LUINI, Aurelio
Figlio di Bernardino e di Margherita Lomazzo, nacque a Milano nel 1530.
Quarto figlio di Bernardino, era fratello di Tobia, Evangelista e Giovan Pietro. Lavorò con quest'ultimo, nato verso il 1520, pittore attivo fino agli inizi degli anni Ottanta del Cinquecento, continuando la carriera del padre, dal quale ereditò alcuni importanti cantieri a Milano e in Lombardia.
Condivise l'attività di poeta vernacolare nell'Accademia della Val di Blenio con G.P. Lomazzo il quale, chiamandolo col nome di "compà Lovign", gli dedicò un sonetto nelle sue Rime (1587, p. 106) in cui cita la sua "prontezza nel disegno", il "decoro" nelle invenzioni, l'anatomia, l'uso dei lumi e lo studio delle ombre e dei riflessi, nonché l'abilità nel rappresentare "i motti, gl'affetti, i scorti e i gesti" raffigurati "con sì gran furore". Nel Trattato dell'arte della pittura (1584, pp. 200, 534) Lomazzo rammenta ancora come egli fosse eccellente nell'anatomia, nei lumi, nei riflessi e nei paesi, ricordando una sua visita a Tiziano che gli mostrò un "suo mirabile paese che aveva in casa, il qual, subito visto, stimò Aurelio una cosa empiastrata, ma poi ritiratosi, da lontano gli parve che il sole gli risplendesse dentro, facendo fuggir le strade per questa e quella parte; il che esso Aurelio ebbe a dire che non aveva veduto mai cosa più rara al mondo per paesi" (ibid., p. 409). Lomazzo ricorda inoltre (ibid., p. 315) come il L. possedesse "uno libricciuolo" di Leonardo con disegni di teste di "vecchi e villani diformi che ridessero" e, ancora, il cartone (ibid., p. 150) della S. Anna (ora a Londra, National Gallery), evidentemente avuto dal padre, che lo aveva utilizzato per una sua versione libera (Milano, Pinacoteca Ambrosiana).
Morigia cita i suoi affreschi in S. Maria di Campagna presso Pallanza, definendolo "gran disegnatore, & accurato pittore, e versato in molte onorate virtù, il che universalmente era amato da tutti, e nella pittura fu vero imitatore del padre". Santagostino, nel suo Catalogo del 1671, ne ricorda molte opere nelle chiese di Milano: in duomo, in S. Barnaba (Bora, in Pittura(, 1998, p. 277), in S. Alessandro, dove menziona anche suoi affreschi perduti, e ancora in S. Lorenzo, nell'oratorio di S. Corona, in S. Vincenzo (affreschi staccati nel 1911 e pervenuti in parte ai Musei del Castello Sforzesco: Pescarmona), in S. Simpliciano, e una tavola raffigurante un Cristo morto nella Galleria dell'Arcivescovado, "dove s'ammira l'arte del bon maestro", perduta (Bona Castellotti, 1980, pp. 82 s. e passim). Queste pitture saranno poi registrate anche nelle successive guide di Milano.
La formazione del L. è incerta (era troppo giovane per poter essere stato allievo del padre Bernardino); ma il linguaggio delle prime opere lo vede muoversi nell'ambito delle esperienze paterne e in quello di un manierismo lombardo più aggiornato, anche con aperture nordiche, e con alcune tangenze coi cremonesi Campi e con il manierismo propugnato nei centri di Roma e Firenze.
Dopo un probabile intervento del fratello Evangelista nella cappella di S. Stefano attorno al 1545 circa, a partire dal 1555 il L. fu attivo con il fratello Giovan Pietro nella decorazione di S. Maurizio al Monastero Maggiore di Milano, dove il padre aveva lavorato dal 1521-22 circa al 1530.
Il primo contratto, del 6 maggio 1555, pubblicato solo nel 1895 (Ratti), è per le pitture della cappella Bergamini, e indica che committente del ciclo fu la badessa Gerolama Brivio che fissava il compenso in 60 scudi d'oro. Ignorato dalle fonti e dalle guide antiche, l'intervento dei due artisti è stato riconosciuto solo a partire dalla fine dell'Ottocento (Mongeri), salvo il ricordo della presenza del L. nella chiesa registrato dai Cenni anonimi del 1802 e da Pirovano, che gli riferisce però erroneamente gli affreschi nella cappella di S. Stefano, per essere considerato oggi caposaldo della loro comune attività (Bora, 1989 e 1992; Debolini). Gli affreschi dei due fratelli, nella cappella Bergamini, nella chiesa claustrale e nella cappella Bentivoglio, raffigurano tutti scene devozionali. Nella prima si trovano La Resurrezione di Cristo e i tre ladroni al sepolcro (opera prevalentemente di Giovan Pietro), la Maddalena che incontra Cristo ortolano e Cristo a Emmaus (opera di collaborazione, dove la figura di sinistra spetta al L.); sul tramezzo, verso la chiesa claustrale, sono l'Adorazione dei magi e Il battesimo di Cristo, datati nel medaglione al centro del fregio al 1565, in cui si ha riflesso della svolta "gaudenziana" del pittore (Guazzoni, pp. 84 s.). Nelle Storie della Passione, affrescate nella parete absidale dell'aula claustrale, prevale il ruolo di Giovan Pietro; mentre le decorazioni delle due cappelle Bentivoglio nell'aula dei fedeli, da datare tra il 1570 e il 1572 (anno riportato nella lapide in memoria di Alessandro Bentivoglio) rappresentano le ultime fatiche dei due fratelli in questa chiesa (ibid., pp. 88 s.).
Nel 1557 il L. era attivo a S. Vittore a Meda, potente monastero di benedettine, dove dipinse, nella seconda cappella di destra, un'ancona marmorea con le immagini dei Ss. Giorgio e Rocco completata da un sontuoso cortinaggio e da un complesso sistema decorativo ad affresco (Bora, 1979; Guazzoni, p. 85) ora in parte strappato e custodito (due Angeli) nella villa Antona Traversi Grismondi (Frangi, 1993, considera però più tardi i due Angeli).
Risale al 1560 l'affresco raffigurante l'Assunzione della Vergine nel monastero di Cairate (oggi staccato: Frangi, 1992), in cui ricompaiono i modelli del padre ma anche di A. Solario, di G. Ferrari e di B. Lanino.
Nel Libro delle spese del santuario di Saronno del 1565-67 (c. 74v) sono registrate uscite a favore del L., del fratello Giovan Pietro e di un garzone, per pagamenti a saldo di opere compiute nel santuario stesso, come conferma agli inizi del Seicento anche A. Sanpietro (in Sala, 1995 e 2004): i pagamenti (per 124 lire e 9 soldi, oltre al vino per otto giorni per ognuno) si riferiscono ad affreschi, raffiguranti il Sacrificio di Abramo, compiuti il 21 luglio 1566, e situati su un muro che, nella cantoria sopra l'antipresbiterio, divideva la stessa dal corridoio di collegamento alle due tribune laterali. Nel santuario, Giovan Pietro avrebbe affrescato anche la volta della cappella di S. Giovanni Battista; ma il manoscritto del Libro di spese aggiunge l'importante notizia relativa al fatto che gli stessi "pitori hano dipinto la capella del Rosario in S. Fran(ces)co che è l'ultima verso Sarono", fornendo così il termine ante quem per l'affresco della Madonna del Rosario qui tuttora conservato (Bora, 1992, fig. 4; S. Francesco().
Del 1570 è una pala raffigurante la Sacra famiglia per l'ospizio dei certosini di Porta Ticinese, ora nella collezione Gallarati Scotti di Arcore (Frangi, 1992, p. 264; Guazzoni, p. 89). Il Battesimo di Cristo della chiesa di S. Lorenzo sempre a Milano è anch'esso databile intorno a quest'anno. Il L. figura negli elenchi degli artisti impegnati all'inizio degli anni Settanta del Cinquecento nelle decorazioni del palazzo ducale di Milano (Malaguzzi Valeri, 1901). Nel 1576-77 era a Pallanza, nella chiesa di S. Maria, dove, in collaborazione con Carlo Urbino, eseguì un ciclo di affreschi (Bora, 1979). L'anno successivo, come attesta un pagamento del 1578, lavorò, in collaborazione col fratello Giovan Pietro, ad affreschi per i certosini di Vigano Certosino e di Salvanesco, monasteri che erano sotto la tutela della certosa di Pavia (Frangi, 1992, p. 263).
Sempre col fratello Giovan Pietro nel 1581 affrescò un'Incoronazione di Cristo, (copiando quella del padre Bernardino) nell'oratorio della Confraternita di S. Corona a Milano ed eseguì alcuni affreschi in casa Rabia, perduti (Canetta).
Il 27 febbr. 1581 un'ordinanza di Carlo Borromeo proibiva al L. l'esercizio della professione (Besta). Non si conoscono precisamente le ragioni di tale divieto, anche se il suo coinvolgimento nell'Accademia della Val di Blenio, irriverente e in odore di eresia, potrebbe essere sembrato non confacente al ruolo di pittore devoto e attivo per i certosini o i luoghi pii milanesi e lombardi. Solo dopo la morte di Carlo Borromeo il L. ricevette altri incarichi, in S. Simpliciano a Milano nel 1588, quando realizzò le decorazioni con alcuni Santi, e dalla stessa Fabbrica del duomo che il 12 apr. 1590 mise a concorso la commessa delle ante dell'organo nuovo, situato di fronte al vecchio: vi concorsero C. Procaccini, il L. e A. Figino; mentre più tardi si aggiunse S. Peterzano (il 7 giugno l'opera fu affidata a Figino). Inoltre, gli Annali della Fabbrica registrano pagamenti al L., dal 18 apr. 1590 al 18 ott. 1591, per il disegno degli stalli del coro, raffiguranti Storie di s. Ambrogio, e per il Martirio di s. Tecla nel transetto settentrionale, pittura, quest'ultima, registrata nel 1671 da Santagostino come pala d'altare (secondo Arslan, l'opera fu eseguita soltanto nel 1595, benché commissionata nel 1591). È inoltre da ricordare l'importante decorazione absidale della chiesa dei Ss. Gervasio e Protasio con una monumentale Pentecoste (Bora, in Rabisch, 1998, p. 340). Tra le opere tarde si segnalano infine le Storie di s. Ambrogio dipinte nella volta della cappella di S. Giovanni nel tribunale di provvisione (Beltrami, p. 607).
Le sue numerose opere, connotate da una forte tensione dinamica ed espressiva, ma spesso troppo affollate di personaggi, rivelano un'esuberanza compositiva e una ricerca di effetti che talvolta compromette l'equilibrio generale (per esempio nell'Apparizione della Vergine ai ss. Sebastiano e Rocco della cattedrale di Tortona). Riversò la sua esuberanza creativa e una visione dinamica delle masse soprattutto nei suoi straordinari disegni, contrappuntati da "pensieri" e "schizzi" liberi e guizzanti (Bora, 1971, 1979, 1980 e 1998) recuperando l'esempio della grafica e delle tipologie di Leonardo (Marani, 2002).
Il L. morì a Milano il 6 ag. 1593 a sessantatré anni, come ricorda l'epigrafe conservata nella chiesa di S. Gerolamo, dove il L. è sepolto (Frigerio - Pisoni, per la trascrizione dell'epigrafe) e come si registra nel Libro dei morti (Motta).
Fonti e Bibl.: G.P. Lomazzo, Trattato dell'arte della pittura( (1584), in Scritti sulle arti, a cura di R.P. Ciardi, II, Firenze 1975, pp. 150, 200, 315, 409, 415, 534; Id., Le rime, Milano 1587, pp. 105 s.; Id., Rabisch (1589), in Rabisch. G.P. Lomazzo e i facchini della Val di Blenio, a cura di D. Isella, Torino 1993, pp. 152, 360-362; Id., Idea del tempio della pittura (1590), in Scritti(, a cura di R.P. Ciardi, I, Firenze 1973, pp. 91, 290, 357, 369; Annali della Fabbrica del duomo di Milano, IV (anni 1590-91), Milano 1881, pp. 247-261; P. Morigia, Historia dell'antichità di Milano, Venezia 1592, p. 460; A. Santagostino, L'immortalità e gloria del pennello. Catalogo delle pitture insigni( esposte al pubblico nella città di Milano (1671), a cura di M. Bona Castellotti, Milano 1980, pp. 5 s., 10, 37-39, 42, 49, 54, 56, 82, 84, 88; C. Torre, Il ritratto di Milano, Milano 1674, pp. 132, 137, 212, 225; S. 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