DANTE, Augusto
Nacque a Brescia il 13 luglio 1857 da Carlo e da Rosa Benedetti. Operaio, fu nella prima metà degli anni Ottanta uno dei militanti lombardi che con maggiore impegno si prodigarono per la costruzione di una forza di classe che riuscisse a dare volto politico ed organizzativo al nascente movimento operaio.
Si trasferì giovanissimo a Milano, città dove in prevalenza avrebbe svolto l'attività militante. "Riconosciuto da tutti come giovane di mente e di polso - così lo ricorda Angiolini, storico del socialismo - fu fra gli operai più influenti, più intelligenti e più attivi del movimento febbrile di quei tempi".
La sua figura è legata al travaglio che portò dalle società di mestiere alla costruzione di una forza politico-sindacale socialista. Impiegato quale operaio litografo nella tipografia del giornale democratico Il Secolo, di Edoardo Sonzogno, nel periodo in cui gli operai della stampa costituivano l'avanguardia del movimento di classe, e socio del Consolato operaio milanese - federazione di società di arti e mestieri -, aderì nel 1880 al Circolo operaio, promosso dal Consolato a scopo di studio, discussione e ricreazione; su questa associazione ampia influenza esercitarono le idee e l'azione degli operaisti Ernesto Bignami ed Osvaldo Gnocchi Viani de La Plebe.
Fu infatti dal Circolo operaio che prese vita, nel maggio 1882, il primo embrione del Partito operaio italiano. Il D. partecipò - insieme a Giuseppe Croce, Alfredo Casati ed altri - alla costituzione della sezione elettorale che a sua volta diede vita all'Unione operaia radicale, in cui confluirono socialisti ed operaisti e che presentò una propria candidatura (Gnocchi Viani) alle elezioni politiche. L'Unione si qualificò ad agosto, con un manifesto, quale sezione del P.O.I. (Partito operaio italiano) riprendendo in gran parte il programma politico mazziniano e radicale, accentuandone però fortemente l'aspetto classista con dichiarazioni di appoggio alle lotte operaie, alle vertenze sindacali ed alle leghe di resistenza. È di questo periodo, 1º nov. 1882, una lettera inviata dal D. ad Andrea Costa, neoeletto deputato a Ravenna, al quale, a nome dell'Unione, domandava un più serrato rapporto politico (Manacorda, pp. 385 ss.).
Fu nel 1883 fra i fondatori ed i redattori del Fascio operaio, settimanale degli operaisti milanesi, e svolse, tra il 1884 e il 1885, un'intensa opera di organizzazione e propaganda per il P.O.I. nelle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Bologna. Già da questo periodo il D. si segnalava fra i massimi dirigenti della tendenza operaista e come uno dei protagonisti del dibattito politico ed organizzativo in seno al movimento di classe. Al congresso costitutivo del P.O.I. - Milano, aprile-maggio 1885 - venne eletto nel Comitato centrale.
In quel periodo la Confederazione operaia lombarda era attraversata da un'intensa discussione di carattere ideologico e politico tra la tendenza operaista e socialista da una parte e quella democratico-radicale dall'altra. Al IV congresso della Confederazione (Milano, febbraio 1884),nella discussione sulle leggi Berti relative alla limitazione dei diritto di sciopero, il D. prese posizione contro la relazione dell'Operaio Luigi Brando che proponeva un arbitrato paritetico in alternativa alla legge governativa. I contrapposti ordini del giorno riportarono pari voti, ma l'ala operaista tendeva decisamente a prevalere in seno al movimento operaio, tanto che al V congresso della Confederazione (Brescia, gennaio 1885) il P.O.I.conquistò la maggioranza del direttivo ed il VI congresso (Mantova, dicembre 1885) -nel quale il D. presentò il rendiconto amministrativo - sancì definitivamente la fusione tra i due organismi.
Idee nuove si facevano intanto strada nel proletariato organizzato settentrionale. Al II congresso del Partito socialista rivoluzionario (Mantova, aprile 1886) si incontrarono i vari gruppi operai e socialisti, in prevalenza lombardi e romagnoli. Allorché Costa ed Alessandro D'Atri posero il problema della fusione tra socialisti ed operaisti, il D. in rappresentanza del P.O.I., pur ammettendo che "comune è il fine dei due partiti, comune può e deve essere la lotta quantunque le modalità ne possano essere diverse", si soffermò a sottolineare una necessaria divisione dei compiti (Manacorda, pp. 241 s.).
Al partito socialista - secondo il D. - spettava elaborare e propagandare i nuovi principi che avrebbero dovuto animare le lotte delle masse lavoratrici; al partito operaio organizzare, attraverso la lotta per rivendicazioni immediate, le masse che costituivano "l'esercito del Partito socialista". In sintesi: ai socialisti "sublimi ideali", agli operaisti "rivendicazioni pratiche accessibili a tutti". Dietro questa idea, in fondo angusta e politicamente debole (che però prefigurava la distinzione tra partito e sindacato), c'era una sostanziale sfiducia nella lotta parlamentare e nella possibilità di modificare il carattere borghese dello Stato, nonché il motivo di fondo della crisi dell'operaismo.
L'istanza unitaria caldeggiata dal Costa era destinata a prevalere sulla ritrosia e i distinguo del P.O.I., che costituiva comunque ancora l'ala maggioritaria del movimento operaio, ma la polemica prevalente restava quella tra democratici e operaisti. Nel maggio 1886 le due tendenze si scontrarono sul programma elettorale. Gli operaisti rifiutarono la candidatura di Antonio Maffi e presentarono loro candidature in Lombardia e in alcuni collegi dell'Italia centrosettentrionale; lo stesso D. venne candidato a Pavia.
La polemica contro le posizioni democratiche all'interno del movimento operaio ebbe per il D. un seguito personale di una certa rilevanza. Egli aveva più volte rappresentato i lavoratori del Secolo nella Confederazione operaia lombarda e allo scatenarsi della battaglia tra il Secolo stesso (e in particolare Felice Cavallotti) e il Fascio operaio, Sonzogno ne decise il licenziamento.
La candidatura del D. non ebbe esito positivo (544 voti), anzi si iscrisse nel generale insuccesso della campagna elettorale operaista. Arrestato nel giugno 1886 - in particolare per la sua opera di organizzazione e agitazione nel Pavese - insieme con altri dirigenti del P.O.I., il D. fu condannato a due mesi di carcere e 250 lire di multa per eccitamento allo sciopero (gli imputati furono difesi da Filippo Turati). A seguito della crisi organizzativa del P.O.I., determinata anche dal decreto prefettizio di scioglimento, e dall'incipiente crisi teorica e politica dell'operaismo, il D. abbandonò l'attività militante.
Il D. morì nel novembre 1908.
Bibl.: F. Anzi, Il movimento operaio socialista ital. (1882-1892), Milano 1946, pp. 13 s., 20, 32, 38 s., 42, 44, 46, 54; C. Lazzari, Memorie, in Movim. operaio, IV (1952), 5, pp. 621, 625, 628; Bibl. G. G. Feltrinelli, I periodici di Milano, I (1860-1904), Milano 1961, pp. 65, 105-107, 114; G. Manacorda, Il movim. operaio italiano attraverso i suoi congressi (1853-1892), Roma 1963, ad Indicem; A. Angiolini, Socialismo e socialisti in Italia, Roma 1966, ad Indicem; D. Perli, Icongressi del Partito operaio italiano, Padova 1972, ad Indicem; M. Neirotti, D. A.,in F. Andreucci-T. Detti, Il movimento operaio italiano. Diz. biografico, II, Roma 1976, ad nomen; A. Nascimbene, Il movimento operaio lombardo tra spontaneità e organizzazione (1860-1890), Milano 1976, ad Indicem; G.Cervo, Le origini della Federazione social. milanese, in Il socialismo riformista a Milano agli inizi del secolo, a cura di A. Riosa, Milano 1981, pp. 23 s., 30; M. G.Meriggi, Il Partito operaio italiano. Attività rivendicativa, formazione e cultura dei militanti in Lombardia (1880-1890), Milano 1985, pp. 26, 30, 35 s., 38, 40, 192, 207 s., 218, 265, 268 s.