ATTONE
Di questo vescovo fiorentino che resse la diocesi nel primo manifestarsi delle irrequietudini religiose popolari antisimoniache del sec. XI è incerta la data precisa di elezione.
Secondo quanto afferma il Davjdsohn (Storia, I, p. 246 e n. 3) l'ultimo atto del predecessore Lamberto è del 5 maggio 1032, ma A. risulterebbe sottoscrittore di un documento datato al 2 nov. 1031 - l'atto di fondazione dell'ospedale della Badia - che pur menziona il vescovo Lamberto, non però tra i sottoscrittori. Tale contraddizione verrebbe risolta pensando all'intercorrere di un certo lasso di tempo "per la preparazione" del documento: quando fu presentato per le sottoscrizioni, il vescovo fiorentino non sarebbe stato più Lamberto, bensì A., la cui elezione dovrebbe cadere così in un periodo posteriore al 5 maggio 1032; essa comunque, a detta dello stesso A., sarebbe avvenuta per designazione di Corrado II, poiché parlandone, il vescovo fiorentino, in un documento di donazione a favore di S. Miniato, dichiara esplicitamente: "pro anima Conradi serenissimi imperatoris domini et ordinatoris mei" (cfr. Ughelli-Coleti, III, col. 58).
Il primo documento in cui A. compaia come vescovo fiorentino è del novembre 1036, e trattasi di supplica rivolta dal presule a Benedetto IX, nella quale si chiede di convalidare tutta una serie di disposizioni da lui prese e relative alla vita in comune del clero della canonica di S. Giovanni (chiesa cattedrale).
Ai canonici A. confermava "campum Regis, cum mansis et territorus omnibus... curtem de Cinctoria totam... plebem e Sinia, cum curte et mansis et territoriis omnibus et decimationibus" nonché "totum quod Teuzo, filius Lepizi, pro salute animae suae in ecclesia S. Ioannis contulit vel in eadem canonica terram S. Proculi in praedicta plebe, quam Davizo vicedominus eiusque nepos Ioannes pro salute animae suae predictae contulerant Canonicac curtem de Laco, quae est infra plebem S. Petri situatam...". Oltre a ciò A. donava "qùicquid Gerardus archipresbyter pro beneficio a nostra aecclesia tenuit tam in decimationibus quam in mansis et in praediis necnon et quaecumque Stephanus abbas ex beneficio tenuit' iure perpetuo habenda eidem canonicae". E finalmente anche per la "plebem S. Ypoliti sitam Elsa vel quaecunque Domino adiuvante daturi erimus" si chiedeva una sicura garanzia del papa a tutela dei diritti canonici. La sottoscrizione apposta dallo stesso papa alla supplica " Ego Benedictus S. Catholicae et apostolicae Romanae ecclesiae Praesul secunduni praelibatam petitionem filii nostri Attonis episcopi confirmans hoc sub defensione S. R. E. nostra nostrorumque successorum Pontificum praedictam canonìcam suscepi..." costituiva appunto la risposta affermativa immediata anche se non ancora di valore assoluto alla richiesta di Attone. Successivamente, il 24 marzo del 1038, Benedetto IV, con privilegio indirizzato a Rolando, preposito della canonica di S. Giovanni, confermava le donazioni di A. e dei predecessori, ad istanza dello stesso preposíto (cfr. per tutto Piattoli, pp. 103-104).
Insieme con i canonici, oggetto della attenzione di A. furono anche i monaci di S. Miniato, a favore dei quali ci restano due documenti di donazione, riportati dall'Ughelli (che affermò di averli visti nell'archivio dei capitolo), e dei quali uno (che erroneamente l'Ughelli riferisce ai canonici) non porta data, ma per l'identità di alcuni dei sottoscrittori con altri della supplica a Benedetto IX, potrebbe essere degli stessi anni e l'altro è, invece, datato al febbraio 1037, con la menzione, nel documento, di un "Heinricus rex, clarissimus filius [Chonradi]" (Ughelli, III, col. 59), che non lascia dubitosi circa l'autenticità del documento, dacché è noto che il titolo regio a Enrico III fu conferito nel 1028, molto prima della morte di Corrado II (cfr. C. Violante, Aspetti della politica italiana di Enrico III, in Riv. stor. ital., LXIV [1952], p. 158 n. 1). I documenti relativi a S. Miniato comprendevano donazioni della pieve di S. Andrea "in loco Ducio", una casa a Firenze "iuxta portam S. Mariae prope forum", occupata in quel momento da un tal "Ioannes, qui Emorandus evocatur", metà della pieve di S. Giovanni "quae sita est in loco Remulo", nonché la conferma delle donazioni dei predecessori.
A proposito della conferma di Benedetto IX a Rolando, preposito della Chiesa fiorentina, va osservato che esso servì per così dire da minuta per l'altro privilegio stilato a favore degli stessi canonici fiorentini ad opera di Pietro "cancellarius et diaconus sedis apostolicae" al tempo del pontificato di Leone IX (cfr. Kehr, III, p. 14 n. 2 e n. 4), con l'aggiunta di altre donazioni e l'introduzione di alcune variazioni.
Ma i canonici erano oggetto di particolare attenzione anche da parte dell'autorità laica, poiché, per interessamento di Bonifacio di Canossa "fidelissimus marchio", Corrado II il 10 luglio 1037 confermava agli stessi i possessi e l'alta tutela regia, aggiungendo la "corroboratio" per "quecunque Atto venerabilis episcopus eiusdern ecclesie per decreti paginam, eidern canonice scil. S. Iohannis contulit" (Conradi II, Diplomata, p. 338). Ed ai canonici, il 23 ag. 1038, A. aggiungeva, in altra donazione, il "castellum" "cum iacentiias et pertinentias suas" di S. Pietro; anche in tale occasione A. aveva cura di precisare che la donazione era fatta ai canonici e ai loro successori che praticassero la vita in comune e "regulariter", con l'espresso divieto a chiunque di sottrarre alcunché dei beni donati e appartenenti agli stessi, divieto fatto ai vescovi successori di A. e ai prepositi successori di Rolando.
Nella compilazione del documento imperiale si deve notare a riprova dell'interessamento locale a provocare donazioni, che non possono, pertanto, rientrare, come ci sembra, nella linea della ricostituzione patrimoniale di monasteri e di canoniche voluta dal centro - laico (Enrico III) o ecclesiastico (Leone IX e "gregoriani") -, che sono utilizzati, oltre a frammenti di un documento di Ottone III e del falso diploma per il vescovo Specioso, anche brani della donazione di A. per i canonici fiorentini. Non sono pertanto accettabili le osservazioni del Davidsohn (Storia, I, pp. 255 s.) circa il mutamento di atteggiamento di A. sui problemi della moralizzazione della vita ecclesiastica, mutamento che vien messo in relazione con l'episodio più caratteristico dei rapporti tra il vescovo fiorentino e le correnti riformistiche che facevano capo a Giovanni Gualberto.
Dello scontro con Giovanni Gualberto manca un elemento importante: quello cronologico; si ignora infatti quando si sia verificato il famoso tumulto del Mercato Vecchio, che ebbe per conseguenza il ritiro di Giovanni nell'eremo di Vallombrosa; il Davidsohn (Storia, I, p. 250 n. 3) ritiene che "non si può precisare la data dell'accaduto, ma non fu certo anteriore al 1035" per la considerazione che al momento della presenza di Corrado II a Firenze la comunità vallombrosana era fiorita notevolmente. Comunque, indipendentemente dall'effettivo valore che può avere avuto l'episodio circa l'atteggiamento di A., esso rappresenta in sé un elemento importante per comprendere la situazione religiosa in Firenze. Andrea da Strumi è, in proposito, fonte troppo interessata da poter venir accettata nella sua presentazione complessiva degli avvenimenti: la fuga di Giovanni Gualberto da S. Miniato con un compagno anonimo - e il particolare ovviamente ha importanza solo per il maggior rilievo che nella prospettiva del racconto viene ad assumere il giovane monaco Giovanni - da un'obbedienza all'abate Uberto, simoniaco e "callidus" che "per pecuniam regimen ab episcopo fiorentinae civitatis Attone, qui illi monasterio preerat, accepit"; la consItazione presso Teuzone e l'esitazione del venerando vecchio a consigliare subito una aperta ribellione a chi era sottoposto ad un simoniaco e, poi, "cemens igitur senex viri fidem et constantiam", l'invito alla denunzia in Mercato, davanti al popolo, della simonia di A. e di Uberto, sono elementi che hanno il sapore di una sapiente costruzione - non diciamo ricostruzione - atta a mostrare da un lato lo zelo di Giovanni e dall'altro la sua decisa vocazione patarinica, che deve portare il futuro fondatore di Vallombrosa ad accusare il vescovo, senza alcun ritegno e senza preoccupazioni procedurali: bisognerà ricordare che sia l'accusa sia ogni giudizio nei riguardi dei superiori erano tassativamente proibite dai canoni, che comunque prevededevano, semmai, un'azione presso i superiori dell'accusando, non una denunzia fatta proprio dinanzi al "gregge" sia pure di un pastore indegno. Quanto si è detto a proposito del documento a favore dei monaci di S. Miniato - confermato nel 1044 da Benedetto IX (cfr. Kehr, III, p. 44 n. 1) - ci dispensa dal dover fare l'ovvia osservazione che certamente i rapporti tra vescovo e monastero erano molto stretti: il che peraltro non prova ancora che A. e Uberto fossero simoniaci. Ma è chiaro che non cercheremo prove oggettive da una fonte come Andrea da Strumi, ma sí l'attestazione dell'ostwtà ad una vita cenobitica con troppi - e pericolosi - legami con ordinari diocesani quali A., sicuramente alieni da una spiritualità così intensa e rigida qual'era quella patarinica. Rimane invece accertato che quella funzione di rifiuto di situazioni locali di vita religiosa fondate su un carattere personalistico e utilitario, spesso al di fuori di un vero anelito spirituale - ed è comprensibile allora la facilità di un'accusa di simonia e l'altrettanto facile possibiltà di una negazione, sul piano di una contestazione puntuale, di tale accusa - quella funzione che a Milano era svolta dai patarini, a Firenze viene individuata da Andrea da Strumi nell'accusa di Giovanni Gualberto, nel Mercato Vecchio, contro Attone. Il quale, più che come rappresentante di un mondo "vecchio", cui contrasterebbe la novità eversíva dei vallombrosani - ma allora si rimane irretiti dalle contraddizioni che già indussero il Davidsohn a parlare di atteggiamento mutatoe di "confessione dei peccati" (I, p. 256), con una carica interpretativa che i moduli formulistici delle donazioni assolutamente non sopportano - ci appare l'esponente di un'azione, di carattere prevalentemente pratico-economico per la ricostituzione del patrimonio ecclesiastico diocesano, che è vastamente diffusa in Italia e fuori, al momento della fine della "prima età feudale", indipendentemente - il che non vuol dire ovviamente in contrasto - dal movimento di riforma religiosa.
È sempre oggetto di un attacco ispirato a sostanziale distacco - sia pure su piani molto più modesti - e ripudio della vanità - ogni vanità - del mondo, A. è nell'episodio narrato da Pier Damiani nell'Apologeticus ob dimissum episcopatum (cfr. Migne, Patr. Lat., CXLV, coll. 454 s.; e anche Davidsohn, I, p. 247 n. 1, per l'identificazione del vescovo menzionato da Pier Damiani con Attone), m cui A., sorpreso a giocare a scacchi dal santo e violentemente rimproverato, si difende invocando - proprio lui - i canoni che non facevano espressa proibizione del gioco, ma si riferivano ai dadi, accettando, poi, tuttavia, la penitenza impostagli di leggere tre volte il salterio e di lavare i piedi a dodici poveri della sua diocesi. Non è un caso che A. sia stato consegnato alla storia nel ricordo necessariamente non favorevole di due monaci tra i più austeri.
Degli anni successivi al 1040 non siamo informati dell'attività di A. ed è l'Ughelli a dirci che "excessit Atho circiter annum. domini 1046, sepultus iacet in Cathedrali".
Fonti e Bibl.: Le carte della canonica della cattedrale di Firenze (723-1149), a cura di R. Piattoli, in Regesta Chart. Italiae, XXIII, Roma 1938, pp. 103 ss., 114 ss.; F. Ughelli-N. Coleti, Italia Sacra, III, Venetiis 1718, coll. 52-62 (per i docc.); Conradi II Diplomata, in Monumenta Gem. Hist., Diplomata imperatorum et regun: Germaniae, IV, Hannoverae et Lipsiae 1909, pp. 338-340, n. 246; Andrea da Strumi, Vita S. Iohannis Gualberti, ibid., Scriptores, XXV, 2, Lipsiae 1934, pp. 108i s.; Petri Damiani Opusculum vicesimum, c. 6, in Migne, Patr. Lat., CXLV, coll. 454 s.; P. F. Kehr, Italia Pontificia, III, Etruria, Berolini 1908, pp. 13 s. e bibl. indicata; R. Davidsohn, Storia di Firenze, I, Firenze 1956; Id., Forschungen zur älteren Geschichte von Florenz, I, Berlin 1896, p. 40,G. Schwartz, Die Besetzung der Bistümer Reichs italiens..., Leipzig-Berlin 1913, p. 209; G. Miccoli, Pietro Igneo, Roma 1960, p. 21(e passim, per i vallombrosani).