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ORSI, Aurelio

di Franco Pignatti - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 79 (2013)
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ORSI, Aurelio

Franco Pignatti

ORSI, Aurelio. – Nacque a Stabia, oggi Faleria, in provincia di Viterbo, tra il 1547 e il 1557.

L’arco temporale in cui si situa la data di nascita si stabilisce in base all’età, compresa tra i 12 e i 22 anni, in cui i giovinetti erano accettati nel Seminario romano. Orsi vi entrò il 25 marzo 1569, a istanza del cardinale Alessandro Farnese, abate commendatario dell’abbazia di Farfa, nella cui giurisdizione ecclesiastica rientrava il comune di Stabia. Nonostante l’origine sabina, nei frontespizi delle sue opere a stampa si fregiò dell’appellativo di ‘romano’.

Suo fratello fu il pittore Prospero, secondo quanto si ricava dalle Considerazioni sulla pittura di Giulio Mancini (scritte a Roma tra il 1620 e il 1621), dove è menzionato il servizio di Aurelio presso il cardinale: «hebbe un fratello segretario dell’illustrissimo Farnese dal quale fu amato per il valor della professione e per il costume di fedeltà, et appresso fu un gentilissimo poeta tanto latino quanto vulgare, come si vede dalle sue poesie stampate» (Mancini, 1956, I, pp. 251 s.). Specializzato in grottesche, da cui il soprannome Prosperino delle grottesche (Prosperino perché di bassa statura, Marini, 2005, p. 108 n. 48), nella bibliografia è indicato talora come nativo di Brescia, per confusione con lo scultore Prospero Antichi, detto Bresciano, attivo a Roma negli stessi anni. Il suo nome appare nei registri dell’Accademia di S. Luca dal 1607 fino al 1633, probabile anno della morte, forse a Roma. Poiché Baglione (1642, p. 300) lo dice morto settantacinquenne, la nascita dovrebbe risalire al 1558. Collaborò con Giuseppe Cesari (il Cavalier d’Arpino), prima di rompere con lui e divenire amico di Caravaggio. Tra il 1591 e il 1597 risulta stipendiato dal cardinale Alessandro Peretti Montalto. Baglione (ibid., p. 299) gli attribuisce diversi lavori eseguiti in gioventù su commissione di Sisto V: nella Scala Santa, nella loggia delle Benedizioni in S. Giovanni in Laterano, nel palazzo del Laterano e nella biblioteca Vaticana. Tra il 1601 e il 1602 lavorò alla decorazione musiva della cupola della cappella Clementina nella basilica di S. Pietro. Nel mandato di pagamento del 1601 (Città del Vaticano, Arch. della Fabbrica di S. Pietro, Arm. 17, D.12, c. 32r), molto generico, non è indicata la sua qualifica ma il suo nome è compreso nell’elenco dei mosaicisti. Nel mandato del 1602 (ibid., Arm. 26, A.172, c. 27r) è invece segnalato come pittore, ed è pagato per aver realizzato gli stemmi papali Aldobrandini negli spicchi della volta (non è specificato se per i disegni o per avere realizzato i mosaici, ma è più probabile la prima ipotesi).

Mancini accenna anche a un secondo fratello: «un altro era valoroso capitano alla [...] reale» (p. 252). In effetti, nei Poemata di Orsi (Parma, E. Viotti, 1589, cc. 48v-50r) si legge l’elegia Taenariis alius ponat sibi tecta columnis in morte del fratello Giordano, il quale, pare di capire, partecipò alla battaglia di Lepanto e perì durante il viaggio di ritorno verso Napoli. Militava dunque nella flotta spagnola del Viceregno. Nella medesima elegia sono ricordate anche la madre e una sorella, Orinzia, andata sposa a Girolamo Vittrici da Parma, sottoguardaroba di pontefici da Gregorio XIII a Paolo V.

In seminario Orsi studiò per undici anni umanità e filosofia; in quest’ultima disciplina si addottorò il 18 luglio 1576 e quindi in teologia nel 1580. Non ci sono prove che abbia preso gli ordini sacri. Fu di salute cagionevole: «semper valetudinarius» lo descrivono gli Annales ecclesiasticorum (c. 102v) e il medico Castore Durante il 1° agosto 1587 gli raccomanda per lettera «V.S. attenda alla sanità, et a trastullarsi allegramente con le Muse» (Vat. Barb. lat. 2039, c. 64v). Terminati gli studi, fu accolto nella corte del cardinale Farnese e fino alla morte del protettore (2 marzo 1589) visse per lo più nel palazzo di Caprarola, dove si mise in luce per le sue doti di elegante e anche facile verseggiatore. Nella Pinacotheca l’Eritreo (1645) riporta che era solito dare fuori versi ex tempore nelle riunioni e nei convivi offerti dal suo padrone nei mesi estivi. La generosa protezione ricevuta da Farnese è ricordata post mortem nella dedica dei Poemata al nipote Ranuccio, reggente del ducato di Parma e Piacenza per l’assenza del padre Alessandro: «dum in Alexandri Card. Farnesii patrui tui Aula, iucundo, ac diuturno literarum otio fruerer».

Una partecipazione occasionale si deve considerare l’epigramma, poi accolto nei Poemata (c. 60r), stampato nelle Corone, et altre rime in tutte le lingue principali del mondo in lode di Luigi Ancarano, rettore della facoltà di legge dell’Università di Padova (Padova, L. Pasquati, 1581, p. 243). Curiosa, invece, la presenza di Orsi con due sonetti e due madrigali nel Raccolto d’alcune piacevoli rime, a cura di Erasmo Viotti (Parma, Er. di S. Viotti, 1582), antologia di orientamento genovese, a cominciare dalla dedica del curatore al patrizio Giulio Pallavicino, storico e letterato, fondatore dell’Accademia degli Addormentati nel 1587, e per la prevalenza di autori di quella città. L’epiteto ‘romano’ che segue il nome di Orsi esclude un caso di omonimia, d’altro canto due rubriche – «Sopra il balar d’una signora genovese» e «Alla signora Lelia Pallavicina» – confermano la pertinenza delle poesie orsiane al volume. A ribadire la liaison genovese intervengono una lettera del letterato napoletano Paolo Emilio Santoro (nipote del cardinale Giulio Antonio) a Orsi del 14 gennaio 1581 (Barb. lat. 4009, c. 34r), in cui si fa menzione di due sonetti di Orsi in morte del padre di Giulio Pallavicino, Agostino, e l’epigramma Aut praecepta leges, aut facta imitabere, Iuli (Poemata, c. 68r), sul Reggimento del padre di famiglia di Francesco Tommasi da Colle Val d’Elsa, apparso a Firenze nel 1580 con dedica a Pallavicino. Le rime orsiane del Raccolto confluirono poi nelle Rime piacevoli di Cesare Caporali, del Mauro et d’altri auttori, fortunata antologia di poeti burleschi ristampata numerose volte tra XVI e XVII secolo (per esempio Ferrara, B. Mamarello, 1590, pp. 224-226; per lo stesso Viotti nel 1592; Venezia, M.A. Bonibelli, 1595; ibid., G. Imberti, 1637, pp. 203-205).

Come poeta di corte del cardinale Farnese, Orsi fu impiegato a celebrare le imprese militari del nipote omonimo, condottiero dell’esercito spagnolo in Fiandra. Con il poema encomiastico De bello Belgico, sulla presa di Anversa (17 agosto 1585), e sei epigrammi partecipò alla Raccolta di diverse compositioni sopra le vittorie acquistate in Fiandra dal Serenissimo Alessandro Farnese duca di Parma et di Piacenza, etc. (Parma, E. Viotti, 1586, pp. 81-118), ma è presente anche nella sezione volgare con i sonetti Tu, ch’a l’eternitate in grembo vivi e Signor, tu vinci, e la vittoria è tale (p. 35). Nello stesso 1586 il De bello Belgico apparve anche a Perugia, per i tipi di Andrea Bresciano, in una stampa precedente quella parmense, se nella premessa l’editore dichiara di essersi deciso a pubblicare il poema, composto «mira celeritate», poiché l’autore, «tanta eius est modestia», non si sarebbe mai deciso a darlo alle stampe. Se le date permettono una valutazione obiettiva della prima affermazione, la seconda attesta che la stampa perugina fu eseguita senza il concorso dell’autore. Sul frontespizio al nome di Orsi segue la qualifica di «Academicus Insensatus» e «Insensatae Academiae alumnus» lo dice la premessa; poiché in apertura si legge un epigramma in lode dell’opera dell’Insensato Vespasiano Crispolti, è probabile che questi fosse il responsabile dell’iniziativa (l’8 luglio 1590 Orsi mandò in lettura a Maffeo Berberini l’epigramma Ne quisquam extinctum terris putet oris honorem, «sopra un putto perugino fatto ad instanza del S.r Vespasiano Crispolti», in Barb. lat. 6473, c. 115v).

La fondazione della perugina Accademia degli Insensati risalirebbe al 1561, ma l’attività si intensificò solo a partire dal 1592 con la nomina a principe di Cesare Crispolti, sotto la cui guida gli interessi degli accademici si allargarono a più campi e nei loro ranghi furono accolte personalità esterne al mondo perugino, attive in diverse discipline. La data del 1586 è precoce rispetto al nuovo indirizzo assunto dal sodalizio ed è da escludere che Orsi abbia contribuito di persona alle attività accademiche. Il suo nome rimase tuttavia legato al cenacolo, se nel 1606 i Poemata del 1589 furono riproposti postumi sotto il principato di Crispolti nella raccolta degli Academicorum Insensatorum carmina (Perugia, «Apud Academicos Augustos»), insieme con poesie di Maffeo Barberini, Melchiorre Crescenzi, Claudio Contulio, Giovan Battista Lauri, Vincenzo Palettari, Marco Antonio Bonciari. Il volume è dedicato al cardinale Carlo Emanuele Pio di Savoia, anch’egli accolto tra gli Insensati, al quale è indirizzato un ampio paratesto costituito da una lunga dedica di Giuliano Castagnacci, un epigramma di Contulio e un Protrempticon di Lauri. Curatore del volume fu Castagnacci, personaggio tuttora oscuro, ma il progetto di dare alle stampe i Poemata orsiani risaliva a qualche anno prima, poiché ne tratta Bonciari (1603, pp. 214-218) in una lettera a Vespasiano Crispolti, ristampata in calce al volume del 1606.

Nella raccolta perugina Maffeo Barberini (il futuro pontefice Urbano VIII) pubblicò per la prima volta una raccoltina dei suoi Carmina, a cui teneva particolarmente e non rinunciò neppure quando divenne papa (mentre le rime furono accantonate). Raggiunto a Roma lo zio Francesco, protonotaro apostolico, nel 1584, il giovane Barberini, desideroso di approfondirsi nella poesia latina, entrò in contatto con Orsi e gli sottopose i propri componimenti latini per avere consigli ed emendamenti. Cinque lettere di Barberini dirette a Orsi, a Caprarola, da Roma tra il 5 settembre 1586 al 17 settembre 1588 (trasmesse dal Barb. lat. 4009, cc. 17r-25v ed edite in Castagnetti, 1993; cui si deve aggiungere la lettera di Orsi a Barberini da Caprarola, 31 agosto 1586, in Barb. lat. 6473, c. 91r), documentano questo rapporto, officioso ma dai toni cordiali. I contatti non si interruppero con il passaggio di Orsi alle corti farnesiane di Parma e Piacenza nel 1589, da dove ci sono giunte lettere, ancora su argomenti letterari, inviate da Orsi a Barberini tra il settembre 1589 e il gennaio 1591 (Barb. lat. 6473, cc. 92r-128v). La presenza di Barberini nella silloge perugina configura dunque il riconoscimento di un rapporto maestro-discepolo che doveva essere pubblico e che il futuro papa non aveva ragione di disconoscere.

Nel 1588 vide la luce, a Roma per Giovanni Martinelli, il poemetto Perettina sive Sixti V Pont. Max. Horti Esquilini, dedicato da Orsi alla villa fatta erigere tra il 1576 e il 1581 presso le terme di Diocleziano dal cardinale Felice Peretti Montalto, prima di divenire pontefice con il nome di Sisto V (1585). L’opera era conclusa già il 4 settembre 1583, poiché Giulio Roscio scrive a Orsi di averla letta (Vat. Barb. 2096, c. 2r), ma probabilmente l’autore continuò a lavorarvi sopra, a giudicare dai numerosi testimoni che si conservano, spesso difformi dalla stampa (tra gli altri l’autografo Barb. lat. 2039, cc. 1r-18r; un frammento autografo nel Barb. lat. 1850, cc. 250r-253r; Roma, Biblioteca nazionale, Gesuitico 125, cc. 353r-359v).

Il titolo designa sia la villa e i suoi splendidi giardini sia la ninfa che ne è custode. Abbandonato il registro epico del De bello Belgico, con la Perettina Orsi si riallaccia alla poesia latina classica e umanistica di descrizioni di ville e di loci amoeni, trovando nella miscela di erudizione mitologica, scritturale e letteraria, unita alla particolare efficacia icastica del verso, le sue note più congeniali. Il poema celebra l’impresa edificatoria di Peretti, che veniva a costituire il più grande complesso architettonico moderno entro la cinta delle mura Aureliane, collegato al ripristino dell’acquedotto romano (che dal nome del pontefice prese il nome di Acqua Felice), destinato a servire la villa e alcune zone della città. Viene descritta la parte della villa dove è situato il primo palazzo, non essendo stato ancora costruito il secondo sulla piazza delle terme di Diocleziano, e la descrizione si limita a sei stanze, alla cappella e ai giardini, non si può essere certi se per una precisa scelta dell’autore o se egli intendesse dare seguito all’opera. Guido Gualtieri annotò in margine alle sue Ephemerides del pontificato di Sisto V (limitate al gennaio-febbraio 1588): «Aurelius Ursus edidit iam Carmina... in Perettinam hanc villam, edetque adhuc longe plura» (Roma, Bibl. Vallicelliana, Mss., I.60, c. 176v) e poiché nella sua perduta biografia di Sisto V, già conservata nella Biblioteca Altieri di Roma, egli definì Orsi «mihique amicissimus» (cit. in Massimo, 1836, p. 141 n.), la testimonianza è degna di nota.

Corredano la Perettina un manipolo di epigrammi che celebrano altri due interventi urbanistici realizzati da Peretti divenuto pontefice. Il primo è dedicato alla statua di Mosé collocata nel fornice centrale della mostra dell’Acqua Felice sul Quirinale (oggi in largo S. Susanna), il cui progetto, di Prospero Antichi, risaliva al 1587 e fu realizzato nel 1588. Altri quattro epigrammi celebrano l’obelisco fatto erigere da Sisto V al centro della piazza di S. Pietro nel 1586 (già apparsi in Sequuntur carmina a variis auctoribus in obeliscum conscripta et in duos libros distributa, Roma, B. Grassi, 1586, pp. 59 s.).

In premio della Perettina Orsi sarebbe stato remunerato da Sisto V con una pensione di 100 scudi l’anno (Annales ecclesiasticorum, c. 102r), cosa che non sembra del tutto verosimile, dato che Orsi non si allontanò mai dal servizio del cardinale Farnese. Prodotto estremo della committenza letteraria del cardinale Alessandro fu la raccolta di 240 epigrammi sotto il titolo Caprarola, dedicata alla sontuosa residenza dei Farnese, dove il cardinale si ritirò nell’ultimo periodo di vita. La Caprarola era quasi giunta al fine il 4 agosto 1588, quando Maffeo Barberini se ne rallegrò per lettera con l’autore, e il giorno 20 annunciò di avere scritto a Firenze per trovare un editore. L’opera ebbe una certa notorietà (il 20 gennaio 1590 Orsi scrive a Barberini di averne inviata una copia a Brescia a un gesuita che l’aveva richiesta, in Barb. lat. 6473, c. 95r) ed è testimoniata da un cospicuo numero di codici, per lo più con una grande quantità di varianti, sia nei testi sia nel loro ordinamento, il che prova che l’elaborazione fu complessa. Ancora negli anni Venti del Seicento Maffeo Barberini se ne fece trascrivere un esemplare calligrafico, l’attuale Barb. lat. 1794 (Caprarola epigrammatis illustrata, precede un epigramma di dedica di Alessandro Vittrici, evidentemente parente di Girolamo, cognato di Orsi; Weber, 1994, p. 982). Rimasta inedita, fu pubblicata per la prima volta da Giuseppe Cugnoni nel 1907 in una redazione meno ampia tratta dal ms. Vat. Chigiano I.V.191 (Centonovantuno epigrammi latini d’autore ignoto che illustrano le opere d’arte del Palazzo Farnese in Caprarola, in Bullettino della Società storica filologica romana, X [1907], pp. 65-114). L’edizione maggiore vide la luce a Roma nel 1935 a cura di Fritz Baumgart (La Caprarola di Ameto Orti, in Studi romanzi, XXV [1935], pp. 77-179), che utilizzò un codice, giudicato della fine del XVI o del principio del XVII secolo, allora di proprietà del custode del palazzo e ora disperso, ma assegnò l’opera a un Ameto Orti, come leggeva nella prima carta del manoscritto. Jacob Hess (1966, p. 27) ha riconosciuto per primo l’identità di Ameto Orti con Orsi, pensando a uno pseudonimo, ma oggi prevale il giudizio che si tratti di un errore paleografico.

L’opera di Orsi aveva un precedente nella Caprarola di Lorenzo Gambara (Roma 1581), che si presentava come una illustrazione delle bellezze dell’edificio e del giardino racchiusa nella misura del poemetto didascalico di tradizione latina, al quale la patina pastorale conferiva unità narrativa e stilistica. Concepita come una successione di immagini che ritraggono le attrattive della dimora farnesiana in una visita ideale in cui viene condotto uno hospes immaginario, la Caprarola orsiana presenta una struttura differente e si distingue anche dalla Perettina. Rispetto al poemetto sulla villa di Sisto V, Orsi aderisce con più radicalità alla formula ecfrastica, descrivendo la decorazione pittorica e statuaria in una serie di ritratti autonomi, che letti in successione forniscono un itinerario completo della villa. Tale struttura accentua la componente artificiosa e concettistica, consentanea al metro dell’epigramma, ma anche il contenuto encomiastico, con il rilievo dato a personaggi della famiglia Farnese e alle loro imprese, su cui è imperniato l’apparato iconografico di Caprarola.

Dopo la morte del cardinale Alessandro, compianto negli In Alexandri Cardinalis Farnesii funus Aurelii Ursii Romani tumuli (Roma, T. e P. De Dianis, 1589), Orsi passò alla corte di Odoardo Farnese, destinato a divenire cardinale solo il 6 marzo 1591. Il 20 gennaio 1591, da Piacenza, scriveva a Barberini «Io sto al solito aspettando che il mio Padrone diventi Card.le et che si ritorni a Roma» (Barb. lat. 6473, c. 125r). Abbandonata la dimora di Caprarola, continuò dunque a esercitare i suoi servigi in favore dei Farnese, muovendosi tra le corti di Parma e Piacenza, dove, sulla base del carteggio superstite, risulta presente tra il settembre 1589 e il gennaio 1591.

Al 1589 risale una Canzone sopra le nozze dell’ill.mo sig. Lotario Conti marchese di Patrica et dell’illustriss. sig. Clarice Orsina (Reggio Emilia, E. Bartoli; Lotario era figlio di Torquato e di Violante Farnese, figlia naturale di Ottavio; fu educato alla corte del cardinale Alessandro e militò nelle Fiandre sotto Alessandro). A Parma, lo stesso anno per Erasmo Viotti, uscirono i Carminum libri VIII, con dedica al duca Ranuccio. In principio del volume si leggono una lunga ode e un epigramma di Maffeo Barberini in lode di Orsi, seguiti da epigrammi di Lorenzo Frizolio, Gerolamo Fiorelli, Melchiorre Crescenzi, Latino Doni, Giacomo de’ Cavalieri.

Il volumetto presenta un contenuto assai vario. Oltre al De bello Belgico e alla Perettina, nel metro lungo dell’esametro, contiene un carme In diem Annunciationis b. Virginis e uno In studiorum restaurationem entrambi «ad Romanam iuventutem» (preceduti dalla dedica in versi al cardinale Giulio Antonio Santoro), che sono da ricondurre agli anni trascorsi nel Seminario romano; un epitalamio per le nozze, nel 1585, del signore di Sassuolo Marco Pio di Savoia con Clelia Farnese (figlia naturale del cardinale Alessandro Farnese); un poemetto per Niccolò Pallavicino su richiesta di un amico e uno In quendam furiosum. Segue un libro di odi di soggetto sacro a Odoardo Farnese e un libro di elegie, tra le quali una In Natalem diem b. Virginis ad Seminarii Romani iuventutem e di nuovo una in Restaurationem studiorum. I quattro libri di epigrammi non presentano una divisione rigida. Oltre alle poesie dedicate a esponenti della famiglia Farnese, se ne leggono in morte di Sebastiano di Portogallo e sull’orazione pronunciata da Achille Stazio sull’evento, sulla Colombiade di Lorenzo Gambara, su una malattia di Maffeo Barberini, in morte di Latino Latini, di Berardino Rota, di Alessandro Piccolomini, di Vittoria Accoramboni, sull’erbario di Castore Durante, al prefetto della Compagnia di Gesù Francesco Borgia, al Cavalier d’Arpino, a Margherita Sarrocchi, su statue, fontane, edifici. Solo il IV libro, di contenuto amoroso, si presenta unitario: i versi dedicati a donne dai nomi classicheggianti (Hyella, Ipsitilla, Flavia ecc.) denunciano evidenti memorie catulliane.

Sulla data e il luogo di morte di Orsi vige incertezza. L’Eritreo lo dice morto «non admodum aetate provectus» (1645, p. 166); è da collocare non molto dopo il 20 gennaio 1591, forse lontano da Roma, sulla base dell’ultima lettera nota, da Piacenza, a Maffeo Barberini (Barb. lat. 6473, c. 125r, e cfr. Caruso, 1997, p. 279 e n.).

Sovrastata dalla fama come poeta latino, la produzione in lingua di Orsi è rimasta in ombra, sebbene fosse apprezzata dai contemporanei. Oltre alle prove già ricordate, rime di Orsi sono presenti nelle lettere superstiti e sparse in miscellanee manoscritte; un elenco di incipit si legge in una lettera scrittagli il 14 gennaio 1581 da Paolo Emilio Santoro (Barb. lat. 4009, c. 34r), il quale sollecita l’invio di altri componimenti, «massime volgari amorosi, ma che siano novi, et non di vecchi», e chiede inoltre un epigramma «dilucido, et succinto, et di gran arte» in sua lode, destinato all’incompiuto e perduto Museo del letterato napoletano Giovan Battista Attendolo.

La Caprarola è in predicato di avere influenzato Giovan Battista Marino per la concezione della Galeria, l’opera del poeta napoletano costruita come omaggio alle arti figurative. Certamente, i vividi epigrammi della Caprarola dovettero esercitare la loro suggestione su Marino, che nella Galeria dedicò a Orsi l’ultimo dei Ritratti dei poeti latini, unico rappresentante della generazione tardocinquecentesca, dopo Michele Marullo, Iacopo Sannazaro, Giovanni Pontano, Girolamo Fracastoro. I versi mariniani (inc. Fu scarpel la mia penna, in Marino, 1979, p. 174) alludono all’efficacia impressiva della poesia orsiana, che supera in efficacia gli stessi manufatti artistici descritti, secondo il tema tipicamente mariniano e barocco della gara tra poesia e arti figurative. Marino celebrò Orsi anche nel sonetto n. 45 delle Rime lugubri, Già tu non cadi, anzi t’inalzi, ed ergi. Oltre a debiti più incerti nell’Anversa liberata nei confronti del De bello Belgico, Roger Simon (1964) ha messo in luce la ripresa di uno degli epigrammi che Orsi affiancò al poema, Vinceret ut Belgam, quot misit Iberis, quantis, in uno dei due sonetti della Galeria dedicati ad Alessandro Farnese, tra i Ritratti di principi, capitani e heroi (Per frenar, per fiaccar l’orgoglio insano, in Marino, 1979, p. 111).

Poesie, lettere di e a Orsi, abbozzi e appunti si conservano, in uno stato non sempre di facile lettura, in alcuni codici Vaticani Barberiniani latini, nei quali furono riuniti dopo la sua scomparsa: nn. 1774, 1849, 1850, 2039, 2082, 2096, 2138, 6473; inoltre Firenze, Biblioteca nazionale, Magl. VII.550, c. 6r; Parma, Bibl. Palatina, Parmense 1198, c. [191r]. Dei Poemata, oltre all’edizione perugina del 1606, furono eseguite due ristampe a breve distanza dalla princeps: Bologna, V. Benacci, 1594; Brescia, P. Turlini, 1595. Il De bello Belgico fu incluso nella raccolta Epitaphius in serenissimum Alexandrum Farnesium, Parmae et Placentiae ducem, Coloniae Agrippinae, A. Mylius, 1598, cc. N4v-P5v. I libri I-III degli Epigrammata furono riproposti nel Florilegium epigrammatum ex recentioribus auctoribus, ex Aurelio Ursio, Raymundo [François Rémond S.I., 1558-1631] et aliis collectum, Lucca 1645, curato dal letterato lucchese Guido Vannini. La durata della fama di Orsi come poeta latino molto oltre l’epoca in cui visse è attestata dalla presenza nei Carmina selecta ex illustrioribus poeti saeculi decimiquinti et decimisexti, II, Verona 1732, pp. 258 s. e dalla edizione dei suoi Poemata omnia, Roma 1734. La Perettina fu pubblicata, con note, dal principe Vittorio Massimo nell’appendice delle Notizie istoriche della Villa Massimo alle Terme Diocleziane (Roma 1836, pp. 232-238, si veda anche pp. 44-48, 50, 52-54, 89, 118, 140 s. n., 148, 231), edizione riproposta in un volumetto a sé l’anno seguente edito sempre a Roma, senza nome del curatore.

Fonti e Bibl.: Roma, Bibl. Vallicelliana, Mss., I.60: G. Gualtieri, Ephemerides ex Ianuario et Februario anni MDLXXXVIII, c. 176v; K.6: Annales ecclesiasticorum, I, 1585-93, c. 102r-v; G.B. Marino, La Galeria, a cura di M. Pieri, I, Padova 1979, pp. 111, 174; Id., Rime lugubri, a cura di V. Guercio, Modena 1999, pp. 157, 169, 240, 246 s.; M.A. Bonciari, Epistolae, Perugia 1603, pp. 214-218; G. Mancini, Considerazioni sulla pittura, a cura di A. Marucchi - L. Salerno, I, Roma 1956, pp. 251 s.; II, p. 152 e ad ind.; G.V. Rossi (I.N. Erytraeus), Pinacotheca imaginum illustrium doctrinae vel ingenii laude virorum, I, Köln 1645, pp. 164-166; I. Marracci, Bibliotheca Mariana, I, Roma 1648, pp. 172 s.; P. Mandosio, Bibliotheca Romana, I, Roma 1682, pp. 105 s. (cent. II, n. 50); L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1961, pp. 900 s., 903; R. Simon, Notes sur quelques lectures de G.B. Marino, in Studi secenteschi, V (1964), pp. 52-57; J. Hess, Villa Lante di Bagnaia e Giacomo del Duca, in Palatino, X (1966), p. 27; C. D’Onofrio, Roma vista da Roma, Roma 1967, pp. 33-35; M. Costanzo, Critica e poetica del primo Seicento, Roma 1970, pp. 15 s., 22-24, 106-108; M. Castagnetti, La Caprarola ed altre «Galerie». Cinque lettere di Maffeo Barberini ad A. O., in Studi secenteschi, XXXIV (1993) pp. 411-450; Ch. Weber, Legati e governatori dello Stato pontificio (1550-1809), Roma 1994, pp. 982 s.; C. Caruso, Poesia umanistica di villa, in Feconde venner le carte. Studi in onore di Ottavio Besomi, a cura di T. Crivelli, I, Bellinzona 1997, pp. 279-282, 286-288, 290-294; T. Leuker, Incisività sublime: l’arte epigrammatica di A. O. nel giudizio di Giambattista Marino, in The neo-Latin epigram. A learned and witty genre, a cura di S. De Beer et al., Leuven 2009, pp. 233-253; L. Siekel, Gli esordi di Caravaggio a Roma, in Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana, XXXIX (2009-10), p. 48 n. e passim; Iter Italicum, I-II, London-Leiden 1963-67, ad indices. Su Prospero Orsi: G. Baglione, Le vite, de’ pittori, scultori et architetti..., Roma 1642, pp. 299 s.; A. Bertolotto, Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Milano 1881, I, p. 126; II, pp. 71, 78; A. Zuccari, I pittori di Sisto V, Roma 1992, ad ind.; H. Waga, Vita nota e ignota dei Virtuosi al Pantheon..., Roma 1992, pp. 226, 229, 233 s.; M. Calvesi, P. O. “turcimanno” del Caravaggio, in Storia dell’arte, XCV (1995), pp. 355-358; A.M. Pergolizzi, La visita, in S. Pietro in Vaticano, Roma 2001, p. 11; S. Brevaglieri, Palazzo Verospi al Corso, Milano 2001, pp. 83-86, fig. 22, tavv. 40-54; L. Spezzaferro, Caravaggio accettato. Dal rifiuto al mercato, in Caravaggio nel IV centenario della cappella Contarelli. Convegno internazionale di studi Roma 24-26 maggio 2001, a cura di C. Volpi, Città di Castello 2002, pp. 23-32 passim; H. Röttgen, Il Cavalier Giuseppe Cesari d’Arpino..., Roma 2002, ad ind.; M.C. Terzaghi, Per la «Canestra» e Federico Borromeo a Roma, in Federico Borromeo: principe e mecenate, Atti delle giornate di studio 21-22 novembre 2003, a cura di C. Mozzarelli, in Studia Borromaica, XVIII (2004), pp. 287-289 n. 77; M. Marini, Caravaggio «pictor praestantissimus»..., Roma 2005, p. 108 nn. 48, 50; M.C. Terzaghi, Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del banco Herrera & Costa, Roma 2007, ad ind.; C. Whitfield, P. O. interprète du Caravage, in Revue de l’art, CXV (2007), 155, pp. 9-20; R. Gandolfi, P. O. Pittore di grottesche e sostenitore del Caravaggio, tesi di laurea, Univ. degli studi di Roma Sapienza, relatore A. Zuccari, a.a. 2010-11; A. Di Sante, Pittori e mosaicisti alla Fabbrica di S. Pietro in Vaticano dal XVI al XXI secolo, in S. Pietro in Vaticano. I mosaici e lo spazio sacro, Milano 2011, pp. 325-327.

Vocabolario
Aurèlio
Aurelio Aurèlio agg. [dal lat. Aurelius]. – Relativo all’antica gente romana Aurelia: porta A.; via A., antica strada romana, tuttora esistente, che da Roma, lungo la costa tirrenica, arrivava anticamente fino ad Arles, e oggi al confine...
aurèlia
aurelia aurèlia s. f. [der. del lat. aurum «oro», come calco del gr. χρυσαλλίς (v. crisalide) nel sign. 1, e con riferimento al colore nel sign. 2]. – 1. Sinon. di crisalide, usato nella letteratura scientifica dei sec. 17°-18°: aurelia,...
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