TAMBURINI, Augusto
– Nacque ad Ancona il 18 agosto 1848 da Vincenzo e Marianna Dal Frate, in una famiglia di modesta condizione.
Ricordò sempre, anche all’apice della carriera, di «essere un vero self-man [sic]» e, soprattutto, di dovere molto al fratello maggiore Luigi che «ne comprese di buon’ora l’ingegno, lo tolse ai mestieri e lo avviò agli studi, facendogli da padre» (Morselli, 1919, p. 201).
Compì gli studi secondari nella città natale e successivamente si iscrisse alla facoltà di medicina e chirurgia dell’Università di Bologna. Qui studiò con nomi autorevoli della medicina del tempo, come Francesco Roncati e Luigi Calori, e si laureò con lode nel 1871 discutendo la tesi Paraplegia da mielite reumatica.
Fatto ritorno ad Ancona, si impiegò come medico assistente nel locale ospedale civile, dove si accese la sua passione per la psichiatria grazie al reparto per alienati qui allestito dal direttore Giovan Battista Mencucci. Tra il 1872 e il 1873 venne chiamato da Ignazio Zani, probabilmente conosciuto negli anni bolognesi, come medico aggiunto al frenocomio San Lazzaro di Reggio Emilia, in quel momento al centro di un vasto progetto di riforma architettonica e organizzativa che puntava a farne un articolato complesso urbano. Morto Zani nel 1873, Tamburini assunse la direzione interinale dell’istituto, con l’anatomopatologo Cesare Trebbi, prima che venisse chiamato da Siena il nuovo direttore Carlo Livi. Questi, in poco tempo, diede forma a Reggio Emilia a uno tra i laboratori più autorevoli della psichiatria italiana, sia proseguendo il lavoro di riforma organizzativa del manicomio, sia chiamando alcuni degli studiosi più in vista o promettenti del tempo, come Clodomiro Bonfigli ed Enrico Morselli. Frutto di questa stagione fu nel 1875 la fondazione, cui partecipò lo stesso Tamburini, della Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale, pensata come luogo di incontro tra approccio medico e sperimentale e discipline giuridiche e antropologiche, considerata tra le migliori espressioni del positivismo italiano.
L’anno successivo Tamburini conseguì la libera docenza e nell’anno accademico 1876-77 divenne incaricato dell’insegnamento di psichiatria e clinica psichiatrica presso l’Università di Pavia nonché, contemporaneamente, fu posto alla direzione dell’appena inaugurato manicomio provinciale di Pavia in Voghera.
Alla morte improvvisa di Livi, avvenuta nel giugno del 1877 mentre era impegnato in tribunale a Livorno, la carriera di Tamburini subì un’accelerazione decisiva. Fu chiamato a dirigere il San Lazzaro, la Rivista sperimentale di freniatria (che guidò fino al 1919) e incaricato dell’insegnamento di psichiatria e clinica psichiatrica a Modena, sede che proprio il suo maestro aveva voluto collegata direttamente al manicomio di Reggio Emilia per creare un percorso integrato di formazione universitaria teorica e pratica.
In quello stesso anno sposò Emilia Trebbi, figlia del suo più anziano collega, alla quale fu unito anche da un profondo sodalizio intellettuale, e con la quale ebbe quattro figli. Arrigo, che divenne a sua volta psichiatra e nel 1909 direttore del manicomio di Ancona, dove morì con altri medici, pazienti e infermieri durante il bombardamento dell’8 dicembre 1943; Cesare, che si affermò come ingegnere, ma mostrò ugualmente un legame duraturo con il mondo paterno sposando nel 1913 Lidia Guicciardi, figlia di Giuseppe, allievo di Augusto Tamburini a Modena, suo collaboratore e poi erede alla direzione sia del San Lazzaro sia della Rivista sperimentale di freniatria; Antonio, che ebbe una brillante carriera diplomatica; Augusta, l’ultimogenita, scomparsa ventenne nel 1903. Fu molto affezionato anche al nipote Aroldo, figlio di Luigi, che sulle sue orme fu direttore del manicomio di Ancona, prima di morire prematuramente nel 1907 ed essere sostituito dal cugino Arrigo.
Vicende da cui si intravede non solo l’intreccio tra storie familiari e storia della psichiatria italiana tra Otto e Novecento, ma che lasciano trapelare anche alcuni caratteri propri del San Lazzaro: teatro di una specifica scuola psichiatrica, in dialogo con il mondo scientifico internazionale e, al tempo stesso, un vero e proprio mondo cementato al suo interno da una fitta rete di relazioni affettive e professionali – delle quali i Tamburini furono un perno fondamentale – che ne hanno garantito la stabilità nei decenni.
Se all’Università di Modena la presenza di Tamburini significò l’allestimento di laboratori all’avanguardia per equipaggiamento tecnico e personale scientifico impiegato, è soprattutto nella vita del manicomio reggiano e della rivista che la sua influenza fu più significativa.
Con la sua direzione la rivista divenne una tra le voci più autorevoli del dibattito scientifico, ospitando studi che segnarono tappe importanti nella storia della psichiatria e della neurologia, come quelli di Gabriele Buccola, Augusto Murri, Camillo Golgi (Babini, 2002, p. 145) e al tempo stesso intrattenendo regolari corrispondenze con i circoli scientifici internazionali. Sensibile a tutti i campi dello studio della psiche, dai primi anni Novanta Tamburini aprì inoltre la rivista agli studi di psicologia, soprattutto attraverso l’opera del suo protetto Giulio Cesare Ferrari (che chiamò anche a svolgere i suoi lavori nel laboratorio di psicologia sperimentale, il primo in Italia, allestito da Tamburini nell’istituto reggiano).
Negli anni della sua doppia direzione, a ogni modo, la rivista fu anche la vetrina privilegiata dell’universo San Lazzaro, particolarmente attento alla promozione della sua immagine di manicomio moderno e centro di ricerca all’avanguardia. Qui Tamburini proseguì l’opera di Livi, investendo nelle attività socio-riabilitative, sulla formazione professionale degli infermieri, nella distribuzione e organizzazione degli spazi, valorizzando a pieno il pionieristico gabinetto fotografico che era stato allestito già negli anni Settanta con finalità sia diagnostiche sia di documentazione.
Oltre a curare personalmente una guida dell’istituto riccamente corredata di immagini (Il frenocomio di Reggio Emilia, Reggio Emilia 1880), Tamburini portò alle principali esposizioni internazionali le fotografie di quanto veniva fatto al San Lazzaro, riuscendo a imporlo come tappa nel circuito delle visite agli ‘spazi della follia’ delle celebrità dell’alienismo del tempo, come Jean-Martin Charcot, Richard Krafft-Ebing, Emil Kraepelin, e a vincere, nel 1900, una medaglia d’oro all’Expo di Parigi.
Nel 1880, inoltre, il ruolo di punta guadagnato dal manicomio reggiano nel panorama psichiatrico venne consacrato ospitando il III Congresso della Società italiana di freniatria, di cui Tamburini divenne poi presidente dal 1890 al 1910.
In questa prima fase della sua carriera, si distinse non solo per i risultati raggiunti nel campo dell’assistenza manicomiale e della promozione del dibattito scientifico, ma anche per studi che abbracciarono i campi più disparati della psichiatria e della medicina legale.
Al suo iniziale interesse per la localizzazioni delle funzioni cerebrali (Contributo clinico e anatomo-patologico alle localizzazioni cerebrali, Reggio nell’Emilia 1879), coniugò quello per la genesi delle allucinazioni (Sulla genesi delle allucinazioni, Reggio nell’Emilia 1880), spaziando poi verso l’analisi delle anormalità psichiche e avanzando significative ipotesi della relazione tra emozioni, intelletto e forza di volontà (Sulla pazzia del dubbio [...] e sulle idee fisse ed impulsive, Reggio nell’Emilia 1883).
Nominato professore ordinario di psichiatria e clinica psichiatrica a Modena nel 1883, dopo aver rinunciato a passare all’Università di Firenze e alla direzione del manicomio cittadino, nel 1906 si trasferì presso la clinica universitaria di Roma, lasciando la direzione dell’istituto reggiano al genero, che chiamò pure al suo fianco alla guida della rivista.
A partire da questa data il periodico fu il palcoscenico dell’importante sodalizio – costruito intorno alla figura e alla carriera di Tamburini – fra la storica scuola psichiatrica reggiana e la facoltà medica romana che si concretizzò nella formazione di una redazione ‘mista’, composta da esponenti delle due realtà e, soprattutto, da un’apertura sempre più accentuata all’istologia e all’anatomopatologia.
Membro per molti anni del Consiglio superiore della sanità, svolse un ruolo di primo piano nella messa a punto della prima legge italiana che regolamentò l’assistenza manicomiale (legge 14 febbraio 1904, n. 36). La sua pluridecennale esperienza nel campo dell’assistenza confluì inoltre nel volume, scritto insieme con Ferrari e Giuseppe Antonini, L’assistenza agli alienati in Italia e nelle varie nazioni (Torino 1918), mentre dal punto di vista scientifico va segnalato il Trattato di medicina sociale (curato con Angelo Celli), nel quale diede spazio a importanti approfondimenti relativi a temi di psichiatria sociale, come la degenerazione, l’alcolismo, la pellagra.
Come numerosi suoi colleghi, svolse anche un ruolo significativo per la psichiatria forense, con perizie e pareri di grande impatto, come quelli dedicati a un caso di un parricida affetto da mania religiosa (1876) o al celebre regicida Giovanni Passanante (1879).
Morì nella sua villa a Riccione il 28 luglio 1918. La vedova donò l’imponente biblioteca medica di famiglia, costituita da circa 3000 volumi, al manicomio di Ancona.
Fonti e Bibl.: Reggio nell’Emilia, Ufficio di Stato civile, Atti di matrimonio, 1877, n. 38; 1913, n. 213; Atti di nascita: 1878, n. 479; 1880, n. 891; 1882, n. 1048; Rimini, Ufficio di Stato civile, Atti di morte, 1919, A.T.; Archivio di Stato di Roma, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione generale Istruzione superiore, fascicoli personali dei professori ordinari, II versamento, s. 1, b. 140.
E. Morselli, A. T., in Quaderni di psichiatria. Rivista teorica e pratica, VI (1919), 9-10, pp. 201-207; G. Guicciardi, A. T. La sua vita e il significato di essa, in Rivista sperimentale di freniatria, LV (1920), pp. V-XIX; Necrologio di Emilia Trebbi, ibid., LIII (1929), p. 248; V.P. Babini, A. T. (1848-1919). On the genesis of hallucinations, in Anthology of Italian psychiatric texts, a cura di M. Maj - F.M. Ferro, s.l. 2002, pp. 145-159.