AUGILA (Awgilah, pronunziata dialettalmente Ógila; fr. Aoudjélah ecc.; A. T., 113-114)
L'oasi di Augila, che forma un gruppo con quelle di Gialo, dalla quale dista 24 km., e di Gicherra, giace nel retroterra cirenaico a circa 250 km. dalla costa mediterranea (Gran Sirte). Essa fa parte di quella catena di oasi che si distende lungo il margine settentrionale del Grande Erg Libico in corrispondenza di una linea più o meno continua di depressioni e di luoghi d'acqua. Era nota fin dall'antichità (τὰ Αὕγιλα) ed Erodoto racconta che ad essa si recavano i nomadi Nasamoni per raccogliere gli ottimi datteri dei numerosi palmeti; ricorda pure una fonte, chiamata Sibilla, che forse corrisponde all'attuale Bir es-Sebíl (Bi'r as-Sabīl). All'epoca romana pare vi fosse anche un castello a protezione delle carovane, ma mancano dati archeologici: come pure è dubbio che sia mai esistito nell'antichità un vero e proprio centro abitato permanente. Alcuni resti di antiche costruzioni sono stati attribuiti a torri di origine libica.
Il primo viaggiatore europeo che toccò l'oasi di Augila fu nel 1798 l'Hornemann, che proveniva dal Cairo e si recava al Fezzān. Dopo di lui vi passò il Pacho, che da Agedàbia era diretto al Cairo, e più tardi seguirono lo stesso percorso Hamilton nel 1852, Rohlfs nel 1869 e Beurmann nel 1862 sino ad Augila. Da quell'epoca nessun altro viaggiatore visitò più l'oasi sino al 1920, quando v'arrivò una inglese, Rosita Forbes, accompagnata dall'egiziano Aḥmad Ḥasanein Bey, i quali proseguirono per Cufra. E questi furono gli ultimi. Il 25 febbraio 1928 l'oasi venne occupata dalle truppe italiane. Tutti i varî esploratori sopra ricordati tracciarono, nelle relazioni dei loro viaggi, descrizioni più o meno diffuse dell'oasi. Le più notevoli sono quelle del Pacho (Relation d'un voyage dans la Marmarique, la Cyrénaique et les Oasi d'Audjielah et de Maradeh, ecc., Parigi 1827), del Rohlfs (Von Tripolis nach Alexandrien, Brema 1871), della Forbes (Secret of the Sahara: Kufara, Londra 1921), e poi la piccola monografia del De Agostini (Notizie sulla zona di Augila-Giàlo, Bengasi 1927).
L'oasi di Augila giace in mezzo ad una piatta zona di serīr sabbioso con sottosuolo calcareo ed è formata da un gruppo di palmeti (circa 30.000 palme) e di giardini coltivati a cereali, ortaggi e frutta, che coprono una superficie di 4000 ettari all'incirca. Le acque sono relativamente abbondanti, a poca profondità nel sottosuolo, ma sono un po' salmastre. Ogni giardino è fornito di almeno un pozzo: in complesso si calcola che nell'oasi ve ne siano almeno un centinaio. Il migliore però è quello di Sebìl (es-Sabīl), che si trova a qualche chilometro dall'oasi.
Quasi al centro dell'oasi sorge il villaggio, formato da circa 500 case di tipo assai primitivo, da cui qua e là emergono le cupole di otto moschee. La maggiore è quella della zāwiyah senussita, fondata nel 1872 da Moḥammed el-Mahdī, figlio del primo Senusso; fra gli altri edifici religiosi sono poi da ricordare varie tombe di marabutti, fra cui la più nota e venerata è quella che si vuole custodisca le ceneri di ‛Abd Allāḥ ibn Abī Sarḥ, famoso condottiero arabo che fu anche segretario del profeta. L'oasi di Augila è abitata oggigiorno da circa 1500 persone (el-Augila, al-Awāgilah) che vi dimorano stabilmente, mentre altre 800 circa stanno a Bengasi, in Egitto, a Cufra ecc. Questa popolazione rappresenta l'unico nucleo di origine berbera ancora vivente in Cirenaica e si ritiene che provenga dai rami Lawātah o Hawwārah. La popolazione è divisa in quattro aggruppamenti che portano il nome di el-Hati (al-Ḥāṭī, 850 anime), es-Subcha (as-Subkhah, 900), es-Sarahna (as-Sarāḥnah, 350), ez-Zagághna (az-Zaqāqnah, 200). I più antichi sarebbero i due primi. La lingua parlata è un dialetto berbero conservatosi in grazia del grande isolamento dell'oasi; è conosciuto però da tutti anche l'arabo. All'epoca della dominazione turca, l'oasi di Augila, insieme con quelle di Gialo e di Gicherra, erano amministrate da un caimacám (qā'im-maqām) dipendente dal mutaṣarrif di Bengasi. Le imposte venivano pagate in datteri sotto forma di decime, per un valore complessivo di 50.000 piastre. Cessato il dominio ottomano, ne rimase l'organizzazione amministrativa retta da gente del luogo. Gli abitanti sono dediti all'agricoltura e al commercio; l'unico importante prodotto del suolo è rappresentato dai datteri che vengono esportati in notevole quantità specialmente nella Sirtica.
Le vie di comunicazione con le altre oasi e con la costa mediterranea consistono esclusivamente in carovaniere. La più importante è quella che unisce Augila ad Agedabia e al mare, con uno sviluppo di circa 230 km e che poi seguita verso est sino a Gialo, ove si divide in due rami che portano a Giarabúb (al-Giaghbūb), a Sīwah e a Cufra. L'altra carovaniera collega Augila all'oasi di Maráda (Marādah), donde prosegue poi per il Fezzān. Il traffico carovaniero non è tuttavia molto attivo ad Augila, malgrado che l'oasi fruisca della favorevole circostanza di trovarsi sulla via più breve tra Cufra e il mare.
Storia. - Dalle notizie che si traggono dalle fonti classiche, a cominciare da Erodoto, appare che anche nell'antichità doveva essere un centro importante lungo la carovaniera interna che dall'oasi di Giove Ammone andava verso le regioni sahariane, e l'altra che ricongiungeva i paesi sūdānesi alla costa mediterranea. Abbiamo già ricordato la menzione di Erodoto (IV, 172, 182) dei datteri di Augila raccolti dai Nasamoni; anche ora gli Augilini parlano della piccola e quasi disabitata oasi di Gicherra (Ǵkharrah o Žkharrah), nei pressi della loro, ove per la raccolta dei datteri si recano genti dal Nord della Cirenaica e da Cufra. Pomponio Mela (I, 8) ricorda, a proposito di costumi augilini, la prostituzione delle spose nella prima notte del matrimonio. Lo stesso scrittore accenna ai mani dei defunti che erano tenuti come divinità, ai giuramenti che su di essi si facevano, e ai responsi che presso i sepolcri si cercavano attraverso il sogno. Procopio (De Aedificiis, VI, 2) ricorda un tempio di Ammone ad Augila.
Lingua. - Gli Augilini hanno conservato il loro antico dialetto berbero, pur conoscendo ed usando l'arabo per le relazioni esterne. Con la lingua si è determinato in loro un proprio e vivo senso etnico in contrasto col mondo arabo o arabizzato che li circonda. Ciò appare anche nell'uso di speciali espressioni di gergo che sostituiscono sia parole comuni, sia alcuni nomi di luogo; e che servono ad evitare voci derivate dall'arabo o comuni ai due linguaggi, con lo scopo di impedire, come gli Augilini espressamente dichiarano, che parlando in berbero ed usando qualche parola presa dall'arabo gli Arabi che per caso siano presenti possano capire. L'antico linguaggio nazionale è insomma visto da essi come un mezzo di difesa contro gli arabofoni: e dove tale difesa appare meno efficace per le inevitabili brecce dell'arabo nel berbero, ricorrono al gergo. Un piccolo vocabolario del dialetto berbero di Augih fu pubblicato da F. Müller in appendice all'opera del Pacho, Voyage dans la Marmarique et la Cirénaique, Parigi 1927. Per quanto riguarda il gergo, v. F. Beguinot, Il gergo dei Berberi della Tripolitania, in Annuario del R. Istituto Orientale di Napoli, 1917-18.