GOTTI, Aurelio
Nacque a Firenze il 16 marzo 1833, nel "popolo" di S. Giuseppe, da Vincenzio e Urania Riccobaldi Del Bava. Dopo aver atteso agli studi liceali (in un primo momento a Livorno, dai padri barnabiti, e successivamente a Firenze, presso gli scolopi), nel novembre 1850 si iscrisse contemporaneamente alle facoltà di legge e di lettere dell'Università di Pisa, attuando un compromesso tra la necessità di provvedere a crearsi le condizioni per una professione dalle prospettive più sicure, nel solco della tradizione familiare (il padre era auditore nella magistratura granducale), e la passione per gli studi letterari. Nel 1852, in seguito alla divisione delle facoltà tra Pisa e Siena, fu costretto a trasferirsi in quest'ultima città per continuare gli studi di legge, salvo poi ritornare a Pisa per conseguirvi nel luglio del 1854 la laurea.
Al periodo della frequentazione degli atenei pisano e senese si riconducono i primi approcci con esponenti di spicco della cultura del tempo, tra i quali S. Centofanti, R. Lambruschini e G. Capponi. Molti di questi contatti - come l'amicizia con M. Tabarrini - furono mantenuti nel rispetto delle ideologie che ne costituivano il comune denominatore e che erano da ricondursi nell'alveo del cattolicesimo liberale toscano. Il G. mostrò subito di intendere gli studi letterari come espressione di impegno civile, alla stregua di uno strumento con il quale partecipare alle problematiche politiche, culturali e sociali del proprio tempo. In tale prospettiva vanno spiegati l'interesse precoce al dibattito relativo alla questione dell'unità della lingua, che era ritenuta un presupposto irrinunciabile per il conseguimento dell'identità nazionale italiana, e in cui fu sostanziale l'adesione alle posizioni di A. Manzoni; e l'attività nel campo della didattica, considerata una componente funzionale a tale finalità. Del resto nel 1852, appena diciannovenne, il G. già cooperava per la costituzione a Lajatico di una scuola femminile di cui gli era stata affidata gran parte della direzione; e quasi contemporaneamente, sempre a Lajatico, veniva eletto dalla Comunità locale fra i membri della commissione per il riordinamento delle "scuole comunitative".
Nel 1854 apparve a Siena la sua prima pubblicazione, l'Aggiunta ai Proverbi toscani di Giuseppe Giusti, opera di carattere linguistico-filologico composta, come l'autore teneva a sottolineare, con il materiale raccolto sia consultando, in biblioteche e archivi, fonti manoscritte e a stampa sconosciute al Giusti e a G. Capponi, che aveva curato l'edizione della Raccolta dei proverbi toscani per la "Biblioteca nazionale" della casa editrice Le Monnier, sia ascoltando il "bel tesoro" di cui era ricca la lingua parlata toscana.
Importante, per gli sviluppi successivi della carriera, fu il suo ingresso in due prestigiose istituzioni fiorentine, la Società Colombaria (socio corrispondente dal 10 maggio 1855, socio urbano dal 26 maggio 1857) e l'Accademia della Crusca (accademico residente dal 24 nov. 1857 e "quarto compilatore quotidiano" dal 29 dic. 1857): in seno a quest'ultima la possibilità di attendere alla stesura della quinta impressione del Vocabolario doveva riuscirgli gradita perché veniva incontro ai suoi interessi, che già si erano indirizzati verso la lessicografia. Nel 1857, per onorare la memoria del padre - scomparso in quell'anno - il G. dette alle stampe alcune composizioni (Terzine, Firenze) che furono bene accolte e ottennero l'approvazione autorevole di N. Tommaseo. Quando poi, nel giugno del 1858, l'Accademia della Crusca gli affidò lo spoglio dell'Eneide volgarizzata da Cecco degli Ugurgieri, non doveva trattarsi di una pura e semplice casualità, dal momento che il testo trecentesco, inedito, era stato scoperto e ricopiato nella Biblioteca pubblica di Siena quasi cinque anni prima dallo stesso G., che da tempo aspettava l'occasione propizia per farlo conoscere. Il progetto si concretizzò con la pubblicazione del volume Eneide di Virgilio volgarizzata da Cecco degli Ugurgieri (ibid. 1858).
Ispettore speciale per le scuole minori e secondarie della Toscana, con nomina del governo provvisorio toscano ufficializzata il 2 nov. 1859, il G. entrò a far parte del gruppo composto da R. Lambruschini, G. Bonazia e A. Conti, che aveva tra i suoi scopi quello di ottenere una sinergia tra educazione scolastica ed educazione familiare. Programmatico il titolo, La Famiglia e la scuola, che esso si era scelto per proprio organo di informazione, un periodico quindicinale che raccoglieva le lettere che gli ispettori si scambiavano, rendendo così pubbliche le loro osservazioni e considerazioni. La collaborazione del G. si tradusse in vari articoli, in cui traspare evidente l'ascendente del pensiero pedagogico cattolico liberale di tradizione toscana, proprio del Lambruschini e del Capponi (alcuni contributi sarebbero poi stati raccolti nel libro Discorsi d'un maestro di scuola per saggio d'insegnamento orale con l'appendice di due scritti sull'istruzione elementare, ibid. 1869). Nel 1859 curò la pubblicazione, sempre a Firenze, degli Statuti della potesteria di Lajatico, che, oltre a essere un contributo alla conoscenza di antiche istituzioni comunali, costituì per lui il pretesto per la riesumazione di brani in antico idioma toscano.
Il 21 giugno 1860 il G. sposò, nella chiesa di S. Caterina a Pisa, Cesira Gotti, appartenente a un altro ramo della famiglia. Si trattò di un'unione felice, allietata dalla nascita di sette figli: due femmine, Urania (1861) e Maria (1863), e cinque maschi, Ranieri (1865), Giuseppe (1867), Giulio (1868), Emilio (1872) e Piero (1877), ma anche dolorosamente segnata da frequenti lutti. Urania, Maria ed Emilio infatti morirono in tenerissima età, mentre Ranieri doveva scomparire appena diciannovenne.
All'indomani dell'Unità d'Italia, venendo a costituirsi una nuova burocrazia statale, il 14 febbr. 1861 il G. si vide confermato per decreto reale nell'ufficio di ispettore; nei tre anni seguenti ricoprì prima la carica di direttore della segreteria di Pubblica Istruzione in Toscana e, dopo la soppressione di questa, quella di capo dell'ufficio di stralcio. Il 5 giugno 1862 fu insignito da Vittorio Emanuele II del titolo di cavaliere dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro; quindi coglieva l'occasione per pubblicare alcuni scritti del Giusti (Scritti vari in prosa e in verso di Giuseppe Giusti per la maggior parte inediti, ibid. 1863) e, l'anno successivo, per curare una nuova edizione critica dell'Istoria dell'Europa di P. Giambullari (ibid. 1864).
Alla morte di P. Feroni, direttore delle Rr. Gallerie, il G. venne chiamato il 6 sett. 1864 a succedergli in via provvisoria per la parte economica e amministrativa. Per la nomina effettiva dovette attendere fino al 18 febbr. 1866.
Gli anni della direzione del G. furono contrassegnati da due obiettivi: l'incremento delle collezioni e la ricerca di sedi più dignitose per le raccolte artistiche fiorentine. Il primo trovò modo di esplicarsi nell'accrescimento della raccolta degli autoritratti dei pittori, attraverso richieste prontamente presentate ad artisti sia italiani, sia stranieri. Più complessa invece si presentò la seconda questione. Inizialmente si ricercò una sede più prestigiosa e capiente che accogliesse le raccolte artistiche fiorentine nella loro globalità, a formare un'unica grande collezione, che era un problema conseguente da una parte alla constatazione che gli spazi a disposizione erano ormai divenuti insufficienti - situazione, questa, destinata ad aggravarsi quando dai conventi, in seguito alle soppressioni disposte con la legge 7 luglio 1866, le opere cominciarono ad affluire in gran quantità -, e dall'altra al desiderio di emulare i grandi musei europei - e si guardava ai modelli inglesi e francesi - nel conferire all'edificio che doveva fungere da contenitore una dignità architettonica e un decoro maggiori.
Rivelatasi impraticabile l'ipotesi di disporre di spazi nuovi che permettessero di ottenere un'unica struttura monocentrica - il "museo dei musei" -, il G. continuò però a portare avanti il processo di progressiva aggregazione seguendo altre strategie. Il risultato finale sarebbe consistito nella creazione di diversi nuclei espositivi, ottenuta evitando comunque una frammentazione del patrimonio artistico e mirando invece a una più omogenea redistribuzione di quest'ultimo all'interno delle varie sedi, fra loro complementari e costituenti quindi un complesso museale cittadino allo stesso tempo unico, policentrico e articolato. Venne così portata a compimento la musealizzazione del palazzo del Podestà, iniziata dal predecessore Feroni, cui il G. dette una precisa definizione, improntandola, per quanto concerneva le arti minori, all'esempio francese del Musée de Cluny - più che a quello inglese del Kensington Museum -, e deputando gli spazi recuperati con il restauro di F. Mazzei ad accogliere i capolavori della statuaria medioevale e rinascimentale, in parte fino ad allora esposti anche agli Uffizi, proponendo infine al ministro dell'Istruzione pubblica la costituzione di una commissione composta da A.M. Migliarini, G. Dupré, V. Consani, G. Milanesi e G. Campani, che decidesse via via sugli oggetti da trasferirvisi.
Nel 1866, con l'apertura del Corridoio vasariano, si guadagnarono nuovi spazi espositivi ma soprattutto, con la conseguente fusione degli Uffizi e di Pitti, si riuscì a creare un'unica grande galleria, che anche nelle dimensioni ragguardevoli, solo dal punto di vista della superficie quadrata, poteva reggere finalmente il confronto con le istituzioni museali delle metropoli europee.
Un'altra acquisizione importante riguardò l'ex convento di S. Marco, assegnato alle dipendenze del G. dal Demanio, che a sua volta ne era entrato in possesso in seguito alla soppressione disposta dalla legge 7 luglio 1866. Degno di nota, a parte il museo inauguratovi il 1° ott. 1869, si rivelò soprattutto il restauro perché consentì la conservazione degli affreschi del Beato Angelico e il recupero della sala colonnata della Biblioteca, funzionale alla sua destinazione a sede espositiva di codici miniati.
Il 18 febbr. 1866 il G., con l'elezione a socio ordinario dell'Accademia dei Georgofili, era stato cooptato in un altro storico consesso cittadino, e la prima lettura che vi aveva pronunciato dopo il suo ingresso aveva riguardato la spinosa questione del commercio dei beni artistici (Considerazioni sul commercio delle opere di pittura e scultura che sono proprietà de' privati, ibid. 1866). Quando poi, con r.d. 9 apr. 1871, fu istituita la Deputazione per la conservazione e l'ordinamento dei musei e delle antichità etrusche, avente come area di competenza l'antico territorio dell'Etruria centrale (le province di Firenze, Pisa, Arezzo, Lucca, Livorno, Siena, Grosseto, e la parte cistiberina delle province dell'Umbria e di Roma), anche il G. fu chiamato a farne parte, insieme con C. Conestabile della Staffa, A. Fabretti, F. Gamurrini, A. Gennarelli, P. Rosa e C. Strozzi.
Non si erano interrotte frattanto le sue pubblicazioni. Dopo il Dell'unità della lingua e dei mezzi di diffonderla (ibid. 1868), erano usciti Giudizio e lavoro, raccolta di biografie di personaggi distintisi nelle arti, nelle lettere e nelle scienze (ibid. 1871), e Le gallerie di Firenze (ibid. 1872), relazione illustrante le gallerie e i musei fiorentini dipendenti dallo Stato commissionatagli dal ministero dell'Istruzione pubblica per l'Esposizione di Vienna del 1873, lavoro per il quale egli prese a modello nel taglio e nell'impostazione il Saggio istorico di G. Bencivenni Pelli, e che costituisce un'opera di compilazione esemplare perché organica e lucida nel ricostruire la formazione del patrimonio artistico delle collezioni pubbliche cittadine. Nel 1875, in occasione dei festeggiamenti nazionali in onore di Michelangelo, il G. dava alle stampe la sua Vita di Michelangelo Buonarroti narrata con l'aiuto di nuovi documenti (ibid.), la prima biografia dell'artista redatta con la scorta di fonti documentarie - nella quasi totalità inedite, consultate nell'Archivio Buonarrotiano -, che, anche per il fatto di rendere possibili rettifiche e conferme ai passi di A. Condivi e di G. Vasari, costituì un testo la cui validità, già riconosciuta dai contemporanei, è tutt'oggi ancora apprezzata. L'anno successivo usciva Gino Capponi (ibid. 1876), breve ritratto storico del letterato fiorentino appena scomparso. Il G. si occupava poi anche di didattica accademica, con due lettere indirizzate a E. De Fabris e ad A. Ciseri, pubblicate con il titolo Del vario insegnamento negli istituti di belle arti (ibid. 1877).
I rapporti tra la direzione delle gallerie fiorentine e il ministero dell'Istruzione pubblica, inizialmente buoni, andarono però progressivamente deteriorandosi, subentrando via via sempre più spesso elementi di dissidio, che alla fine portarono a uno stato di deprimente incomprensione reciproca e di pressoché totale assenza di collaborazione. L'ultimo evento positivo si aveva il 2 ag. 1877, quando il ministro M. Coppino approvava il regolamento per le gallerie e i musei di Firenze compilato dal G., dato alle stampe nel corso dello stesso anno (Regolamento per il servizio nelle Rr. Gallerie e Musei di Firenze, ibid. 1877). Ma in seguito la situazione precipitò. Nell'aprile 1878 venne inviato da Roma un ispettore che avrebbe dovuto effettuare gli opportuni controlli presso le gallerie fiorentine; il 9 settembre, da parte del ministro dell'Istruzione pubblica F. De Sanctis, arrivò il decreto di sospensione del G. dalla carica di direttore, reso esecutivo il 18 dello stesso mese. Alla direzione delle Rr. Gallerie subentrò, in qualità di regio commissario, L. Pigorini. L'anno seguente venne instaurato un procedimento penale a carico del G., cui, nel corso dei vari interrogatori, si arrivò a contestare ben tredici capi di imputazione; finalmente, il 21 marzo 1881, terminata la fase istruttoria, venne rinviato a giudizio davanti al tribunale civile e correzionale, perché rispondesse di peculato continuato e di violazione dolosa dei propri doveri d'ufficio. La sentenza, emessa il 9 giugno seguente, lo dichiarò colpevole per il secondo capo d'accusa; il 20 agosto tuttavia, in appello, l'imputato venne assolto. Ma a ciò non seguì la reintegrazione nella carica di direttore delle Gallerie.
Nel 1882 il G. pubblicava Un padre al suo figliuolo (Milano), sorta di testamento spirituale, dedicato al figlio Ranieri; nel 1883 quindi fu la volta del Vocabolario metodico della lingua italiana (Torino). A partire dal 1887 prese poi a uscire la monumentale raccolta dell'epistolario del Ricasoli (Lettere e documenti del barone Bettino Ricasoli, Firenze 1887-95: dieci volumi - più uno di indici -, ufficialmente lavoro di collaborazione con M. Tabarrini); sempre nel corso del 1887, inoltre, il G. fu chiamato da E. Broglio a collaborare alla stesura di un nuovo vocabolario della lingua italiana, lavoro che avrebbe portato a compimento, in pratica da solo, nel 1897 (Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze, I-IV, ibid. 1870-97). Sono due opere di notevole impegno - l'ultimo volume del carteggio ricasoliano era stato preceduto l'anno prima dal suo naturale complemento, ovvero la biografia, la prima in assoluto, del barone di Brolio (Vita del barone Bettino Ricasoli, ibid. 1894) - che sole basterebbero a ricordare l'autore.
Ma non furono le uniche a occupare il G., che nei due ultimi decenni del secolo licenziò quasi senza soluzione di continuità una quantità considerevole di interventi concernenti argomenti disparati: descrizioni di avvenimenti contemporanei (Narrazione delle feste fatte in Firenze nel maggio 1887 per lo scoprimento della facciata di S. Maria del Fiore e del V centenario dalla nascita di Donatello, ibid. 1890); pubblicazioni di carattere storico, alcune di notevole impegno (come la Storia del palazzo Vecchio in Firenze, ibid. 1889), altre di carattere divulgativo (quali, per la "Piccola biblioteca del popolo italiano", S. Maria del Fiore e i suoi architetti, e La corona di casa Savoia, uscite a Firenze nel 1887); ricerche d'archivio (Ricordanze della nobile famiglia Rosselli - Del Turco tratte dai suoi archivi, ibid. 1890); redazioni di testi scolastici (La vita di Vittorio Emanuele II re d'Italia scritta per i giovanetti, ibid. 1882; Esempi storici di virtù in appendice alla storia sacra e d'Italia. Libro di lettura per le classi elementari adottato nelle scuole comunali di Firenze, ibid. 1886; Firenze per i nostri ragazzi, ibid. 1893). Contemporaneamente il G. collaborava con vari periodici - tra i quali, in primo luogo, la Nuova Antologia - e compariva con interventi introduttivi in edizioni di classici della letteratura italiana (La Vita nuova di Dante Alighieri. Con prefazione su Beatrice, ibid. 1890). Nel 1892 apparve anche la sua autobiografia (Pagine staccate della mia vita, Roma-Firenze-Torino 1892).
Il G. morì a Roma - dove si era trasferito dai primi mesi del 1893 - il 7 genn. 1904. L'ultimo suo libro, Italiani del secolo XIX, uscì postumo a Città di Castello nel 1911.
Fonti e Bibl.: Necrologi in La Nazione, 8 genn. 1904, e Il Marzocco, 24 genn. 1904 (A. Franchetti); Nemi [A. Grilli], Tra libri e riviste. A. G., in Nuova Antologia, 1° febbr. 1904, p. 543; In commemorazione di A. G. Laiatico, IV sett. MCMIV, Roma 1904; A. Gotti Lega, I Gotti ramo toscano. Cenni storici, Pisa 1924; G. Gelli, Patrioti italiani dell'Ottocento da non dimenticare. Note biografiche da ricordi personali, Firenze 1941, pp. 65 s.; Enc. Italiana, XVII, p. 594.