Vedi AUGUSTO dell'anno: 1958 - 1994
AUGUSTO (C. Iulius Caesar Octaviānus)
Imperatore romano. Nato nel 63 a. C. da C. Ottavio e da Azia, nipote di Cesare.
Nel 45 fu adottato da Cesare per testamento. Ebbe da Scribonia l'unica figlia, Giulia. Nel 38 sposò Livia Drusilla. Dal 31 a. C., cioè dalla battaglia di Azio, ebbe inizio la sua signoria sul mondo romano. Nel 27 gli fu tributato dal Senato il titolo di Augusto e sulla sua casa fu posta, segno di onore e di riconoscenza, la "corona civica". Nel 20 ottenne da Fraate, re dei Parthi, la restituzione delle insegne tolte a Crasso. Nel 12 a. C., alla morte di Lepido, divenne Pontefice Massimo. Morì a settantasei anni nel 14 d. C., lasciando erede Tiberio.
Svetonio (Aug., 79) descrive particolareggiatamente il suo aspetto. Se ne ricava che egli era piuttosto piccolo di statura, ma ben proporzionato, con capelli ondulati, castani, grandi occhi grigi, naso aquilino e un'espressione serena. Sulla bellezza degli occhi dallo sguardo imperioso insistono, oltre Svetonio, Virgilio (Aen., viii, 680), Tacito (Ann., i, 42), Plinio (Nat. hist., xi, 143), Aurelio Vittore (Epit., 1). La distribuzione cronologica dei suoi numerosi ritratti (circa centoquaranta) è malsicura, sebbene la datazione di alcune opere si riconnetta con certezza a certi avvenimenti della vita di Augusto. Nelle diverse opere le indicazioni dell'età sul volto hanno valore condizionato all'ambiente artistico in cui l'opera è stata prodotta, quindi, in molti casi, costituiscono un ingannevole elemento di giudizio cronologico. L'iconografia di A. fiorisce in un periodo formativo dell'arte romana, in cui si affacciano, e spesso si fondono tra loro, influssi ellenistici e tradizione repubblicana, correnti classicheggianti e forze ancor vive d'arte provinciale. In Roma si andava creando l'ambiente della ritrattistica aulica sotto l'influsso degli insegnamenti ellenici, ma anche con reazioni derivanti dalle personalità e dalle particolari tradizioni dei luoghi d'origine dei varî artisti; contemporaneamente, nelle province orientali si dava vita a tipi scultorei indipendenti o quasi. Il tema del ritratto di A., ripetutamente proposto agli artisti e studiato con grande interesse, dovette avere una notevole influenza sulla formazione dell'arte iconografica imperiale, come testimoniano la stessa varietà e molteplicità delle esperienze formali. La rarità dei ritratti di C. Ottavio fanciullo è dimostrata dall'episodio del dono fatto da Svetonio ad Adriano, di quella puerilis imaguncola che A. pose fra i Lari imperiali. L'iscrizione era in lettere antiche e se ne arguisce che anche lo stile del bronzetto corrispondesse all'età cesariana, ma nulla di simile è fino a noi pervenuto. Dovettero invece esser frequenti le ricostruzioni posteriori, fra cui la più nota sarebbe quella del bustino nei Musei Vaticani (repliche a Londra, British Museum, n. 1876; a Genova, Palazzo Reale; ad Anagni, coll. privata), fine immagine del fanciullo tardo-augustea o meglio tiberiana, ma, per altri, addirittura canoviana. Il busto velato del Museo Lavigerie a Tunisi, generalmente riconosciuto come A. quindicenne, perché a quell'età egli entrò a far parte del collegio pontificale e per i caratteri stilistici e per la pettinatura, che è quella dell'età adulta, mostra di essere stato scolpito parecchi anni dopo l'avvenimento, anche se ispirato a un tipo più antico.
I ritratti della giovinezza, numerosi e più volte oggetto di particolare studio, sono stati riuniti in gruppi, all'origine di ognuno dei quali si crede stia un solo archetipo. Nella divisione dei ritratti pervenutici tra i diversi gruppi v'è però qualche dissenso fra gli studiosi. L'esistenza di un originale, che risalirebbe agli anni di lutto per la morte di Cesare (sulle monete appare il ritratto barbato fra il 43 e il 37 a. C.), è parsa sicuramente testimoniata da una serie di ritratti, che rappresentano un giovane con leggera barbula sulle gote; le punte delle ciocche sulla fronte sono ordinatamente volte a destra, mentre sull'occhio destro si aprono a tenaglia. Sono stati ascritti a questo gruppo: un bel ritratto velato di una collezione privata romana, immagine forse del giovinetto pontefice a quindici anni (peraltro ben diverso dal tipo del Museo Lavigerie di Tunisi), e altri ritratti di un giovane più maturo, che si trovano nei musei di Modena, degli Uffizî, del Vaticano (Chiaramonti, n. 600), di Arles, di Berlino (R. 11), di Erbach; opere ad esso affini, o varianti dal comune prototipo, sarebbero rappresentate da un bronzo al Museo Capitolino, da una testa marmorea di Verona, da due ritratti di Vienna e di Tolosa, da due di Aquileia, da uno del Museo Chiaramonti (n. 628), dalla statua di un togato proveniente dalla basilica di Otricoli nei Musei Vaticani (Sala della Croce Greca), da una testa marmorea del British Museum (n. 1885), da una che si trova a Samo, da un'altra conservata nei magazzini vaticani. Recentemente, però, è stato avanzato il dubbio che, se non tutta, in gran parte, questa serie iconografica si riferisca non ad A., ma a Gaio Cesare, che fu pontefice anch'egli in età giovanissima e che dovette portare il lutto per la morte del fratello Lucio nel 2 d. C. La questione è lontana dall'essere risolta. Le teste del primo gruppo segnalato, che hanno maggior probabilità di identificarsi con A., nel rendimento plastico di superficie sono venate di classicismo, ma l'impronta individuale, le forme asciutte, l'aderenza alla struttura ossea, sono proprie della tradizione repubblicana. Il modo di rendere le punte delle ciocche, rilevate e sottoscavate, pare caratteristico degli anni del secondo triumvirato, e si incontra anche in una opera di tendenza diversa, nel cosiddetto Germanico del Louvre, in cui oltre a Cesare, si è anche proposto di riconoscere Augusto.
È questo l'originale di uno scultore pasitelico, Kleomenes, la cui maniera classicheggiante ha ridotto al minimo le particolarità naturalistiche. Della corrente artistica che egli rappresenta non si può non tener conto per la formazione dello stile augusteo nel ritratto. Gli influssi ellenizzanti pervennero certamente a Roma da più correnti. Gli studiosi accettano in genere l'ipotesi di un prototipo greco eseguito fra il 35 e il 30 a. C., dal quale discenderebbero due gruppi di ritratti: l'uno formato dalla testa di una statua togata degli Uffizî, e dalla testa su busto - non pertinente - del Museo Capitolino (Sala Imperatori); l'altro dalla statua bronzea di Ercolano nel Museo Naz. di Napoli e da teste marmoree conservate a Madrid, a Siviglia, a Tolosa, a New York e, inoltre, da un ritratto affine allo Hofmuseum di Vienna. Nelle chiome mosse, corporee, soffici è riconoscibile la scuola di un artista greco, non meno che nell'intensità dell'espressione e nel vivace movimento della testa; tuttavia vi si è scorto anche qualche altro elemento, come una certa tensione dell'epidermide e una plastica scarna e asciutta, più che i Greci non usassero. L'enfasi retorica dell'ellenismo, già posta al servizio delle statue dei generali romani, è evidente, in particolare, nella statua bronzea sopra citata, la cui testa, concepita al modo dei diadochi, è posta su un corpo del tipo del Posidone di Milo. Un altro "tipo" giovanile di A. sarebbe rappresentato dai seguenti ritratti: villa Albani a Roma (Bigliardo, n. 329), Museo Naz. di Napoli (5472), Museo Naz. di Atene (magazzini, n. 3606), museo di Mérida, bustino bronzeo da Neully-le-Réal al Louvre. Però quest'ultimo, trovato con un bustino iscritto di Livia Augusta, è necessariamente di esecuzione post-augustea e rappresenta A. già vecchio.
Poco dopo Azio sono databili alcuni fra i più famosi ritratti di A., nei quali appare la pettinatura tradizionale del periodo maturo, caratterizzata dall'incontro di tre ciocche sulla fronte, a tenaglia e a coda di rondine. La testa bronzea da Meroe, in Nubia, ora nel British Museum, e quella della Biblioteca Vaticana, che si possono datare all'incirca agli anni 30-25 a. C., si segnalano fra le altre non solo per la raffinata esecuzione, ma come rappresentative di correnti diverse. Il bronzo di Meroe, che forse proviene dal bottino fatto in Etiopia dalla regina Candace nel 25 a. C., rappresenta la vitalità della concezione ellenistica del principe, in cui, oltre alla idealizzazione dei tratti fisici, carattere preminente è il pathos dell'espressione, raggiunto anche con la torsione vivace della testa e del collo. L'attardarsi di tale tradizione presso gli artisti greci per gran parte all'età augustea è testimoniato da ritratti come quelli di Pergamo, di Delo, di Samo e, fra tutti preminente, dalla testa bronzea di Megara a Copenaghen, esempio di un "tardo barocco", appena influenzato dal profilarsi di nuove correnti. Anche nel bronzo vaticano si deve riconoscere la mano di un artista greco, che ha ridotto molto i dati realistici, attuando un composto equilibrio di volumi, ma al cui lungo contatto con la sensibilità italica si deve attribuire la immediatezza e quasi il calore di vita diffusa nella epidermide del bronzo e nel gioco dei muscoli. Prodotto ammirevole di arte ellenistica è il colossale ritratto proveniente da Fondi nel Museo Naz. di Napoli, che tuttavia, come è stato notato, resta isolato fra le opere greche e greco-orientali in quanto è ugualmente lontano, e dagli influssi "barocchi" dell'ellenismo, e dal "neoclassicismo" di ritratti come quelli ateniesi dell'Agorà e del Museo Naz., o della statua di Corinto, in cui si spegne quasi ogni dato naturalistico. L'idealizzazione non toglie che vi si riconosca agevolmente A., mentre il trattamento dolce e quasi carezzato dell'epidermide e il rendimento della chioma, specialmente quello delle ciocche posteriori, a forma di fiamma, rivelano la tradizione greca. Il particolare dei capelli sulla nuca, che trova corrispondenza nei conî di zecca greca o greco-orientale, è comune anche alla testa del museo di Berlino R. 18 e alla testa del Museo Vaticano Chiaramonti n. 562 e sussiste ancora nel medaglione del museo di Berlino R. 10, nonostante il classicismo tardo-augusteo del rilievo. Gli elementi ideali sono così evidenti nel bel ritratto proveniente dall'Ariccia nel museo di Boston, da riconoscervi subito una mano greca, ma la sua pensosa spiritualità e i tratti affinati hanno tale impronta individuale, che si è autorizzati ad attribuirlo ad un greco vivente in Italia o, forse, ad artista della Magna Grecia; sebbene vi siano notevoli differenze stilistiche, fra questo ritratto e quello di Fondi vi è una sensibilità comune. Qualche affinità nel modellato col ritratto di Fondi è stata scorta anche in un bel busto, ora al Metropolitan Museum di New York, per il quale si è proposta una datazione un poco anteriore; il volto di A., però, vi è assai meno idealizzato, anzi l'evidenza dei dati realistici fa pensare ad un artista non immemore della tradizione italica.
Fra il 30 e il 20 a. C. ebbe luogo in Italia un intenso travaglio artistico, da cui doveva nascere un nuovo tipo di rappresentazione del principe. Un gruppo di ritratti con la corona civica è stato ricollegato al segno di onore che il Senato tributò ad Ottaviano, conferendogli anche il titolo di Augusto. Queste sculture - un busto e una testa di marmo, posta su statua non pertinente, a Monaco, due teste marmoree al Louvre, una a Firenze, una a Mantova, una al Museo Capitolino - dipendono dallo stesso originale; il quale va datato certamente dopo il 16 gennaio del 27 a. C. e si può considerare, se non il primo, certamente uno dei primi ritratti "ufficiali" di A., essendo destinato a fissarne le sembianze con l'attributo nuovo e particolare del suo grado. Di qui il numero delle copie, che costituisce un fatto sino allora, e anche in seguito, piuttosto insolito. Il volto magro, di forma triangolare, abbastanza fedele al dato fisionomico, ha un modellato leggermente mosso e una contenuta espressione, che ne caratterizza l'individualità. Come opera ufficiale esso esprime una nuova concezione, ormai lontana dall'ideale artistico ed etico del dinasta ellenistico. Lo stile "augusteo" è qui già in formazione. Un altro passo avanti in una felice fusione delle correnti stilistiche è segnata da un'opera, anch'essa certamente di carattere ufficiale, poiché se ne conoscono più copie, fra le quali eccelle un busto nella Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen (n. 610) proveniente dal Fayyūm. Essendo stato trovato con un busto di Livia e uno di Tiberio giovane fra i quindici e i venti anni, se ne è dedotto che il busto fosse collocato fra l'11 e il 5 a. C. L'originale poté essere di poco anteriore, poiché nella sobrietà plastica, nelle forme magre e aristocratiche, nelle morbide ciocche ormai composte nella pettinatura canonica imperiale, nella spiritualità pensosa dello sguardo, si avverte il maturare dell'arte augustea. Se si fissa l'esecuzione della famosa statua di Prima Porta al Vaticano al 20 a. C., facendone una pietra miliare della ritrattistica augustea, come si è anche recentemente riaffermato, la cronologia del busto di Copenaghen e degli altri ritratti (busto al British Museum n. 1877, bustino di diorite a Boston, testa a Napoli nella Chiesa di S. Pietro a Maiella), dovrebbe essere di parecchi anni rialzata, poiché è indubbio che la statua rinvenuta nella Villa di Livia è sommamente rappresentativa dei caratteri stilistici del classicismo augusteo.
Come è noto, l'episodio della restituzione delle insegne di Crasso, narrato nei rilievi della lorica, fissa un termine post quem per la creazione di quest'opera. Si è discusso sulla possibilità o meno che la statua di Prima Porta sia stata prototipo di molte altre copie. Se il tipo è stato ripetuto, ciò è avvenuto sempre con una certa libertà da parte dell'artefice. Il fatto stesso che la statua era destinata alla villa privata dell'imperatrice sembra escludere che essa potesse essere da molti vista e copiata. Forse si è più vicini al vero supponendo che a un certo momento un'opera ufficiale, collocata in un importante monumento, fissasse il tipo imperiale, in base ad esigenze auliche e anche alle tendenze dell'artista incaricato. Repliche dello stesso tipo statuario sembrano quattro ritratti, che si trovano su una statua di Genio in via della Dataria in Roma, al museo di Cagliari, al Museo del Bardo a Tunisi e in Ince Blundell Hall in Inghilterra. Opere appartenenti alla stessa cerchia si considerano: un busto nel Museo Capitolino (Sala di Giulio Cesare); una testa di basalto al Museo Vaticano Chiaramonti (n. 65); un busto da Centuripe a Siracusa; una testa marmorea ad Avignone; le altre due nel museo di Berlino (dal Cairo e da Troia), e una (dall'Egitto) a Stoccarda. Altri ritratti, come la testa velata collocata su una statua a Villa Borghese (Roma), quella posta su statua togata al Louvre, e una al Kunsthistorischesmuseum di Vienna, mostrano l'uniformarsi degli artisti al tipo creato nella cerchia aulica. Così, mentre si raggiungeva una certa unità stilistica in un processo di chiarificazione delle varie tendenze, si formava anche il tipo di A.-imperatore, a cui ormai si attenevano gli artefici incaricati di nuovi ritratti. Perciò è forse giusto abbassare la cronologia della statua di Prima Porta e di altre affini all'ultimo periodo di vita dell'imperatore, senza tener conto dei dati fisici indicativi dell'età. In tale ultimo periodo è anche concepibile l'invio di modelli nelle province. Il "neo-classicismo" si andava affermando non solo in Italia, ma, soprattutto, in Grecia (neo-atticismo), facendo prevalere il modellato fermo, i piani larghi, l'espressione pacata (testa del Museo Naz. di Atene e statua di Corinto).
La testa frammentaria, identificata per ragioni esteriori come ritratto di A. nel rilievo della processione dell'Ara Pacis, ha scarso valore per l'iconografia. Ivi A. appare velato e coronato per il sacrificio, ma la figura è senza rapporto col tipo iconografico che dovette esser creato non molto dopo, cioè nel 12 a. C., a esprimere l'alta dignità di A. divenuto, alla morte di Lepido, pontefice massimo. Il gruppo dei ritratti di A. in età anziana, col capo velato, è stato giustamente riferito a questo avvenimento; non si possono però raggruppare come copie di uno o più originali, poiché ciascuno ha caratteri suoi proprî, e bisogna perciò limitarsi a supporre che ad un artista di corte fosse stato dato l'incarico di scolpire una statua di A. in funzione di pontefice e che il tipo aulico, così fissato, sia stato presto imitato, sebbene con indipendenza, in provincia. Infatti i ritratti di A. vecchio, in cui egli appare velato capite, sono stati tutti rinvenuti, meno due, fuori di Roma. I due ritratti romani sono la famosa statua della via Labicana e una grande scultura della testa a Palazzo Colonna. La statua del Museo Naz. Romano rappresenta forse A. circa sessantenne; si ha, in quest'opera, uno dei rari esempi di composto equilibrio fra il classicismo, che vela i segni dell'età, raffina, purifica e armonizza i contorni, e la tendenza realistica, che tende a precisare la personalità, a renderla nel suo insieme fisico-spirituale, con l'incipiente uso dei toni cromatici atti a rivelare meglio il vibrare vitale della epidermide, che copre lo scarno volto dell'imperatore. Forse un po' anteriore è la testa rinvenuta a Chiusi, e all'incirca contemporanea, o un po' più tarda, è quella del museo di Ancona: ambedue fra le migliori rappresentazioni di A. velato. Nella prima si sono scorti caratteri che la riallacciano alla sensibilità dell'arte locale tardo-etrusca, quali la tensione della pelle sulla struttura ossea, l'ombra concentrata nelle orbite, il compiacimento nel rendere i particolari del volto o della chioma; nella seconda si manifesta, nella forte struttura, nel trattamento largo, nella severa compostezza, una concezione dell'arte dominata da una scuola classicheggiante, ma anche vi si rivela l'influenza della tradizione descrittiva e analitica repubblicana: nel rendimento delle rughe sottili, dei solchi delle carni afflosciate. Vicina alla statua della via Labicana, ma con accentuazione della espressione patetica e delle ombre, è la testa velata del Museo Giovio a Como. Dalla Grecia proviene un'altra opera, che si ricollega a queste per il tipo sacerdotale e per l'età anziana: la statua togata di Corinto, che, per il rendimento unitario della testa, per la superficie liscia, per lo scarso interesse dato alle particolarità individuali del volto, palesa la diversità di ambiente e di sensibilità, sebbene si attenga genericamente al modello aulico. Infine al Museo Arch. di Venezia è conservata una testa velata che rende con indipendenza notevole il tipo canonico nella chioma mossa, ricca di contrasti d'ombra e di luce, e nella concentrazione espressiva, a cui tutti i tratti del volto concorrono; la leggera barbula è stata interpretata come segno di lutto, o per la morte di Ottavia e Druso (negli anni 10-9 a. C.), o per il disastro di Varo (9 d. C.). Il ritratto è stato accostato al tipo giovanile della statua degli Uffizî, che sarebbe opera di artista ellenico. I fori denotanti l'esistenza di una corona radiata potrebbero esservi stati praticati in seguito, ma potrebbero anche far supporre che si tratti di un ritratto postumo, con il che si spiegherebbe anche il ritorno a un tipo giovanile. Postuma è probabilmente anche la grande testa velata, con corona radiata, a Istanbul (da Kyme), di scarso valore iconografico e di carattere decorativo. Agli ultimi anni della vita di A. sono stati attribuiti alcuni ritratti, sia per l'espressione stanca e il volto emaciato, sia per la scomparsa della pettinatura tradizionale, sostituita da alcune ciocche stese da sinistra a destra con piccole punte rivolte in senso contrario: un busto capitolino con corona di mirto, una testa al museo di Ostia, una al museo di Boston, una al Louvre, una all'Ermitage e il già citato bronzetto da Neully-le-Réal, riferibile certamente al culto dei Lari imperiali (istituito nel 7 a. C.) e alla vecchiaia di Augusto. La figura di A. appare anche nella ben conosciuta ara dei Lari, datata al 2 d. C., che si trova agli Uffizî.
Vi sono infine ritratti che si ricollegano alla sua divinizzazione. Là dove si istituiva il culto di A. e Roma, negli ultimi anni di regno, si dovette cominciare a scolpire immagini idealizzate, adatte allo scopo, e più frequentemente ancora dopo la morte, nelle province e in Italia. In questo modo si spiegano i ritratti di grandi proporzioni e di scarso interesse artistico e iconografico, come quello su citato proveniente da Kyme e la testa da Antiochia di Pisidia a Istanbul, quelli di Mérida e da Italica ora a Siviglia, quelli del museo di S. Germain e di Detroit e la testa, rinvenuta ad Athribis, che trovasi nel commercio antiquario egiziano; tipica, fra le altre, la testa rinvenuta nel tempio di A. e Roma a Leptis Magna, destinata alla colossale statua di culto, che è eseguita alla maniera dell'accademismo tiberiano, con gli elementi iconografici divenuti canonici già dal tipo di Prima Porta. Anche in Italia sono stati rinvenuti ritratti più grandi del vero, scolpiti ad uso religioso o commemorativo, quali la testa del Museo Vaticano Chiaramonti (proveniente da Veio), o quella (da Cerveteri) al Museo Lateranense. Come le teste-ritratto provinciali sopra citate, anche queste sono opere idealizzate, o rielaborazioni di tipi creati in antecedenza, o adattamenti di elementi desunti da varî archetipi. Per lungo tempo si scolpirono ritratti di questo genere: lo dimostra la grande testa marmorea Barberini al Museo Archeologico di Palestrina, che è databile con sicurezza in età antonina. Altre opere di normali proporzioni si possono riferire alla divinizzazione di A. per il loro particolare aspetto. È incerto se nella statua Verospi, nella Sala della Croce Greca dei Musei Vaticani, si debba vedere l'elaborazione di un volto giovanile su una statua di tipo divino; ma nella statua eroica rinvenuta a Otricoli, esposta nella stessa sala, la divinizzazione appare evidente nella estrema idealizzazione dei tratti e della espressione. Questa e la colossale statua del teatro di Arles sono probabilmente di età tiberiana; quest'ultima opera, classicheggiante per l'ispirazione e per il modellato, rende solo in modo generico i dati fisionomici. Ancora più infedele è la grande statua velata della Rotonda Vaticana, generalmente interpretata come il Genio di A.; si potrebbe però dubitare per qualche elemento, come il volume della chioma, le ombre attorno agli occhi, la bocca socchiusa, che essa fosse stata eseguita alquanto più tardi. Invece è sicuramente tiberiano l'A. seduto, rappresentato come Giove, al Museo Torlonia, di Roma, proveniente da Boville, ove, nel 17 d. C., fu dedicato un sacrario alla gens Iulia e al divo Augusto. Forse dello stesso tempo è la statua, ispirata anch'essa al tipo di Giove seduto, all'Ermitage proveniente da Cuma. Anche le immagini di A. stante, con corona di quercia e con aspetto simile al dio capitolino, quali la statua del museo di Zara e il tipo statuario del rilievo di Ravenna, sono evidentemente postume: dopo l'assimilazione di A. a Mercurio e al Sole, esse additano un nuovo aspetto del culto imperiale, e cioè l'assimilazione del nuovo dio al sommo nume e protettore dell'Impero Romano.
Anche nelle pietre incise il volto di A. fu molte volte riprodotto. All'età giovanile di A. sono state ascritte un'ametista con testa di profilo, e una testina di turchese su bustino d'oro moderno, agli Uffizî. Alla età matura si possono riferire due bei cammei, interessanti anche dal punto di vista iconografico; uno, dove l'effigie di A. è con la corona di quercia, alla Bibliothèque Nationale, l'altro al museo di Napoli. Le tracce dell'età anziana si scorgono nei ritratti incisi in una sardonica della Collezione Piombino-Ludovisi (Roma) e in un cammeo di Vienna. Frequentemente nelle pietre intagliate appare il concetto della assimilazione alla divinità; in due belle gemme inglesi, la prima già nella Collezione Strozzi-Blacas, la seconda nella Collezione Evans, A. è raffigurato con l'egida di Zeus; ambedue le gemme, di stile assai diverso, ma simili di schema, sono state attribuite a Dioskourides, il quale aveva inciso per A. l'immagine di lui, assai somigliante, in un sigillo (Plin., Nat. hist., xxxvii, 8; Suet., Aug., l). All'artista greco viene di solito attribuita anche la grande "gemma augustea" di Vienna, ove A. appare seduto accanto alla dea Roma, che fu eseguita, forse, in occasione del trionfo pannonico di Tiberio, nel 12 d. C.; nello stesso museo si trova un'altra gemma con la stessa coppia divinizzata, che pare dello stesso autore. Agli ultimi anni di vita si possono forse assegnare una sardonica agli Uffizî, con la testa di A. velata e coronata (in figura di pontefice?), e un cammeo vaticano, che reca il busto di A. visto di faccia, velato e coronato anch'esso. Il famoso cammeo inserito nella croce di Aquisgrana si crede, per il suo carattere classicheggiante, di età tiberiana, e così pure un cammeo già nella Collezione Beverley, in cui il busto di A. compare radiato come Sol e poggiante su grappoli di uva, forse ad indicare la prosperità del suo regno. I ritratti monetali sono assai meno importanti dal punto di vista iconografico. Fin dai primi conî (43-42 a. C.) si nota il formarsi, accanto a un tipo di forme più secche, di un tipo giovanile e idealizzato, che si afferma nella monetazione nel volgere di un ventennio; la folta, scomposta chioma, retaggio ellenistico, si abbassa man mano e si riordina. Punto d'arrivo delle possibilità dei coniatori di età augustea si possono considerare i medaglioni aurei di Este (2 a. C.) e di Napoli (2 d. C.), ritratti del tutto ideali, con scarsissimi riferimenti fisionomici, del principe.
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