente classica.
Bibl.: Edizione critica di J. Bergman, Vienna-Lipsia 1926 (Corpus Scriptor. Ecclesiast. Latin., 61); del Peristephanon, trad. it. di C. Marchesi, Le corone di Prudenzio, Roma 1917. Su P.: A. Puech, Prudence, Parigi 1888; F. X. Schuster, Studien zu Pr., Friburgo in B. 1909; O. Hoefer, De Pr. Psychomachia et carminum chronologia, Marburgo 1895 (dissert. in Historisches Jahrb., XVII, p. 441 segg.); A. Melardi, La Psychomachia di Pr. ecc., Pistoia 1900; G. L. Bisoffi, Il "Contra Symmachum" di A. Pr. Cl., Treviso 1914; F. Ermini, Peristephanon, studi prudenziani, Roma 1914; I. Bergman, Emendationes prudentianae, in Eranos, XII, p. 111 segg.; E. K. Rand, P. and Christian Humanism, in Transactions Amer. philol. assoc., 1920, p. 71 segg.; H. J. Thomson, Prudentius' Psychomachia, in Proceedings Class. assoc., 1929, p. 37; S. Colombo, De Pr. Cl. codicibus mss... in Bibl. Ambrosiana, in Didaskaleion, 1927, pp. 1-30; H. Woodruft, Illustrated mss. of Pr., Cambridge (Mass.) 1929; J. Bergman, A. Pr. Cl., in Acta et commentat. univers. Dorpatensis (Tartu), II, i (1922); R. J. Deferrari e J. M. Campbell, A concordance of P., Cambridge (Mass.) 1932; G. Meyer, Prudentiana, in Philologus, LXXXVII (1932), pp. 249 segg., 332 segg.