CATTANEO, Aurelio
Nacque a Milano intorno al 1515 da Giacomo e da Beatrice Bottaccia. La famiglia era originaria di Novara, ma già il padre, giurista, si era trasferito a Milano, dove era stato nominato segretario del Senato. Anche il C. studiò legge, ma diversamente dal padre ebbe anche cultura umanistica e letteraria e vocazione per il servizio politico-diplomatico. Servì, per gran parte della vita, un solo padrone, il cardinale Cristoforo Madruzzo principe vescovo di Trento ed esponente fra i più qualificati e prestigiosi della politica imperiale in Italia, con tutta probabilità a partire dal 1539, visto che in questo anno il suo nome compare per la prima volta nella corrispondenza del Madruzzo. Come suo agente egli risiedeva a Roma, ma la residenza in questa città, dove curava gli interessi del cardinale nei rapporti con la Curia, fu interrotta spesso, e sempre più di frequente dopo l'apertura del concilio, da viaggi a Trento e alla corte imperiale.
Nell'estate del 1545, nell'imminenza dell'apertura del concilio, il C. era a Trento da dove passò a Worms per assistere alla Dieta imperiale che vi si teneva. Di nuovo a Trento nell'agosto, vi rimase qualche mese per rimettersi in viaggio nell'ottobre alla volta di Roma.
Aveva incarico dal cardinale di trattare la concessione del cappello cardinalizio a un suo protetto, il vescovo di Ivrea, Filiberto Ferreri, l'invio come nunzio alla corte di Ferdinando re dei Romani del vescovo di Cava Tommaso Sanfelice, e la nomina del Madruzzo stesso a legato pontificio in Germania. Ai primi di novembre scrisse da Roma al Madruzzo di avere trattato in più incontri con il cardinal nepote Alessandro Farnese le tre questioni, ma senza troppo successo. Per il Ferreri infatti appurò subito che non v'era niente da fare, visto che il papa non aveva intenzione di procedere ad alcuna nomina cardinalizia. Neanche per il Sanfelice v'erano speranze, perché il Farnese non voleva sentirne. Prospettive migliori sembravano esistere solo per la nomina del Madruzzo, rispetto alla quale il C. ebbe molte promesse. Per mesi tuttavia negoziò questa nomina senza riuscire mai ad ottenerla.
Alla fine di gennaio del 1546, dopo che a Roma giunse la notizia dell'intervento del Madruzzo nel dibattito conciliare sull'ordine dei lavori da adottare, la trattativa si poté considerare chiusa. Il Madruzzo aveva sostenuto infatti l'opportunità di dare la precedenza alla questione della riforma degli abusi disciplinari, con non poca irritazione di Paolo III, sostenitore della tesi contraria di cominciare con la definizione dei dogmi. Il C. ebbe a questo proposito un diverbio piuttosto animato con il cardinale Farnese. Della nomina di Madruzzo si parlò ancora nei mesi successivi, ma alla fine non se ne fece niente. La Dieta imperiale, convocata a Ratisbona, fu aperta ufficialmente il 5 giugno 1546, con la partecipazione del Madruzzo, ma non in veste di cardinal legato. Invitato dall'imperatore, egli vi svolse ugualmente un ruolo di primissimo piano nelle trattative finali per la conclusione dell'alleanza militare di Carlo V con Paolo III che dette il via alla guerra contro i protestanti tedeschi collegati nella lega di Smalcalda. In previsione della Dieta, il C. aveva lasciato Roma già alla fine di marzo. Il 1º aprile era a Trento e nel maggio a Ratisbona al seguito del cardinale che assistette per tutta la trattativa.
Il 7 giugno Carlo V sottoscrisse il testo delle capitolazioni che il C. doveva portare a Roma per sottoporle alla firma del papa. Si mise in viaggio lo stesso giorno, seguito a tappe più lente dal Madruzzo. Arrivò a Roma il 13 giugno, pochi giorni prima del Madruzzo, che vi giunse il 19. Il 22 il Collegio cardinalizio approvò il trattato, al quale Paolo III appose la sua firma il 26 giugno. Il negoziato si concluse, così, rapidamente e il C. poté rimettersi in viaggio per la corte imperiale dove arrivò l'11 luglio, latore dei dispacci del Madruzzo che davano conto degli accordi raggiunti con il papa. Riparti subito per l'Italia con il nuovo incarico, questa volta direttamente dell'imperatore, di raggiungere il cardinal legato Alessandro Farnese per chiedergli di portare subito le truppe pontificie in Germania nella zona delle operazioni militari e di consegnare con sollecitudine l'ingente sussidio finanziario promesso dal papa.
Il C. incontrò il Farnese il 20 luglio a Revere presso Mantova e gli trasmise il messaggio imperiale. Il Farnese scrisse al cardinale Sforza di Santafiora che gli lesse "de verbo ad verbum quasi tutta la sua instruttione della quale poi ho fatto pigliar copia di sua mano summariamente per capi". Secondo le istruzioni di Carlo V, se egli non riceveva pronte assicurazioni dal Farnese, doveva proseguire subito verso Roma per rivolgere le stesse richieste direttamente al papa. Il Farnese però gli evitò questo ulteriore viaggio romano, promettendo di procedere a marce forzate con le truppe e di consegnare il denaro al più presto. Non subito però e tanto meno poi l'intera somma, ma solo un terzo entro un mese, e i due terzi restanti entro i prossimi due mesi. Il C. allora inviò l'istruzione di Carlo V all'ambasciatore imperiale a Roma Juan de Vega, mentre egli riprese la strada per Ratisbona. Vi giunse il 30 luglio con lettere del Farnese e fu ricevuto subito dall'imperatore e dai suoi consiglieri Truchsess e Granvelle. La notizia che il Farnese si trovava nell'impossibilità di mettere subito a disposizione la somma promessa gettò Carlo V nella più aperta irritazione. Disse al C. "che non haveva un quattrino da pagar le genti questa secunda paga" e lo rimandò indietro per fare nuove pressioni sul Farnese. Nel frattempo erano giunte a Ratisbona le prime indiscrezioni sulle intenzioni dei legati conciliari, e del Cervini in particolare, di proporre al papa, con la scusa della vicinanza della zona delle operazioni militari, il trasferimento del concilio in una città italiana più lontana, magari Bologna. Tanto bastò per mandare l'imperatore su tutte le furie. Dette al C. quindi un altro incarico piuttosto imbarazzante, quello di far sapere al Cervini di stare attento, perché la collera dell'imperatore l'avrebbe raggiunto ovunque fosse fuggito. In viaggio verso Trento il C. incontrò il 3 agosto a Bressanone un inviato del concilio, il vescovo di Fano Pietro Bertano, che si dirigeva verso Ratisbona per tentare di convincere Carlo V dell'opportunità di trasferire il concilio. Il C. lo mise al corrente sugli umori dell'imperatore e lo dissuase dal proseguire il viaggio. Insieme giunsero il 4 agosto a Trento, dove il C. si presentò al Cervini per svolgere la sua difficile missione.
Una famosa lettera del Cervini a Paolo III riferisce del colloquio in questi termini: "messer Aurelio, tornando dalla corte dell'imperatore, mi fece questa ambasciata da parte di Sua Maestà. Che mi dicesse, come era avvisata che io cercavo di dissolvere questo concilio et subornavo li prelati che se n'andassero, volendomene andar ancor io, che, s'io facevo questo di commissione di Vostra Santità, non mi diceva altro, se no, che io facevo un gran male et cosa che gli dispiaceva molto et di che mi pentiria, perché se Vostra Santità non m'havesse castigato lei, mi castigaria la Maestà Sua et che io non starei sicuro in nissun loco" (cfr. Concilium Tridentinum, X, p. 592). Cervini replicò con la ben nota risposta che lui prendeva ordini solo dal papa e che per il resto si considerava un povero prete pronto a sopportare qualunque castigo. "Con questa risposta - concluse la lettera a Paolo III - messer Aurelio partì da me, havendo prima fatto scusa di portarmi simili ambasciate".
L'insolita ambasciata suscitò in effetti ampie ripercussioni e non poco scalpore. Il Farnese aggiunse infatti a quella del Cervini una lettera personale al papa per chiedere le più ferme rimostranze all'ambasciatore imperiale Juan de Vega e al C. stesso che a Roma doveva recarsi di lì a poco. L'ambasciatore imperiale a Venezia, don Diego de Mendoza, sopraggiunto a Trento, osservò saggiamente che se fosse arrivato prima avrebbe impedito al C. di trasmettere un messaggio tanto poco diplomatico. Il 6 agosto comunque il C. riprese il viaggio e si diresse verso Roma, come gli prescrivevano le istruzioni imperiali. Negli ambienti della Curia si seppe presto che dietro la collera di Carlo V c'erano gli intrighi del Madruzzo, interessato ancor più dell'imperatore a lasciare il concilio a Trento. A Roma il C. fu ricevuto il 15 agosto dal papa in una udienza tempestosa nel corso della quale Paolo III "se levò in tanta collera che non se potria mai dir". Gli disse che Cervini doveva dare conto solo a lui e non certo all'imperatore, al quale andasse a riferirlo subito. Non mancò poi di sottolineare la responsabilità del Madruzzo nell'incidente. "So - disse - dove derivano queste matasse, le stringarò prima che moia, el tuo patrone vorrebbe esser papa con queste corrottele, parlamenti et girandole". Davanti a questo scoppio di collera il C. "se trovò tanto sbigottito che havendo perso la tramontana anfanava: non accade, so ogni cosa et la verità delle cose".
In realtà egli era preparato allo sfogo del papa e se lo sorbì con la necessaria filosofia. Il 16agosto scrisse al Madruzzo: "Vostra Signoria illustrissima sappia ancora che il papa ha parlato con altri più in colera che meco, cioè sfogando la colera e mostrando a ogni modo di voler levar il concilio, pur le furie, credo, sono alquanto cessate". In Curia invece l'udienza al C. restò memorabile: il cardinale Sforza di Santafiora ne riferì al Farnese precisando che "questo diavol di messer Aurelio ha fatto voto di guastar ogni cosa con questo suo andar su e giù". Secondo la testimonianza di altri curiali egli se ne sarebbe ritornato in Germania con le pive nel sacco. Il 28 agosto il Maffeo lo scrisse al Cervini ("dopo il ribuffo non è più comparso da Sua Santità, ma intendo che partì hiersera") e il 29 Achille de Grassi ai legati ("si è partito assai travagliato e Sua Santità li ha ditto di sconcie parole": cfr. Concilium Tridentinum, X, p. 633). Qualcosa invece il C. aveva ottenuto: scrisse infatti al Granvelle che il papa dopo la sfuriata "ha pur dato intentione di non rimuovere il concilio da Trento".
Paolo III in effetti aveva deciso già alla fine di luglio di trasferire il concilio, ma preoccupato dall'intransigenza imperiale, non aveva reso nota la decisione, per lasciare ancora spazio alla trattativa con Carlo V. Per strappargli il consenso o almeno una tacita tolleranza aveva pensato di rinviare il provvedimento di traslazione di due mesi. Il C. ritornò quindi a Trento il 17 settembre per riprendere pochi giorni dopo il cammino verso la corte imperiale che si era trasferita in zona di operazioni a Maxheim. Arrivò al campo imperiale il 26 settembre e riferì al Granvelle dell'udienza pontificia dell'agosto. Si trattenne al campo imperiale per tutto il mese di ottobre, adoperandosi a favore di quanti tentavano di convincere Carlo V ad accettare il progetto di traslazione. Questa conversione di fronte, che corrispondeva molto bene al suo desiderio personale di far dimenticare gli incidenti dell'estate, gli era stata ordinata dal Madruzzo, anche lui colpito dalla violenza della reazione papale e timoroso di essersi spinto troppo innanzi nel conflitto con Roma. Al campo cesareo il C. ebbe modo di segnalarsi per il suo zelo filo-pontificio agli occhi del cardinal legato Alessandro Farnese che vi si tratteneva. Ogni tentativo fu però vano davanti alla volontà irriducibile di Carlo V.
Alla fine di dicembre il C. ritornò a Roma, perfettamente riconciliato con la Curia pontificia, al punto di poter aspirare a una carica di governatore nello Stato della Chiesa. Il 12 febbraio corse voce che la sua nomina al governo di Fano era cosa fatta e che il breve era già nelle mani del segretario Blosio Palladio, ma la notizia non ebbe conferma. Da Roma egli riprese ad informare il Madruzzo sugli umori del papa e sulle trattative sempre più difficili che vi si svolgevano con i rappresentanti di Carlo V. Nel febbraio l'avvertì dell'opportunità di cedere il vescovato di Bressanone che cumulava con quello di Trento in contrasto con un recente decreto pontificio che lo proibiva ai cardinali. Nel corso dello stesso mese riferì anche dei negoziati condotti con il papa dall'inviato imperiale Francisco de Toledo che prevedevano anche la nomina del Madruzzo a legato pontificio in Germania.
Questa missione era caldeggiata vivamente dallo stesso Madruzzo, che contava di interporre i suoi buoni uffici per la riconciliazione del papa con l'imperatore, dopo che nella primavera del 1547 si arrivò al limite della rottura, per via del trasferimento del concilio a Bologna che Carlo V non riuscì ad impedire. Di essa si parlò molto a Roma e durante l'estate si dava già per sicura. In realtà però in Curia nessuno credeva alla buona fede del Madruzzo, troppo legato alla politica imperiale per potere svolgere compiti di effettiva mediazione. L'assassinio di Pier Luigi Farnese sopraggiunto ai primi di settembre, per iniziativa del governatore imperiale di Milano, Ferrante Gonzaga, tolse definitivamente ogni spazio alla trattativa. Alla fine di novembre del 1547, invece di andare in Germania come legato pontificio, il Madruzzo arrivò a Roma come inviato imperiale. Ma il suo tentativo di ottenere da Paolo III l'impegno di riportare il concilio a Trento non ebbe alcun successo. Il 16 dicembre egli lasciò Roma e il giorno dopo lo seguì il C. con il compito di portare alla corte imperiale una istruzione che riferiva dettagliatamente dell'"insuccesso della missione romana" del suo padrone.
Il 23 dicembre era a Bologna e il giorno successivo conferì con il cardinale Morone. Gli disse che "andava di malissima voglia, prevedendo li molti mali che son per nascere da questo non voler Nostro Signore rimandar il concilio a Trento, perché sapeva per certo ch'erano per seguirne et schima et guerra". I legati del concilio non si lasciarono intimidire da queste minacce: Cervini scrisse in effetti a Del Monte: "delle bravate che messer Aurelio ha fatte costì non è da maravigliarsi, perché n'han fatte tante qui ancora che chi n'havesse havuto paura, haria rincarato il prezzo dele bucate alle lavandare" (cfr. Concilium Tridentinum, XI, p. 338). Le preoccupazioni espresse dal C. erano, però, tutt'altro che infondate e riflettevano perfettamente gli umori della corte imperiale, che egli raggiunse il 28 dicembre ad Augusta. Vi si trattenne per quasi tutto il 1548 come agente del Madruzzo. Solo nel dicembre infatti risulta rientrato a Roma.
Risiedette stabilmente in questa città negli anni successivi. Tra la fine del 1549 e l'inizio del 1550 fu conclavista del Madruzzo nel corso del lungo conclave che si concluse con l'elezione di Giulio III. Nello stesso 1550 fece un secondo tentativo di abbandonare il servizio del Madruzzo, sollecitando la concessione di una carica, questa volta a Carlo V, ma sempre invano. Continuò a servire il cardinale ancora per alcuni anni: nel 1552 a Roma, nella primavera del 1553 a Brusselle, nel 1554 e 1555 a Milano dove il Madruzzo svolgeva funzioni di governatore, all'inizio del 1556 di nuovo a Roma e nell'autunno di questo stesso anno presso la corte imperiale in Germania. Con il 1557 il suo nome non figura più tra i corrispondenti del Madruzzo, segno inequivocabile che egli ne lasciò finalmente il servizio. Negli ultimi anni i suoi rapporti con il cardinale dovettero peggiorare e divenirgli addirittura insopportabili, almeno a giudicare dai pesanti giudizi su di lui e sulla vita infamante del cortigiano cui egli si lasciò andare in anni più tardi.
Nel 1562 ricompare a Milano in corrispondenza con un vecchio amico degli anni dei suoi soggiorni romani, il bolognese Astorre Paleotti. Le prime lettere ci riportano agli interessi letterari del C. che vi figura impegnato nella cura dell'edizione di un epistolario amoroso di una cortigiana romana amica del Paleotti, designata con il nome di Flora. La opera, della quale non resta più traccia, doveva essere piuttosto piccante, visto che il Paleotti dopo averne sollecitato a lungo la stampa se ne pentì all'ultimo momento e ne richiese imperiosamente al C., che vi aveva apposto anche una sua prefazione, il ritiro dal commercio. Troppo tardi, perché delle 1.500 copie stampate 200 erano state già vendute.
Sin dall'aprile del 1559 il Paleotti svolgeva a Roma funzioni di amministratore del patrimonio dell'amico. Si trattava di un capitale di circa 5.000 scudi investito quasi tutto in titoli del debito pubblico, acquisto e ipoteca su uffici vendibili della Curia romana. Da questi investimenti il C. ricavava un reddito di 500-600, scudi annui, al tasso piuttosto alto di circa il 12%. Ma la situazione politica europea e in particolare la virulenza della minaccia ugonotta in Francia lo indussero a un atteggiamento di vero e proprio panico circa le sorti della Chiesa di Roma. Nel corso dei due anni 1562-63 nei quali si estende la corrispondenza con il Paleotti, egli si mostrò preoccupatissimo di ritirare al più presto i suoi capitali, di svendere tutto al migliore offerente per realizzare investimenti fondiari in Lombardia, tanto più sicuri ai suoi occhi anche se infinitamente meno redditizi. Per questo aspetto la corrispondenza si presenta come un documento abbastanza squallido delle consuete preoccupazioni dei redditieri di ogni tempo, sempre preoccupati di perdere il capitale al primo agitarsi della situazione politica e ansiosi solo di quella sicurezza inattaccabile che la terra ha sempre offerto loro. Dell'audace, spericolato agente diplomatico di una volta non resta più alcuna traccia, se non nello scettico, irridente pessimismo rispetto alle preoccupazioni del suo corrispondente romano sugli effetti di una eventuale paventata riforma della Chiesa sul sistema prebendario romano. Ma era uno scetticismo sin troppo facile.
A partire dal 1563 non si hanno più notizie del C. e non se ne conosce neanche la data della morte.
Fonti e Bibl.: Beiträge zur Reichsgesch. 1546-1551, a cura di A. von Druffel, I, München 1873, pp. 76, 422 s.; Des Viglius van Zwichem Tagebuch des schmalkald. Donaukriegs, a cura di A. von Druffel, München 1877, pp. 51 s.; Venetianische Depeschen vom Kaiserhofe (Dispacci di Germania), a cura di G. Turba, II, Wien 1892, pp. 376 s.; Nuntiaturberichte aus Deutschland. 1533-1559, VIII-XI, a cura di W. Friedensburg, Gotha 1898 Berlin 1910, ad Indices; Concilii Tridentini diariorum pars prima, ed. Soc. Goerresiana, Friburgi Brisgoviae 1901, ad Indicem;... pars secunda, ibid. 1911, ad Indicem; Concilii Tridentini epistolarum pars prima, ed. Soc. Goerresiana, Friburgi Brisgoviae 1916, ad Indicem;... pars secunda, ibid. 1937, ad Indicem; Die Instruktion der kaiserl. Bevollmächtigten in Rom (Kardinal von Trient und Diego Hurtado de Mendoza) für A. C. (17Dezember 1547),a cura di G. Buschbeli, in Quellen und Forschungen aus italienische Archiven und Bibliotheken, XXIII(1931-32), pp. 218-241; L. von Pastor, Storia dei papi, V, Roma 1929, ad Indicem;P. Prodi, Operazioni finanziarie presso la corte romana di un uomo d'affari milanese nel 1562-63, in Riv. stor. ital.,LXXIII(1961), pp. 641-659; H. Jedin, Storia del concilio di Trento,II-III, Brescia 1962-1973, ad Indicem.