PARRASIO, Aulo Giano
Umanista, nato il 28 dicembre 1470 a Cosenza, ivi morto nel 1522; rifoggiò classicamente il suo nome di Giovan Paolo Parisio. Dopo essersi erudito nel greco a Lecce e a Corfù, aprì una scuola in Cosenza (1491); trasferitosi a Napoli, entrò a far parte dell'Accademia Pontaniana, e ottenne cariche e favori da Ferdinando II d'Aragona. Caduto in disgrazia del successore, riparò a Roma (1497), dove appartenne all'accademia di Pomponio Leto, finché non passò a Milano nel 1499. Vi rimase otto anni, e in questo periodo spiegò la sua maggiore attività filologica. Aprì una scuola, ebbe relazioni amichevoli con i principali umanisti, tra i quali il Calcondila, di cui sposò la figlia Teodora, occupò la cattedra di oratoria, e con il suo insegnamento critico contribuì a quel rinnovamento degli studî giuridici, di cui fu rappresentante il suo discepolo Andrea Alciato. Ma invidi detrattori, dalle polemiche passando alle accuse, furono causa del suo allontanamento da Milano nel 1506. Gli sconvolgimenti politici che seguirono al patto di Cambrai lo colsero maestro a Vicenza, donde successivamente peregrinò a Padova e a Venezia, ammalato e impedito al lavoro. Nel 1511 riprese in povertà la via della sua terra, e forse in questo periodo fondò l'Accademia cosentina. Chiamato a insegnare nel rinnovato ginnasio romano, v'iniziò nel 1514 la lettura dei principali autori latini, proseguita con plauso fino al 1517, anno in cui papa Leone X gli elargì un assegno vitalizio. Tornò a Cosenza nel 1521.
Il più importante e ricco dei suoi commenti è quello In Claudianum de raptu Proserpinae (Milano 1501), ma sono a stampa anche le sue annotazioni In Ovidii Heroidas (Venezia 1522), In Horatii Poeticam (Napoli 1531), In Ciceronis pro Milone orationem (Parigi 1567), un Breviarium rhetorices (Vicenza 1509) e l'edizione di Cornelio Nepote (Milano 1500). A monumento della sua dottrina, Enrico Stefano ne raccolse le epistole erudite, e le pubblicò a Parigi nel 1540 col titolo De rebus per epistolam quaesitis, ricca miscellanea di dotte chiose a passi difficili dei classici, alla quale fanno seguito estratti da varî altri scritti del P. stesso. Altri suoi commenti a Cicerone, Cesare, Livio, Floro, Valerio Massimo, Valerio Flacco, Catullo, Virgilio, Orazio, Stazio, giacciono inesplorati tra i manoscritti del P. passati in eredità al card. Antonio Seripando, e ora custoditi nella Biblioteca Nazionale di Napoli. Erede e continuatore dei metodi del Valla, del Poliziano, del Leto, fu, secondo R. Sabbadini, "il più illuminato umanista e il critico più geniale del suo tempo". Recatosi a Bobbio, durante la sua dimora milanese, pose la mano su alcuni preziosi codici, e così salvò l'originale di Carisio e trasse apografi dei poemi di Draconzio e delle opere grammaticali di Probo, Vittorino e altri, che egli stesso pubblicò per le stampe a Milano (1504) e a Vicenza (1509). In altre biblioteche, forse di monasteri milanesi, rintracciò gl'inni di Sedulio e di Prudenzio e se ne fece editore (Milano 1501).
Bibl.: S. Mattei, notizia premessa all'ediz. delle Epistole, Napoli 1771; C. Jannelli, De vita et scriptis A. J. P., ivi 1844; O. von Gebhardt, Ein Bücherfund in Bobbio, in Centralblatt für Bibliothekswesen, V (1888), pp. 352-62; F. Lo Parco, A. G. P., Vasto 1899; R. Sabbadini, Le scoperte dei codici, I, Firenze 1905, p. 159.