JANDOLO, Augusto
Nacque a Roma il 25 maggio 1873 da Antonio e da Ginevra Buzzi, in una stimata famiglia di antiquari.
Lo J., pur manifestando precoci inclinazioni artistiche, riuscì tuttavia, nel corso degli anni, a conciliarle con l'attività commerciale ereditata dal padre e dal nonno, che egli praticò tutta la vita con passione e competenza.
Dopo aver frequentato l'istituto tecnico si iscrisse, a Roma, alla scuola di recitazione dell'Accademia di S. Cecilia, dove fu allievo di Virginia Marini. Al termine del corso superò brillantemente l'esame e venne notato dal critico teatrale E. Boutet che ne parlò a Eleonora Duse; dopo averlo sottoposto a un provino, l'attrice lo accolse nella sua compagnia e, nel 1898, lo fece esordire, al teatro Niccolini di Firenze, in La signora delle camelie, di A. Dumas figlio. Subito dopo lo J. partì per una tournée di circa un anno in varie città d'Europa e in Egitto, sempre al seguito della Duse, di cui, molti anni dopo, disegnò un fine ritratto in Le memorie di un antiquario (Milano 1935).
Al termine di questa esperienza lo J. - che fin dal 1895 collaborava con la rivista Rugantino - ottenne una prima affermazione come poeta dialettale con Li busti ar Pincio (Roma 1900), una raccolta di 50 sonetti in cui, con garbo e ironia, passava in rassegna alcuni degli uomini illustri le cui erme ornano il parco romano.
Negli anni successivi si cimentò nuovamente in campo teatrale, questa volta come autore di commedie soprattutto in dialetto, cominciando col partecipare, nel 1906, a un concorso bandito da G. Zanazzo, noto commediografo e animatore del teatro vernacolare romano, in quel periodo in crisi di pubblico e di idee.
La mutata realtà sociale di Roma capitale dello Stato italiano aveva infatti segnato un netto declino del teatro dialettale, che prima godeva di una massiccia partecipazione popolare e i cui spettacoli, legati agli schemi della commedia dell'arte, erano infarciti di lazzi, improvvisazioni e volgarità non più proponibili al nuovo pubblico di estrazione borghese; Zanazzo, appunto in quei primi anni del Novecento, tentò di rinnovare il repertorio, ispirandosi a modelli più colti e raffinati come il vaudeville.
Lo J. diede un suo originale contributo a questa nuova stagione con una decina di commedie (raccolte in Teatro romanesco. La commedia de Rugantino. Ghetanaccio. Roma se sveja, Roma 1925) alcune fra le quali ottennero notevole successo, in particolare Ghetanaccio che E. Petrolini, dal 1931, era solito rappresentare, quasi ritualmente, una volta all'anno.
Nel Ghetanaccio - basato su di una nota maschera, a sua volta ispirata a un famoso burattinaio romano, G. Santangelo, vissuto dal 1782 al 1832, una sorta di Pasquino che non risparmiava nessuno con le sue feroci satire - lo J. riuscì a conciliare rigore filologico, comicità e dialetto in modo innovativo, fuori dagli schemi abituali, riportando a un certo decoro la forma e i contenuti del vecchio teatro dialettale.
Su questa linea anche altre maschere note della tradizione romana, quali Rugantino e Meo Patacca, rivisitate nelle omonime commedie dello J. (La commedia de Rugantino, rappresentata a Roma nel 1918; Meo Patacca, in versi, Roma 1921, mai rappresentata), acquistano un maggiore spessore umano e psicologico senza scadere nella volgarità. In altre pièces lo J. affrontò argomenti storici e temi di ispirazione diversa e più ambiziosi (Roma se sveja, di argomento risorgimentale, e L'antiquario, 1911; Goethe a Roma, 1913; Gioacchino Belli, 1914; Michelangelo, 1921), dove, comunque, la costante è rappresentata dalla "romanità", intesa come tentativo di ricostruzione storica della vita della città nel corso delle varie epoche.
Tale specifico proponimento, sia pure realizzato con la competenza che veniva allo J. dalla sua professione di antiquario ed espressione di un sincero attaccamento alle proprie radici, finì col nuocere alla definizione psicologica dei personaggi, i cui ritratti risultano quasi sempre appiattiti e privi di sfumature.
Più felice la produzione poetica, cui lo J. tornò con entusiasmo dopo la lunga parentesi teatrale.
Maturato rispetto agli esordi, dove prevalgono il gusto per la satira e per il bozzetto di genere, privilegiò un diverso approccio alla lirica, differenziandosi dai moduli di maniera della poesia dialettale, per approdare con efficacia di stile a note più intime e sentimentali.
Poesie romanesche (Milano 1929); Er pastore innamorato (Roma 1922); Cento poesie vecchie e nuove (Milano 1939) rappresentano il frutto di questo percorso d'autore, che venne colto in modo decisamente positivo da molti critici letterari, tra i quali in particolare F. Possenti che, in Cento anni di poesia romanesca, giunse a definire "sfolgorante", la produzione poetica più matura dello J.; lo stesso P.P. Pasolini, in Passione e ideologia, fa coincidere la nascita del crepuscolarismo a Roma con l'opera dello J. e di Trilussa, ambedue accomunati dall'uso di un dialetto non più eversivo e violento, come quello usato da G.G. Belli, ma pensato e scritto per le classi borghesi o piccolo borghesi. In ambedue si ritrovano i topoi della poesia crepuscolare, ma con una differenza sostanziale di tono: più bonaria, rassicurante e ai limiti della maniera la lirica dello J., più amara e densa di inquietudine quella di Trilussa.
Un discorso a parte merita invece Le torri del Lazio (ibid. 1941), 38 poesie in cui lo J. canta le vicende dell'Italia medioevale, ispirandosi alle torri sparse nella Campagna romana; qui il registro poetico è epico e drammatico e mette in evidenza l'erudizione di cui pure si nutre l'ispirazione dello Jandolo.
Le torri uscirono in una prima edizione di 550 esemplari numerati e splendidamente illustrati da noti pittori dell'epoca fra i quali ricordiamo G. Balla e O. Carlandi.
Di fatto molti libri dello J. sono caratterizzati da una raffinata veste editoriale, come la raccolta di versi Nojantri (Roma 1945), illustrata da D. Cambellotti e le già citate Memorie di un antiquario, ricche di fotografie di rari oggetti di antiquariato e di personaggi noti dell'epoca. In particolare, nel saggio che lo J. dedicò a Pascarella (Cesare Pascarella, Roma 1940), cui era legato da amicizia e stima, compaiono schizzi, caricature e disegni inediti del poeta, dotato di un notevole talento pittorico.
Il ritratto tratteggiato dallo J. risulta, inoltre, affatto convenzionale, descrivendo gli aspetti più originali della personalità e gli aneddoti più curiosi, e fra i meno noti, della vita privata di Pascarella.
Il gusto per l'aneddoto e il bozzetto si ritrovano intatti anche nelle più volte ricordate Memorie, una sorta di diario attraverso il quale lo J. compone l'affresco di una Roma sparita dove, esercitando il mestiere ereditato dal padre, ebbe l'opportunità di conoscere personaggi fuori dal comune: collezionisti, artisti, falsari e artigiani. La rievocazione della vita romana è elemento fondante anche nel romanzo Via Margutta (Milano 1940), dove l'intreccio sentimentale è solo un pretesto per rievocare il microcosmo della celebre strada che ha da sempre rappresentato per i Romani l'essenza della vita di bohème, e dove lo J. aveva la sua bottega.
Qui, nel 1871, era nato il Circolo artistico, frequentato dai più noti artisti dell'epoca, che ebbe la prima sede nel ridotto del teatro Alibert; lo J. ne rievoca le vicende con grande partecipazione e, in certo senso, può dirsi che ne continuò la tradizione, giacché la sua galleria fu un cenacolo per giornalisti, letterati e artisti, accomunati dall'amore per la città.
Fra le tante iniziative culturali intraprese, va ricordato che lo J. fu tra i fondatori e i principali animatori del Circolo dei romanisti; fu promotore di una associazione Pro teatro di Roma (1925), nata per favorire la rinascita del teatro romanesco; e all'epoca del muto aveva scritto anche soggetti per il cinema e diretto tre film: Brescia leonessa d'Italia (1915), Altri tempi altri eroi e Susanna e i vecchioni (ambedue del 1916).
Lo J. morì a Roma l'11 genn. 1952.
Delle opere dello J. non citate nel testo, ricordiamo ancora: Il pievano. Bozzetto drammatico in un atto, Roma 1903; Gli ultimi romani, Milano 1911; Teatro romanesco, Roma 1920; Misticanza, Foligno 1933; Il segreto della piramide, Milano 1939; Tra la storia e la vita, ibid. 1942; Aneddotica, ibid. 1945; Antiquaria, ibid. 1947; Studi e modelli di via Margutta, ibid. 1953.
Fonti e Bibl.: G.L. Ferri, Rassegna drammatica (rec. a Goethe a Roma), in Nuova Antologia, 1° febbr. 1913, pp. 522 s.; E. Della Porta, Appunti e ricordi, in Ars et labor (Milano), 15 nov. 1915; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Napoli 1922, p. 26; N. Porzia, in Il Messaggero, 1° nov. 1925; E. Veo, I poeti romaneschi. Notizie, saggi, bibliografia, Roma 1927, pp. 225-237; P.P. Pasolini, Passione e ideologia, Milano 1960, pp. 69-71; F. Possenti, Cento anni di poesia romanesca, Roma 1966, pp. 406 s.; M.A. Bernoni, Voci romanesche. Origine e grafia, Roma 1986, p. 194; M. Teodonio, Dialetto, in Studi romani, XXXVII (1989), 1-2, pp. 154-160 (in partic. p. 155); La lingua e il sogno. Scrittori in dialetto nell'Italia del primo Novecento. Atti del Convegno, Chieti… 1991, a cura di V. Moretti, Roma 1993, p. 67.