CIUFFELLI, Augusto
Nato a Massa Martana (Perugia) il 23 nov. 1856 da Giuseppe e Anna Maria Lucianetti, fu costretto dalle disagiate condizioni familiari a interrompere gli studi dopo la licenza tecnica (agosto 1870) e a impiegarsi nel genio civile di Potenza (luglio 1871) e di Brescia (febbraio 1872). Ma continuò a coltivare, da autodidatta, interessi letterari, scrivendo sul quotidiano moderato La Sentinella bresciana e pubblicando due operine teatrali (Tutti i salmi finiscono in gloria. Proverbio in un atto in versi endecasillabi, Milano 1875; Restiamo in casa. Scena domestica, Bologna 1880).
Grazie anche a questa produzione letteraria, registrata con burocratico apprezzamento nei fogli matricolari che i capiufficio redigevano sulla sua personalità di impiegato, il C. suscitò l'attenzione di G. Zanardelli, il quale lo prescelse come segretario particolare quando resse il ministero dei Lavori pubblici nel primo governo Depretis (marzo 1876-novembre 1877). Ebbe inizio, così, un rapporto di collaborazione e di amicizia che si fece sempre più stretto fino alla morte di Zanardelli (26 dic. 1903), e che risultò decisivo per la formazione ideologica e il tirocinio politico del Ciuffelli.
Egli fu di nuovo segretario particolare di Zanardelli ministro dell'Interno nel primo governo Cairoli (marzo-dicembre 1878), dello zanardelliano T. Ronchetti, segretario generale del ministero di Grazia e Giustizia nel secondo e terzo governo Cairoli (agosto 1879-maggio 1881), ancora di Zanardelli guardasigilli nel quarto governo Depretis (maggio 1881-maggio 1883) e nei primi due governi Crispi (aprile 1887-febbraio 1891). Inoltre, su mandato del suo patrono, intervenne spesso, specialmente tra il 1876 e il 1880, nelle contese municipali combattute a Brescia dai progressisti al cui organo, La Provincia di Brescia, collaborò contro i moderati ed i clericali, e nelle discordie insorgenti tra gli stessi progressisti.
Questa potente protezione, combinata alle doti personali di zelo e di duttilità, accelerò la carriera burocratica del C., nonostante i prolungati comandi ministeriali. Per un decreto reale dell'8 dic. 1878, richiesto direttamente da Zanardelli al sovrano, egli balzò dalla modesta posizione di disegnatore straordinario del genio civile a quella di direttore del sifilicomio di Brescia. Nel maggio 1880 entrò nella pubblica sicurezza come delegato, con sede a Roma, e scalò rapidamente i gradi, fino a ispettore di prima classe (giugno 1885).
Sottoprefetto del circondario di Velletri dal febbraio 1891, venne promosso consigliere delegato di prefettura nel settembre 1892 e inviato a Reggio Emilia dal governo Giolitti, dietro sollecitazione di Zanardelli, che intendeva sostenere il cugino, G. Martini, candidato, nel collegio di Correggio, alle imminenti elezioni politiche (Dalle carte di G. Giolitti..., I, p. 9). Il ruolo svolto dal C., mentre il prefetto titolare era assente, nel secondare un ambiguo scambio di favori, in ambito provinciale tra candidati governativi e socialisti, ebbe un'eco in una lettera di A. Labriola a F. Engels del 28 ott. 1892 (La corrispondenza di Marx e Engels con italiani,1848-1895, a cura di G. Del Bo, Milano 1964, p. 460).
Sempre in qualità di consigliere delegato fu, successivamente, a Livorno (ottobre 1893-maggio 1895), a Pisa (maggio 1895-settembre 1896) e a Palermo (settembre-dicembre 1896). Incaricato di reggere la prefettura di Siena dal 20 dic. 1896, prefetto di quella città dal 13 febbr. 1898, venne poi trasferito a Cagliari (ottobre 1898-luglio 1899), Ravenna (agosto 1899-ottobre 1900), Verona (novembre 1900-febbraio 1901).
La sua carriera culminò nella nomina a consigliere di Stato (7 luglio 1901), ricevuta cinque mesi dopo che egli era divenuto segretario capo della presidenza del Consiglio dei ministri assunta da Zanardelli (15 febbr. 1901-3 nov. 1903). In tale incarico colse occasioni di iniziativa sempre più frequenti, man mano che peggioravano le condizioni di salute dell'anziano statista lombardo.
Quando questi si dimise (20 ott. 1903) e, gravemente malato, prossimo alla morte, si ritirò dalla scena pubblica, lasciando una numerosa schiera di seguaci, il C. ne era, ormai, uno dei capi più ascoltati, e si mostrò tra i più persuasivi nell'istigarla a osteggiare la formazione del governo Giolitti (Dalle carte di G. Giolitti..., II, p. 332). Eletto deputato il 6 nov. 1904 nel collegio di Todi - dove venne rieletto nel 1909 e nel 1913 -, si segnalò subito alla Camera per un discorso, contestatissimo, in cui attaccò il ministero interinale Tittoni (16-28 marzo 1905), per colpire il precedente ministero Giolitti (Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legislatura XXII, tornata del 22 marzo 1905, pp. 1617 ss.).
Dal dicembre 1904 concorse a promuovere la organizzazione del Partito democratico costituzionale, raggruppamento parlamentare di circa cinquanta deputati, denominato anche Sinistra democratica, in cui confluirono gli ex zanardelliani. Essi si aggregarono alla maggioranza giolittiana, senza rinunciare alla propria identità, soltanto nel maggio 1906, dopo aver cooperato alla caduta del primo governo Sonnino, e si fecero rappresentare nel terzo governo Giolitti (29 maggio 1906-11 dic. 1909) da tre ministri e da un sottosegretario alla Pubblica Istruzione, che fu, appunto, il Ciuffelli.
Sembrò che egli aderisse definitivamente al giolittismo. Allorché assunse il dicastero delle Poste e Telegrafi nel governo Luzzatti (31 marzo 1910-30 marzo 1911), perfino i commentatori più attenti delle cronache politiche nazionali giudicarono che entrasse nella combinazione ministeriale in quanto fiduciario di Giolitti (B. Mussolini, Il nuovo governo, in La Lotta di classe, 2 apr. 1910; F. Ciccotti, L'on. Ciuffelli, in Liberissima, 10 apr. 1910; L. Albertini, 1951, p. 37). In realtà manteneva vincoli, più o meno scoperti, col gruppo degli antichi amici di Zanardelli, e continuava a influenzarne la condotta, guardata con diffidenza dai giolittiani più sospettosi (Dalle carte di G. Giolitti..., III, p. 1).
Del resto, la sua educazione ideologica era troppo segnata dallo zanardellismo, perché egli potesse apprezzare l'originalità di Giolitti. L'ideale democratico, professato con calore, anzi con punte di retorica, venne da lui inteso in senso meramente giuridico, restandogli estranea la percezione giolittiana della dinamica sociale. A riprova dell'insufficiente credito di cui godeva presso Giolitti sta la costatazione che questi, nel succedere a Luzzatti e nel rilevarne il gabinetto quasi senza mutarlo, sostituì, però, lui, insieme con altri due ministri.
Al nuovo governo dette il suo voto di fiducia, ma non tardò a criticarne il punto programmatico più qualificante in un discorso extraparlamentare di grande risonanza (Il programma del ministero e il voto agli analfabeti. Discorso agli elettori del collegio pronunciato nel teatro comunale di Todi il 28 maggio 1911, Perugia 1911). Paventando che l'allargamento del suffragio scatenasse "le nuove reclute dell'ignoranza", "le turbe incoscienti" all'assalto dello Stato liberale (ibid., p. 21), propose che il diritto di voto politico fosse limitato a coloro che sapessero scrivere la propria scheda e che agli analfabeti fosse concesso solo il voto amministrativo, purché pagassero, una minima imposta.
Anche in Parlamento, sia in aula sia negli uffici, si batté contro il disegno di legge elettorale, come avversò quello del monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. Il privatismo, che ispirò il suo contegno in questa circostanza, lo aveva già indotto, nel 1905, a opporsi all'esercizio statale delle ferrovie, e lo indusse, più tardi, ad auspicare che nella Libia appena conquistata "si incoraggi, si ecciti, si aiuti in tutti i modi l'iniziativa privata" (Agli elettori del collegio di Todi. Discorso pronunciato il 12 ottobre 1913 nel teatro comunale di Todi, Foligno 1911, p. 9).
Contemporaneamente semplificava, con impazienza quasi brutale, la questione del rapporto tra liberaldemocratici e socialriformisti, intimando ai secondi di entrare "senza reticenze e senza sottintesi nelle file costituzionali, liberandosi dell'etichetta socialista" (ibid., p. 6); e stingeva il laicismo del retaggio zanardelliano in un articolo (La precedenza obbligatoria del matrimonio civile, in Rassegna contemporanea, 10 febbr. 1914), in cui non solo cedeva a una vecchia istanza ciericale in materia matrimoniale, ma "soprattutto sul piano generale, dà del movimento cattolico un giudizio così conciliante da avvicinarsi molto alle opinioni di Salandra" (B. Vigezzi, Il suffragio universale e la "crisi" del liberalismo in Italia, in Nuova Rivista storica, XLVIII [1964], p. 570).
A sanzione di questo avvicinamento, e della regressione che esso comportava, il C. entrò come ministro dei Lavori pubblici nel governo che Salandra costituì nel marzo 1914. Scaltrito nel maneggio della macchina amministrativa e risoluto a farla funzionare, imponendosi, anche di forza, all'alta burocrazia ministeriale - come dimostrò nello scontro vittorioso con il direttore generale delle Ferrovie dello Stato, R. Bianchi, costretto alle dimissioni (gennaio 1915) -, abile nel manovrare in Parlamento, dove contava su un certo seguito personale, risultò uno dei componenti più autorevoli del gabinetto. Con Salandra, che lo stimava "esperto amministratore e uomo di energia e di comando" (A. Salandra, L'intervento, Milano 1930, p. 28), allacciò un legame di leale collaborazione e di confidenza. Tra l'altro, gli trasmise delicate informazioni su importanti avvenimenti vaticani, che egli riceveva dal direttore generale del Fondo per il culto, C. Monti, e dal deputato C. Sili, ambedue già zanardelliani.
Dopo lo scoppio della guerra mondiale, si orientò verso l'intervento italiano, non senza incertezze che irritavano il collega di governo F. Martini, a lui amico e politicamente vicino ma acceso interventista (F. Martini, pp. 174, 192, 400, 408; L. Albertini, 1968, I, p. 280). Comunque, nel Consiglio dei ministri del 13 maggio 1915, fu il solo a consentire con V. E. Orlando, il quale si opponeva alle dimissioni del ministero, argomentando che qualsiasi altro gli fosse succeduto non avrebbe potuto venir meno al patto di Londra, vincolante per la Corona (V. E. Orlando, Memorie(1915-1919), Milano 1960, pp. 40 s.).
Rimasto fuori dal governo Boselli, fu compensato con la nomina a presidente di sezione del Consiglio di Stato e con l'inserimento nella missione italiana inviata negli Stati Uniti (maggio-luglio 1917), allo scopo di propagandare lo sforzo bellico del paese. Nella delegazione, guidata dal principe di Udine, Ferdinando di Savoia, egli garantiva, con Nitti, l'apporto tecnico più consistenti, oltre che la tutela più credibile della interpretazione democratica della guerra.
Caduto Boselli, Orlando volle assolutamente il C. nel suo gabinetto (30 ott. 1917-23giugno 1919), come ministro dell'Industria, Commercio e Lavoro: questi si trovò così a gestire, contro il proprio orientamento liberista, uno dei dicasteri più massicciamente coinvolti nella organizzazione e nel controllo della economia durante il conflitto.
Quando si profilò la pace, dovette contrastare spinte antivincoliste sempre più forti (Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legislatura XXIV, tornata del 16 giugno 1918, pp. 17023 ss.); dopo l'armistizio s'inasprirono, nella Camera e in ambienti economici qualificati (Corriere della sera, 25 e 26febbr. 1919), le accuse mossegli da diversi nuclei industriali, innanzitutto cotonieri, di indugiare nello smantellamento delle bardature di guerra, ma egli si difese invocando lo stato di necessità e promettendo il graduale ripristino della libertà per gli affari (Atti parlamentari,Camera,Discussioni, legislatura XXIV, torn. del 25 nov. 1918, pp. 17620-25; 2ªtorn. del 7 marzo 1919, pp. 18708-12). Quanto questa promessa rispecchiasse le sue più radicate convinzioni fu evidente allorché, nel giugno 1919, si mostrò così irremovibile nel sostenere la liberalizzazione dei cambi e dei commerci, contre la tesi opposta del ministro del Tesoro, B. Stringher, da provocare la crisi del governo Orlando.
Prima di decadere dall'incarico, riuscì a varare un provvedimento di grande rilievo nella storia dell'ordinamento previdenziale italiano, che introduceva l'obbligo dell'assicurazione contro la invalidità e la vecchiaia per tutti i lavoratori dipendenti. A tal fine presentò alla Camera, il 28dic. 1918, un disegno di legge (sui suoi criteri informatori si veda la relazione ministeriale in Atti parlamentari,Camera,Documenti,Disegni di legge e relazioni legislatura XXIV, n. 1066; per i suoi aspetti più tecnici, demografici e attuariali, ibid., n. 1066 bis) e, poiché la sua approvazione tardava, ottenne che esso acquistasse vigore come decreto luogotenenziale (21 apr. 1919, n. 603).
Dal governo Nitti venne nominato, il 31 luglio 1919, commissario generale civile per la Venezia Giulia, alla diretta dipendenza del presidente del Consiglio dei ministri. Da Trieste, dove si trasferì, ragguagliò Roma, con frequenti dispacci, sullo svolgimento iniziale della impresa fiumana, per la quale non celò un ambiguo consenso. Si dimise il 3 dic. 1919, poiché, rieletto deputato dalla circoscrizione di Perugia il 16 novembre - in una lista e con un programma ultramoderati (La Unione liberale, Perugia, 28 ott. 1919) -, era stato eletto vicepresidente della Camera.
S'iscrisse al gruppo della Democrazia liberale, ma la sua collocazione più appropriata sarebbe stata nel gruppo salandrino. Nella crisi tra il primo e il secondo governo Nitti si ventilò la possibilità di un "ministero qualunque, di reazione velata, forse presieduto da Ciuffelli", come registrò F. Turati il 12 maggio 1920 (Turati-Kuliscioff, V, p. 489); questa soluzione era stata prospettata da Salandra a L. Sturzo, che la respinse, in un colloquio del 5 maggio 1920 (cfr. Salandra, 1969, pp. 239 s.). Poco dopo, una grave malattia l'obbligò a disertare il Parlamento, ma egli non smise di disapprovare la diplomazia giolittiana, inviando alla commissione degli Esteri, di cui era membro, una lettera in cui avanzava riserve fondamentali sul trattato di Rapallo (IlGiornale d'Italia, 19 nov. 1920).
Il C. morì a Roma il 6 genn. 1921.
Fonti e Bibl.: Necrologi del C. in IlGiornale d'Italia e L'Idea nazionale del 7 genn. 1921; commemorazione in Atti parlam., Camera,Discussioni, legislatura XXV, tornata del 26 genn. 1921, pp. 6989-93, 6995 s. Si v. inoltre: Roma, Arch. centr. dello Stato, Min. dell'Interno,Direz. generale affari generali e del personale,fascicoli del personale del ministero,riservati, versamento del 28 marzo 1930, VI serie, pacco 1, fasc. 144, Ciuffelli Augusto; Ibid., Carte Orlando, b. 3, fasc. Ciuffelli; Ibid. Presidenza del Consiglio dei ministri,I guerra mondiale, 19.15.4/7; Atti parlam., Camera,Discussioni, legisl. XXII-XXV, ad Indices; S. Crespi, Alla difesa d'Italia in guerra e a Versailles(Diario 1917-1919), Milano 1937, ad Indicem; N. Nasi, Memorie. Storia di un dramma parlamentare, Roma 1943, p. 377; I. Bonomi, La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto (1870-1918), Torino [ma Roma] 1944, ad Indicem; L. Albertini, Venti anni di vita politica, I, 2, Bologna 1951, ad Indicem; A. Salandra, Mem. politiche,1916-1925, Milano 1951, p. s; B. Mussolini, Opera omnia, XI, Firenze 1953, ad Indicem; XIII, ibid. 1954, ad Indicem; L. Sturzo, Il Partito popolare ital., II, Bologna 1956, p. 57; O. Malagodi, Conversazioni della guerra,1914-1919, Milano-Napoli 1960, II, p. 343; L. Einaudi, Cronache econom. e polit. di un trentennio, V (1919-1920), Torino 1961, ad Indicem; Dalle carte di G. Giolitti. Quarant'anni di politica ital., a cura di P. D'Angiolini-G. Carocci-C. Pavone, Milano 1962, I-III, ad Indices; F. Martini, Diario,1914-1918, Milano 1966, ad Indicem; G. Salvemini, Scritti sulla scuola, Milano 1966, ad Indicem; L. Albertini, Epistolario,1911-1926, Milano 1968, ad Indicem; A. Salandra, Il diario, Milano 1969, pp. 126, 150, 152, 154, 212; Id., I retroscena di Versailles, Milano 1971, ad Indicem; S. Sonnino, Diario, III, Bari 1972, p. 254; G. Amendola, La crisi dello Stato liberale, Roma 1974, ad Indicem; S. Sonnino, Carteggio,1916-1922, Bari 1975, ad Indicem; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, Torino 1977, II-V, ad Indices; M. Missori, Governi,alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1978, ad Indicem; P. Alatri, Nitti,D'Annunzio e la questione adriatica (1919-1920), Milano 1959, ad Indicem; G. Carocci, Giolitti e l'età giolittiana, Torino 1961, ad Indicem; A. Monticone, Nitti e la grande guerra (1914-1918), Milano 1961, ad Indicem; B. Vigezzi, in Benedetto XV,i cattolici e la prima guerra mondiale, Roma 1963, pp. 290, 292; Id., L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, I, L'Italia neutrale, Milano-Napoli 1966, ad Indicem; F. Margiotta Broglio, Italia e S. Sede dalla grande guerra alla conciliazione, Bari 1966, ad Indicem; M. Fatica, Origini del fascismo e del comunismo a Napoli(1911-1915), Firenze 1971, ad Indicem; A. Monticone, La Germania e la neutralità italiana: 1914-1915, Bologna 1971, ad Indicem; H. Ullrich, Le elez. del 1913a Roma. I liberali fra massoneria e Vaticano, Milano-RomaNapoli-Città di Castello 1972, ad Indicem; R. Chiarini, Politica e società nella Brescia zanardelliana. Le elezioni polit. a suffragio ristretto,1876-1880, Milano 1973, ad Indicem; Id., G. Zanardelli e la lotta politica nella provincia italiana: il caso di Brescia(1882-1902), Milano 1976, ad Indicem; M. Belardinelli, Un esperimento liberal-conservatore: i governi di Rudini(1896-1898), Roma 1976, ad Indicem; A. Caroleo, Le banche cattoliche dalla prima guerra mondiale al fascismo, Milano 1976, p. 63; A. Cherubini, Storia della previdenza sociale in Italia(1860-1960), Roma 1977, ad Indicem; H. Ullrich, La classe politica nella crisi di partecip. dell'Italia giolittiana. Liberali e radicali alla Camera dei deputati,1909-1913, Roma 1979, ad Indicem.