MILLOSS, Aurelio
MILLOSS (Milloss de Miholy), Aurelio (Aurél). – Nacque da Kornel e Slavka Jakovievic il 12 maggio 1906 a Ozora (l’attuale Uzdin), una piccola città ungherese che il trattato di Trianon del 1919 avrebbe assegnato alla Serbia. Nel secondo dopoguerra acquisì la cittadinanza italiana.
La sua famiglia aveva contribuito nel Seicento a liberare il paese dai Turchi: di qui il titolo nobiliare Miholy conferitole dal sovrano ungherese, di cui il M. variamente si fregiò.
Scopertosi fin da bambino una passione per la danza, oltre a seguire un regolare corso di studi, dal 1913 al 1915 fu allievo dell’italiano Nicola Guerra, coreografo e maestro di danza classica nell’Opera reale di Budapest. Alla fine della prima guerra mondiale, nonostante l’impoverimento della famiglia, il M. intraprese gli studi liceali e di conservatorio, e frequentò corsi di danza classica con Elena Poliakova a Belgrado. Trasferitosi a Berlino nel 1926, si iscrisse alla Labanschule di Herta Feist, che lo rese familiare con le nuove teorie della danza enunciate e praticate dall’ungherese R. von Laban, di cui seguì anche i corsi di perfezionamento. Arricchì contemporaneamente la sua tecnica classica con V. Gsovskij a Berlino e con E. Cecchetti a Milano. Dopo il suo primo recital di danzatore (galleria d’arte Der Sturm, Berlino, 23 marzo 1928), fu scritturato per la stagione 1928-29 nella compagnia della Staatsoper di Berlino diretta da M.Terpis e per qualche tempo insegnò nella scuola Feist. Dopo vari recital in Germania, Iugoslavia e Romania, compose il suo primo balletto, H.M.S. Royal Oak, con la Junge Bühne di Breslavia (febbraio 1932). Nelle stagioni 1932-33 e 1933-34 fu direttore e primo coreografo ad Augusta, dove la sua tensione intellettuale, la sua conoscenza delle arti, del teatro e della musica, nonché la sua fecondità compositiva gli propiziarono grandi successi. Coreografo ospite al teatro dell’Opera di Budapest nel 1933, vi mise in scena la sua versione del balletto Petruska, con cui nuovamente (dopo i balletti L’uccello di fuoco e Pulcinella, creati ad Augusta) lavorò su musiche composte da I. Stravinskij per S.P. Djagilev e i suoi Ballets russes. Scritturato come direttore del ballo e primo coreografo alla Opernhaus di Düsseldorf per le stagioni 1934-35 e 1935-36, nel dicembre del 1935 dovette fuggire dalla Germania ormai nazista a seguito di denunce che quasi certamente vertevano sulla sua omosessualità. Riparato a Budapest, fu assistente coreografico del regista A. Németh al teatro Nemzeti, mentre continuava la sua carriera di danzatore solista (anche in coppia con Lilian Karina). Il buon successo avuto al teatro S. Carlo di Napoli nel gennaio del 1937 come coreografo e interprete (accanto a Bianca Gallizia) del balletto Aeneas (su musica di A. Roussel) fu alla base della scrittura di coreografo e direttore del ballo propostagli alla fine del 1937 da T. Serafin, direttore artistico del teatro dell’Opera di Roma.
A partire dalla stagione 1938-39 e nelle sei successive stagioni fu coreografo di balletti e danze d’opera, nonché primo ballerino del maggior teatro romano, di cui, grazie anche a una ottima leva di ballerini (tra cui Ugo e Lia Dell’Ara, T. Giglio, G. Lauri, F. Morucci, Attilia Radice, A. Vitale) e aprendo lo spettacolo di danza alla collaborazione con le forze più vive operanti nell’ambito della musica, delle arti figurative e della cultura, favorì una formidabile rinascita in termini di professionismo, produttività e livello artistico. Il 27 marzo 1941 vi mise in scena in prima rappresentazione italiana la stravinskiana Sagra della primavera (scene e costumi di N. Benois), evento clamoroso, giacché questo caposaldo del modernismo musicale e coreografico bandito dai nazisti non era più stato rappresentato in Europa dal 1931 e lo sarebbe stato di nuovo solo dopo la guerra. Il 12 ott. 1942 debuttò al teatro alla Scala di Milano la sua coreografia del Mandarino meraviglioso di B. Bartók (scene e costumi di E. Prampolini), iniziata anni prima in Ungheria a stretto contatto col compositore. Anche la messinscena dell’antimilitarista Wozzeck di A. Berg (Roma, 3 nov. 1942), di cui il M. fu regista, mostrò la straordinaria intesa creatasi tra lui e le menti più aperte operanti in tempi ormai di guerra e in un’Italia gravata dalla dittatura fascista e dall’alleanza con la Germania. Importanti nel suo settennato romano le sue coreografie al teatro delle Arti e le sue collaborazioni con il Maggio musicale fiorentino. Due furono le tournée da lui fatte con la compagnia di ballo romana a Berlino (aprile e novembre 1941). Chiuso il rapporto con il teatro dell’Opera nell’estate del 1945, fondò la compagnia I balletti romani, con cui mise in scena diverse coreografie nei teatri Quirino e Adriano di Roma. Dopo aver interpretato il ruolo del protagonista nel film Lo sconosciuto di San Marino (1948), diventò coreografo alla Scala di Milano (La follia di Orlando, 12 apr. 1947; musica di G. Petrassi, scene e costumi di F. Casorati). Riprese a collaborare con il Maggio musicale fiorentino, fu coreografo ospite a Parigi dei Ballets des Champs-Élysées (Portrait de Don Quichotte, 21 genn. 1947; musica appositamente composta per lui da Petrassi) e di vari teatri tra cui, nel 1949, il Reale di Stoccolma e il Colón di Buenos Aires. Alla Fenice di Venezia creò Marsia (9 sett. 1948), su musica appositamente composta da L. Dallapiccola (scene e costumi di T. Scialoja) e l’Orpheus di Stravinskij, in prima rappresentazione europea (scene e costumi di F. Clerici).
Nuovamente direttore del ballo e coreografo alla Scala (1951-52) e creatore di un balletto per l’International Ballet of the Marquis de Cuevas (Coup de feu, su musica appositamente composta da G. Auric, 1952), fu scritturato nel 1953 per fondare il Balé do IV centenario, la compagnia con la quale San Paolo del Brasile volle festeggiare i quattrocento anni dalla fondazione della città. Creò con il Balé nel 1954 ben 18 balletti, coinvolgendo grandi compositori (M. Camargo Guarnieri, J. Sousa Lima, F. Mignone) e artisti (tra cui R. Burle Marx, F. de Carvalho, E. Di Cavalcanti, C. Portinari, L. Segall). Direttore del ballo e coreografo all’Opera di Roma nelle stagioni 1955-56 e 1956-57 e al teatro Massimo di Palermo nelle due stagioni successive, fu scritturato con analoghe funzioni alla Opernhaus di Colonia, dove rimase tre stagioni (dal 1960-61 al 1962-63), seguite da ulteriori tre stagioni alla Staatsoper di Vienna. Creò ancora diversi balletti in Italia, prima di una nuova scrittura come coreografo e direttore del ballo alla Staatsoper di Vienna (1971-74). Coreografò il suo ultimo lavoro nel 1977 alla Scala.
Morì a Roma il 21 sett. 1988. Le sue ceneri sono conservate nel cimitero acattolico di Roma.
Danzatore di grande talento, con un corpo alto, magrissimo e di notevole flessibilità, fu versato specialmente nei ruoli grotteschi (Petruška, Coppelius, il Figliol prodigo) e macabri, di grande successo in Germania nella temperie espressionista. Come coreografo, fu segnato anzitutto dalla sua formazione con Laban, che lo sensibilizzò a una visione della danza libera da qualsiasi convenzione di tipo linguistico, musicale, drammaturgico o spettacolare. L’opportunità di assistere a Parigi ad alcune rappresentazioni dei Ballets russes di Djagilev e dei Ballets suédois lo convinse della necessità di temperare l’espressione dei sentimenti (che in Germania molti dei seguaci della danza cosiddetta «libera» volevano fosse assoluta) con un corpo formato secondo le regole classico-accademiche. Ispirato ancora dall’esperienza di Djagilev, maturò il desiderio di creare uno spettacolo di danza che fosse il risultato di una collaborazione organica tra coreografo, musicista e scenografo, ognuno ai massimi livelli nella propria arte. Non a caso furono ben 21 i titoli del repertorio ballettistico diagileviano cui dette nuove versioni coreografiche. Nei variati registri creativi che nel tempo adottò, dal drammatico al comico al mitologico al giocoso al grottesco, i suoi sforzi furono tesi a conciliare eleganza e verità espressiva, raffinatezza e brio, solennità e senso dello spettacolo, con una padronanza della scena che tendeva a investire tutti gli aspetti della visività (dalla scenografia alla regia all’illuminotecnica), oltre all’elemento musicale, da lui ritenuto indispensabile, nonostante la sperimentazione della sua Ballata senza musica (1950; scene e costumi di T. Scialoja). Fu la musica la sua musa necessaria, in particolare quella di Stravinskij, per la ricchezza delle tematiche e delle soluzioni armoniche, e quella del conterraneo Bartók, cui lo accomunava un certo spirito visionario e la percezione di un aspetto stregato della realtà. Diciassette furono i balletti su musiche stravinskiane e sette su musiche bartokiane (tra cui Sonata dell’angoscia, 1954; scene e costumi di Portinari, in seguito di Afro; ed Estro barbarico, 1963; scene e costumi di Clerici). In Italia fu grande amico di A. Casella, sulla cui musica creò quattro balletti: tra essi Scarlattiana (1943; scene e costumi di G. Severini), una coreografia gaia e festosa nel segno della commedia dell’arte. Insieme con Casella e con altri intellettuali illuminati, il M. poté promuovere accanitamente una sprovincializzazione della cultura di danza dal 1938 al 1945 e anche in seguito, dentro il teatro e fuori, in conferenze, incontri pubblici, articoli pubblicati su periodici ed enciclopedie.
La sua cultura raffinata e la sua acuta sensibilità gli resero facile attrarre verso il suo teatro di danza alcuni dei migliori nomi della musica e delle arti figurative in tutti i paesi del mondo dove fu attivo. Ciò ne ha fatto uno dei protagonisti di quella stagione del balletto occidentale che, segnata dall’esperienza diagileviana, è riuscita a legare il destino della danza, arte spesso relegata ai margini della società, a quello delle arti tutte, conferendole così una centralità culturale e una sorta di empito morale. In questa convinzione, ottenne spesso la collaborazione di alcuni dei maggiori compositori a lui contemporanei: non solo Petrassi, Casella, Dallapiccola e Auric, ma R. Vlad (La dama delle camelie, 1945, e Die Wiederkehr, 1962), S. Veress, N. Rota, S. Bussotti. E non esitò a portare in scena musiche raramente utilizzate per il balletto di autori come L. Berio, F. Cerha, E. Křenek, G. Ligeti, L. Nono, A. Schönberg, G. Turchi, E. Varèse, A. Webern.
Ferito in modo insanabile da due guerre mondiali, e soprattutto dalla perdita della sua terra ungherese, divenuta straniera già nella sua adolescenza, rievocò la vivacità delle danze popolari magiare e il fulgore delle tradizioni imperiali in balletti gai, eleganti e sempre di successo (Ungheria romantica e Intermezzo ungherese, 1941; Follie viennesi, 1943; Danze di Galanta, 1945; Térszili Káticza, 1949; Vienna si diverte, 1957), che rivelavano la sua nostalgia per un mondo scomparso per sempre. A partire dagli anni Sessanta le sue scelte spettacolari ricercate e pensose persero la sintonia con una società in cerca di messaggi teatrali più diretti, trasgressivi e anche minimalisti. Caricate di simboli, sempre esigenti nei rimandi culturali e preziose nelle cifre visive, le sue coreografie degli ultimi anni poterono sembrare retoriche. D’altro canto il diffondersi della tecnica classica di matrice russa e di quella moderna di scuola americana fecero apparire a tratti troppo povera la sintesi linguistica da lui operata, che si basava sulla formazione da lui ricevuta in scuole ormai viste come antiquate. Eppure riuscì a creare ancora qualche eccellente lavoro, come Estri (Spoleto, 11 luglio 1968; musica di Petrassi, scene e costumi di C. Cagli). Varie circostanze, tra cui non ultimo il suo carattere esigente e perfezionista, gli impedirono di affidarsi ad allievi che portassero avanti il suo messaggio artistico oltre la sua morte. Il suo patrimonio creativo di ben 177 balletti, realizzati in 45 anni di inesausta attività teatrale, è quasi completamente scomparso. Fanno eccezione Il mandarino meraviglioso, ed Estri, gli unici suoi lavori a essere stati visti in Ungheria, peraltro due anni dopo la sua morte, nel 1990.
Tra gli scritti del M. si segnalano: Ist die Verbindung beider ein Kompromiss?, in Der Tanz, IV (1931), 9, pp. 5-7; Coreografia-coreologia-coreografia. Breve introduzione accademica all’arte della danza, in Musica, 1942, vol. 1, pp. 210-230; Les bases de mon esthétique, in La Revue de la danse, 1948, n. 5, p. 7; Béla Bartók (1881-1945). Ricordi personali, in Il Mondo, 17 nov. 1945, p. 12; Zur Aktualität der Ballettklassik, in Österreichische Musikzeitschrift, XVIII (1963), 11, pp. 501-506; Das Erbe des Expressionismus im Tanz, in Maske und Kothurn, XI (1965), 4, pp. 329-343; Laban. L’apertura di una nuova era nella storia della danza, in Tanztheater. Dalla danza espressionista a Pina Bausch, a cura di L. Bentivoglio, Roma 1982, pp. 18-37; La lezione di S. Viganò, in La Danza italiana, 1984, n. 1, pp. 7-19; L’importanza dell’opera di Béla Bartók per l’evoluzione dell’estetica del balletto novecentesco, in Chigiana, XXXVIII (1987), pp. 185-198; Stravinsky e il balletto, ibid., pp. 201-225.
Fonti e Bibl.: L. Pinzauti, A colloquio con A. M. Milloss, in La Nuova Rivista musicale italiana, II (1968), 6, pp. 1135-1145; G. Tani, Il balletto e l’opera di M. al Maggio musicale fiorentino, Firenze 1977; A. M. Milloss, 35 anni di balletto al Maggio musicale fiorentino (catal.), a cura di M. Bucci - C. D’Amico de Carvalho, Firenze 1987; P. Veroli, The choreography of A. M. Part one, in Dance Chronicle, XIII (1990), 1, pp. 1-46; Part two, ibid., 2, pp. 193-240; Part three, ibid., 3, pp. 368-391; Part four, Catalogue, ibid., XIV (1991), 1, pp. 47-101; M. Guatterini - M. Porzio, M., Busoni, Scelsi. Neoclassico danza e musica nell’Italia del Novecento, Milano 1992, pp. 32-63; P. Veroli, M. Un maestro della coreografia tra espressionismo e classicità, Lucca 1996; Fantasia brasileira. O Balé do IV centenário (catal.), a cura di G. Amaral, San Paolo 1998; Fotografi per M. (catal.), a cura di P. Veroli, Torino 1999; E. Sellerio, M. al Massimo (catal.), Milano 2000; L. Guilbert, Aurel M. e Fritz Böhme. Storia di un’amicizia, in Biblioteca teatrale, 2006, n. 78, pp. 186-225; Enc. dello spettacolo, VII, coll. 586-593; Diz. enciclopedico universale della musica e dei musicisti, Le biografie, V, pp. 107 s.
P. Veroli