PADOVANI, Aurelio
PADOVANI, Aurelio. – Nacque a Portici (Napoli) il 28 febbraio 1889, da Vincenzo e da Maria Annunziata Braccioli.
In un documento della Pretura di Napoli del 1921 (Picardo, 2003, Appendice documentaria, p. n. n.) è indicato come in possesso della licenza elementare, anche se successivamente sembra sia riuscito a ottenere il diploma di perito industriale. Nel 1910 sposò Ida Archinard, maestra, dalla quale ebbe sei figli.
All’età di 18 anni, si arruolò come volontario con il grado di allievo ufficiale nell’11° reggimento bersaglieri. Nel 1911 partecipò alla campagna di Libia, durante la quale fu promosso tenente e ottenne una medaglia d’argento. Tornato a Napoli dopo la guerra, in occasione della ‘settimana rossa’ antimilitarista del 1914, prese parte, assieme a un plotone dell’11° reggimento bersaglieri, al corteo degli ‘uomini d’onore’ organizzato dal quotidiano Il Mattino di Napoli. Durante la Grande Guerra combatté nel corpo dei bersaglieri, mettendosi in evidenza per il suo coraggio, tanto da venir promosso capitano e ottenere quattro medaglie d’argento.
Affiliatosi alla massoneria di palazzo Giustiniani, nel 1919-20 aderì a vari movimenti politici e combattentistici, fino a iscriversi al Fascio napoletano il 4 aprile 1920. All’interno del Fascio fece una veloce carriera, che lo portò a essere segretario dal marzo 1921 al maggio 1923, segretario federale dall’ottobre 1921 al 20 gennaio 1923, nonché comandante delle squadre d’azione. Sotto la sua gestione vi fu un significativo aumento degli iscritti e delle sezioni del Fascio napoletano.
Tra il 1920 e il 1922 Padovani fu in prima linea nel guidare le spedizioni squadriste nella provincia di Napoli: lo squadrismo, nella sua visione politica, era uno strumento per distruggere la rete sindacalista avversaria e conquistare il consenso delle masse operaie alla causa nazionale-patriottica. Nel frattempo si impegnò infatti nell’organizzazione dei lavoratori all’interno dei sindacati fascisti, soprattutto nel settore degli operai portuali e dei trasporti, scontrandosi in questa azione non solo con i sindacati di sinistra ma anche con quelli legati ai legionari fiumani e provocando qualche malumore pure nella parte padronale.
Nelle elezioni politiche dell’aprile 1921, la lista promossa dal Fascio napoletano ottenne l’apprezzabile risultato di 5098 voti. Nello stesso periodo emersero i primi contrasti tra fascisti e nazionalisti, che si risolsero a vantaggio del fascio. Durante le trattative per il cosiddetto patto di pacificazione tra i fascisti e il Partito socialista, Padovani fu tra i fautori della linea mussoliniana favorevole all’accordo, salvo riservarsi di denunciarlo alla prima provocazione della parte avversaria.
Fu il principale organizzatore del congresso nazionale del Partito nazionale fascista (PNF) che si tenne a Napoli dal 24 al 26 ottobre 1922 e che precedette la marcia su Roma (28 ottobre). Nel corso dell’assise, si rammaricò per le dichiarazioni a favore della monarchia fatte da Mussolini, anche se non prese una posizione di critica esplicita. La nomina a comandante delle squadre della Campania per la marcia su Roma sembrò sancire la sua vittoria politica.
All’inizio del 1923 divenne Alto commissario politico per il fascismo in Campania e nel febbraio dello stesso anno luogotenente generale della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (MVSN) e comandante della XII zona. Al tempo stesso le segreterie federali delle principali città campane furono affidate a uomini a lui fedeli, mentre la sua linea politica aveva come organi di stampa il periodico L’Azione fascista e il quotidiano Il Mezzogiorno, diretto da Giovanni Preziosi e con l’autorevole firma di Maffeo Pantaleoni.
Grazie al controllo delle squadre d’azione (poi confluite nella Milizia), dei sindacati e dei principali organi politici locali, Padovani fu in grado di portare avanti una politica fortemente intransigente nei confronti di proposte politiche alternative al fascismo e soprattutto di esclusione delle vecchie clientele da ogni forma di gestione del potere. La contrapposizione più aspra si ebbe in occasione della fusione tra PNF e Associazione nazionalista italiana.
Se a Napoli e nelle altre città campane la forza di Padovani era significativa, molto minore lo era nelle campagne, dove le vecchie classi dirigenti trovavano il loro referente politico nel movimento nazionalista, guidato dall’onorevole Paolo Greco. L’intransigenza fascista nei confronti dei nazionalisti fu riaffermata in varie occasioni non solo da parte di Padovani, ma dei massimi esponenti del partito campani. La crisi assunse in alcuni frangenti anche caratteristiche violente, con scontri tra milizie fasciste e nazionaliste.
Il 17 febbraio 1923 Padovani presentò – in ottemperanza alle direttive del Gran consiglio del fascismo – le dimissioni dalla massoneria e per scrupolo anche quelle da luogotenente generale e da ogni altra carica politica, che furono respinte dopo una settimana. Interpretò tuttavia la fusione tra PNF e Associazione nazionalista come una condanna della propria linea politica, mentre i nazionalisti vedevano nella sua opposizione una connotazione antigovernativa e antimussoliniana. Il 19 maggio 1923 si dimise da ogni carica nel fascismo e nella Milizia, pur confermando la sua fedeltà a Mussolini, una decisione che provocò in Campania una serie di dimissioni a catena dei principali capi politici, sindacali e della Milizia e anche di decine di semplici fascisti: una testimonianza del carisma di Padovani e dell’attaccamento nei suoi confronti. Davanti a queste dimissioni in massa fu lo stesso Padovani a ordinare ai suoi uomini di rientrare nel fascismo, cosa che il 25 maggio gran parte dei dimissionari aveva già fatto.
Come sostenuto dalla storiografia più autorevole, Mussolini fu ben disposto a sacrificare Padovani e il suo progetto politico al fine di ottenere l’appoggio di liberali e nazionalisti meridionali al fascismo, quanto mai necessario alla vigilia dell’approvazione della nuova legge elettorale.
A nome del Gran consiglio del fascismo e dello stesso Mussolini, nell’ottobre 1923 Cesare Rossi tentò una ricomposizione con Padovani e gli offrì il comando della Milizia di Bologna, ma Padovani respinse l’offerta (Cesare Rossi a Mussolini, 21 ottobre 1923, in Arch. Centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 47). Per esplicito ordine di Mussolini la decisione pose definitivamente fine a ogni possibilità di riammissione nel PNF. Al contrario di altri fascisti espulsi, però, Padovani si mantenne di fatto sempre fedele a Mussolini e non assunse la guida di movimenti dissidenti, neanche durante la crisi seguita all’omicidio di Giacomo Matteotti (1924). Dopo la sua espulsione, cessò ogni attività politica attiva e si dedicò soprattutto all’intermediazione commerciale. Ciononostante fu sottoposto a una costante sorveglianza da parte della polizia.
Pur lontano dalla politica, restò a lungo un punto di riferimento del fascismo napoletano e fu oggetto di numerose attestazioni di stima da parte di fedeli e simpatizzanti. Proprio in occasione di una di queste manifestazioni, il 16 giugno 1926, morì in seguito al crollo della terrazza della sua abitazione napoletana, mentre stava salutando i suoi sostenitori.
I funerali risultarono imponenti, con la partecipazione di migliaia di napoletani e di fascisti. Mussolini e i principali gerarchi inviarono telegrammi di condoglianze. L’incidente innescò i sospetti di un complotto volto a eliminare un personaggio tanto scomodo quanto popolare ma le inchieste successive confermarono la tesi del mero crollo strutturale.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 17, ad nomen; Ministero dell’Interno, Direzione generale di Pubblica sicurezza, Divisione affari generali e riservati, anno 1922, b. 138; anno 1923, bb. 76, 93; anno 1925, b. 123; anno 1926, b. 109; ibid., A1, 1926, b. 13; Gabinetto Finzi, Ordine pubblico, b. 12; Fondo Michele Bianchi, b. 2. Uno dei primi a trattare la figura di Padovani è stato G. Dorso, La rivoluzione meridionale, Torino 1925, pp. 94-109; un profilo di Padovani è in M. Franzinelli, Squadristi. Protagonisti e tecniche della violenza fascista, 1919-1922, Milano 2003, pp. 245 s.; dichiaratamente apologetico ma interessante per i documenti raccolti, G. Picardo, A. P. il fascista intransigente, Napoli 2003; si vedano anche le informazioni contenute in M. Missori, Gerarchie e statuti del Pnf, Roma 1986, ad indicem. Per una ricostruzione generale, R. De Felice, Mussolini il fascista, I, La conquista del potere, 1921-1925, Torino 1965, ad ind.; A. Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929, Roma-Bari 1982, ad ind.; S. Lupo, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Roma 2000, ad indicem. Per un quadro della situazione napoletana, R. Colapietra, Napoli tra dopoguerra e fascismo, Milano 1962, ad ind.; P. Varvaro, Una città fascista. Potere e società a Napoli, Palermo 1990, ad ind.; G. De Antonellis, Napoli sotto il regime. Storia di una città e della sua regione durante il ventennio fascista, Milano 1972; qualche accenno in M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli: 1911-1915, Firenze 1971. Sulla situazione nelle altre città campane, M. Bernabei, Fascismo e nazionalismo in Campania, Roma 1975, ad ind.; Il pensiero di Mussolini su Padovani in Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani, Bologna 1990, ad indicem.