TAMARO, Attilio
– Nacque a Trieste il 13 luglio 1884, da Giovanni, di origini istriane, e da Giuseppina Gherlan, triestina.
Pur appartenendo a una famiglia di modesta estrazione sociale, completò gli studi superiori nella città natale presso il ginnasio comunale poi intitolato a Dante, e proseguì quelli universitari a Graz: l’ateneo tergestino, per la cui nascita lo stesso Tamaro aveva condotta la propria giovanile lotta politica fin dal primo Novecento, sarebbe infatti stato ufficialmente istituito solo nel 1924. Si laureò in lettere nel 1906 con una tesi di argomento storico-artistico. Dopo una breve attività lavorativa quale bibliotecario nella provincia istriana – secondo taluni a Pola, secondo altri a Parenzo –, rientrò a Trieste nel 1907 per rimanervi fino allo scoppio della Grande Guerra.
Quelli tra il 1907 e il 1914 furono anni di apprendistato giornalistico presso L’Indipendente e Il Piccolo e, soprattutto, di crescente impegno nella battaglia irredentista condotta sia sul piano politico che culturale (conobbe in quel periodo l’allora ‘triestino’ James Joyce) attraverso il ruolo di segretario della locale università popolare. L’incarico gli venne affidato per indicazione del Partito liberal-nazionale, all’epoca la forza politica maggioritaria nella realtà triestina, di cui era espressione lo stesso ‘podestà’ (sindaco) di Trieste, nel quadro dei poteri amministrativi periferici dell’Impero austroungarico. Nel suo complessivo svolgimento sarebbe risultata l’esperienza più importante dei suoi primi trent’anni. La svolse dal 1910 al settembre del 1914, quando, attraversato con documenti falsi il confine, si trasferì in Italia.
Per Tamaro, al pari di altri giovani coetanei tergestini quali Scipio Slataper, Giani Stuparich, Ruggero Fauro Timeus, Spiro Xydias, l’entrata in guerra contro l’Austria significò l’arruolamento come volontario nel Regio Esercito italiano. La partecipazione alle azioni militari vere e proprie fu pressoché inesistente, ma – accanto a soggiorni a Parigi e Londra, per promuovere a nome di ambienti influenti del ministero degli Esteri le istanze italiane in vista del riassetto postbellico del Küstenland austriaco – ben presto emerse il ruolo di propagatore dei valori della patria, secondo uno spirito nazionalistico imbevuto nel suo caso di ingredienti sia antiaustriaci sia antislavi. Datano a quel periodo i primi scritti caratterizzati da quell’intreccio di sensibilità storiche, giornalistiche e soprattutto nazionalistiche che sarebbe poi rimasto nel corso del tempo la sua cifra peculiare: da L’Adriatico golfo d’Italia. L’italianità di Trieste (Milano 1915) a Le condizioni degli italiani soggetti all’Austria nella Venezia Giulia e nella Dalmazia (Roma 1915); da Il trattato di Londra e le rivendicazioni nazionali (Milano 1918) a La lutte de Fiume contre la Croatie (Rome 1918), per finire con la prima opera di un certo respiro: La Vénétie julienne et la Dalmatie. Histoire de la nation italienne sur ses frontières orientales (Rome 1918-1919).
Poco prima dell’entrata in guerra si era sposato il 24 febbraio 1915 con Aurelia Conighi, dalla quale non avrebbe avuto figli.
Terminato il conflitto ed entrato rapidamente in crisi lo Stato liberale sotto la spinta delle tensioni estreme del dopoguerra italiano, trovò del tutto naturale aderire al fascismo, tanto più in quanto – com’egli scriveva con qualche azzardo nel 1924 e avrebbe poi sostanzialmente ribadito una decina di anni dopo nella voce Irredentismo dell’Enciclopedia Italiana (XIX, Roma 1933, pp. 567-569) – «la storica azione del Partito liberale-nazionale triestino rassomiglia profondamente a quello che oggi è il fascismo, anche perché la parte più giovane e più combattiva realizzò già allora quell’azione che oggi si chiama squadrismo» (A. Tamaro, Storia di Trieste, II, Padova 1976, p. 460). Trascorse i primi anni Venti nella ripresa dell’attività giornalistica – risultando tra l’altro caporedattore degli organi di stampa nazionalisti Idea nazionale e Politica, e corrispondente da Vienna dal 1922 al 1927 de Il popolo d’Italia – e nella stesura dell’opera che l’avrebbe poi consacrato quale uno dei più noti pubblicisti di orientamento nazionalista dediti alla ricostruzione delle vicende storiche della propria città (Storia di Trieste, I-II, Roma 1924).
Preparata in certo qual modo da precedenti incarichi informali svolti a Vienna, Berlino e nell’Europa orientale, risale al 1927 la svolta nella sua vita professionale e nel consolidarsi del legame con un fascismo ormai delineatosi come regime autoritario/totalitario. Per quanto già inserito dal febbraio di quell’anno nell’organico della diplomazia italiana, fu infatti tra i beneficiari (‘ventottisti’) della legge 2 giugno 1927, con la quale il governo modificò in profondità il precedente rapporto tra sé e la struttura diplomatica dello Stato, prevedendo l’ingresso e l’avanzamento nei ruoli delle ambasciate e dei consolati di un nutrito contingente di funzionari estranei al ‘cursus honorum’ tradizionale e nominati direttamente dal ministro degli Esteri, anche ovviamente sulla base della fedeltà politica al regime. Tamaro entrò così nei ranghi della diplomazia, ricoprendo in successione le funzioni di console generale ad Amburgo (1927-29) e di ministro plenipotenziario – grado sottostante solo a quello di ambasciatore – dapprima in Finlandia (1930-35) e poi in Svizzera (1935-43). Nella giovane repubblica scandinava, in particolare, ebbe modo di promuovere l’immagine del regime mussoliniano, assurto in Finlandia a modello di gruppi nazionalisti e anticomunisti quali il movimento di Lapua e il successivo movimento patriottico popolare.
Attorno alla fine del 1934 sembrò che Benito Mussolini stesso intendesse inviarlo a Sofia. Ma poi, anche per quella che taluni ritengono l’ostilità personale del sottosegretario agli Esteri Fulvio Suvich (suo conterraneo e coetaneo), il progetto si trasformò nella proposta di un invio a Pechino – rifiutata da Tamaro – e infine alla sede di Berna, dove in effetti venne trasferito e sarebbe rimasto fino al maggio del 1943, quando ormai sessantenne fu messo a riposo. Si concludeva dunque, senza il raggiungimento di un grado e di una sede che esprimessero prestigio e riconoscimento da parte del regime, una carriera percorsa da Tamaro nella crescente amara consapevolezza di essere rimasto a livello nazionale (mentre a Trieste era da tempo riconosciuto quale figura di chiara fama) un outsider: soprattutto rispetto alle tradizioni di un mondo diplomatico ancora castale e legato al rango sociale di provenienza. Tradizioni che la stessa convinta adesione alle idee e alle ambizioni internazionali del fascismo non era valsa a scalfire.
Sullo sfondo del crollo del governo di Mussolini gli venne ritirata la tessera del Partito fascista a causa, si ritiene, del prolungato rapporto epistolare che egli aveva intrattenuto sin dagli anni Trenta con l’imprenditore triestino di origini ebraiche Camillo Castiglioni. Anche in ragione del suddetto raffreddamento nei rapporti con il regime, non manifestò particolare simpatia per l’esperienza politica della Repubblica sociale italiana e, pur avendo fatto parte della compagine diplomatica nazionale durante il Ventennio, nel dopoguerra non patì effettive conseguenze per la propria passata militanza.
Gli ultimi anni di vita, accompagnati tra l’altro dalla duplice delusione della sconfitta monarchica nel referendum del giugno del 1946 (peraltro da lui già preconizzata nei mesi precedenti) e della frantumazione dei territori nativi in una parte italiana e una iugoslava in seguito al ‘memorandum di Londra’ del 1954, vennero così dedicati alla ripresa dell’attività giornalistica (condotta in buona parte sotto gli pseudonimi Mario Giassi, Tergestino, Giusto Montemuliano) e alla stesura di opere tra storia e memorialistica riguardanti il biennio 1943-45 e l’intero Ventennio di regime. Si trattò di opere criticamente non solidissime, come d’altra parte gli scritti pubblici precedenti, ma che hanno fornito una miniera di riferimenti a fatti e documenti sia per lavori tecnicamente più appropriati relativi alla storia politica e sociale di Trieste che per imprese di ampio respiro quali la monumentale biografia mussoliniana di Renzo De Felice.
L’animo profondamente nazionalista, che già nel 1920 lo aveva portato a esprimersi contro il trattato di Rapallo per la definizione dei confini tra Italia e Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, spinse un Tamaro ormai settantenne a una pubblica e netta presa di posizione contro il trattamento riservato all’Italia negli accordi di pace di Parigi del febbraio del 1947 (La condanna dell’Italia nel trattato di pace, Bologna 1952).
Morì a Roma il 20 febbraio 1956.
Opere. Per un elenco degli scritti di Tamaro cfr. B. Coceani, La bibliografia, in La porta orientale. Rivista mensile di studi giuliani e dalmati, 1954, vol. 24, pp. 359-366. Tra gli scritti di maggiore interesse, oltre quelli già citati: L’affare del Montenegro, Roma 1920; La lotta delle razze nell’Europa danubiana, Bologna 1923; Documenti inediti di storia triestina (1298-1544), Trieste 1931; Due anni di storia: 1943-45, I-III, Roma 1948-1949; Venti anni di storia 1922-1943, I-III, Roma 1953-1954.
Fonti e Bibl.: La raccolta di fonti più organica è costituita dal fondo Attilio Tamaro presso l’Archivio della Fondazione Ugo Spirito e Renzo De Felice, a Roma, dove tra l’altro si trova il suo diario. Altro importante materiale è depositato presso il fondo Tamaro dell’Archivio diplomatico della Biblioteca civica Attilio Hortis di Trieste. Nell’Archivio di Stato di Trieste, sezione Archivi di famiglie e di persone, è conservato il manoscritto della Storia di Trieste (1924).
A tutt’oggi non è disponibile una biografia d’impianto storico-critico. Fra gli studi dedicati a singoli aspetti ed esperienze della sua vita si vedano: G. Cervani, La «Storia di Trieste» di A. T. Genesi e motivazioni di una storia, in A. Tamaro, Storia di Trieste, Padova 1976, pp. VIII-XLI; L. Monzali, A. T., la questione adriatica e la politica estera italiana (1920-1922), in Clio, 1997, n. 2, pp. 229-253; Id., Tra irredentismo e fascismo. A. T. storico e politico, ibid., pp. 267-301; A. Di Fant, A. T. in missione politica a Vienna, in Qualestoria. Bollettino dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, 2003, n. 31, pp. 199-217; A. T. e Fabio Cusin nella storiografia triestina. Atti del Convegno..., Trieste 2005, a cura di S. Cavazza - G. Trebbi, Trieste 2007; L.G. Manenti, «Evviva Umberto, Margherita, l’Italia, Roma!». L’irredentismo triestino e Casa Savoia, in Diacronie. Studi di storia contemporanea, 2013, vol. 16, n. 4, doc. 8, http://diacronie.revues. org/913 (12 febbraio 2019); A. Millo, A. T. dall’irredentismo al nazionalismo (1910-1915), in L’irredentismo armato. Gli irredentismi davanti alla guerra. Atti del Convegno..., Gorizia-Trieste... 2014, II, Trieste 2015, pp. 269-285; A. Rizzi, Le relazioni italo-finlandesi nella documentazione del ministero degli Affari esteri italiano e nel «Memoriale» di A. T. (1929-1935), tesi di dottorato, Università di Turku, aprile 2016, www. utupub.fi/bitstream/handle/10024/122992/diss2016Rizzi.pdf?sequence=2&isAllowed=y (ottimo scavo documentale, ma taglio interpretativo velatamente agiografico; 12 febbraio 2019).