PRATELLA, Attilio
PRATELLA, Attilio. – Nacque a Lugo di Romagna il 19 aprile 1856 da Alessandro Pratelli e Giuseppa Verlicchi.
Frequentò il collegio Trisi, dove ebbe come professore di disegno il pittore Ippolito Bonaveri, amico di Telemaco Signorini. Nel 1876 cambiò il cognome in Pratella, analogamente al fratello Francesco, padre del musicista futurista Francesco Balilla Pratella. Grazie a una borsa di studio si iscrisse all’Accademia di belle arti di Bologna, dove approfondì lo studio del disegno e della composizione (1877-78). Conobbe Giovanni Pascoli e strinse amicizia con il siciliano Rocco Lentini, scoprendo attraverso lui l’opera di Domenico Morelli e di Edoardo Dalbono. Nel 1879 con Pietro Fragiacomo soggiornò a Venezia, dove visitò lo studio di Giacomo Favretto e apprese la maniera vibrante e briosa di Mariano Fortuny ed Ernest Meissonier.
Con una seconda borsa di studio del lascito Campagnoli nel 1880 raggiunse Napoli, dove seguì un corso di perfezionamento alla scuola di Filippo Palizzi presso l’Accademia di belle arti diretta da Morelli ed ebbe come compagni di studio Renzo Corcos e Vincenzo Migliaro. Nonostante la perdita del sussidio economico, espose nel 1881 alla XVII Promotrice Salvator Rosa, dove Verde fu acquistato da Placido di Sangro, duca di Martina, e Ruscello fu premiato dal comitato. Per mantenersi iniziò a dipingere macchiette turistiche per la bottega di Masto Peppe (Giuseppe Massa), realizzando vedute e scene popolari che molto piacquero all’imprenditore Luigi Caflisch, tanto da convincerlo a rinnovare l’immagine delle sue bomboniere. Accanto a questa produzione più commerciale, sviluppò una ricerca volta all’interpretazione penetrante del vero, in sintonia con il naturalismo della scuola di Resina.
Alle Promotrici napoletane, dove espose con continuità dal 1881 al 1922, si distinse con una pittura di macchia particolarmente attenta alla resa dei fenomeni luminosi, come testimonia, sin dal 1882, il ricorrere nei titoli della parola «impressione».
Dopo avere collaborato con l’antiquario Charles Varelli, per il quale eseguì imitazioni di porcellane di Capodimonte, iniziò a lavorare come decoratore di ceramiche nella fabbrica di Cesare Cacciapuoti.
Strinse amicizia con lo scrittore e giornalista Gaetano Miranda, del quale illustrò la raccolta Gli orfani; Suonatori ambulanti; Nel vicolo; La nascita del verbo umanato (Napoli 1884), e nel 1885-86 lo accompagnò nei sobborghi di Napoli in preparazione del volume Napoli che muore. Studi di vita napoletana, pubblicato nel 1887 con la prefazione di Luigi Capuana.
Di ispirazione verista sono le raffigurazioni di zone popolari della città e del molo, dove sostavano gli emigranti prima di imbarcarsi per l’America: opere a metà strada tra indagine topografica e sociale, come Lavandaie al fiume (s.d., Napoli, Museo S. Martino), Sul molo (s.d., riprodotto in Attilio Pratella, 2007, p. 154, n. 68), Napoli, al porto (riprodotto ibid., p. 153, n. 65), Pescatori sul molo (s.d., Milano), con le quali Pratella si affermò anche fuori Napoli, partecipando nel 1887 alla VI Esposizione nazionale artistica di Venezia e nel 1889 alla Permanente di Milano (si ricorda Verso Piazza Municipio a Napoli, identificabile con Piazza Municipio, Napoli, riprodotto ibid., p. 13, n. 8).
Nel 1887 Pratella sposò Annunziata Belmonte, dalla quale ebbe cinque figli: Fausto (1888-1964), Ugo (1890-1978), Paolo (1892-1980), Eva (1897-1996) e Ada (1901-1929), tre dei quali (Fausto, Paolo e Ada) avrebbero seguito le orme paterne. Trasferitosi con lei al Vomero, dove abitava l’amico Giuseppe Casciaro e dove presto si raccolse una colonia di artisti, realizzò vedute e paesaggi vicini al Giuseppe De Nittis preparigino per finezza di ricerca tonale e rigoroso impianto compositivo (Balcone con neve, Napoli s.d.).
Si ricordano, in particolare, Il mattino (o Di mattina) che, esposto alla Promotrice napoletana del 1890, fu riprodotto in fototipia e acquistato dal re (Napoli, Museo nazionale di Capodimonte); Villaggio del Vomero, premiato con la medaglia d’argento all’Esposizione nazionale di Roma del 1893, dove apparve, tra gli altri, Impressione di vento (noto anche come Vento o Una giornata di vento al Vomero, riprodotto in Attilio Pratella, 2007, p. 133, n. 13). Opera, questa, che decretò il successo di Pratella al Salon parigino nel 1895 e gli guadagnò l’invito a far parte della Società degli artisti francesi.
Nonostante le difficoltà economiche causate dall’interruzione della collaborazione con Cacciapuoti, Pratella iniziò a esporre a Berlino (1894, Spiaggia presso Portici) e tornò al Salon parigino nel 1899 con Giornata di marzo (1898, riprodotto in Schettini, 1954, tav. XX; una seconda versione è alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma): soggetto iconografico – un paesaggio umido e grigio – già indagato nel dipinto Acqua di marzo inviato alla II Biennale di Venezia del 1897. Mentre sue opere apparivano alla LVII Promotrice di Torino (1898, Strada al Vomero) e alla IV Triennale d’arte di Brera (1900, In marzo), Pratella fu a San Pietroburgo (1898, 1902), nel Principato di Monaco (1900), tra il 1903 e il 1905 in Bosnia (Paesaggio di città e Porto, Mosca, Museo Puškin), a Monaco di Baviera (1905). Nel 1902 fu nominato professore onorario dell’Accademia di Napoli. Dal 1903 al 1908 partecipò alle mostre dell’Associazione acquerellisti a Roma (1903, Paesaggio, Crepuscolo; 1904, Impressione, Macchia; 1905, Piccola S. Lucia; 1908, Scirocco, Paesaggio), e alla Biennale veneziana fu presente a più edizioni (1905, Cielo e mare, Sui colli - Paesaggio; 1909, Vento; 1910, Valle dei Camaldoli, riprodotto in Schettini, 1954, tav. IV) con ricerche paesaggistiche indirizzate verso un’espressione rapida e concisa, ricca di effetti argentei e trasparenze atmosferiche, ma fondata sulla pratica di un disegno dal vero puntuale, che conferiva alle scene una certa solidità dei piani. Nel 1910 fu all’Exposición internacional de arte di Buenos Aires (Paesaggio) e nel 1911 a Barcellona con Effetto di pioggia (riprodotto ibid., tav. XXX).
Questo del paesaggio urbano madido di temporale fu un tema che potenziava le sue doti di pittore tonale e che tornò più volte negli anni successivi (Tempo piovoso, 1912 circa, Piacenza, Galleria d’arte moderna Ricci Oddi).
Se le illustrazioni per la raccolta Myricae di Pascoli (Livorno 1911), cui Pratella collaborò con Antonio Antony e Adolfo Tommasi, si ispiravano al naturalismo di Antonio Fontanesi, Nevicata, apparso alla Promotrice napoletana del 1922, approfondiva la ricerca sul colore locale mutuato da Parigi. Nel 1929 partecipò alla galleria Pesaro di Milano a una collettiva dedicata alla scuola napoletana (La casa dei solitari, Una strada a Capri), ma dopo la morte prematura della figlia Ada, avvenuta in quell’anno, si isolò in una pittura franta di ampie e nette campiture, come testimoniano Fuga d’alberi (riprodotto da Raffaello Giolli nelle Cronache milanesi, in Emporium, 1929, vol. 70, n. 415, p. 57; riprodotto anche in Attilio Pratella, 2007, p. 195, n. 207), Nel bosco (o Anacapri, Roma, Galleria d’arte moderna di Roma capitale), esposto alla Mostra del sindacato regionale fascista del Lazio del 1930, Tramonto a Vico Equense (Napoli, Banco di Napoli, in deposito al Museo Pignatelli), inviato alla V Esposizione d’arte del sindacato interprovinciale campano del 1934, dove nel 1937, alla VII edizione, Pratella avrebbe fatto la sua ultima apparizione pubblica.
Suoi dipinti comparvero però nei cataloghi delle collezioni italiane d’arte moderna pubblicati tra il 1929 e il 1941, a partire da quello firmato da Enrico Somarè (1929) sulla raccolta Vallecchi venduta all’asta presso la galleria Bardi a Milano.
Morì il 28 aprile 1949 a Napoli nella sua casa in piazza Aniello Falcone, dove si era trasferito all’inizio degli anni Venti.
Fonti e Bibl.: Milano, Paul Nicholls Studio, Archivio Pratella.
Omaggio a P. (catal.), Napoli 1950; U. Galetti - E. Camesasca, P. A., in Iid., Enciclopedia della pittura italiana, III, Milano 1951, pp. 2029 s.; A. Schettini, A. P., Napoli 1954; A.M. Comanducci, P. A., in Id., Dizionario illustrato dei pittori, disegnatori e incisori italiani moderni e contemporanei, IV, Milano 1973, pp. 2565 s.; G.L. Marini, P. A., in Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani: dall’XI al XX secolo, IX, Torino 1975, pp. 215 s.; A. P. (1856-1949) (catal.), a cura di P.L. Di Giacomo, Bologna 1993; A. P. Il narratore dei mille volti di Napoli, a cura di E. Savoia, Bologna 2007; R. Caputo, La pittura barometrica di A. P. (catal., Montecatini Terme), Firenze 2008.