NOVELLI, Augusto
NOVELLI, Augusto (Antonio). – Nacque a Firenze il 16 gennaio 1866, primogenito di Lodovico, falegname, e di Elisa Casini.
Ebbe formazione da autodidatta, poiché le disagiate condizioni economiche della famiglia, composta dai fratelli Ugo (n. 1869), Maddalena (n. 1869), Antonio (n. 1874), Ida (n. 1879) e Giuditta (n. 1881), gli consentirono di frequentare solo le prime due classi elementari. Dal 1885 fu accolto in casa dall’avvocato Carlo Alberto Bosi, che lo aiutò a iscriversi all’Accademia delle belle arti.
Solito fin da ragazzo ad assistere alle ‘stenterellate’, nella tradizione derivata dalla famosa maschera fiorentina avviata a fine Settecento, coltivò una passione per la scena teatrale che diede come primo frutto la commedia Una sfida ai bagni (1885), riproposta due anni dopo col titolo Un campagnolo ai bagni.
Dal 1888 fu direttore del giornale satirico Il vero monello, firmando i suoi interventi con lo pseudonimo di Novellino. Il pungente atteggiamento critico degli articoli non piacque al governo Crispi, che dispose il sequestro di alcuni numeri del periodico perché avrebbero alimentato l’odio fra le classi sociali. Il 22 settembre 1892, mentre si trovava all’Arena nazionale per assistere alla replica del suo dramma Per il Codice, Novelli venne arrestato con l’accusa di reato di stampa e tradotto al carcere delle Murate in Firenze, dove rimase fino al 27 dicembre 1893, quando, dopo 13 mesi di prigione e il pagamento di una multa di 1500 lire, venne finalmente rilasciato.
Durante la detenzione non smise di scrivere per il teatro: risalgono a quel periodo il dramma storico I Mantegna, la commedia allegra Linea Viareggio-Pisa-Roma (inizialmente intitolata Tre valige da due e cinquanta) e i primi esperimenti in vernacolo fiorentino (Il morticino e Purgatorio, inferno e paradiso), in cui fu testata e confermata la validità della scelta linguistica del dialetto, nelle scene sia drammatiche sia comiche.
Il 6 luglio 1896 si unì in matrimonio a Firenze con Raffaella Giulia Nannini, dalla quale ebbe due figlie: Zaira (n. 27 marzo 1900) e Vera Enrichetta (n. 28 settembre 1903).
Sul finire del 1907 mise a punto il progetto di fondare un teatro autenticamente fiorentino, con l’intento di raccogliere l’eredità del letterato cruscante Giovan Battista Zannoni (fra i primi a sperimentare l’uso del vernacolo nella commedia: si rammenti almeno la Crezia rincivilita), e di rianimare la tradizione popolare, che vedeva esaurirsi la maschera di Stenterello.
Dal 1908 cominciò a lavorare con la compagnia dell’attore Andrea Niccòli, che il 29 gennaio 1908 al teatro Alfieri di Firenze mise in scena la commedia in tre atti L’acqua cheta… Al successo di pubblico non corrispose una valutazione positiva della critica, fatta eccezione per il giudizio incoraggiante che ne diede Mario Ferrigni (in Nuovo Giornale, 31 gennaio 1908).
Nel 1920 la pièce fu riadattata a operetta da Giuseppe Pietri, divenendo molti anni più tardi anche oggetto di riproduzioni cinetelevisive (in RAI nel 1964, regia Beppe Menegatti - Luigi Di Gianni; nel 1967 [ma 1968], versione in prosa, regia di Alessandro Brissoni, con Arnoldo Foà; nel 1974, regia di Vito Molinari, con Renzo Montagnani, Gianrico Tedeschi, Ave Ninchi, Daniela Goggi).
Il fortunato sodalizio con Niccòli fu determinante per il successo di altre commedie in vernacolo: Acqua passata (1908), Casa mia, casa mia… (1908), L’Ascensione (1909), L’Ave Maria (1909), dove la rappresentazione della vita quotidiana popolare offre lo spunto per molte scene comiche, con dialoghi arguti e briosi che rinviano al parlato. Alcuni di questi testi furono trasposti in libretto per operette, come per esempio L’Ave Maria (1918), L’Ascensione (1922) e Casa mia, casa mia… (1930).
Nel gennaio 1910 la vita di Novelli fu tragicamente segnata dal suicidio della moglie. La verve comica perse subito di smalto, lasciando posto a un senso di profonda tristezza, come rivela la commedia amara Così faceva mio nonno, portata in scena nel febbraio dello stesso anno. Anche con Niccòli cominciarono le prime incomprensioni, per l’eccessiva ingerenza di Novelli nelle decisioni della compagnia. Il repertorio drammatico sembrò inoltre inaridirsi risultando sempre più ripetitivo.
Ma Novelli non si dette per vinto: l’anno successivo andò in scena la commedia in vernacolo Gallina vecchia, portata al successo dall’interpretazione dell’attrice Garibalda Landini-Niccòli e, nel 1912, la collaborazione con Niccòli diede nuovamente buon esito con Quando la pera è matura… Tuttavia la rottura del sodalizio era inevitabile e avvenne nel 1916, causata dall’insoddisfazione di Novelli per l’interpretazione dei nuovi attori entrati nella compagnia e dall’insofferenza di Niccòli per le ingerenze del socio, che neppure sopportava che fossero messi in scena lavori di altri autori. La separazione ebbe conseguenze negative per entrambi: se l’uno si trovò senza repertorio, all’altro vennero meno gli attori ch’erano riusciti a valorizzare le sue pièces.
Decise allora di costituire una nuova compagnia, quella del Teatro originale fiorentino, affidandone la gestione all’attore toscano Giuseppe Sequi: prima commedia fu Dal dire al fare (1916), un quadro ironico della vita nelle retrovie della guerra allora in corso, che si ispirava ai famosi versi di Eroi, eroi, che fate voi? di Giuseppe Giusti. Ma il sodalizio tra i due non fu felicissimo. Nel frattempo Novelli e Niccòli si riavvicinarono, ma poco dopo (26 giugno 1917) l’attore morì: la compagnia fu rilevata dalla moglie, l’attrice Garibalda, e dal figlio Raffaello e si stabilì al teatro Olimpia, mentre l’Alfieri era ormai passato in gestione a Novelli. Un nuovo tentativo di riconciliazione tra Novelli e la compagnia degli eredi di Niccòli, intorno al 1920, portò alla rappresentazione delle riduzioni vernacolari di due commedie (…e chi vive si dà pace e Le sue… prigioni), già portate con successo in scena qualche anno prima, nella versione in lingua, dalla compagnia di Tina di Lorenzo e Armando Falconi. Ma la nuova intesa naufragò ancora una volta.
Nel frattempo Novelli aveva costituito la Società teatrale artistica fiorentina (STAF), con l’intento di salvaguardare la tradizione del teatro vernacolare. Nel 1922 la gestione della società passò a Raffaello Niccòli, con l’accordo che la compagnia continuasse a portare in scena il repertorio di Novelli, al quale sarebbe stata corrisposta periodicamente una somma per i diritti d’autore. Ma l’inizio del nuovo anno segnò il definitivo distacco: la compagnia, che aveva accettato di rappresentare lavori anche di altri autori, decise di non corrispondere più alcun vitalizio a Novelli, che a sua volta vietò la messa in scena del suo repertorio. Affidò allora i propri lavori alla compagnia del Teatro originale fiorentino, costituita qualche anno prima e gestita da Renato Lacchini: furono così portate in scena le commedie Separati! (1922) e La felicità degli altri (1924), ultimi lavori di Novelli.
Si era cimentato, ma con scarso successo, anche nella poesia (Canto del delinquente, Firenze 1895), in bozzetti realistici (Firenze presa sul serio, ibid. 1900) e in spettacoli di rivista (Firenze a zig-zag, 1912; Oscar non far confondere!, 1914; La kultureide, 1916).
Fra le sue esperienze ci fu anche la militanza nel Partito socialista fiorentino, dal quale però venne espulso per le sue tendenze riformistiche; in seguito riammesso, rifiutò di rientrarvi.
Ritiratosi a vita privata nella sua villa di Carmignano presso Prato, morì il 6 novembre 1927.
Con la sua scomparsa veniva al termine anche la fortunata stagione del teatro dialettale fiorentino, che non trovò dopo di lui nuovi autori in grado di svilupparne e rinnovarne il repertorio. La produzione teatrale di Novelli fu improntata a un realismo bozzettistico e a un elementare moralismo, entrambi venati di verve comica. Scettico sulla possibilità di un teatro nazionale, fu strenuo assertore di un teatro regionale, in grado a suo avviso di esprimere tipi e caratteri specifici degli abitanti. Ciò che Goldoni e Gallina erano stati per i veneziani, Novelli intendeva essere per i fiorentini; (nel 1909, scrivendo da Milano a un amico, dichiarava: «io sono il Gallina, sono il Goldoni redivivo»; Roma, Biblioteca nazionale, Fondo autografi, A.238/31). Volle eseguire il ritratto di questa identità fiorentina portando sulla scena ambienti e personaggi di un mondo popolare e piccolo borghese, definendo e completando la caratterizzazione dei protagonisti e degli ambienti sociali con l’adozione della parlata fiorentina di tipo ‘urbano’, sperimentata in tutti i suoi registri. Poiché la scelta linguistica inizialmente non fu condivisa dalla critica, la quale obiettava all’autore un eccessivo municipalismo, Novelli si giustificò sostenendo che il fiorentino apparteneva al comune patrimonio linguistico degli italiani: «Il vernacolo esiste, ma nella locuzione e nella costruzione della frase; il resto è lingua, talvolta storpiata e ritrosa alle regole elementari, ma lingua» (Teatro completo, II, p. 75).
La concezione del teatro e l’uso del vernacolo di Novelli erano comunque distanti da quelle di Andrea Niccòli, secondo il quale il teatro fiorentino, per essere autentico e non scadere nella ripetizione bozzettistica, avrebbe dovuto includere nel proprio repertorio tutti gli strati sociali. Il vernacolo avrebbe dovuto essere dunque solo un espediente rappresentativo e non l’unico mezzo di caratterizzazione di ambienti sociali e culturali, come invece inizialmente aveva inteso fare Novelli portando in scena esclusivamente la realtà quotidiana dei più poveri. Tuttavia, nonostante le divergenze, solo il binomio Novelli-Niccòli fu in grado di rifondare e mantenere vivo il teatro fiorentino, cosicché la scomparsa degli attori nati con il repertorio novelliano decretò anche il tramonto di una tradizione, rimasta legata a quegli interpreti che ne avevano fatto l’effimera ma intensa fortuna.
Opere. La raccolta del Teatro completo (I-XI, Firenze 1920-25), che contiene 44 opere, fu l’unica a essere riconosciuta da Novelli come autentica; oltre ai testi citati la silloge contiene: L’amore sui tetti, Deputato per forza, La vergine del Lippi (1890); Uno, due e tre! (1892); Un invito a pranzo (1894); Una scossa ondulatoria, Brunotta o Danae (1895); La macchina Casimir, Dopo (1898); Il peccato (1899); I morti (1900); La chiocciola (1901); La signorina della quarta pagina, Gli ozii di Capua (1905); Vecchi eroi (1906); Si scopron le tombe…, La bestia nera (1907); Il coraggio, Chi è causa del suo male…, La cupola (1913); Canapone, Il tramonto di Boccaccio, Pollo freddo (1914); I fanfaroni, Lupo perde il vizio (1915); …e chi vive si dà pace, Il figlio del reggimento (1916); Le sue… prigioni (1917). Tra le opere di vario genere rientrano: Canto plebeo (Firenze 1893); Tipi vecchi e figurine nuove (ibid. 1897); Senza titolo. Conferenze di Novellino (ibid. 1900); La missione dei nostri circoli (ibid. 1901); Ramerino (ibid. 1925). Scritti sul teatro: Il successo nel teatro drammatico italiano (ibid. 1900); La critica e i critici del teatro drammatico in Italia, in Rass. internazionale della letteratura e dell’arte contemporanea, II (1900), 10, pp. 242-256; Il teatro fiorentino da Stenterello a L’acqua cheta, in La Lettura, 1909, dicembre, pp. 982-988; I morti e i feriti del teatro fiorentino (Firenze 1912); Il diritto del teatro drammatico di fronte allo Stato italiano (ibid. 1918).
Fonti e Bibl.: Roma, Biblioteca nazionale, Fondo autografi, A.166/11, A.238/31; Arch. De Felice, sez. V, c/6, c/18; Carteggio Oliva, A.R.C.44 Novelli A.1; G. Bucciolini, Cronache del teatro fiorentino, Firenze 1982, ad ind.; N. Binazzi - S. Calamai, Voci di toscana: il teatro di N., Paolieri, Chiti, in Studi di grammatica italiana, XXII (2003), pp. 105-169; A. Bencistà, La commedia fiorentina in vernacolo: i teatri e i principali autori dalle origini a oggi, Firenze 2008, ad indicem.