LOMI (Gentileschi), Aurelio
Nacque a Pisa il 29 febbr. 1556, secondogenito di Giovan Battista di Bartolomeo, orafo nato a Firenze ma trasferitosi con la famiglia a Pisa intorno alla metà del secolo. Anche gli altri figli di Giovan Battista, il primogenito Baccio e il più giovane Orazio, furono pittori, seppur con esiti di ben diversa rilevanza.
Se Orazio fu tra i protagonisti della pittura italiana ed europea nei primi decenni del Seicento, l'operato artistico del modesto Baccio (Firenze, 1550 circa - Pisa, 1595) si consumò entro un ambito decisamente periferico. Fu comunque un professionista decoroso, che si sforzò di aggiornare progressivamente la sua cauta maniera, formatasi sui modelli di Andrea del Sarto (Andrea d'Agnolo) e Fra' Bartolomeo (Bartolomeo di Paolo), sulla scorta delle opere del Bronzino (Agnolo Tori). Baccio fu attivo prevalentemente in commesse religiose di profilo medio-basso, legate ai comprensori di Lucca e soprattutto di Pisa.
È stato ipotizzato che il L. abbia avuto un primo soggiorno romano già tra il 1575 e il 1576, subito dopo la morte del padre, circostanza in cui avrebbe accompagnato nella città capitolina il fratello Orazio, all'epoca appena tredicenne (Ciardi - Galassi - Carofano, p. 27). Di sicuro, nella sua fase di formazione, il pittore dovette fare riferimento essenzialmente al contesto artistico di Firenze. Colà, egli è documentato il 23 sett. 1578, quando fu nominato "festaiolo" dell'Accademia del disegno per il giorno di S. Luca. Presso la medesima istituzione egli risulta iscritto già nel febbraio del 1578 (ibid., p. 283); ma dall'anno successivo il nome del L. sparisce dai documenti dell'Accademia fiorentina, fatto che dovette dipendere dalla sua partenza per Roma. Qui il L. portò a compimento un'unica opera attestata dalle fonti (Baglione) e ancor oggi esistente: la decorazione nella cappella dell'Assunta in S. Maria in Vallicella.
L'impresa del L. fu commissionata da Giovanni Agostino Pinelli, banchiere genovese tesoriere della Camera apostolica. La cappella fu inaugurata nel 1587, terminus ante quem per gli arredi pittorici. Secondo la descrizione di Baglione, il L. aveva realizzato anche la perduta pala d'altare della cappella, raffigurante l'Assunzione della Vergine, oltre agli affreschi sulla volta raffiguranti Storie della vita di Maria, oggi assai impoveriti e ridipinti. Questo primo cimento pubblico del L. permette di distinguere una sicura trama di riferimenti alla recente tradizione romana che, sullo sfondo dell'esempio di Perin del Vaga, si confronta soprattutto con Francesco Salviati, Daniele da Volterra e Taddeo Zuccari. I documenti attestano che il L. nel 1587 risiedeva a Roma, abitando nelle vicinanze di S. Maria in Vallicella insieme con il fratello Orazio (Masetti Zannini).
Nel 1588 il pittore fece ritorno a Pisa, ove trovò impiego con sorprendente rapidità in commissioni di notevole riguardo.
Innanzitutto fu incaricato di portare a termine un affresco nel Camposanto raffigurante il Convito di Ester e Assuero, che era stato iniziato nel 1585 da Agostino Ghirlanda ed era rimasto incompiuto a causa della morte di quest'ultimo. L'impresa affidata al L., che includeva anche quattro storie dipinte ex novo a monocromo, risulta ben documentata fra il 1589 e il 1590, ed entro il 27 maggio 1590 era certamente ultimata. In quella data, infatti, furono convocati Santi di Tito e il Cigoli (Lodovico Cardi) da Firenze con l'incarico di stimare il lavoro svolto dal L., che venne quantificato in più che metà dell'intera superficie affrescata, e per il quale i due artisti proposero un compenso di 90 scudi (Ciardi - Galassi - Carofano, pp. 282 s.).
Pressoché in contemporanea con questa prima commissione pisana, il L. ne ricevette un'altra ancor più prestigiosa. Fu infatti incaricato di dipingere due tele di grande formato, destinate a fronteggiarsi sugli altari del braccio settentrionale del transetto del duomo. Tali opere segnarono l'inizio dell'intenso legame del L. con l'Opera del duomo, e diedero avvio a un ciclo di Storie di Cristo e della Vergine che, d'accordo con un progetto formulato già alla fine del Quattrocento, doveva svolgersi lungo le pareti laterali del duomo.
I due monumentali dipinti rappresentano l'Adorazione dei pastori e l'Adorazione dei magi. La realizzazione della prima tela procedette parallela a quella dell'affresco nel Camposanto, poiché le due opere vennero sottoposte insieme alla valutazione di Santi di Tito e del Cigoli, i quali espressero una stima dell'Adorazione dei pastori pari a 300 scudi d'oro. La lavorazione dell'Adorazione dei magi si protrasse dall'agosto 1589 sino probabilmente al giugno 1591, allorquando si approntarono i lavori di muratura per accogliere la tela. La stima di questa seconda opera del L. fu compiuta da Giovanni Stradano e da Iacopo Ligozzi, i quali, il 29 ott. 1592, ribadirono per essa una valutazione di 300 scudi d'oro. Pur frutto di un certo eclettismo, tributario dell'arte del Bronzino e di Giorgio Vasari, Federico Zuccari e Federico Barocci, nonché della recente impresa decorativa dello studiolo di Francesco I, questi primi cimenti del L. nel duomo di Pisa esibiscono una sicura capacità di gestire impianti compositivi di notevole complessità, uno speciale gusto per il particolare rifinito e soprattutto una rimarchevole tensione dinamica. Tra il 1591 e la fine dell'anno successivo, il L. dipinse anche la pala d'altare con la Madonna in gloria e cinque santi per la chiesa pisana di S. Ranierino - pure commissionata dall'Opera del duomo e saldata fra l'ottobre e il novembre 1592 per un totale di 700 lire (Ciardi - Galassi - Carofano, p. 275) - che ben esemplifica il lato più sobrio e meditativo della sua produzione. Tale declinazione stilistica, sin quasi castigata, è condivisa da altre realizzazioni dello stesso periodo. Fra queste la Sacra Famiglia con s. Stefano papa, tela dipinta dal L. ancora nel 1592 per la sala del Consiglio dei cavalieri di S. Stefano, ma dal Seicento nella chiesa di S. Stefano dei Cavalieri (Baldinucci, p. 709). Precise affinità di registro stilistico si possono riscontrare anche nella Madonna in gloria e sei santi, per la chiesa di S. Maria del Carmine, databile in quello stesso torno di tempo.
Tra il 1594 e l'anno successivo, il L. intraprese la realizzazione di una terza pala d'altare per il duomo pisano, raffigurante la Presentazione al tempio. Nel 1595 firmò e datò sia la tela rifinitissima col monumentale S. Gerolamo penitente, commissionata dall'arcivescovo Carlo Antonio Dal Pozzo per la cappella del Camposanto di Pisa, sia la Madonna in trono che dona la cintola ai ss. Agostino e Monica, nella chiesa pisana di S. Nicola. Queste due opere chiusero il primo, fervido periodo di attività del L. nella città toscana.
Ancora al 1595 risale il S. Cassio libera un indemoniato alla presenza di Totila, per la chiesa di S. Frediano a Lucca, che rivela una chiara apertura al linguaggio di Alessandro Allori, e probabilmente anche l'intenso Compianto sul Cristo morto, conservato nei depositi delle Gallerie fiorentine, che dovrebbe corrispondere all'opera commissionata da Baccio Valori per la chiesa del monastero nuovo in Firenze (Ciardi - Galassi - Carofano, p. 289): dipinto tra i più notevoli del L., in cui è ben percepibile l'attenzione rivolta alla coeva produzione del Cigoli e di Ligozzi.
Nel corso del 1597, piuttosto inopinatamente, il L. lasciò Pisa e si trasferì a Genova. La completezza della sua formazione, nonché la sua ampia e aggiornata cultura figurativa, gli permisero di imporsi in fretta nel contesto figurativo genovese, in quel frangente piuttosto attardato e povero di talenti.
I primi lavori del L. in terra ligure furono due piccoli dipinti d'altare, pendants, raffiguranti Giuseppe calato nella cisterna e il Sacrificio di Isacco, già nella chiesa di S. Francesco di Castelletto e oggi nel convento di S. Francesco a Gaggiola (La Spezia). Di seguito, il L. attese all'Eraclio che sale al Calvario, oggi nel palazzo dell'arcivescovado di Genova, opera commissionata per l'altare della sagrestia vecchia di S. Siro. Le commissioni a Genova si moltiplicarono a ritmo incalzante. Si succedettero così, in breve tempo, la Visitazione coi ss. Agostino e Nicola da Tolentino, di ispirazione baroccesca, dipinta per la chiesa della Ss. Annunziata di Portoria; le due tele pendants poste in controfacciata nella chiesa del convento dei carmelitani scalzi di S. Anna, raffiguranti il Cristo Portacroce e la Vergine Incoronata; il S. Simone Stock riceve lo scapolare dalla Vergine, ancora per la chiesa di S. Anna, ma oggi nella parrocchiale di Montaggio; e infine il Miracolo di s. Diego, firmato e datato 1600, realizzato per la chiesa del convento di S. Francesco in La Spezia, e conservato nella chiesa di S. Maria Assunta nella stessa città. All'anno successivo risale una serie di opere firmate e datate: due tele, l'Assunta e il Martirio di s. Biagio, per la chiesa di S. Maria di Castello, a Genova; la Nascita del Battista, ancora per la chiesa di S. Siro, di fattura accuratissima e smagliante nei suoi cangiantismi coloristici; infine, l'Adorazione dei pastori, attualmente sull'altare maggiore della parrocchiale di San Martino in Vignale (Lucca).
Nel 1602 lo Stato delle anime della parrocchia della Maddalena fornisce la più antica documentazione della residenza del L. a Genova. Egli abitava allora nel palazzo del gentiluomo Origo Salvago, situato in strada Nuova di fronte al palazzo di Carlo Doria, in compagnia dell'allievo Simone Belli e della fantesca Margherita (ibid., p. 289). L'anno successivo il L. si trasferì poco distante, nel palazzo di Gerolamo Spinola. Gli ultimi anni genovesi furono ancora caratterizzati da un'attività quasi febbrile, indice di uno status professionale di grande prestigio, prossimo a una sorta di leadership sul fronte delle tele di destinazione ecclesiastica.
Nell'affollata e complessa macchina del Martirio di s. Stefano per la chiesa francescana di S. Maria della Pace (oggi nei depositi della Galleria di Palazzo Bianco a Genova), torna in primo piano il riferimento alla contemporanea maniera fiorentina, in particolare al Passignano (Domenico Cresti). Cronologicamente vicine a quest'opera si devono intendere l'esuberante e dinamica Chiamata degli eletti nella chiesa di S. Maria del Carmine, la Presentazione a Cristo dei figli di Zebedeo, per l'oratorio di S. Giacomo della Marina, il Miracolo di s. Siro, proveniente dalla chiesa di S. Francesco di Castelletto e oggi nella chiesa di S. Siro, la Pietà e santi dipinta per l'altare maggiore della chiesa agostiniana di S. Maria in Passione, e ancora la composta e toccante Vestizione di s. Giacinto nella chiesa di S. Maria di Castello, uno dei vertici della sua attività genovese, eseguita quasi certamente fra il 1602 e il 1603. In quest'ultimo anno il L. firmò e datò l'Annunciazione della chiesa di S. Maria Maddalena e il Giudizio universale, realizzato insieme con la Resurrezione per la chiesa di S. Maria Assunta di Carignano. Tra il 1603 e il 1604 si dovrebbe fissare l'esecuzione del raffinato Ritratto del cane Roedano, l'animale prediletto da Giovanni Andrea Doria, regalato a quest'ultimo da Filippo II (oggi Genova, palazzo Doria Pamphili), l'unico esito documentato del L. nell'ambito della pittura di genere minore.
Il L. si trovava ancora a Genova nel maggio del 1604, quando fu padrino di Maria, figlia del suo assistente Simone Balli (Ciardi - Galassi - Carofano, pp. 122, 126), e ancora dalla città ligure si impegnò vanamente per partecipare ai lavori, commissionati dai Medici, per la decorazione pittorica del soffitto della chiesa pisana di S. Stefano dei Cavalieri.
Il rientro a Pisa fu preparato dall'invio in dono dell'Adorazione dei magi ai barnabiti della chiesa di S. Frediano (firmata e datata 1604): opera di alta fattura, celebrata dalle fonti, la cui fortuna rappresentò il viatico appropriato per un ritorno da protagonista nella città natale.
In effetti nel 1605 il L. riallacciò le sue relazioni professionali con l'Opera del duomo di Pisa, incombendo l'onere degli arredi pittorici dopo il rovinoso incendio del 1595, i restauri intercorsi e la riconsacrazione della chiesa nel 1603.
Il primo cimento del L. in duomo dopo il soggiorno genovese riguardò la serie di quattro tele con le Virtù cardinali (saldate il 18 giugno 1606: ibid., p. 279), che si conservano oggi nella chiesa di S. Michele in Borgo, ma che erano in origine ai lati della cattedra arcivescovile e del trono granducale. Di poco successive dovrebbero essere due tele dipinte dal L. per importanti sedi fiorentine: il virtuosistico S. Sebastiano davanti al tiranno, per la cappella Pucci nella chiesa della Ss. Annunziata, e l'Adorazione dei magi, per la cappella Ridolfi nella chiesa di S. Spirito.
Nei primi tempi del suo soggiorno pisano il L. sembrò guadagnare di nuovo responsabilità da protagonista nelle decorazioni della tribuna del duomo, con la commissione di cinque tele di grande formato e del restauro di una tavola di Giovanni Antonio Sogliani.
Sul finire del primo decennio il L. realizzò la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (ancora oggi nella tribuna del duomo), le Nozze di Cana e il Convito di Ester e Assuero (Pisa, Museo dell'Opera del duomo), tele che furono portate a termine e pagate solo diversi anni più tardi, il perduto Mosè fa scaturire l'acqua dalla roccia e il Cristo risana il cieco, conservato nel duomo. A seguito della stima effettuata dai pittori Cosimo Gamberucci e Pietro Sorri, il 18 nov. 1610 furono saldati dalla primaziale i tre dipinti che a quella data erano già stati ultimati dal Lomi. Ma le fortune del pittore in patria stavano per arrestarsi, anche a causa del suo coinvolgimento in uno scontro di potere tra i deputati per la restaurazione del duomo e l'"operaio" Niccolò Castelli, responsabile della decorazione della tribuna. Quest'ultimo revocò gli incarichi già affidati al L. invocando ragioni di equanimità nelle commissioni, fatto che indusse il pittore a intentare una causa e a rivolgersi all'autorità dell'Accademia del disegno di Firenze per dirimere il contenzioso (Ciardi - Galassi - Carofano, pp. 282 s.; La tribuna del duomo, pp. 216-219).
Nel 1611 il L. firmò e datò la Presentazione al tempio della chiesa di S. Paolo a Bologna, ma soprattutto ultimò la sua impresa di più vaste proporzioni: il soffitto della chiesa pisana di S. Silvestro, realizzato con largo ausilio della bottega.
Nonostante le crescenti difficoltà a mantenere un ruolo di spicco nel contesto artistico pisano, nel secondo decennio il L. realizzò ancora un numero cospicuo di opere di destinazione ecclesiastica: dipinse due tele raffiguranti Miracoli di s. Francesco per la chiesa S. Frediano (oggi nei depositi della soprintendenza alle Gallerie di Pisa), commissionate nel 1611 dal nobile Cesare Borghi per la sua cappella gentilizia (commessa, anche questa, che ebbe strascichi giudiziari per il mancato accordo sulla somma da corrispondere al L.: Ciardi - Galassi - Carofano, pp. 285-288). Entro la metà del decennio, il pittore realizzò ancora l'Orazione nell'orto per la chiesa gesuita di S. Bartolomeo a Modena, il Riposo durante la fuga in Egitto per la chiesa di S. Francesco a Pistoia e la Morte della Vergine, che si trovava sull'altare maggiore della chiesa dei Carmelitani scalzi in Viterbo ed è oggi nel locale Museo civico. L'ultima opera documentata del L. è il rovinatissimo Cristo che consegna la corona al beato Michele Pini, dipinto nel 1619 per i camaldolesi della chiesa di S. Michele al Borgo, a Pisa, e oggi nei depositi della locale soprintendenza alle Gallerie.
Negli ultimi anni di vita il L. risiedette a lungo a Firenze, di cui per diritto d'ascendenza era sempre rimasto cittadino, ivi iscrivendosi nuovamente all'Accademia del disegno, della quale fu console nel 1613 e nel 1618. Fu invece solo nel 1619 che i Priori gli concessero la cittadinanza pisana in ragione dei suoi meriti artistici, esentandolo dagli oneri fiscali. Il L. morì probabilmente a Pisa, in una data posta tra il 15 luglio 1623 e il 26 maggio 1624 (ibid., pp. 180, 288 s.).
Fonti e Bibl.: G. Baglione, Le vite de' pittori, scultori, architetti ed intagliatori, Roma 1642, p. 244; F. Baldinucci, Notizie de' professori del disegno da Cimabue in qua (1681), a cura di P. Barocchi - A. Boschetto, III, Firenze 1975, pp. 708-710; R. Soprani - C.G. Ratti, Vita de' pittori, scultori, ed architetti genovesi (1768), Bologna 1970, pp. 449 s.; G.L. Masetti Zannini, Pittori della seconda metà del Cinquecento in Roma, Roma 1974, p. 43; Livorno e Pisa: due città e un territorio nella politica dei Medici (catal.), Pisa 1980, pp. 352 s., 431, 437-439, 441; M.C. Galassi, L'attività genovese di A. L., in Studi di storia delle arti dell'Università di Genova, 1981-82, n. 4, pp. 95-128; R.P. Ciardi - M.C. Galassi - P. Carofano, A. L.: maniera e innovazione, Pisa 1989; L. Turcic - M. Newcome, Drawings by A. L., in Paragone, XLII (1991), 499, pp. 33-46; R.P. Ciardi, In margine ad A. L., in Studi di storia dell'arte in onore di Mina Gregori, Milano 1994, pp. 232-237; La pittura a Lucca nel primo Seicento (catal.), Lucca 1994-95, pp. 106-111; La tribuna del duomo di Pisa (catal., Pisa), a cura di R.P. Ciardi, Milano 1995, pp. 54-59, 216-219; M.C. Galassi, Su alcuni monocromi di A. L., in Studi di storia delle arti, 1997-99, n. 9, pp. 80-95; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIII, pp. 348 s.