DUCREY, Augusto
Nacque a Napoli il 22 dic. 1860 da Giuseppe e da Amalia Mazzoni. Iscrittosi alla facoltà di medicina e chirurgia della sua città, fu allievo per l'anatomia umana normale di G. Antonelli - che lo stimolò allo studio della splancnologia e del sistema nervoso centrale - per l'istologia patologica di L. Armanni e per la batteriologia di A. Cantani. Durante i corsi universitari si segnalò come un eccellente studente, meritando un diploma di distinzione in chimica e un riconoscimento di merito nel concorso per la zoologia. Conseguita la laurea a soli 22 anni (nel 1883), si orientò subito verso lo studio della dermatologia e della venereologia nella clinica universitaria di Napoli diretta da T. De Amicis (cfr. voce in Diz. biogr. d. Ital., XXXIII, pp. 243-245), che aveva creato una scuola di vasta rinomanza.
La formazione al magistero del De Amicis consenti al D. di affrontare un campo di studi di grande interesse clinico e scientifico per la varietà e la complessità dei probjemi che prospettava. La disciplina era in rapida evoluzione in rapporto soprattutto con i progressi che si registravano in settori come la batteriologia e le indagini di laboratorio condotte con nuove tecniche; si andava inoltre imponendo la tematica sociale delle malattie ve neree, soprattutto in considerazione delle gravi ripercussioni igienico-sanitarie provocate dalla sifilide. Nominato, dopo aver superato il relativo concorso, assistente ordinario della clinica dermatologica nel 1884, venne successivamente promosso ad aiuto, rimanendo in servizio nell'università di Napoli per dieci anni. Conseguita nel 1890 la libera docenza in patologia e clinica dermosifilopatica, nel 1894 vinse il concorso per direttore nei dispensari celtici governativi istituiti per la profilassi antivenerea. Nello stesso anno passò come professore ordinario nella facoltà medica di Pisa, ove ebbe la direzione della clinica dermosifilopatica, già retta da C. Pellizzari; il 5 genn. 1899 venne nominato professore ordinario. Fu quindi chiamato dall'università di Genova alla direzione della clinica dermosifilopatica nel 1911. Infine, nel 1919, la facoltà medica di Roma lo chiamò alla direzione della clinica dermosifilopatica. In questa sede il D. si segnalò per una serie di importanti realizzazioni: fondò una ricca biblioteca, ristrutturò locali e servizi, promosse la costruzione di efficienti ambulatori per uomini e donne, istituì laboratori per ricerche microscopiche e gabinetti per medicazioni. Nell'università di Roma il D. concluse la sua carriera didattica per raggiunti limiti di età.
Clinico e ricercatore di indiscusso valore, il D. condusse numerose indagini, corredate anche da verifiche sperimentali, su vari aspetti della patologia dermosifilopatica. I risultati delle sue osservazioni suscitarono interesse anche in campo internazionale e dettero spesso luogo a dibattiti scientifici in vari congressi.
I suoi studi in campo dermatologico riguardano numerosi argomenti. Il D. descrisse le varie forme di tricofizia dell'uomo, dimostrò che nell'ipercheratosi figurata centrifuga atrofizzante le singole effervescenze possono prendere origine da qualsiasi elemento ghiandolare, illustrò le manifestazioni cliniche della tubercolosi verrucosa della cute. Sue furono pure alcune interessanti osservazioni sulla possibilità del verificarsi di una reinfezione sifilitica in un soggetto ancora portatore di lesioni luetiche da precedente infezione, sulla coltivabilità del bacillo della lebbra, sul rinoscleroma e sulla concorrenza tra bacillo del rinoscleroma e streptococco agente etiologico dell'erisipela. Nel 1909 descrisse per la prima volta in Italia l'acariasi da cereali, che osservò durante un'epidemia in Toscana, dandone comunicazione nel Giornale italiano delle malattie veneree e della pelle del 1909. Nel 1912, al congresso internazionale dermatologico di Roma, comunicò la scoperta dell'agente etiologico della tricomicosi palmellina, un ifomicete patogeno che denominò Trichosporon minutissimum.
In particolare, la notorietà del D. è legata alla scoperta dell'agente etiologico dell'ulcera molle, scoperta che fu il risultato di lunghe e rigorose indagini iniziate sotto la guida del De Amicis. Occorre infatti ricordare che il batterio causa dell'ulcera molle o ulcera venerea, cui venne poi dato il nome di haemophilus Ducreyi, non è coltivabile con i comuni procedimenti batteriologici e non è patogeno per gli animali da esperimento, e che l'ulcera che provoca non appena costituitasi si inquina facilmente con una varietà di germi non speciflci. Conseguentemente, prima della scoperta del D., l'etiopatogenesi dell'ulcera venerea rimaneva del tutto oscura, quando già i progressi registrati in microbiologia avevano consentito di definire accuratamente e di separare st.1 piano causale sifilide e blenorragia. Alcuni studiosi ritenevano l'ulcera venerea come una semplice manifestazione infiammatoria non dovuta a un agente specifico; altri consideravano le adeniti osservabili nei soggetti malati di natura infiammatoria, altri ancora causate dal presunto e non dimostrato agente specifico dell'ulcera. Grande merito del D. fu l'avere pazientemente realizzato, con metodo geniale e originale, una graduale purificazione della flora batterica mediante passaggi ripetuti del pus ulceroso per generazioni successive sulla cute dell'uomo resa precedentemente asettica: egli riuscì in tal modo a ottenere ulcere "purificate", cioè prive dei microrganismi che abitualmente inquinano le ulcere scoperte, nel cui secreto poté costan-temente dimostrare la presenza di un unico bacillo, del quale descrisse i caratteri tintoriali e morfologici, che non era in grado di attecchire su alcuno dei terreni colturali. Il D. presentò i risultati delle sue ricerche al primo congresso internazionale di dermatologia e sifilografia di Parigi nell'agosto 1889 con la comunicazione Ricerche sperimentali sulla natura intima del contagio dell'ulcera venerea e sulla patogenesi del bubbone venereo (pubblicata sul Giornale italiano delle malattie veneree e della pelle del 1889) e ne dette annuncio a tutti gli ambienti medici nel lavoro Il virus dell'ulcera venerea (in Gazz. intern. d. scienze mediche, XI [1889], p. 44). La notizia destò interesse e suscitò reazioni diverse tra chi sosteneva la tesi del D., come ad es. R. Krefting che era pervenuto agli stessi risultati in ricerche intraprese da anni (riconoscendo, tuttavia, la priorità della scoperta del D.), e quanti, come E. A. F. Finger di Vienna (che, tuttavia, di lì a qualche anno avrebbe modificato le proprie convinzioni accettando in pieno la teoria del D.), interpretavano l'ulcera venerea come una dermatite virulenta circoscritta e superficiale, con localizzazione quasi esclusiva ai genitali, prodotta da diversi microrganismi piogeni capaci di conferire al pus il carattere dell'inoculabilità. Seguirono la dimostrazione che lo streptobacillo individuato nel 1892 da P. G. Unna come agente specifico della malattia era in realtà identificabile con il bacillo scoperto dal D. e finalmente l'allestimento, nel 1900, di colture del bacillo stesso da parte di F. Bezançon, V. Griffon e L. Lesourd.Il D. fu membro della commissione governativa per il nuovo regolamento della profilassi antivenerea e di quella del dopoguerra per le norme di profilassi per i reduci di guerra, membro ufficiale delegato dal governo italiano per partecipare ai lavori del congresso internazionale di Cannes sui problemi di profilassi indetto dalla Croce rossa americana. Appartenne a numerose società scientifiche italiane e straniere e fu presidente della Società italiana di dermatologia e sifilografia. Ricevette l'alta onorificenza della croce dell'Ordine civile di Savoia.
Morì a Roma il 27 dic. 1940
Bibl.: Necrol. in Giorn. ital. di dermatol. e sifilologia, LXXVI (1941), pp. 292-296; A. De Amicis, Nel cinquantenario della scoperta del bacillo dell'ulcera molle (streptobacillo di Ducrey), ibid., LXXIV (1939), pp. 377-386; C. Lombardo, A. D., in Rivista ital. d'igiene, 1941, pp. 215-219; G. Vernoni, Trattato di patologia generale, I, Firenze 1954, col. 1301; I. Fischer, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzte [1880-1930], I, p. 336.