FREGOSO, Aurelio
Figlio di Ottaviano (governatore di Genova dal 1515 al 1522), è noto come signore di Sant'Agata nel Ducato di Urbino (alcuni atti lo qualificano conte); questa terra era entrata a far parte del patrimonio familiare in seguito al matrimonio di Agostino, avo del F., con Gentile, figlia naturale di Federico II da Montefeltro, duca di Urbino. Il F. aveva ricevuto l'investitura di questa signoria da Francesco Maria I Della Rovere, duca di Urbino, il 16 ag. 1524, ma ne prese realmente possesso solo il 10 ag. 1541, dopo la morte di suo zio Federico, arcivescovo di Salerno.
Si trasferì in Francia tra il 1541 e il 1547, anno in cui occupava già una posizione di rilievo alla corte francese; nel luglio fu uno dei quattro testimoni di François de La Chastaigneraie nel celebre duello in cui quest'ultimo trovò la morte opponendosi a Guy de Chabot, barone di Jarnac. Nel settembre 1547 il F. si intitolava consigliere e ciambellano del re; nel 1549 figura in carico nei ruoli dei pensionnaires royaux per la somma di 3.000 libbre.
Nel 1551 la ripresa delle guerre d'Italia gli dette modo di percorrere una brillante carriera militare al servizio di Enrico II. Il 6 maggio 1551 il F. era a Tours in occasione della cerimonia per il fidanzamento di Orazio Farnese con Diana di Francia, figlia naturale di Enrico II. Egli accompagnò in Italia il Farnese, che vi si recava per portare aiuto a Parma assediata. Ambedue si imbarcarono a Marsiglia, ma in vista della costa toscana le loro galee fecero naufragio, arenandosi presso Pietrasanta; il Farnese e il F. furono presi prigionieri da un podestà al servizio di Cosimo I de' Medici, il quale li fece rilasciare al confine con lo Stato di Lucca, ordinando che fosse loro facilitato il viaggio verso Parma, gesto interpretato come segno della volontà del duca di Firenze di riavvicinarsi alla corte francese.
Traversando l'Appennino giunsero a Mirandola, centro di raccolta dei fuorusciti, dove venivano arruolate le truppe destinate al soccorso di Parma. In ragione dei suoi legami col Ducato di Urbino il F. fu scelto da P. Strozzi per negoziare presso il duca Guidubaldo (cognato del Farnese) l'autorizzazione ad arruolare 2.000 fanti nelle sue terre.
Catturato dagli uomini del legato di Ravenna, riuscì a fuggire e a ricondurre le truppe che aveva richiesto al duca di Urbino, poi utilizzate principalmente per mettere a sacco il territorio bolognese, possedimento pontificio. L'idea di un tale intervento è stata attribuita talvolta a Paul de La Barthe, signore di Termes e maresciallo di Francia (Fourquevaux), talvolta allo Strozzi (Cronaca parmense), ma il F. ne fu comunque il principale esecutore. Si trattava di rispondere alle scorrerie compiute dalle truppe pontificie e imperiali intorno a Parma, forzando così Giulio III a ritirare il suo esercito per impiegarlo nella difesa del Bolognese. L'obiettivo venne raggiunto: il 25 apr. 1552 fu proclamata la tregua tra Giulio III ed Enrico II per cui gli avversari si sarebbero attenuti allo statu quo ante bello. Il F. fu specificamente menzionato fra i comandanti al servizio della Francia e dei Farnese, beneficiari dell'abrogazione delle censure pontificie promulgate contro di loro e della restituzione dei beni confiscati.
La guerra di Siena offrì ben presto al F., come agli altri fuorusciti al servizio dei Francesi, un nuovo campo di azione. Sozzini lo inserisce fra i "capitani segnalati", italiani e francesi, che nel 1552 portarono aiuto alla città in rivolta. Qui il F. prese parte alle principali operazioni militari: la spedizione in Val di Chiana nel marzo 1553, la vittoria di Chiusi nel marzo 1554. Come ricompensa per le sue imprese, il 4 ag. 1553 il F. ebbe la cittadinanza senese. Al ritorno dalla spedizione nel contado fiorentino il F., insieme con Raimondo di Pavia, barone di Fourquevaux, fu incaricato di recuperare alcuni pezzi di artiglieria abbandonati dal priore di Capua sulla costa maremmana. In questa circostanza i due capitani non riuscirono a impedire l'ammutinamento delle loro truppe provocato dalla crescente tensione fra fuorusciti e Senesi. I commissari senesi addetti all'approvvigionamento avevano distribuito razioni per tre giorni, in realtà appena sufficienti per un solo pasto; al fine di sedare la rivolta lo Strozzi dovette raggiungere in gran fretta i suoi luogotenenti.
Pochi giorni dopo il F. partecipò alla sortita su Foiano (luglio 1554); in seguito presenziò al consiglio di guerra durante il quale fu deciso, intorno al 15 luglio, di affrontare Giangiacomo de' Medici, marchese di Musso e Marignano. Ferito durante la battaglia di Marciano, dove si decisero le sorti della rivolta senese, accompagnò lo Strozzi, anch'egli ferito, a Montalcino, suggerendogli di inviare immediatamente Cornelio Bentivoglio a Siena per impedire la resa della città. Dopo lo scacco francese nella guerra di Siena, il F. si trattenne qualche tempo a Urbino, quindi si recò a Roma, che, a causa della politica antispagnola di Paolo IV Carafa, correva il rischio di subire l'assedio delle truppe del viceré di Napoli. In questa prospettiva al F. venne affidata la difesa di Trastevere; fu la sua ultima impresa in campo filofrancese.
L'anno 1556-57 segnò in effetti una svolta decisiva per il F. e aprì l'ultima fase della sua carriera. A questa data, infatti, egli passò bruscamente al servizio di Cosimo de' Medici, abbandonando Enrico II. Nel 1557 combatté le armate francesi in Lombardia come generale della cavalleria di Cosimo. Gli incarichi che ricoprì negli anni successivi testimoniano l'importanza del ruolo da lui svolto presso la corte di Toscana. Nel 1562 era ritenuto personaggio di rilievo tale da poter guidare l'ambasceria all'imperatore Ferdinando I per felicitarsi in occasione dell'elezione del figlio Massimiliano a re dei Romani. Presso Massimiliano, ormai imperatore, il F. fu inviato nel 1569 con le congratulazioni per i matrimoni delle figlie Anna e Giovanna (che andavano spose rispettivamente a Filippo II di Spagna e a Francesco de' Medici). L'anno seguente accompagnò Cosimo a Roma, dove questi ricevette il titolo granducale. Svolse anche altri incarichi, meno onorifici, ma altrettanto importanti: nel 1565 fu nominato commissario a Portoferraio nell'isola d'Elba con il compito di organizzare la difesa contro un eventuale attacco dei Turchi, particolarmente minacciosi quell'anno (si temeva che un loro obiettivo fosse Malta). In realtà questo nobile fine ne nascondeva un altro: contemporaneamente il F. doveva ricevere le proposte dei Corsi, guidati da Sampiero da Bastelica, in rivolta contro il dominio genovese; la macchinazione si risolse tuttavia in un nulla di fatto.
Al rientro da Portoferraio il F. si trovò a reggere le fila di un'oscura trama per un assassinio politico. Nell'ottobre 1565 aveva scritto a uno dei suoi dipendenti di Sant'Agata, A. Santi, ordinandogli di recarsi in Francia per uccidere un fuoruscito fiorentino, B. Corbinelli, il quale sarebbe stato implicato a sua volta in un tentativo di assassinio ai danni di Cosimo I. Secondo le istruzioni impartitegli dal F. tramite un intermediario, Montauto, altro funzionario toscano, il Santi alla corte francese si mise in contatto con un tal J. Turin (di origine fiorentina), cognato del Montauto. Il comportamento del Turin si sarebbe rivelato ambiguo e dilatorio, tanto che il piano fallì ancor prima di avere inizio. Il Turin dovette comparire dinanzi al prevosto della casa del re: la responsabilità del F. fu esplicitamente dichiarata ma, dal momento che la sovrana potestà non aveva né i mezzi né la volontà di raggiungerlo ci si contentò di impiccare il Santi a Moulins il 31 genn. 1566.
Quello stesso anno, in Ungheria, il F. prese parte a un'azione ben più gloriosa guidando 3.000 fanti mandati dal duca di Toscana - a sue spese - in aiuto dell'imperatore contro i Turchi, i quali avevano infine sferrato un attacco in Ungheria. Sei anni più tardi, l'anno di Lepanto, troviamo il F. capitano delle galee di Toscana. Negli anni seguenti, tra il 1571 e il 1575, a Genova, fu implicato nelle lotte interne dei "popolari", che tentavano di riconquistare il potere e di sottrarre la Repubblica all'influenza spagnola. La fazione popolare, che tradizionalmente faceva capo ai Fregoso, si rivolse ovviamente al F. per ottenere l'aiuto del granduca. Ma, come per la questione corsa nel 1565, la condotta di Cosimo fu improntata alla prudenza: consapevole della reale impotenza della Francia, non volle correre il rischio di trovarsi isolato contro la Spagna e non intervenne, nonostante le pressioni del Fregoso.
Gli ultimi anni della carriera del F. sembrano essere trascorsi negli intrighi di corte e non sono segnati da alcun evento significativo. Morì nel 1581, con ogni probabilità a Firenze.
Il F. fu un tipico esponente della nuova burocrazia toscana. I Medici, infatti, preferivano servirsi di uomini che non appartenevano alla vecchia aristocrazia fiorentina, ma a una nobiltà spesso straniera: è appunto il caso del F., comandante e amministratore (a Portoferraio), di origine genovese e con possedimenti a Urbino. Tramite il suo matrimonio con Lucrezia Vitelli il F. si era inoltre legato a una famiglia sua pari e straniera (proveniva da Città di Castello). Ai Vitelli i Medici offrirono la possibilità di una brillante carriera negli alti gradi dell'amministrazione. Chiappino Vitelli, cognato del F. (cui peraltro l'opponeva una solida inimicizia), fu ambasciatore in Spagna nel 1587. Questi dati chiariscono retrospettivamente i motivi che spinsero il F. ad abbandonare il campo francese, dove le sue prospettive di riuscita erano indubbiamente minori.
Fonti e Bibl.: Parigi, Archives nationales, Minutier central XIX 172, obbligazione del 13 sett. 1547; Processo di Aurelio Santi, Lyon 1566 (copia alla Bibliothèque nationale di Parigi, segn. 4° Ln27 53915); G. Sozzini, Il successo delle rivoluzioni della città di Siena, in Arch. stor. ital., t. II (1842), pp. 94 s., 139, 155, 191, 269, 593; [P. de Bourdeilles, seigneur de] Brantôme, Discours sur les duels, in Oeuvres, VI, Paris 1873, p. 276; Nuntiaturberichte aus Deutschland, 1533-1559, XII, Pietro Bertano und Pietro Camaiani, 1550-1552, a cura di G. Kupke, Berlin 1901, pp. 39, 366; B. de Monluc, Commentaires, 1521-1576, Paris 1964, p. 379; G. Franchi, Poveri huomini. Cronaca parmense del secolo XVI, 1543-1557, Roma 1976, pp. 361-363; G. Paradin, Continuation de l'histoire de notre temps depuis l'an 1550 jusques à l'an 1556, Paris 1575, pp. 9, 11; F. de Pavie de Fourquevaux, Les vies de plusieurs grands capitaines français, Paris 1643, pp. 428-441; J.A. de Thou, Histoire universelle, Londres 1734, II, p. 116; R. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, I, Firenze 1781, pp. 62, 175; L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, Paris 1913, I, pp. 238, 423 s.; II, pp. 96, 213; R. Cantagalli, La guerra di Siena, 1552-1559, Siena 1962, pp. 80 n. 166, 204, 270, 295, 306, 316 n. 75, 323 n. 108.