BOCCALINI, Aurelio
Figlio di Traiano e di Ersilia Ghislieri, nacque presumibilmente nel 1607; Clemente di nome, assunse quello di Aurelio entrando, a diciassette anni, nell'Ordine dei serviti, "frate" lo dicono, appunto, i documenti. Nel 1627 è a Venezia per far presente l'attaccamento suo e del fratello Rodolfo alla Repubblica, per rinfrescare la memoria delle benemerenze paterne e, soprattutto, consegnare, in modo da ottenere un cospicuo contraccambio, il manoscritto delle Osservazioni su Tacito, vantato come unico. Anche lui, come Rodolfo, fu ricompensato con un vitalizio di 12 ducati mensili. Di nuovo a Roma, il 30 marzo del 1630 il rappresentante veneto Giovanni Pesaro avvisava il Senato della sorveglianza speciale con proibizione d'uscire che veniva a colpire, improvvisamente, il Boccalini. Situazione cui egli riuscì a sottrarsi se, nel 1636, è, con Girolamo Brusoni, incaricato di trattare un accordo con la Spagna per conto del duca di Parma. Nell'estate del 1643 era ancora a Venezia: lo apprendiamo da un interrogatorio, del 15 dicembre di quell'anno, degli Inquisitori di Stato a un tale "Apostolo Pissamisi governator di una delle galee di mercatura", convocato per riferire sulla natura dei suoi colloqui col Boccalini. Il B. è a Venezia anche nel 1644, impegnato assieme al Brusoni, a proseguire i contatti coll'ambasciatore spagnolo marchese de la Fuente, che erano stati già avviati dal duca di Parma Odoardo Farnese.
Il 15 febbraio 1645 il residente veneto Tadio Vico scrive della partenza da Milano (forse per Venezia) del "Boccalino" - che il re di Polonia, ai cui servizi s'era messo, destinava alla Serenissima in qualità più di agente che di rappresentante ufficiale -, dopo essere "stato visitato da ministri di corte, da quelli di prencipi et alta nobiltà et sempre spesato a nome della regia Camera". Ed aggiungeva come il B. "havendo qui (a Milano) lasciati undeci tomi di compositioni di Traiano suo padre, toccanti considerationi sopra Tacito et appropriate a' tempi presenti, si ode che si habbi ricevuta da S. Eccellenza (il governatore di Milano) una buona ricompensa, oltre il regalo di 200 doppie". Gli Inquisitori di Stato, nella speranza che la copia della Repubblica fosse almeno completa, pregavano il Vico d'informarsi "quali trattati (il B.) habbi havuto sopra li volumi predetti... se vi sia pensiero di darli alla stampa" e "di che grandezza siano, quello che generalmente contengono".
Privato, giustamente, dei 12 ducati mensili, il B. ebbe tuttavia la sfacciataggine di spargere "qualche voce di doglianza" a Venezia, lamentandosi inoltre presso la corte polacca che "per haver obbedito a Sua Maestà in mostrare a' Spagnoli l'opere di mio padre" gli era stata sospesa la "provisione"; si guardava bene dal precisare come, a suo tempo, avesse fatto passare per unico il codice paterno.
Né la sua posizione era gran che comoda: sgradito alla Repubblica, la sua natura di chiacchierone querulo e pavido poco lo facilitava nella continua e precaria tessitura d'intrighi, e perdeva per questo la fiducia di Varsavia, alla quale inviava notizie concernenti in special modo la guerra di Candia, accompagnandole con frequenti richieste di lettere credenziali, rimaste, peraltro, sempre inascoltate. Giovanni Tiepolo, ambasciatore veneto in Polonia, al quale gli Inquisitori di Stato s'erano rivolti per sapere "con quali forme" il B. "scriva a cotesta Maestà", ne riduceva a ben poco le funzioni: "non stimo - scriveva il Tiepolo il 24 ag. 1645 - habbia egli negotio di alcun peso, per il poco credito e concetto che tiene nella corte, servendosene la Maestà Sua più per curiosità che per fondato ministerio. Tiene qualche corrispondenza in Roma et con padre Appolinari somascho et con tal visconte Bertusi ripiene di vanità et che si profittano della generosità di questo principe". Il gioco spericolato che il B. stava conducendo, senza la fermezza e la spregiudicatezza necessarie, di agente del re di Polonia e di postulante di favori, in cambio di notizie, della Repubblica, gli costò caro. Ché il Tiepolo era in amichevoli rapporti con un funzionario della corte a Varsavia, Puccitelli, tutt'altro che restio a fargli vedere le lettere del B.; e il Tiepolo ne trasmetteva copia agli Inquisitori di Stato; così avvenne per gli "avisi" del B. in cui si diffondeva su casi di gravi insubordinazioni di nobili a Brescia e a Padova e soprattutto sulla eccessiva pressione fiscale dovuta alla necessità di fronteggiare i crescenti costi della guerra di Candia.
Forse per questo escluso dall'udienza, il B. scriveva, il 21 luglio 1646, una lettera disperata al Puccitelli esponendogli "quant'è tormentato l'huomo che serve nelle corti"; questi permetteva, al solito, al Tiepolo di farne copia per gli Inquisitori di Stato, ma in questo caso si ha l'impressione che il B., prevedendo di essere svelato, volesse in tal modo far giungere le sue attestazioni di amore per Venezia. E un minimo di credito riacquistò, se la Repubblica lo inviò, nel 1647, a Mantova perché tentasse di appianare le divergenze sorte a Venezia tra il residente appunto di Mantova, Framberti, e quello di Toscana, Zati; dalla missione, peraltro, non sortì alcun risultato.A Venezia il B. rimase, nonostante il desiderio di servire il re di Polonia "in ogni altro luogo" o, alla peggio, di ritirarsi "in Parigi o in Olanda" attendendovi "alla stampa delle opere" paterne, sino a tutto il 1648. Dal 17 gennaio al 23 settembre di quest'anno abbiamo anche sue lettere agli Inquisitori di Stato, che autorizzava a disporre di sé "come più parerà alla loro somma bontà et impareggiabile prudenza".
Il 7 ag. 1649 Giovanni Giustinian, ambasciatore veneto presso la S. Sede, segnalava la presenza a Roma del B. da "più settimane: alloggia in San Marcello, convento di sua religione" e, nella "qualità", più esibita che attendibile, "di ministro del re di Polonia" ha già "visitato più cardinali", pretendendo comunque un'udienza papale. Con lo stesso Giustinian il B. ha un colloquio, manifestandogli con "studiosa essageratione" il suo amore per Venezia, il desiderio di finirvi i giorni "appresso le ceneri sì benemerite del padre"; ricordava implicitamente in questo modo la leggenda, da lui stesso e dal fratello creata, di un Traiano celebratore della libertà veneta e, perciò, eliminato dal veleno spagnolo.
Un ulteriore incidente tuttavia lo rese ancor più sospetto agli occhi della Signoria; il 21 ag. 1649 un assassino trovò rifugio nella sua dimora a Venezia, grazie alla complicità di un beccaio chera ai servizi del B., nonostante fosse bandito. Arrestato il beccaio, il B. ne implorava la liberazione in un memoriale pieno di proteste d'innocenza; e, preoccupato di non venire "calunniato appresso il re di Polonia", sino, almeno, al novembre del 1649, continuava a rinnovare, coll'ambasciatore e il segretario, lagnanze e proclamazioni della sua innocenza, troppo candida e sprovveduta, a suo dire, per non risolversi in disgrazia.
Ignoto è l'anno della sua morte.
Fonti e Bibl.: Rimandando per la bibliografia alla voce Rodolfo, ci limitiamo a segnalare la documentazione fornita dall'Archivio di Stato di Venezia, Senato. Dispacci Milano, f. 88, lett. 15 febbr. 1644 (m. v.); Senato. Dispacci Roma, f. 102, n. 41; Inquisitori di Stato, 157, n. 82; 164; Polonia, nn. 1, 4; 470, lettera di G. Tiepolo da Varsavia del 24 agosto, 14 dic. 1645, 10 e 17 febbraio, 19 maggio 1646, 25 febbr. 1647, e da Cracovia dell'11 ag. 1646; 472, lettere da Roma di G. Giustinian del 7, 14, 28 agosto, 2 e 23 ottobre, 20 nov. 1649; 552, lettere del B. 17 gennaio-23 sett. 1648: 214, n. 68; Un cenno sulle attività diplornatiche del B. in G. Brasoni, Della historia d'Italia... dall'anno 1625 fino al 1676, Venetia 1676, p. 137; E. Zanette, Suor Arcangela, monaca del seicento veneziano, Venezia-Roma 1960, pp. 279, 357.